giovedì 26 novembre 2015

LA MORFINA

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Un elisir a base di oppio è stato attribuito ad antichi alchimisti, ma la formula specifica è stata presumibilmente persa durante la conquista ottomana di Costantinopoli. Intorno al 1522, Paracelso fece riferimento ad un elisir a base di oppio che chiamò laudano, che significa "lodare", descritto come un potente antidolorifico, ma ne raccomandò un uso parsimonioso. Nel diciottesimo secolo, quando la Compagnia delle Indie ottenne un interesse diretto nel commercio dell'oppio in India, un altro oppiaceo chiamato laudano divenne molto popolare tra i medici e i loro pazienti. La morfina è stata scoperta come il primo alcaloide attivo estratto dalla pianta di papavero da oppio nel dicembre 1804 a Paderborn, in Germania, da Friedrich Sertürner.
Il farmaco è stato prima commercializzato al pubblico da Serturner nel 1817 come analgesico, ma anche come trattamento per la dipendenza da oppio e da alcolici. La produzione commerciale iniziò a Darmstadt, in Germania nel 1827 da parte della farmacia che è diventata la casa farmaceutica Merck, che dalla vendita di morfina ha avuto una gran parte della sua crescita e sviluppo. Poco dopo ci si è resi conto che la morfina dava più dipendenza dell'alcool o oppio, e il suo ampio uso durante la guerra civile americana si sarebbe tradotto in più di 400.000 malati "del soldato": malattia della dipendenza da morfina.

La Diacetilmorfina (meglio conosciuta come eroina) è stata sintetizzata dalla morfina nel 1874 e introdotta sul mercato dalla Bayer nel 1898. L'eroina è circa dalle 4 alle 12 volte più potente della morfina in base ai mg assunti di morfina. A causa della gran solubilità lipidica, la diacetilmorfina è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica più velocemente della morfina come l'idromorfone o il fentanyl, per poi far aumentare la tolleranza e causare l'insorgere della dipendenza. Utilizzando una varietà di misure soggettive e obiettive, uno studio ha stimato la potenza relativa di eroina versus morfina somministrata per via endovenosa ai tossicodipendenti da 2,80-3,96 mg di solfato di morfina a 1 mg di cloridrato di diamorfina (eroina).

La morfina è uno dei 30 alcaloidi presenti nell'oppio, una polvere ricavata dal liquido lattiginoso raccolto, dopo incisione, dalla capsula immatura del Papaver somniferum.
La morfina è un potentissimo analgesico; la somministrazione di soli 10mg (0,01 grammi) per via parenterale, è in grado di ridurre di almeno l'80% la percezione del dolore. Per questo motivo viene utilizzata come presidio terapeutico nel trattamento del dolore di tipo cronico - profondo di intensità medio elevata, come quello neoplastico in fase terminale. A tal proposito è interessante sottolineare come la morfina abolisca il dolore inteso come sofferenza, ma non la sua percezione. Spesso il soggetto rimane consapevole dello stimolo dolorifico, lo percepisce ma non se ne preoccupa, se ne distacca e non ha alcuna difficoltà a tolleralo.
La capacità della morfina di interagire con i recettori oppioidi di tipo µ, spiega lo stato di euforia che insorge in seguito alla sua assunzione. L'eccitazione è tuttavia transitoria e già dopo pochi minuti subentrano sintomi depressivi e narcotici (il nome morfina deriva proprio da Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni).
La morfina somministrata per via sottocutanea raggiunge l'apice dell'effetto analgesico in un tempo che va dai trenta ai sessanta minuti; tale effetto permane dalle quattro alle sei ore. L'iniezione endovenosa consente invece un più rapido raggiungimento del picco d'azione, peraltro più intenso; la durata complessiva degli effetti è invece simile.
Un derivato della morfina, chiamato codeina, viene utilizzato come antitussivo quando la tosse, che ricordiamo essere un prezioso meccanismo di difesa, rischia di aggravare una patologia concomitante (ernia inguinale, pertosse nel bambino ecc.).

