domenica 10 luglio 2016

MANDRAGORA

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La mandragora è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Solanaceae comunemente note come mandragola.
Le loro radici sono caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricorda la figura umana (maschile e femminile); insieme alle proprietà anestetiche della pianta, questo fatto ha probabilmente contribuito a far attribuire alla mandragola poteri sovrannaturali in molte tradizioni popolari.

La mandragola costituì uno degli ingredienti principali per la maggior parte delle pozioni mitologiche e leggendarie. Innanzitutto il nome, probabilmente di derivazione persiana (mehregiah), le è stato assegnato dal medico greco Ippocrate. Nell'antichità le venivano accreditate virtù afrodisiache; era utilizzata anche per curare la sterilità.

Alla mandragora venivano nel Medioevo attribuite qualità magiche e non è un caso se era inclusa nella preparazione di varie pozioni. È raffigurata in alcuni testi di alchimia con le sembianze di un uomo o un bambino, per l'aspetto antropomorfo che assume la sua radice in primavera. Da ciò ne è derivata la leggenda del pianto della mandragola ritenuto in grado di uccidere un uomo e per questo, come ricorda Machiavelli nell'omonima sua commedia, il metodo più sicuro per coglierla era legarla al guinzaglio di un cane e quindi lasciarlo libero di modo che, tirando la corda, questi avrebbe sradicato la mandragola udendone il lamento straziante e morendo all'istante, consentendo così al proprietario di coglierla.

La mandragora veniva considerata una creatura a metà del regno vegetale e animale, come il meno noto agnello vegetale di Tartaria. Nel 1615, in alcuni trattati sulla licantropia, tra i quali quello di Njanaud, appariva l'informazione dell'uso di un magico unguento a base di mandragora che permetteva la trasformazione in animali.

Secondo le credenze popolari, le mandragore nascevano dallo sperma emesso dagli impiccati in punto di morte. La mandragola può essere ricondotta ad alcune usanze della stregoneria nelle quali era utilizzata come surrogato delle più famose bambole di cera. È considerata una pianta magica anche dalla Wicca moderna, in particolare nei giorni di plenilunio.

La pianta della mandragora viene pure ricordata nell'omonima rappresentazione teatrale di Niccolò Machiavelli, fra le piante magiche del romanzo fantasy Harry Potter e la camera dei segreti e dell'omonimo film da esso tratto, nel nome di due personaggi dell'anime e manga I Cavalieri dello zodiaco, nonché nel lungometraggio Il labirinto del fauno e nel film di Stefano Bessoni Krokodyle dove una mandragola viene utilizzata nel processo di fabbricazione di un homunculus. Inoltre viene descritta in Haunting Ground per le sue proprietà rivitalizzanti. Nel videogioco Pokémon, Oddish è ispirato a questa pianta. Nel romanzo di Luigi Santucci Il mandragolo il protagonista Demo (un essere deforme, ma dotato di straordinari poteri medianici) viene paragonato alla pianta magica. Nel film prodotto da Iginio Straffi Winx Club - Il Segreto del Regno Perduto uno dei personaggi, ostili alle fate, si chiama Mandragora.

La mandragora aveva (ed ha tutt’oggi) anche un impiego medicinale, afrodisiaco e psicoattivo. In Oriente, è citata nel Vecchio Testamento in Genesi e nel Cantico dei Cantici con il nome di dudaim, “amore e paura”. Nel primo episodio, Rachele, disperata per non avere figli, supplicò Lea di darle una delle mandragore trovate dal figlio Ruben, concedendole in cambio il marito per una notte. Nel secondo episodio, Shulammite invita il suo amante ad andare nei campi dove crescono le mandragore. Flavio Giuseppe, nella Guerra Giudaica, menziona una pianta nota come baaras, “ardore”, probabilmente la mandragora, che “ verso sera emette una luce brillante, elude le persone che tentano di raccoglierla, a meno che non si pongano su essa certe secrezioni del corpo umano. Applicata al paziente, la radice fa espellere i demoni”.

Un nome significativo è quello attribuito nell’Arabia preislamica, cioè abu ‘lruh, “signore del respiro vitale” o “signore dello spirito”, a indicare la carica spirituale della mandragora e probabilmente la sua identificazione con una divinità. Con l’avvento dell’Islam, ritroviamo Tufah al-jinn, “mele del demonio”, Baydal-jinn, “testicoli del demonio” e anche “candela del diavolo”. Questo valore negativo attribuito dagli Arabi alla mandragora si ritrova in una formula per la preparazione di un veleno a base di radici decomposte della pianta. In Persia, il nome è sag-kan, “scavata da un cane”.



Nell’Europa medievale, alla mandragora furono attribuiti numerosi epiteti, per esempio “mela di Satana”, “testicoli di Satana”, “mela dello stolto” e “mela dell’amore”. Per i Germani era nota come Drachenpuppe, “pupazzo-dragone”, e Galgenmännlein, “piccolo uomo delle forche”, mentre in Islanda come thjofarot, “radice dei ladri”. Altre denominazioni ricordavano l’effetto narcotico e le streghe. Una della caratteristiche della mandragora che suscitò la fantasia degli antichi fu la somiglianza della sua radice con la figura umana. Sembra che sia stato Pitagora uno dei primi a descrivere la radice come antropomorfa. E come per tutte le piante magiche, estirparla era pericoloso. Occorreva seguire un preciso rituale e rispettare certe precauzioni. Teofrasto di Lesbo, poi ripreso da Plinio il Vecchio, scrive che per raccoglierla bisogna tracciarle attorno tre cerchi con una spada e tagliarla rivolgendosi a ovest. Tagliandone una seconda parte, si dovrebbe danzarle attorno e dire “quante più cose è possibile sui misteri dell’amore”.

