mercoledì 18 febbraio 2015

LA SCUOLA NELLA STORIA




Una scuola è un'istituzione destinata all'educazione e all'istruzione di studenti e allievi sotto la guida di varie tipologie di figure professionali appartenenti al settore dei lavoratori della conoscenza.

Il termine deriva dalla parola latina schola, derivata a sua volta dal greco antico  (scholèion). Il termine greco significava inizialmente "tempo libero", per poi evolversi: da "tempo libero" è passato a descrivere il "luogo in cui veniva speso il tempo libero", cioè il luogo in cui si tenevano discussioni filosofiche o scientifiche durante il tempo libero, per poi descrivere il "luogo di lettura", fino a descrivere il luogo d'istruzione per eccellenza.
La scuola egiziana fu fondata verso il 2000 a.C. con lo scopo di formare giovani esperti da destinare alle funzioni amministrative dello Stato. Era una scuola rigida e poco permissiva, spesso venivano inflitte punizioni corporali. Le lezioni si svolgevano di solito all'aperto, dove gli alunni si accovacciavano su stuoie intrecciate, muniti di pennelli o cannucce e di cocci di terracotta sui quali scrivevano. Allo studio delle lettere erano ritenuti funzionali l'esercizio ripetuto della ricopiatura e della dettatura. Il giovane che voleva avere accesso ai più alti gradi dell'amministrazione doveva conoscere almeno una lingua straniera, così come chi voleva intraprendere con successo la carriera diplomatica doveva conoscere il babilonese. Importante era anche la preparazione fisica, curata mediante esercizi ginnici.

I Sumeri fin dal IV millennio a.C. avevano scuole per gli scribi, simili a quelle egizie, tanto che sono stati rinvenuti nel corso degli scavi archeologici in Iraq sillabari e testi scolastici. Dopo l'assorbimento di questa popolazione da parte dei Babilonesi, il sistema scolastico venne mantenuto fondamentalmente tale e quale.

I programmi consistevano in nozioni di religione, grammatica, aritmetica, storia, geografia e contabilità: insomma l'istruzione era soprattutto tecnica e pratica.

La prima istruzione presso i Persiani era data dalla famiglia stessa, i bambini fino all'età di 5 anni non erano ammessi alla presenza dei padri, fino ad allora vivevano con le donne; in seguito il ragazzo, all'età di 7 anni, veniva affidato dallo Stato all'educazione di "uomini gravi e irreprensibili" che fino ai 15 anni gli impartivano un'educazione soprattutto di carattere fisico (corsa, equitazione, tiro con l'arco, tiro del giavellotto, capacità di adattamento), ma si insegnava anche la scrittura, la matematica, l'astronomia e si leggeva la Zend-Avesta (ovvero l'edizione dell'Avesta, libro sacro zoroastriano, commentata).

All'età di 14 anni i giovani persiani venivano affidati a 4 illustri insegnanti Persiani, chiamati rispettivamente il "saggio", il "più giusto", il "più temperato" e il "coraggioso", che li istruivano rispettivamente al: culto degli dei, al saper governare, alla temperanza, e al coraggio. Alcuni insegnanti non erano Achemenidi, infatti si impartivano lezioni di Aramaico (lingua a quel tempo molto diffusa in oriente) da scribi stranieri della cancelleria dello Stato.

Dai 15 ai 25 anni l'educazione era invece prettamente militare, e al termine si riceveva la cintura della virilità e si doveva giurare fedeltà all'Impero e a Zoroastro. All'età di 50 anni infine, i migliori tra i soldati e gli uomini persiani potevano diventare educatori dei giovani. La maggior parte dei nobili e dei funzionari civili altolocati sapevano leggere e scrivere. Chiaramente, oltre a una guida etica, l'obiettivo dell'educazione persiana era quella di produrre soldati efficienti. Questa conclusione è confermata dall'iscrizione sulla tomba di Dario il Grande.

Fino al VI secolo a.C., cioè fino all'esilio babilonese, in Israele esistevano solo scuole profetiche, o scuole superiori di Sacra Scrittura: cui gli alunni, destinati al sacerdozio, vivevano in comunità studiando i testi sacri e la religione.

Solo con Esdra, nel V secolo a.C., vennero istituite le prime scuole pubbliche religiose, e in seguito le scuole elementari. La diffusione di queste scuole procedé lentamente in tutte le località d'Israele, finché nel 64 d.C. un decreto non obbligò tutte le città e i paesi a fornirsi di una propria scuola elementare, pena la scomunica. Nel frattempo vennero incentivate anche le scuole private.

