E'in vendita la “cannabis light”: una marijuana con pochissimo principio attivo, che non provoca sostanziali effetti psicotropi ed è legale.
Il contenuto di THC (o delta-9-tetraidrocannabinolo), il principio attivo che se assunto provoca gli effetti stupefacenti, è inferiore allo 0,6 per cento, il limite consentito dalla legge. La canapa viene diffusamente coltivata in Italia per molti scopi che non sono ottenere sostanze stupefacenti, come produrre olii o tessuti.
Non provoca gli effetti di quella che viene venduta illegalmente sul mercato nero: non provoca vere alterazioni nella percezione della realtà, ma tutti quelli che l’hanno provata sono concordi nel dire che è rilassante.
Il delta-9-tetraidrocannabinolo (detto comunemente TH) è uno dei maggiori e più noti principi attivi della cannabis, e può essere considerato il capostipite della famiglia dei fitocannabinoidi.
È stato isolato da Raphael Mechoulam, Yechiel Gaoni, e Habib Edery dall'istituto Weizmann, Israele, nel 1964. In forma pura, a basse temperature, è un solido vetroso, di color viola, diventa più viscoso e appiccicoso se riscaldato. Il THC ha una bassissima solubilità in acqua, ma buona solubilità nella maggior parte dei solventi organici.
Nella cannabis il THC si verifica principalmente come acido tetraidrocannabinolico (delta-9-THCA). La condensazione enzimatica del geranil pirofosfato e dell'acido olivetolico genera cannabigerolo il quale a sua volta viene ciclizzato dall'enzima THC acido sintasi (in varietà selezionate per esprimere in quantità adeguata il gene che codifichi tale enzima all'interno dei tricomi ghiandolari della pianta) risultando quindi nella molecola di THC-A. Il calore ed il trascorrere del tempo decarbossilano il THC acido nella sua forma neutra.
Le azioni farmacologiche del THC risultano dal suo legame con i recettori cannabinoidi CB1, e CB2, che si trovano principalmente nel sistema nervoso centrale, e nel sistema immunitario. Esso agisce come un parziale ligando agonista su entrambi i recettori, cioè, li attiva ma non per intero. La presenza di questi recettori specializzati nel cervello fece presupporre agli scienziati che cannabinoidi endogeni vengono prodotti naturalmente dal corpo umano, si scoprirono infatti numerosi endocannabinoidi tra cui l'Anandamide, l'Arachidonoilglicerolo(2-AG) la Virodamina e molti altri.
Il THC stimola il rilascio di dopamina dal nucleus accumbens, può provocare nella persona sensazioni di euforia, rilassamento, percezione spazio-temporale alterata; alterazioni uditive, olfattive e visive, ansia, disorientamento, stanchezza, e stimolazione dell'appetito. Il legame dei cannabinoidi ai recettori CB1 causa una inibizione presinaptica del rilascio di vari neurotrasmettitori (in particolare dopamina e glutammato), e una stimolazione delle aree della sostanza grigia periacqueduttale (PAG) e del midollo rostrale ventromediale (RVM), che a loro volta inibiscono le vie nervose ascendenti del dolore. A livello del midollo spinale il legame dei cannabinoidi ai recettori CB1 causa una inibizione delle fibre afferenti a livello del corno dorsale, e a livello periferico il legame dei cannabinoidi con i recettori CB1 e CB2 causa una riduzione della secrezione di vari prostanoidi e citochine proinfiammatorie, l'inibizione della sostanza P e pertanto del segnale doloroso. Il meccanismo per la stimolazione dell'appetito si crede sia il risultato di attività del THC nell'asse ipotalamico-gastroenterico. L'attività del CB1 nei centri della fame dell'ipotalamo aumenta l'appetibilità del cibo quando i livelli dell'ormone della fame grelina aumentano in seguito all'entrata di cibo nello stomaco.
