giovedì 1 ottobre 2015

IL CAMMELLO

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Il cammello è un mammifero alto circa 2 metri, diffuso in Asia centrale, è utilizzato per la carne, il grasso, il latte, la lana e come animale da trasporto.

Quasi tutti i cammelli sono oggi animali domestici, ma in Mongolia, e in particolare in Cina e nel deserto del Gobi, vi sono alcune centinaia di esemplari selvatici, per questo è stato inserito nella lista rossa IUCN delle specie minacciate.

Fra gli Artiodattili è una delle specie più grandi. Può raggiungere i 3-4 metri di lunghezza, l'altezza da terra alla punta della gobba raggiunge anche i 2-3 metri e pesa in media 400–500 kg.
La differenza principale rispetto al suo parente più prossimo, il dromedario (Camelus dromedarius), è la presenza sul suo dorso di due gobbe egualmente sviluppate: il dromedario sembra infatti averne solo una, per estrema riduzione di quella anteriore. Tali appendici sono depositi di grasso, utile come riserva nei periodi di scarsità di cibo; esse, rispetto al dromedario, presentano inoltre la caratteristica di afflosciarsi lateralmente quando sono vuote, invece di ridursi semplicemente di volume. Rispetto al dromedario il cammello ha un pelame più folto, che diventa particolarmente lungo nella zona inferiore del collo.
Il cammello vive nelle zone desertiche e steppose dell'Asia centrale, tra l'Anatolia e la Mongolia. Il nome scientifico ("Bactrianus") gli fu dato da Carl von Linné nel 1758 perché lo riteneva originaria della Battriana, una regione fra l'Afghanistan e l'Uzbekistan.

Introdotto in Italia fin dall'epoca romana come animale da soma, da guerra e da circo, fu utilizzato saltuariamente fino al Settecento. Attualmente allevato solo all'interno di parchi faunistici e circhi.

Nelle steppe al confine tra la Cina e la Mongolia sopravvive un piccolo nucleo di cammelli selvatici, la cui consistenza è stata stimata nel 2009 in circa 900 individui.

Questi cammelli, seppure superficialmente abbastanza simili a quelli domestici, presentano sostanziali differenze rispetto a questi ultimi, ragion per cui la maggior parte della comunità scientifica tende oggi a considerarli appartenenti a una specie affine, ma separata, indicata con il nome di Camelus ferus.

Mentre infatti il cammello domestico e il dromedario presentano lo stesso numero di cromosomi e possono incrociarsi dando vita a prole feconda all'infinito, i cammelli selvatici hanno tre cromosomi in più, e i loro ibridi con quelli domestici risultano sterili, segno che il cammello domestico e il dromedario si sono evoluti a partire da una specie affine ma distinta, oggi scomparsa in natura.

Per quel che riguarda l'aspetto, inoltre, questi cammelli sono più piccoli, hanno una struttura scheletrica più leggera, pelo più corto e più chiaro, e gobbe di dimensioni sensibilmente inferiori, di forma conica, con estremità appuntita anziché arrotondata.

I cammelli vivono di solito in branchi di una ventina di esemplari con a capo un maschio.
Animale forte e resistente, è in grado di trasportare carichi fino a 450 kg. Per diversi giorni, circa 20, sopporta bene la mancanza di cibo e d'acqua, in quanto, quando il grasso delle gobbe viene demolito a scopo energetico, tra i cataboliti finali vi sono considerevoli quantità di acqua "metabolica". Può camminare fino a circa 24 ore consecutive, a una velocità massima di 4 km orari percorrendo fino a circa 50 km al giorno. Come riserva idrica può bere anche 150 litri d'acqua. Sopporta escursioni termiche da -20 °C a oltre 50 °C. La gestazione dei cammelli dura 13 mesi e partoriscono di solito un solo piccolo.
La specie selvatica è considerata in pericolo critico in base ai criteri della IUCN.

La Zoological Society of London, in base a criteri di unicità evolutiva e di esiguità della popolazione, considera Camelus bactrianus una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione.

Il dromedario, chiamato anche cammello arabo o cammello indiano, è un artiodattilo della famiglia dei Camelidi, diffuso in Asia, Africa settentrionale e, per intervento umano, anche in Australia (nel Medioevo anche nella Sicilia musulmana e in al-Andalus). Dal 1622 al 1944 il dromedario è stato massicciamente presente anche a Pisa, nella Tenuta di San Rossore, dove è stato nuovamente introdotto nel 2014.