Il più pericoloso effetto collaterale della morfina è rappresentato dalla sua potente azione depressiva sul centro del respiro, che in caso di intossicazione acuta può portare a coma e a morte per paralisi respiratoria. Per questo motivo la morfina è controindicata per i soggetti asmatici e per chi soffre di enfisema o di altre patologie caratterizzate da ridotta efficienza respiratoria.
Altri effetti indesiderati comprendono nausea, prurito, miosi (pupilla puntiforme) e stipsi (un derivato della morfina, chiamato loperamide, è utilizzato come antidiarroico). Particolarmente pericolose sono le ripercussioni sulla psiche dell'individuo, vista la capacità della morfina di indurre stati carenziali o di astinenza (quando si interrompe bruscamente l'assunzione insorgono effetti opposti, come diarrea, malessere generale, depressione, aumento della temperatura corporea ed iperidrosi). Il bisogno di assumerne morfina in continuazione, a qualsiasi costo e a dosi sempre maggiori, produce effetti devastanti sulla socialità e sulla salute mentale del tossicodipendente.
L'assunzione cronica di morfina provoca assuefazione e, come tale, si accompagna ad una resistenza ai suoi effetti terapeutici. Per ovviare a questo fenomeno della "tolleranza" e mantenere la medesima azione, è quindi necessario aumentare gradualmente la dose (ecco perché i cerotti a base di un derivato della morfina, il fentanile, destinati ai malati terminali vengono periodicamente sostituiti con altri a maggior rilascio).
Da non sottovalutare, infine, la vera e propria dipendenza fisica dall'alcaloide; quando l'assunzione viene interrotta bruscamente, il paziente lamenta infatti una forte mancanza dello stato euforico da esso prodotto.



È stato dimostrato negli anni sessanta che l'azione della morfina e degli oppioidi in generale è dovuta alla loro capacità di superare la barriera emato-encefalica e legarsi ai recettori oppioidi delle cellule cerebrali, specialmente nel talamo e nel sistema limbico. In particolare mimano l'azione delle endorfine, manifestando un'azione agonista nei confronti dei recettori oppioidi di tipo µ e agonista parziale nei confronti dei recettori d, provocando, così, svariati effetti:
bloccano il rilascio dei neurotrasmettitori a livello pre-sinaptico;
si legano sulla membrana postsinaptica al recettore µ, del tipo GPCR (accoppiato a proteina G), attivando la subunità alfa la quale, essendo di tipo Gi-inibitorio-, andrà ad inattivare l'adenilatociclasi; l'enzima inibito non catalizzerà più la reazione di ciclizzazione dell'ATP ad cAMP e in questo modo la concentrazione dell'AMP ciclico diminuirà notevolmente;
provocano l'efflusso di ioni potassio dal neurone post-sinaptico: in questo modo la cellula si iperpolarizzerà e risulterà refrattaria all'eccitazione.
Tutto questo provoca l'inibizione della trasmissione nocicettiva periferica al sistema nervoso centrale e influenza l'emotività e il comportamento: in assenza di morfina tali recettori sono bersaglio naturale degli oppioidi endogeni, in particolare endorfine e encefaline, due classi di sostanze sintetizzate dall'organismo per attenuare il dolore. L'effetto è una potentissima azione analgesica unita alla depressione del centro cerebrale preposto al controllo della respirazione.

Due farmaci, il naloxone e il naltrexone, sono in grado di spostare le molecole di morfina e analoghi dai recettori cerebrali, interrompendone l'azione: in particolare l'azione del naloxone è estremamente rapida, cosa che lo rende un farmaco salvavita in caso di intossicazione acuta da oppiacei (overdose). Il naltrexone invece si lega in modo più duraturo a tali recettori e inibisce l'azione di oppio e derivati per un periodo prolungato nel tempo, e si usa nella disintossicazione per impedire l'effetto eccitatorio della droga.