Il sistema scolastico ebraico era molto preciso ed evoluto, e si articolava su tre livelli:

la Mikrah (7-10 anni): qui si imparavano i fondamenti dell'ebraico e del caldeo, con la lettura e la scrittura;
la Mishnah (10-15 anni): qui si studiavano le leggi della Bibbia, che prevedeva ogni forma di diritto anche civile e penale, oltre che religioso;
la Guemara (15-18 anni): qui si rivedeva il diritto e si studiavano nozioni di scienza naturale, anatomia, medicina, geometria, astronomia.
La scelta dei maestri era curata, ed i requisiti per gli educatori erano l'affabilità e la piacevolezza; addirittura era stabilito che se una classe aveva fino a 25 alunni bastava un maestro, ma se gli alunni erano fino a 40 servivano due maestri.

Fin dal 1700-1400 a.C. ci sono prove dell'esistenza di una scuola per funzionari in età minoica e micenea: difatti la grande quantità di documenti deve essere stata scritta da persone istruite in qualche posto. ma non ci sono prove sull'esistenza di una qualsiasi scuola.

La scuola presso i Greci, in età classica, assume vari ordinamenti in base alla polis che si analizza. I principali ordinamenti scolastici sono quelli di Sparta e di Atene. Nella Grecia antica la scuola era una comunità di uomini che sotto la guida di un maestro venivano educati e istruiti del sapere( e quindi nasce la filosofia) vivendo insieme e scambiandosi le idee.

A Sparta inizialmente il ragazzo era educato dalla famiglia; all'età di 7 anni lo Stato lo arruolava e lo poneva sotto la custodia di un educatore, che ne portava la responsabilità fino a quando il ragazzo compieva 12 anni. In questo periodo i ragazzi erano raggruppati in reparti comandati da ventenni esperti e sottodivisi in sotto-reparti, questi ultimi capeggiati da un ragazzo meritevole. L'educazione era soprattutto fisica e militare: pochissime erano le nozioni letterarie, quasi tutte composte da poesie omeriche o patriottiche.

Dai 12 ai 18 anni ogni ragazzo riceveva la peculiare educazione spartana. Nell'antica Sparta lo scopo dell'educazione giovanile era di creare i presupposti per un esercito forte, in grado di provvedere alla difesa dello Stato. Gli Spartani credevano nella disciplina, nell'abnegazione, nella semplicità e nella più totale fedeltà allo Stato. Ogni Spartano, maschio o femmina, era tenuto ad avere un corpo perfettamente integro. I neonati, infatti, venivano controllati dai soldati spartani, che, in presenza di malformazioni, li portavano sul monte Taigeto, dove li abbandonavano a morire e dove talvolta i bambini venivano raccolti da qualcuno dei Perieci o degli Iloti. I bambini che passavano questo esame erano assegnati a una fratellanza o sorellanza, di solito la stessa a cui appartenevano il padre o la madre.

I ragazzi spartani erano affidati alla scuola militare all'età di 6-7 anni, dove si addestravano, vivendo negli alloggi della loro fratellanza. La scuola militare insegnava ai giovani a sopravvivere e ad essere grandi soldati, attraverso forme di apprendimento dure e spesso dolorose; benché agli studenti venisse insegnato a leggere e a scrivere, la capacità di difendere lo Stato con le armi era reputata prevalente su tutte le altre. Per questo, si insegnava ai giovani a provvedere da soli alle proprie necessità primarie e, nonostante il furto venisse punito, ai giovani si forniva talvolta un po' meno del minimo indispensabile, per stimolarli ad arrangiarsi ed anche a rubare per meglio sopravvivere: l'importante era non farsi cogliere sul fatto. I maschi spartani all'età di 18-20 anni dovevano superare una prova difficile di capacità di adattamento, abilità militare e abilità di comando. Ogni maschio spartano che non superava questi esami diventava un perioikos (ai perieci era permesso di avere proprietà, praticare il commercio, ma non di esercitare diritti politici, in quanto non erano considerati cittadini). Chi superava la prova, diventava cittadino e soldato, con pieni diritti.

Ai cittadini di Sparta non era permesso maneggiare i soldi, compito dei perieci. I soldati spartani trascorrevano la maggior parte della loro vita con i loro compagni d'armi. Mangiavano, dormivano e continuavano ad addestrarsi nei loro alloggi di fratellanza. Anche se si sposavano, non vivevano con le loro mogli e famiglie. Vivevano negli alloggi. Il servizio militare terminava all'età di 60 anni, quando un soldato di Sparta poteva andare in pensione e vivere in casa con la famiglia.

A Sparta le ragazze andavano a scuola all'età di 6-7 anni, vivendo e addestrandosi negli alloggi della loro sorellanza. Non si sa se la loro scuola fosse crudele o dura come la scuola di ragazzi, ma anche alle ragazze venivano insegnate la lotta, la ginnastica e la capacità di combattere. Alcuni storici credono che le due scuole fossero molto simili e che si addestrassero le ragazze come i ragazzi. Gli Spartani credevano che donne forti avrebbero prodotto bambini forti. All'età di 18 anni, se una ragazza di Sparta superava le sue prove di adattamento, abilità e coraggio le veniva assegnato un marito e le era permesso di tornare a casa; se falliva perdeva i suoi diritti di cittadina e andava a far parte dei perieci. Ma mentre nelle altre città stato greche le donne erano costrette a vivere all'interno delle mura domestiche, senza ricevere alcuna specifica istruzione, a Sparta erano libere di muoversi e godevano di molta libertà.

