giovedì 25 agosto 2016

IL VELO DELLE SUORE

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La prima traccia dell'uso femminile del velo è attestata in un documento legale assiro del XIII secolo a.C. all'interno del quale l'uso del velo è permesso esclusivamente a donne nobili ed è proibito a prostitute e donne comuni. Anche documenti antichi greci e testimonianze scultoree mostrano come il velo sia considerato un modo per proteggere le donne e rendere visibile il loro status sociale.

L’usanza di coprirsi il capo con un velo è antichissima, e documentata da oltre tre millenni in area mesopotamica prima, poi indo-iranica. Fin dall’inizio l’atto di velarsi il capo ha assunto una pluralità di significati alquanto diversificati, dall’attribuzione di un’eccellenza a quella di simbolo dello stigma sociale, sia in ambito sacro che in ambito profano.

Anche nel mondo classico la sua presenza è legata sia al mondo della religione che alla vita quotidiana. Divinità o personaggi mitologici sono quasi sempre raffigurati con un velo che ricopre testa e spalle. A Roma il flamen dialis, il sacerdote incaricato del culto di Giove, aveva l’obbligo di indossare sempre un copricapo, l’apex, salvo quando stava nella sua abitazione. Il cristianesimo riprende l’uso del velo riservandolo alle donne.

Il Nuovo Testamento (1Cor 1,3-17) contiene infatti questa prescrizione di san Paolo: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. 

Il cristianesimo, fino a non molto tempo fa, ha sempre raffigurato le donne (la Madonna, le sante) con il capo velato; le stesse suore indossano il velo.

L’usanza si è ampiamente tramandata anche nella cultura popolare, tanto che in alcuni comuni del nostro paese l’usanza di portare il velo da parte della donne anziane è tuttora diffusa.

L’usanza di riservare il velo alle donne è diffusa anche nell’islam: all’epoca della predicazione di Maometto non sembra che le donne della penisola arabica apparissero coperte in pubblico: l’obbligo è stato probabilmente mutuato dai ‘vicini’ bizantini.

Anche il Corano contiene un riferimento al velo (Sura 24,31): “E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo (hijab) fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne”. E anche gli Hadith, i detti che la tradizione attribuisce a Maometto, contengono alcuni ambigui riferimenti all’obbligatorietà dell’uso del velo: pertanto, nel mondo islamico, essi vengono utilizzati sia da sostenitori, sia da detrattori dello svelamento (totale o parziale) del viso della donna. Il grande imam dell’università al-Azhar del Cairo, Mohammed Said Tantawi, nel 2009 ha emanato una fatwa con cui ha dichiarato il niqab e il burqa incompatibili con l’islam: a suo dire non sarebbero simboli religiosi, ma soltanto il retaggio di tradizioni locali.

Anche nell’ebraismo vi è obbligo di coprirsi il capo all’interno della sinagoga.



Nelle società contemporanee l’obbligo di coprirsi la testa non è più considerato accettabile, in quanto contrasta con diritti fondamentali, quali la parità tra uomo e donna, che la maggioranza delle religioni non accetta, in quanto attribuiscono al genere femminile un ruolo subalterno (si pensi alle limitazioni nell’accesso al sacerdozio, per esempio). Proprio per questo motivo, però, è difficile comprendere quando una donna decide volontariamente di coprirsi il capo, e quando invece tale abbigliamento le viene imposto dal condizionamento familiare e sociale: in entrambi i casi si rischia di mettere a repentaglio un fondamento della democrazia, la libertà di coscienza. Il dibattito sulla questione all’interno del mondo laico è dunque intenso: e ancor di più lo è sui mezzi di informazione, dove il tema del velo tende a diventare sempre più ‘caldo’ con l’intensificarsi dei fenomeni migratori, il proliferare dei casi di cronaca e l’uso che ne viene fatto all’interno del confronto politico.

Fino al 1175, le donne anglosassoni e anglo-normanne, con l'eccezione delle giovani nubili, indossavano veli che coprivano interamente i capelli e spesso anche collo e mento. Solo a partire dai Tudor (1485), il velo diventa meno comune e l'uso di cappucci si fa più frequente.