Le prime assunzioni di morfina sono spesso prive di effetti definiti come piacevoli, mentre disturbi come nausea, sonno e confusione mentale, che compaiono dopo una assunzione prolungata nel tempo, sono legati all'azione degli oppioidi su una zona del cervello nota come area postrema, al di fuori della barriera ematoencefalica e non ad una specifica tossicità. L'effetto è comunque in parte soggettivo e dipende dalla modalità di assunzione e dalla tolleranza individuale. La morfina produce una sensazione di euforia ed una forte sensazione di benessere fisico generalizzata; vi è uno stato di abbassata reattività psicofisica associata a brevi momenti di confusione e ottundimento dei sensi; provoca sedazione. Si avverte un'acuta sensazione di calore (orgasmo sessuale) e ci si sente trasportati in una dimensione estremamente diversa e piacevole. Il pensiero diventa vivace e fluido, i problemi "svaniscono" e ci si sente rilassati, isolati e fortemente sollevati dal dolore. Con il tempo e il ripetersi delle assunzioni, l'organismo sviluppa sia dipendenza sia assuefazione (fisica e mentale) agli effetti; le sensazioni piacevoli durano sempre meno e sono sempre meno intense e il tossicomane deve aumentare gradualmente la dose per ottenere gli stessi risultati. All'inizio del consumo abituale di morfina è relativamente facile mantenere una vita normale, ma poco a poco, oltre a quella psicologica, si instaura la dipendenza fisica, perciò diventa sempre più difficile staccarsi dalla sostanza e inizia a svilupparsi il bisogno di assumerne in continuazione, a qualsiasi costo, con effetti devastanti sulla socialità e sulla salute mentale.

I sintomi della crisi di astinenza da morfina sono progressivi e vanno aumentando fino a raggiungere il culmine dopo circa tre giorni; oltre questo tempo regrediscono nell'arco di tre-sette giorni, anche se ancora per alcuni mesi il soggetto può avvertire dolenzia diffusa, ansia, leggeri tremori, insonnia e sensazione di freddo.

Il decorso acuto si può dividere in quattro fasi:

I grado: da sei a dodici ore dall'ultima assunzione cominciano a manifestarsi sudorazione, rinorrea, sbadigli e salivazione; il sonno è profondo ma agitato.
II grado: dopo 24 ore i sintomi si accentuano, e gli sbadigli possono essere tanto forti da arrivare a lussare la mandibola; compare una forte lacrimazione e le pupille si dilatano (pupille midriatiche); compaiono tremori e scosse muscolari, e la pelle diventa fredda e sudata con peli rizzati (sindrome del "tacchino freddo") poi caldane, febbre con brividi e totale anoressia.
III grado: tra 24 e 48 ore i sintomi si accentuano ancora e si aggiungono innalzamento della temperatura corporea, insonnia, irrequietezza, inappetenza con grave depressione respiratoria e vasomotoria, si ha nausea e forti contrazioni intestinali con vomito e diarrea.
IV grado: tra 48 e 72 ore la crisi raggiunge il suo massimo: tremiti e brividi squassano tutto il corpo e la sensazione di freddo è molto intensa. Gli spasmi e le scosse muscolari fanno scalciare e compaiono crampi muscolari seguiti da dolori forti e diffusi a carico delle ossa.
Come già detto, oltre le 72 ore tutti i sintomi regrediscono lentamente. La crisi nell'adulto non è letale, nei neonati di madre eroinomane o morfinomane invece la crisi di astinenza che si verifica subito dopo il parto è mortale se non viene trattata con somministrazione via via decrescente di morfina per alcuni giorni.

Effetti collaterali indesiderati sono:

Aumento della secrezione dell'ormone adrenocorticotropo, che stimola quella di cortisolo, ormone della crescita e prolattina;
Inibizione degli ormoni sessuali ipofisari e periferici, mancanza di desiderio sessuale e di mestruazioni nelle donne e impotenza negli uomini
Stipsi, per riduzione della motilità intestinale
Morte per avvelenamento, infarto o altro.
L'uso prolungato può provocare tolleranza inversa e dipendenza fisica e psichica, cioè può indurre una riduzione della produzione degli oppioidi endogeni (in presenza di un prodotto esterno, il nostro organismo, per risparmiare energia, riduce una propria funzione fisiologica), dando luogo a dipendenza fisica e può provocare l'insorgere di atteggiamenti ansiosi, tipici di una dipendenza fisica.

Anche se l'organismo si abitua gradualmente alla morfina e derivati, può accadere che la dose assunta (incidentalmente o intenzionalmente, o ancora per nuova assunzione dopo un periodo di astinenza prolungata, in cui l'organismo ha ridotto la tolleranza) sia troppo elevata, inducendo uno stato di intossicazione acuta che è letale se non viene curato immediatamente. La sindrome da overdose è specifica e inconfondibile, diagnosticabile dalla presenza di tre sintomi: miosi, respirazione ridotta o assente e coma.