Fino ad oggi, non vi è mai stata una fatalità umana documentata da overdose di tetraidrocannabinolo, o cannabis. La valutazione della pericolosità del THC nei confronti dell'uomo è largo oggetto di dispute non solo scientifiche, ma anche politiche e ideologiche. Secondo il Merck, la LD50 del tetraidrocannabinolo è di 1270 mg/Kg di peso vivo se somministrata per via orale (veicolato in olio di sesamo) nei ratti maschi e di 730 mg/Kg nei ratti femmine; la dose scende a 482 mg/Kg di peso vivo se somministrato per inalazione. Tale valore è ritenuto molto alto, secondo le opinioni, tale da considerare la tossicità acuta del THC relativamente bassa rispetto ad altre sostanze psicotrope o farmaci, se non altro anche solo per la impraticabilità di una tale somministrazione attraverso cannabis (si pensi che la media della concentrazione di principio attivo nelle sostanze di consumo diffuse oggi è di 15%, con picchi attorno ai 30%: 10 grammi di prodotto contengono quindi in media 1,5 g di THC, ovvero 1500 mg. Considerando un umano di 70 kg, servirebbero 482x70=33740 mg di principio attivo, dunque più o meno 225 grammi di prodotto. Uno "spinello" si prepara normalmente con 0,5 grammi di sostanza: servirebbero 450 spinelli per raggiungere l'assunzione della Dose Letale, ma il tempo necessario all'assunzione di una tale spropositata quantità comporterebbe una metabolizzazione del principio attivo assunto in precedenza, rendendo improbabile una overdose. Per questo motivo le legislazioni dei diversi Paesi valutano i fitocannabinoidi con approcci differenti, con conseguenti divergenze in sede normativa. Alcuni studi condotti, relativi all'assimilazione del THC, convergono sulla conferma che la sostanza induca la perdita di neuroni nell'ippocampo, area del cervello responsabile della fissazione della memoria da breve a lungo termine; numerosi altri studi hanno dimostrato invece le capacità neuroprotettive e antifiammatorie del THC.
A favore della prima tesi (cioè quella che sostiene provochi danni all'ippocampo), in uno studio in vivo ratti esposti a THC ogni giorno per 8 mesi (approssimativamente 30% della loro aspettativa di vita), esaminati a 11 o 12 mesi di età, dimostravano una perdita di cellule nervose equivalente ad animali con il doppio della loro età.
Vi sono inoltre alcuni studi clinici che dimostrano la correlazione tra la presenza di significativi danni cerebrali e cognitivi e l'assunzione di THC, senza però potere, in via definitiva, postulare una causalità, data la presenza di numerosi effetti di interazione con altri fattori, che sovrastano l'effetto semplice del solo THC.
A favore della seconda tesi uno studio in vitro, effettuato su neuroni di ratto, ha mostrato che il cannabinoide HU210 è immunoreattivo col recettore CB1 per i cannabinoidi, portando gli autori ad ipotizzare che possa avere un ruolo nella proliferazione neuronale. Tale ipotesi è supportata dall'osservazione che il cannabinoide HU210 stimola la proliferazione (ma non la differenziazione) di cellule neuronali embrionali di ratto in vitro. Un altro studio ha dimostrato in maniera precisa come il CBD e il THC abbiano effetti neuroprotettivi su cellule neuronale corticali. Ulteriori studi hanno portato all'attenzione degli ambienti scientifici l'effetto del THC su umani, in relazione a malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, come illustrato nella sezione successiva.
Il contenuto di THC nella marijuana (Cannabis sativa) è nell'ordine di 0,5-1% nelle foglie grandi, 1-3% nelle foglie piccole, variabile nei fiori dal 10 al 27%, 5-10% nelle brattee, 10-60% nell'hash, oltre il 60% fino a 99% nell'olio di hashish. Quantità superiori di THC, fino al 30%, si possono ottenere, nei fiori, da specie selezionate appositamente.
Nel caso in cui la sostanza venga inalata i suoi effetti cominciano ad apparire dopo pochi secondi, mentre nel caso in cui essa venga ingerita gli effetti si percepiscono dopo circa 30 / 120 minuti.
La permanenza della sostanza può perdurare anche molti mesi, mentre dalle analisi delle urine la presenza del principio permane per circa tre mesi, tenendo sempre in considerazione se il soggetto sia consumatore occasionale ovvero abituale.
Inoltre è d'obbligo precisare che a differenza del test alcolemico effettuato dalle forze dell'ordine, esso prevede un limite oltre il quale per il soggetto si procede in sede penale (0,5 grammi/litro) al di sopra del quale non è possibile mettersi alla guida, valore che non deve superare lo 0 grammi/litro per i neo-patentati(fino a tre anni dal conseguimento della patente), mentre la legge non prevede un valore sopra o al di sotto del quale il THC è consentito, ravvedendo un responso positivo o negativo.
In definitiva, il principio della marijuana nel sangue per consumatori occasionali è rilevabile entro le 24-30 ore dopo l'ultimo consumo, mentre per i consumatori abituali le tracce sono rilevabili dai 5 fino ai 13 giorni dall'ultima assunzione.
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