Oggigiorno, nel mondo occidentale l'uso del velo è limitato quasi solamente a suore e monache cattoliche, tanto che in italiano l'espressione prendere il velo significa entrare in un ordine o congregazione femminile.

In altri contesti, comunque, sono gli uomini a velarsi: in Mauritania, per esempio, è diffusa l'abitudine maschile di coprirsi il capo con la tagelmust.

La monaca, consacrata nella verginità per essere esclusivamente sposa di Cristo, deve sottrarsi allo sguardo di altri possibili pretendenti e amanti. Essa vive quindi ritirata dal mondo, nel chiostro (claustrum, da cui derivano i termini claustrale, clausura), per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per la purezza e l’intensità dell’amore.

Il velo è una specie di clausura nella clausura, poiché anche all’interno del monastero la monaca ha uno stile di vita e un modo di relazionarsi con le altre claustrali molto riservato. Questa consuetudine non ha però nulla di opprimente, anzi il velo è molto caro alla monaca e da lei devotamente portato; lo bacia ogni volta che lo mette e che lo depone. Esso, distogliendola dal divagare con gli occhi, la aiuta a tenere lo sguardo del cuore più direttamente rivolto a Dio, nella contemplazione del suo volto sempre desiderato e cercato. Il velo è inoltre anche il segno del pudore che la nasconde, in certo senso, al suo stesso sposo.

Anticamente il velo era in uso anche di colore rosso, a significare che la vergine era stata riscattata dal sangue dello sposo, Cristo. Sulla base di questa testimonianza, nota l’autrice del volume, la monaca vive quindi in modo sublime il mistero nuziale e materno sul piano soprannaturale; il forte simbolismo del velo indica proprio la generosità e l’intensità con cui la claustrale fa dono di sé a Dio per tutti, rimanendo nascosta, per essere del tutto gratuita.

Il velo delle consacrate può essere acconciato in modo diverso e mutare nel colore e nel tessuto, indicando rispettivamente l’ordine di appartenenza, la funzione svolta dalla religiosa nella comunità o il momento della vita quotidiana.
Il colore dominante è stato storicamente il nero. 

Il velo bianco lo indossano le Serve di Maria, con tonaca (con cintura di cuoio), scapolare e cappa neri. Le Cistercensi all’inizio si vestivano di nero, passando poi a una tonaca di lana greggia naturale, scapolare nero, pantofole di panno dette socci, calze solate con cuoio o zoccoli: tuttavia il loro capitolo del 1481 concede pepli e casacche, purché non preziosi né plissettati. Ma niente veli di seta.

In ogni ordine religioso, esiste la consuetudine di adottare un abito per il coro e uno più semplice per l’uso domestico. Nell’abbigliamento casalingo il velo può essere tolto, restando i capelli semicoperti da una benda e dal soggolo. E anche nelle proprie camere le religiose sono dispensate dall’indossarlo. Il capo coperto è invece prescritto per la recita del breviario che avviene nel coro della chiesa interna, giacché si tratta di un atto solenne che esprime la riverenza dovuta al rapporto con Dio.

L’uso del velo in abito corale prevede un uguale sistema di copertura del capo, ma assai diverso può essere lo spessore della velatura. A fronte del sottilissimo tessuto nero delle benedettine di San Lorenzo, possiamo vedere lo scuro telo delle agostiniane di Santa Caterina di Venezia, documentato dall’immagine che il francescano Vincenzo Coronelli pubblicò nel suo Catalogo degli ordini religiosi in tre volumi, tra il 1707 e il 1715.

Storicamente nel chiostro tipologia e colore del velo, oltre che dell’abito, rivestivano un ruolo di riconoscimento: indicavano lo status delle monache nella struttura claustrale, distinguendo tra loro professe, con velo nero, e novizie, solitamente con velo bianco. Il velo è dunque anche indice di differenza di grado gerarchico.



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