domenica 2 luglio 2017

IL GADOLINIO

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Il gadolinio è un metallo delle terre rare ha aspetto bianco-argenteo, è duttile e malleabile. Cristallizza a temperatura ambiente in una forma a esagonale compatta, scaldato a 1.508 K si trasforma in una forma cristallina ß cubica a corpo centrato.

Nel 1880, il chimico svizzero Jean Charles Galissard de Marignac osservò le linee spettrali del gadolinio in campioni di didimio e di gadolinite. Fu poi il francese Paul Émile Lecoq de Boisbaudran a separare la gadolinia (ovvero l'ossido di gadolinio(III)) dall'ittria di Mosander nel 1886. L'elemento puro è stato isolato solo in tempi relativamente recenti

Come il minerale gadolinite, il gadolinio deve il suo nome al chimico e geologo finlandese Johan Gadolin.

Come ione Gd3+, il gadolinio è un acido di Lewis duro e ennacoordinato, caratteristica che lo rende eccezionalmente affine a basi come H2O ed OH-. La prima rende conto della difficoltà di lavorazione metallorganica dello ione in soluzione, la seconda della sua tossicità: a pH fisiologico e in presenza di fosfati liberi, precipita come idrossido (gelatinoso incolore) e come fosfato (bianco polveroso). I complessi carichi vengono eliminati con le urine, inoltre, non sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica integra, ma solo quando è interrotta o alterata nella sua permeabilità (lesione neoplastiche, demielinizzazioni recenti, flogosi); anche per questo vengono utilizzati come mezzo di contrasto in risonanza magnetica.

La presenza di un centro paramagnetico, influenza i tempi di riallineamento del vettore magnetizzazione dei protoni dell'acqua, la cui risonanza è misurata nella MR a scopo diagnostico. Dal momento che le lesioni neoplastiche sono più ricche di acqua rispetto alle zone circostanti e che il mezzo di contrasto tende a stabilirvisi, qui è generato un segnale più intenso rispetto al tessuto sano.
Sono molti i fattori che influenzano l'efficacia del mezzo di contrasto; essi cambiano la loro influenza sulla relassività dei protoni a seconda della posizione del protone stesso rispetto al centro paramagnetico (sfera interna o coordinazione diretta; sfera esterna o interazioni non covalenti).
Per questo sono stati messi a punto dei leganti azamacrociclici poliamminopolicarbossilici che, con una cinetica lentissima, riescono a complessare 8 dei 9 siti di coordinazione dello ione. Portano però problemi di ingombro sterico, rendendo, talvolta, difficilmente accessibile l'unica molecola d'acqua di coordinazione. Il capostipite è il DOTA (come sale megluminico dell'acido gadoterico), con i suoi derivati liposomiali, come il DOTA.DSA, che hanno una funzione con una doppia coda lipofila, simile a quella dei fosfolipidi.



Un altro tipo di leganti utilizzati sono il DTPA (acido dietilen-triamino-pentacetico o acido pentetico) a formare il Gd-DTPA (sale dimegluminico dell'acido gadopentetico). Dal DTPA si giunge ai suoi derivati, come il MS-325, contenenti una struttura lipofila.

Il gadolinio in natura non si trova allo stato nativo, ma solo combinato in minerali quali la gadolinite, la monazite e la bastnasite.

Viene preparato per scambio ionico ed estrazione in solvente, oppure per riduzione del suo fluoruro anidro con calcio metallico.

Il gadolinio in natura si presenta come una miscela di 5 isotopi stabili, 154Gd, 155Gd, 156Gd, 157Gd, 158Gd, e di due radioattivi, 152Gd e 160Gd. 158Gd è il più abbondante (24,84%).

Del gadolinio sono stati individuati 30 isotopi radioattivi, di cui il più stabile è 160Gd (con un'emivita di 1,3 × 1021  anni), 152Gd (1,08 × 1014  anni) e 150Gd (1,79 × 106  anni). Tutti gli altri hanno emivite inferiori a 74,7 anni e la maggior parte di essi inferiore a 24,6 secondi. Sono inoltre noti 4 metastati, i cui più stabili sono 143mGd (emivita: 110 secondi), 145mGd (85 secondi) e 141mGd (24,5 secondi).

La principale modalità di decadimento per gli isotopi più leggeri di 158Gd è la cattura elettronica con conversione in isotopi dell'europio; per quelli più pesanti è il decadimento beta con conversione in isotopi del terbio.

Nel 2007 i produttori di mezzi di contrasto a base di gadolinio hanno reso noto al personale sanitario importanti revisioni riguardanti la prescrizione di questi prodotti apportate dalla Food and Drug Administration per l'impiego nella risonanza magnetica per immagini (MRI): segnalazioni successiva al loro utilizzo hanno mostrato che l'uso di questi agenti aumenta il rischio di sviluppare una grave condizione medica, chiamata fibrosi nefrogenica sistemica nei pazienti con insufficienza renale grave, acuta o cronica (velocità di filtrazione glomerulare < 30 ml/min/1,73 m²) e nei pazienti con disfunzione renale dovuta a sindrome epato-renale nel periodo perioperatorio del trapianto di fegato.

La fibrosi nefrogenica sistemica conduce ad eccessiva formazione di tessuto connettivo a livello della cute e degli organi interni, è una malattia progressiva e può essere debilitante, con esito talora fatale.

