sabato 7 novembre 2015

NEOMAMMA E LAVORO

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Molte donne, soprattutto libere professioniste, non riescono a dire “Basta” ad impegni lavorativi nemmeno di fronte ad una gravidanza o alla maternità. Questo dovrebbe rappresentare un periodo di riposo e dedizione al bambino che sta per arrivare e al neonato. Ecco che la donna che non riesce a trovare un momento per sé stessa rinunciando a qualche impegno, finisce inevitabilmente per affaticarsi, stressarsi ed esaurire le risorse. A volte fermarsi non significa fallire ma è il modo più giusto per recuperare energie e tornare in campo più forti.

Alcune donne affermano di provare alcuni sentimenti contrapposti con l’arrivo di un bebè: insieme al desiderio e alla felicità di divenire madri, spesso si sentono sopraffatte dal senso di colpa, dalla frustrazione e da un sentimento di inadeguatezza per non aver saputo mantenere il ritmo di vita lavorativo.

L’attesa e la nascita di un bambino però non dovrebbero essere lette come un intoppo alla propria vita, ma un arricchimento. Desiderare di dedicarsi al proprio bambino nei primissimi mesi di vita è normale e la donna che si sente in colpa probabilmente deve imparare a riconsiderare le proprie priorità e legittimarsi a prendersi una pausa. La scelta di accudire un figlio sicuramente ha come conseguenza la messa in pausa della carriera, del lavoro e degli impegni sociali ma non è permanente e duratura. Tentare di mantenere un ritmo incalzante sia in famiglia che sul lavoro è controproducente sia al buon esito degli obiettivi che al benessere psico-fisico.

Molte madri lavoratrici si sentono stressate e “sull’orlo di una crisi di nervi”, ciò dipende dal fatto che la perfezione è per definizione impossibile da raggiungere e provoca inevitabilmente un senso di fallimento, frustrazione ed esaurimento. Senza considerare poi quanto i neonati risentano della stanchezza o dello stress di chi si prende cura di loro.

Avere un figlio, nel 30% dei casi, corrisponde all’abbandono del posto di lavoro. Lo afferma l’Istat in un rapporto alla Camera spiegando che per le donne nate dopo il 1964 il tasso è pari al 25%.
Tra il 2005 e il 2012 il livello di abbandono è passato dal 18,4% al 22,3%. Inoltre, nel 60% dei casi devono passare almeno 5 anni prima del rientro.
Sempre l’Istat fa sapere che, oltre ad avere più interruzioni per motivi familiari, i percorsi lavorativi delle donne sono sempre più caratterizzati da lavori atipici: tra gli occupati, di età compresa tra i 16 e i 64 anni nel 2009 solo il 61,5% delle donne ha avuto un percorso interamente standard, contro il 69,1% degli uomini.
Dagli anni ’90 è progressivamente aumentato il part-time femminile, dal 21% del 1993 al 32,2% del 2014, con conseguenti minori livelli medi di retribuzione e importi più bassi dei contributi versati.
L’Istat fa notare come l’Italia “continua a essere un Paese caratterizzato da un’elevata asimmetria dei ruoli nella coppia (il 72% delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dalle donne), da una bassa offerta dei servizi per l’infanzia e una crescente difficoltà di conciliazione, soprattutto per le neomadri (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012). I differenziali di genere nelle pensioni non verranno colmati fintanto che non saranno superate le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, nell’organizzazione dei tempi di vita, e non sarà disponibile una rete adeguata di servizi sociali per l’infanzia”.




Quando si parla di maternità sarebbe giusto e logico pensare ad un cambiamento radicale nella vita di ogni donna. Gli ultimi mesi di gravidanza, il parto, il contatto con il proprio bambino, l’allattamento, la genitorialità: tutto ciò dovrebbe rappresentare un’esperienza unica e irripetibile, da vivere con gioia e serenità.

Tuttavia, il momento di crisi economica che stiamo attraversando rischia di offuscare pesantemente quest’immagine idilliaca della maternità. Sono in aumento, infatti, le donne che lamentano la difficoltà di conciliare maternità e lavoro o che si trovano costrette a rientrare in servizio a tempo di record, per esigenze contrattuali o perché l’assetto organizzativo non consente loro di assentarsi troppo a lungo.

Risulta in aumento, pertanto, il numero di donne che ricorre al congedo a ore, che permette “di rientrare a lavoro in tempi ragionevoli, ma con un orario ridotto, pertanto rinunciando a parte dello stipendio”.

Spesso, ciò dipende anche da questioni di ordine economico e familiare. Secondo una recente indagine ISTAT, infatti, risultano in forte crescita “le famiglie con almeno una persona di 15-64 anni in cui è la donna ad essere l’unica occupata, specialmente tra le madri in coppia. La crescita riguarda 591 mila famiglie (34,5% in più)”. Cresce, di contro, “la quota di donne occupate in gravidanza che non lavora più a due anni di distanza dal parto (dal 18,4% nel 2005 al 22,3% nel 2012), soprattutto nel Mezzogiorno, dove arriva al 29,8%. Aumenta anche la quota di donne con figli piccoli che lamentano le difficoltà di conciliazione tra chi il lavoro lo mantiene (dal 38,6% al 42,7%)”.

A ciò va aggiunto che, anticipando il rientro al lavoro, la madre lavoratrice deve provvedere, in tempi rapidi e in maniera efficace, a riorganizzare l’assetto familiare e ad individuare la figura che si prenderà cura del piccolo in sua assenza. Talvolta questo ruolo viene delegato ai nonni. Spesso, per scelta o per mancanza di alternative, si ricorre all’asilo nido, esperienza che, tuttavia, nelle fasi iniziali può causare una certa sofferenza, tanto alla mamma quanto al bambino, poiché “prima vera esperienza di distacco”.

In questo clima, spesso non sereno, è necessario che la donna consideri la maternità come un momento particolarmente delicato, in cui è necessario prendersi cura, non solo della salute del bambino, ma anche della propria. La stanchezza post-partum, l’immediato rientro al lavoro, talvolta, rendono i primi mesi di vita del bambino più difficoltosi di quanto si possa immaginare. È giusto, quindi, aiutarsi anche attraverso una sana alimentazione, che permetta un introito di nutrienti essenziali per la mamma, affinché riacquisti la forza necessaria per lo svolgimento delle proprie attività quotidiane, nonché per alimentare efficacemente il piccolo mediante l’allattamento.



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