In base ai resti fossili ritrovati, l'animale popolava alcuni millenni or sono anche l'America settentrionale ma è assai probabile che il dromedario sia stato addomesticato nella Penisola Araba tra il V e il IV millennio a.C.

Qui esso divenne cavalcatura, animale da soma, produttore di latte, carne e pelle: prodotti essenziali ai beduini che conducevano una vita nomade nella steppa e nei deserti rocciosi o sabbiosi peninsulari, tanto che gli studiosi credono che senza tale addomesticamento la vita umana in quegli ambienti sarebbe stata decisamente più limitata e difficoltosa.

Secondo un noto adagio l'uomo sarebbe così diventato il "parassita" del suo dromedario che, con altrettanto nota espressione araba, fu definito safinat al-barr, ovvero "nave del deserto", per la sua capacità di percorrere lunghe distanze su terreni abbastanza accidentati e in carenza di alimenti solidi e liquidi. Il dromedario non è estinto in natura, pur vivendo anche in cattività o al di fuori del suo areale originale.



La caratteristica più evidente del dromedario è la grande gobba sul dorso, differente da quelle del cammello sia per la forma più arrotondata, sia per il fatto che quando il dromedario consuma il grasso la gobba si riduce di volume, invece di afflosciarsi lateralmente come un sacco vuoto. Nonostante appaia il contrario, anche il dromedario ha in realtà due gobbe; il loro sviluppo è tuttavia estremamente asimmetrico, dato che l'anteriore è praticamente atrofizzata e la posteriore molto accentuata.

A livello scheletrico, numerose e cospicue differenze lo distinguono dal cammello. Le vertebre cervicali sono più sottili, inoltre le vertebre toraciche hanno processi spinosi che hanno più o meno la stessa lunghezza di quelli delle vertebre dorsali, mentre nel cammello i processi spinosi delle vertebre toraciche - che debbono sostenere la voluminosa gobba anteriore, appena accennata nel dromedario - sono molto più lunghi. Le costole del dromedario sono più strette e meno incurvate di quelle del cammello, inoltre il segmento terminale dello sterno termina in forma semicircolare e non con due lobi, come accade invece nel cammello.

Il manto del dromedario può assumere le più diverse sfumature del beige, giungendo a tonalità assai scure, fin quasi al nero, o, al contrario, assai chiare, fino al bianco. Le zampe sono formate da due dita rivestite da uno spesso strato calloso, che gli permette di camminare sulla sabbia senza sprofondarvi. Il muso è lungo e le narici sono molto strette, per essere riparate dalla sabbia quando viene sollevata dal vento.

Rinomate sono le femmine, anche per la loro capacità lattifera e per il carattere meno irrequieto. Quanto al lessico, il vocabolario arabo contempla circa 160 sinonimi per identificare i dromedari - dal generico termine jamal al collettivo ibil - in funzione del sesso, dell'età o del colore del manto: cifra ancor più alta pertanto di quella assai consistente riservata al cavallo, altro animale assai amato dalla cultura araba. L'arco di vita del dromedario giunge fino ai 40-50 anni.

Il dromedario è diffuso allo stato domestico in tutta l'Africa del nord, nella Penisola arabica, in India e in gran parte dell'Asia minore, luoghi dove trova le caratteristiche climatiche migliori per la sopravvivenza della sua specie.

Introdotto nell'interno dell'Australia nel 1800 per le sue eccezionali capacità di trasporto in climi aridi, con lo sviluppo sempre più massiccio dei trasporti terrestri via camion ha perduto la sua importanza economica. Non più utile, esso è stato abbandonato a sé stesso e, sfuggito al controllo dell'uomo, è rinselvatichito e si è trasformato in una dannosa specie invasiva, con una popolazione totale di almeno 500.000 capi. Poiché è estinto allo stato selvatico nei luoghi di origine (Sahara e penisola Arabica), i dromedari dell'Australia sono le uniche popolazioni dove si possono ancora fare osservazioni sul comportamento allo stato selvaggio dei dromedari.

Il dromedario, purché il terreno non sia troppo accidentato, è in grado di percorrere fino a 150 km in 15-20 ore, a una velocità che può oscillare fra gli 8 e i 20 km orari, sopportando un carico che può arrivare a 150–200 kg.

La sua capacità più conosciuta è quella di resistere alla sete fino a circa 8 giorni grazie alla particolare struttura del suo organismo. Esso è infatti in grado di evitare la dispersione dell'ettolitro circa d'acqua – che riesce a bere in appena dieci minuti – grazie all'addensamento del plasma sanguigno che riesce a dilatare i globuli rossi fino a 250 volte i suoi valori consueti.