Ad oggi l'FDA, avendo ricevuto la segnalazione di più di 250 casi di fibrosi nefrogenica sistemica dopo somministrazione dei mezzi di contrasto basati sul gadolinio, ha pertanto deciso di inserire nella scheda tecnica di questi prodotti un esplicito avvertimento in tal senso.

Anche l'Agenzia italiana del farmaco, al pari della Food and Drug Administration statunitense, segnala fibrosi nefrogenica dopo somministrazione di gadolinio.

La possibilità di reazioni avverse, acute e non acute, su base tossica diretta (locale, come per stravaso extravascolare, o su particolari organi e apparati, per esempio la nefrotossicità) o idiosincrasica, se pur non frequente è nota da tempo per i mezzi di contrasto iodati usati per le radiografie (TC compresa). Per quanto riguarda gli stravasi va sottolineato che nella maggioranza dei casi sono di lieve entità e temporanei, con eritema e dolore localizzato, in relazione allo stravaso di piccoli volumi; tuttavia in alcuni rari casi lo stravaso di grossi volumi può provocare lesioni gravi come ulcerazioni.

I mezzi di contrasto iodati (che assorbono i raggi X) sono classificati sulla base delle loro caratteristiche fisiche e chimiche. Nella pratica clinica si differenziano sulla base della loro viscosità e osmolarità. Reazioni avverse gravi acute (pochi minuti dopo l’introduzione del contrasto), se pur rare, sono sempre possibili. Benché queste reazioni possano avere le stesse manifestazioni delle reazioni anafilattiche, esse non sono vere reazioni di ipersensibilità IgE mediate. Infatti una sensibilizzazione precedente non è necessaria, né la reazione si ripete sempre nello stesso paziente. Oggi sono preferiti per la minor tossicità composti iodati non ionici a bassa osmolarità, monomeri quali ioexolo , ioversolo, iopromide, iopamidolo o dimeri come iodixanolo.
Per esami di risonanza vengono usati mezzi di contrasto paramagnetici (contenenti gadolinio o manganese) e superparamagnetici (contenenti composti di ferro). I più usati sono quelli contenenti gadolinio. Anche per i mezzi di contrasto paramagnetici contenenti gadolinio è stata segnalata la possibilità di nefrotossicità acuta  come per i composti iodati per radiografia. Inoltre, particolarmente in pazienti nefropatici, dopo esposizione a gadolinio è stata descritta la possibilità di sviluppare una fibrosi sistemica nefrogenica, con alterazioni simil sclerodermiche della pelle, dei tessuti connettivi e di altri organi, talora a evoluzione fatale. Per quest’ultima reazione avversa è stato ipotizzato un rilascio di ioni liberi tossici di gadolinio.

Dal punto di vista della pratica clinica è fondamentale, accingendosi a prescrivere un esame con contrasto per via endovenosa, avere informazioni su eventuali pregresse reazioni avverse (lievi o gravi, acute o subacute, cutanee o generali) avvenute in precedenti esami dopo introduzione di mezzo di contrasto. Non vanno trascurate condizioni patologiche in atto o antecedenti (per esempio asma bronchiale, allergie alimentari o a farmaci) che possono predisporre a reazioni indesiderate. Va sempre raccolta, quando possibile, un’accurata anamnesi farmacologica. Ugualmente importanti sono un attento esame clinico del paziente e la valutazione di alcuni parametri di laboratorio, quali funzionalità renale, epatica, tiroidea, emocoagulativa ed elettroforesi proteica del siero.
Ovviamente la prima considerazione da fare, anche in relazione ai possibili rischi, è la reale utilità dell’esame. Particolari condizioni predisponenti, come una preesistente insufficienza renale, la disidratazione, terapie diuretiche, l’uso di farmaci che possono causare tossicità renale (per esempio FANS o ACE inibitori che vanno sospesi prima dell’esame) devono essere attentamente valutate, soprattutto per la prevenzione (o l’aggravamento) della nefrotossicità. A questo scopo è obbligatorio considerare in ogni paziente che deve essere sottoposto a esame con contrasto per via endovenosa non solo la creatininemia, ma anche il GFR (filtrato glomerulare), che molti laboratori forniscono insieme. Sopra i 60 ml/min il contrasto può essere eseguito con sicurezza, sotto i 30 ml/min è controindicato, così come il contrasto paramagnetico per la risonanza.
Occorre prestare particolare cautela anche per le interazioni con altri farmaci (per esempio metformina da sospendere prima o al momento dell’esame e fino a 48 ore dopo).

Non esistono trattamenti farmacologici certi per la prevenzione della nefropatia da contrasto, sebbene siano state proposte diverse molecole tra cui bicarbonato di sodio, acetilcisteina, calcioantagonisti, teofillina, antagonisti del recettore dell’endotelina. Più importante sembra una accurata idratazione prima dell’esame e la sospensione di farmaci potenzialmente in grado di peggiorare la funzionalità renale.
Reazioni idiosincrasiche acute gravi (per esempio shock, sincope, aritmie cardiache ventricolari, broncospasmo, orticaria) vanno riconosciute e trattate tempestivamente, ricordando che anche il pre trattamento con antistaminici e corticosteroidi nei casi a rischio non fornisce un sicura protezione. In ogni caso è opportuno concordare con il medico interventista, generalmente il radiologo, che effettuerà l’esame la corretta indicazione all’esame contrastografico sulla base delle informazioni cliniche.


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