Durante il Medioevo, il rituale prevedeva di recarsi sul posto il venerdì al crepuscolo, con un cane nero affamato. Dopo essersi tappate le orecchie, si facevano tre segni di croce sulla pianta, si scavava attorno e si poneva attorno alla radice una corda, poi annodata al collo o coda del cane. Poco lontano si poneva del cibo per l’animale, il quale strattonando staccava la radice che emetteva un grido. In questo modo, il cane moriva al posto dell’uomo.

C’è addirittura chi fa nascere la mandragora nel Giardino dell’Eden: i primi Esseri umani non sarebbero stati che giganti mandragore sensitive; essi avrebbero poi mantenuto per sempre intimi rapporti con la Pianta Madre specie per quanto riguarda l’aspetto delle sue radici.

Essendo una pianta potenzialmente bisex, quindi ambivalente nei suoi rapporti con l’Essere umano, essa poteva sia guarire la mente e il corpo, come anche portarlo alla perdizione: sia donargli il sonno ristoratore che provocargli la pazzia; sia proteggerlo contro il veleno dei serpenti che ucciderlo senza pietà; oppure lenire il dolore, o (in forti dosi) produrre allucinazioni e deliri.

Nel I secolo d.C. Dioscoride testimonia l’impiego della radice di mandragora, stemperata nel vino, come antidolorifico nei pazienti sottoposti a incisioni e cauterizzazioni.

Sempre come analgesico, a Roma lo stesso preparato (importato dall’Egitto) era anche in uso (come anche la coda essiccata di vipera) contro il mal di denti. Gli erbari medioevali attribuivano poteri prodigiosi a tutte le parti di questa pianta, non di rado tuttavia vicini alla realtà, quali ad esempio la proprietà di indurre anestesia. E verso la fine del XIII secolo Arnaldo da Villanova, tra i rappresentanti più eminenti della famosa Scuola Medica di Montpellier, nella sua Opera omnia improntata alle dottrine della Medicina araba (allora all’avanguardia) riporta una “ricetta anestetica” consistente nell’applicare sul naso e sulla fronte del paziente un panno imbibito di un miscuglio acquoso di oppio, mandragora e giusquìamo in parti eguali, che consentiva di far “cadere il paziente in un sonno così profondo da poterlo operare senza che sentisse dolore e potergli quindi fare qualsiasi cosa”.

Tuttavia, nel Rinascimento molte delle tante virtù medicinali ascritte alla mandragora furono contestate, talvolta derise, anche se le farmacie erano stracolme dei preparati più diversi a base della pianta. Poiché comunque la gente continuava a credere che bastasse possedere un po’ di mandragora, anche senza utilizzarla, per assicurarsi la felicità, la salute e la ricchezza, la richiesta era molto alta. E laddove per le condizioni climatiche e del terreno di mandragora DOC non ne cresceva, abilissimi sofisticatori provvedevano a soddisfare le crescenti e lucrose richieste trasformando in “autentiche” piante che le assomigliavano solo vagamente.

Superfluo dire che le leggende legate alle proprietà magiche della mandragora sono ormai sfatate. La moderna Scienza ne ha riconosciuto i reali effetti sul corpo umano nel suo contenuto in principi chimici attivi come la scopolamina, l’atropina e la josciamina, le cui proprietà vengono oggi utilizzate dalla farmacologia ufficiale in dosi ben determinate e non arbitrarie come un tempo. Tuttavia, nei secoli, nella medicina popolare la mandragora ha continuato ad avere avuto gli impieghi più diversi e fantasiosi: oltre che contro l’epilessia e la depressione, ad esempio, anche contro l’insonnia (commista a rosso d’uovo e latte di donna) e contro l’incontinenza urinaria, nonché (in piccole dosi) come anestetico e antiveleno.

Tuttavia, nonostante le attuali convalidate conoscenze scientifiche circa la reale natura chimica e gli effetti farmacologici dei suoi princìpi attivi, nella fantasia popolare la mandragora ha mantenuto pressoché immutato l’antico fascino. All’Orto Botanico di Berlino si è addirittura rinunciato a coltivarla: le Autorità comunali preferiscono mantenere vuoto lo spazio riservato alla sua coltivazione piuttosto che vederlo continuamente espoliato dai continui furti. E - assicurano gli esperti, nel convulso mondo odierno di super-computer e di missili interplanetari, esiste tuttora un fiorentissimo commercio di “preparati” di mandragora, contenenti frammenti delle sue radici (ma talora sono di rapa), variamente commisti a grani di papavero o di giusquìamo, a polvere di mirra o di ferro calamitato, e (nelle confezioni più ambìte e costose) a sangue di pipistrello.



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