In questo caso occorre somministrare immediatamente naloxone o un qualsiasi antagonista dei recettori oppioidi (come l'amifenazolo e sottoporre il paziente a rianimazione, cercando di ripristinare la funzione respiratoria. Complicanze letali che possono sopraggiungere, specie se il soggetto è affetto da cardiopatie o tossicodipendente, sono edema polmonare, insufficienza cardiaca destra (cuore polmonare acuto), infarto, e paralisi intestinale, che vanno trattate con terapia rianimativa e sintomatica.

L'uso cronico conduce a uno stato di intossicazione la cui gravità dipende molto dal dosaggio medio assunto, dal tipo di droga, dalla sua purezza e dal modo in cui viene assunta; se tratta di droghe "da strada", a questi fattori si aggiungono altre patologie dovute alla scarsa o inesistente igiene e alle sostanze mescolate alla morfina base per diluirla (in genere lattosio o mannite, ma a volte anche polvere di marmo o sostanze tossiche come stricnina, piombo o chinino), per cui può essere difficile separare gli effetti diretti dell'intossicazione da morfina da quelli secondari dello stile di vita del tossicomane.

In ambito terapeutico un'intossicazione cronica incombe solo se la terapia supera le 3 settimane per almeno 30 mg di morfina orale al giorno pari a 5–10 mg per uso endovenoso.

Fisicamente, i sintomi sono pelle secca e sudorazione facile, stitichezza, alterazioni dentarie, dimagrimento progressivo, problemi epatici, cuore polmonare cronico (polmone da narcotici), una serie di malattie renali, immunitarie ed allergiche. Si possono riscontrare lesioni al cervello e al sistema nervoso centrale e periferico; compaiono alterazioni della vista (miosi estrema, nistagmo, atrofia del nervo ottico fino alla cecità) e dell'udito.

Dal punto di vista comportamentale e psichico il soggetto è ansioso, irrequieto, ha scarso appetito. L'attività sessuale è ridotta o assente. Il carattere si modifica profondamente: il consumatore abituale diventa apatico, indifferente, privo di iniziativa: è interessato principalmente alla droga. Tutti gli impegni, di qualunque genere, finiscono per essere trascurati, come anche l'affettività. Vengono colpite anche le funzioni intellettive: la memoria e l'attenzione si indeboliscono.

L'intossicazione acuta è di esclusiva competenza medica e va trattata in rianimazione, come anche le complicanze eventuali; quella cronica richiede assolutamente, per avere successo, la ferma e costante volontà del tossicomane a collaborare, e inizia con lo "svezzamento", o graduale con sostitutivi (metadone e altri agonisti o antagonisti della morfina) o brusco con sedativi e benzodiazepine, clonidina, doxepina, antidolorifici e antidepressivi. A questa segue una psicoterapia della durata di almeno due anni, individuale o di gruppo, coadiuvata dalla somministrazione di naltrexone che evita ricadute casuali bloccando l'effetto piacevole della droga. Sembra che tali terapie siano più efficaci se svolte in particolari comunità residenziali. Si inizia contemporaneamente a preparare il ritorno del paziente nella vita sociale e lavorativa, con corsi professionali, apprendistato o altri metodi di inserimento.

La tolleranza agli effetti farmacologici della morfina, impiegata per uso terapeutico, si instaura lentamente ed è limitata, mentre la tolleranza agli effetti collaterali è rapida (5-10 giorni) ad eccezione della stipsi che non si riduce con il progredire del trattamento.
La morfina può provocare sonnolenza e confusione mentale soprattutto nei primi giorni di terapia. In questa fase si raccomanda cautela nello svolgimento di attività che richiedono stati di veglia e di coordinazione costanti. Nella maggior parte dei pazienti quando la dose di morfina è stabilizzata gli effetti sulla funzione cognitive sono minimi.

La morfina rappresenta l’oppiaceo di riferimento rispetto alla quale viene calcolata la potenza relativa degli altri farmaci oppiacei:
1) codeina, meperidina, tramadolo: potenza pari ad un decimo di quella della morfina;
2) metadone: leggermente più potente della morfina, ma con minor capacità di indurre dipendenza; in genere si considera un rapporto di 1:1;
3) petidina: 10 volte più potente della morfina;
4) fentanil: 50-100 volte più potente della morfina;
5) sufentanil: 500-1000 volte più potente della morfina.




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