lunedì 12 ottobre 2015

IL PARKOUR


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Saltare dai tetti o dai balconi, senza alcuna protezione: è l'ultima moda dei giovani metropolitani. Si diffonde soprattutto grazie a internet. Con qualche serio rischio.

Uno sguardo verso il basso, una breve rincorsa e poi giù.
Un salto nel vuoto e poi di nuovo di corsa alla ricerca di altri ostacoli.
Non sono i fan di Spider-Man, ma gli adepti del parkour, sport estremo nato 15 anni fa alla periferia di Parigi.
Da un po' di tempo anche in Italia si possono incontrare i tracer, così vengono definiti i ragazzi che praticano la disciplina.
Il parkour, neologismo del termine francese parcour (percorso), «nasce come arte dello spostamento da un punto all'altro della città superando gli ostacoli con salti e arrampicate a mani nude» precisa puntigioso un atleta di Roma. «Per praticare sono sufficienti un buon paio di scarpe da ginnastica, polsini e pantaloni larghi per agevolare i movimenti». Lui ha scoperto il nuovo sport su internet.
Poi è sufficiente il passaparola per creare un piccolo gruppo con cui allenarsi: «Si va in strada, controlliamo le zone e poi il giorno dopo torniamo per saltare.
A volte la gente si ferma a guardarci e qualcuno chiede spiegazioni». Ma può anche capitare che i passanti  fraintendano le evoluzioni dei tracer: «Le prime volte che uscivamo ad allenarci abbiamo avuto qualche problema con i metronotte, pensavano fossimo ladri. Ora abbiamo fatto amicizia».
Un ragazzo di Prato, ha iniziato a praticare un anno fa con altri due ragazzi. Hanno scoperto il parkour all'università: «Abbiamo visto un video che mostrava alcuni tracer francesi in azione, ci siamo appassionati e abbiamo provato a mettere in pratica le evoluzioni».
Non è uno sport pericoloso? Certo non è per tutti, ci vuole molto allenamento, altrimenti, confermano i già esperti, è molto facile farsi male.
Nella maggior parte dei casi chi pratica il parkour proviene da altre discipline sportive come lo skate o le arti marziali.

In Francia e in Gran Bretagna il parkour esiste da anni.
Il pioniere britannico, Paul Corkery, leader degli Urban free flow, vuole creare una federazione internazionale per far sì che gli aspiranti tracer siano preparati da istruttori qualificati. Corkery ha scoperto lo sport nel 2002, oggi a Londra esiste una palestra dove i giovani possono allenarsi prima di arrampicarsi sui palazzi, sotto la supervisione di Len Arnold, l'allenatore dei ginnasti olimpici britannici.
«Quando il tempo non permette di stare all'aperto, andiamo ad allenarci in palestra e proviamo i salti» spiega Luca. «Ma l'allenamento non basta, la voglia di strafare può causare gravi infortuni, anche ai più esperti». Il rischio che il nuovo fenomeno possa trasformarsi in moda pericolosa è alto. I tracer italiani avvisano: «Il parkour non è nato per fare sensazionalismo e spettacolo.




Si chiama parkour, significa percorso di guerra, è nato all' inizio degli anni ' 80 in un paesea sud di Parigi oggi banlieu annessa alla metropoli. È Lisses, trenta chilometri dalla Tour Eiffel, dove il gruppo Yamakasi (David Bell il fondatore, Sebastien Foucan, un nero, l' ideologo più una mezza dozzina di amici) ha reso urbana una pratica testata nella guerra del Vietnam dal padre di David, Raymond,e da lui riportata in Europa a fine conflitto, nelle foreste del Nord della Francia. A Lisses, dove il monumento la Dama del lago è diventato mecca per i militanti del parkour, il gruppo iniziò a saltare su tognolini in calcestruzzo. Ci sono immagini in bianco e nero: saltavano a petto nudo, in estate. Con una consapevolezza limitata venne fondata così una disciplina che in quella realtà serviva per sfuggire la noia e i poliziotti. «In un mondo in cui ci si sente ininfluenti», racconta ora Federico Mazzoleni, istruttore di 28 anni, da otto praticante attivo nella città di Bergamo, «abbiamo scoperto che attraverso il parkour si può diventare fautori del proprio destino». Allenarsi è la chiave per vincere le sfide che si inquadrano, «allenare fisico e mente insieme». Il parkour può regalare un' altra vita, e pare vero se si guarda la parabola dei fondatori di Lisses che dai tognolini sono passati all' evangelizzazione nel mondo. Il parkour, che è superamento di ogni ostacolo, qualsiasi genere di ostacolo, adattando il proprio corpo all' ambiente urbano circostante (palazzi, ringhiere, scale, vuoti, panchine, tubi Innocenti, lampioni, tetti di edifici popolari), è già letteratura e moda. Decine gli spot commerciali ispirati, centinaia i video da Mtv (misconosciuti, quasi tutti, dai fondatori, che mantengono un potere di sanzione spirituale). Film come Jump London (2005) hanno separato destini: mentre Sebastien Foucan saltava sui tetti di Londra trasformando un' invenzione francese nel Free running necessario a un più vasto mercato anglosassone, l' amico David Belle definiva il documentario «la prostituzione della nostra arte». Foucan, ideologo catturato dai tentacoli della modernità, l' anno dopo avrebbe portato i suoi inimitabili zompi nel James Bond di "Casino Royale", a fianco di Daniel Craig. «Vigiliamo sulla distorsione commerciale di una disciplina bellissima», dice ancora l' istruttore Mazzoleni, «i veri tracciatori non puntano al gesto, allo stupefacente, al trick». I tornei organizzati da Red Bull e Barcley' s hanno avuto seguito di pubblico, nessun sostegno, però, della comunità praticante. Daniel Richard Edwardes, atleta inglese arruolato in Italia per diffondere il metodo Adapt (la formazione degli istruttori), spiega: «Nel parkour non c' è competizione, cerchiamo solo di trovare il miglior modo in cui esprimerci individualmente, scoprire qual è la nostra migliore versione. È una disciplina completa, ti rende forte in ogni funzione del corpo e per tutta la vita. Non puntiamo alle Olimpiadi, il parkour è lo sport delle origini». La cultura del parkour - in palestra e nei ghetti metropolitani - si sta diffondendo in Italia. Il 2012 è stata stagione fruttuosa. Milano e Bergamo, Torino e Firenze, Bari e Trani. L' Uisp conta mille tesserati. Sport e recupero ambientale. «C' è un' area a Milano, alla fermata metro di Romolo, che senza di noi sarebbe terra di escrementi e siringhe. Il parkour irrora di vita le nostre brutte città».






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