La traspirazione, già di per sé assai limitata per via della particolare struttura dell'epidermide, può essere ancor più rallentata dall'ingestione di vegetali spontanei della steppa, talmente ricchi di sali minerali da avvelenare qualsiasi essere umano. Essi fanno infatti aumentare la pressione osmotica delle cellule dell'animale, impedendo l'evaporazione dei liquidi organici e consentendo quindi una sopravvivenza supplementare di 4-5 giorni del dromedario.

Il suo organismo è altrettanto in grado di sopportare un aumento della propria temperatura corporea fino a 6-7 °C, senza che questo comporti dispersione di liquidi, mentre un'altra fondamentale caratteristica è quella di limitare al massimo l'espulsione dei propri liquidi organici malgrado la forte carica di tossine, grazie al fatto che l'urea prodotta dal fegato non viene filtrata dai reni per la successiva espulsione, tornando invece per via sanguigna allo stomaco per entrare nuovamente in circolo. Se anche questo non bastasse si deve ricordare infine che il dromedario riesce a metabolizzare il grasso del proprio organismo (in particolare della gobba) e a produrre idrogeno che, con l'ossigeno dell'aria, riesce a creare acqua in ragione di 1 litro di liquido per 1 chilo di lipidi.

Dotato di udito e olfatto oltremodo fini (i nomadi ne lodano anche la vista), il dromedario può avvertire la presenza di acque sotterranee tanto da rendere preziosi servigi in ambienti aridi.

Nel Sahara esistono tre razze fondamentali di dromedario, ben distinte per dimensioni, caratteristiche e luogo d'origine. La razza maroki, proveniente dall'Africa mediterranea, è forte e robusta, ma di alto fabbisogno nutritivo e pertanto poco economica e poco allevata. La razza hoggar, originaria dell'omonima catena montuosa nell'Algeria meridionale, è una razza di montagna, leggera, resistente e adattata a terreni sassosi e accidentati; ha però lo svantaggio di essere molto lenta. La terza razza, la sudanese, è la più grande e la più forte, ma presenta l'inconveniente della scarsa resistenza alla siccità e alla fame. La maggioranza dei dromedari allevati in Africa deriva da incroci tra le razze Hoggar e Sudanese.

Di esso si utilizza pressoché tutto: carne (di alta digeribilità), grasso (particolarmente apprezzato quello della gobba), latte (da 2 a 14 litri al giorno), pelle (assai elastica e morbida), pelo (lavorato per produrre pregiati tessuti) e finanche sterco (mescolato con paglia e disseccato al sole per essere impiegato come combustibile nelle fredde notti della steppa).

In tempi relativamente recenti il dromedario è impiegato anche come animale da corsa. Rinomata la razza sud-arabica della regione del Mahra, che dà origine al dromedario da corsa chiamato appunto mehari (arabo mahri, "del Mahra"), e ai corpi cammellati militari definiti meharisti. In quanto animali da corsa, nei paesi del Golfo Persico sono organizzati percorsi rettilinei (il dromedario non ama, in corsa, effettuare rapide evoluzioni o curvare) della lunghezza fino a 28 chilometri per gare che richiamano un gran pubblico di appassionati.

La riottosità dell'animale alle evoluzioni non lo rende in genere ideale (al contrario di quanto si crede) per l'impiego bellico e ad esso si è preferito, quando possibile, il cavallo. Nelle età antiche della civiltà araba i guerrieri giungevano pertanto sui luoghi della battaglia cavalcando il dromedario con il cavallo a rimorchio, per montare questo al momento del combattimento.



Le donne nell'antichità erano considerate l'equivalente generale di tutte le merci. Infatti venivano scambiate con due cammelli o con quattro giumente o con una mandria di capre. Ebbene le donne erano merce, ma erano anche senza nome. La questione donna nel testo occidentale ha quindi posto in rilievo sia lo scambio, il commercio, che la questione della trasmissione del nome. Paradossalmente la donna non aveva nome eppure era supporto del nome: era, cioè, l'unico modo per tramandare il nome di uno degli affiliati all'orda, alla tribù o al clan. E fu così  che il corpo femminile incominciò a circolare in modo diverso, in modo equivoco, e la donna da merce di scambio diventò donna di denari, diventò la prostituta sacra o profana. Una donna che, in assenza di parola, di dispositivo intellettuale, si concedeva per la vita o per un solo momento.


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