In Atene antica, lo scopo dell'educazione dei giovani era produrre cittadini addestrati nelle arti, preparare cittadini per la pace e la guerra. Le ragazze non andavano a scuola, ma molte imparavano a leggere e scrivere a casa, nel chiuso del loro cortile. Fino all'età di 6 o 7 anni, i ragazzi imparavano a casa dalla madre o da uno schiavo maschio. Dall'età di 6 anni fino ai 14 andavano ad una scuola elementare di quartiere o ad una scuola privata. I libri erano molto costosi e rari, così i pochi disponibili per la scuola erano letti ad alta voce e gli allievi dovevano imparare tutto a memoria. I ragazzi usavano tavolette di scrittura e regoli. Nella scuola elementare, dovevano imparare due cose importanti, la letteratura - i versi di Omero, il poeta dell'Iliade e dell'Odissea - e la musica - suonare la lira, uno strumento musicale - poiché secondo gli ateniesi l'apprendimento di queste due materie donava ai giovani, oltre alla capacità di saper leggere e scrivere, anche un'ottima memoria, una buona padronanza di linguaggio e la possibilità di comprendere il tempo e lo spazio tramite la conoscenza della ritmica musicale, al fine di vivere meglio con loro stessi. Il loro insegnante che era sempre un uomo poteva scegliere liberamente le materie supplementari da insegnare. Spesso si sceglieva di insegnare teatro, retorica, politica, arte, lettura, scrittura, matematica, ed un altro strumento musicale molto popolare: il flauto. Dopo le elementari alcuni ragazzi seguivano corsi di studio superiori per quattro anni. Al compimento del 18º anno di età entravano nella scuola militare per altri due anni, a 20 anni conseguivano la laurea.

Accademia fu il termine con il quale fu conosciuta la scuola fondata da Platone ad Atene. La storia dell'Accademia comprende un arco di quasi nove secoli, dalla sua fondazione nel 387 a.C. alla sua chiusura, per opera di un editto dell'imperatore Giustiniano nel 529 d.C. Sebbene in questo periodo non sempre sia esistita una Accademia ad Atene - un lungo periodo di interruzione delle attività si ebbe nell'epoca immediatamente successiva alla conquista romana -, l'Accademia rappresentò per tutta l'età antica il simbolo della filosofia platonica e ancora Plutarco, in piena età imperiale, definiva sé stesso e i pensatori che come lui si rifacevano a Platone come "Accademici" (akademikoi).

Plutarco (filosofo e scrittore greco) afferma che la prima scuola pubblica a Roma fu aperta verso la metà del III secolo a.C. da Spurio Carvilio (console romano), ma altre testimonianze d'autore considerano la scuola un'istituzione molto anteriore. L'antico costume romano affidava l'istruzione alla madre nella prima infanzia e in seguito al padre, il quale doveva anche trasmettere ai figli i valori religiosi, sociali e civili. In genere sin dalla fine della repubblica, la famiglia affidava i figli a un pedagogo privato (di solito greco) o li mandava a scuola. L'antico romano smetteva gli studi quando sapeva leggere, scrivere e far di conto; tra i 12 ed i 15 anni le ragazze smettevano di studiare, per sposarsi.

Negli ultimi anni della repubblica e durante l'impero l'istruzione del giovane passava per tre gradi: l'insegnamento del litterator e successivamente quello del grammaticus costituivano il corso normale degli studi elementari e medi; seguiva la scuola del rhetor, che addestrava i giovani nell'eloquenza, ma non era molto frequentata.

Le lezioni elementari si facevano nella scuola del ludi magister, che per una modesta mercede insegnava a leggere e a scrivere. Il litterator insegnava a leggere e scrivere e, imparati questi rudimenti, si passava al perfezionamento di ciò che il ragazzo aveva imparato; a questo pensavano: il librarius che si occupava di perfezionare l'allievo nella lettura e nella scrittura, il calculator che insegnava le varie operazioni aritmetiche e il notarius che insegnava a stenografare.

Terminati gli studi elementari cominciava l'insegnamento medio, diretto dal grammaticus. Anche questo, secondo gli usi e le possibilità delle famiglie, veniva impartito in casa o in una scuola pubblica tenuta da un privato. Le prime scuole pubbliche di grammatica furono aperte verso la metà del II secolo a.C. Nella scuola del grammaticus si imparavano la lingua e la letteratura greca e latina, studiandole soprattutto sui poeti, e un corredo di nozioni fondamentali di storia, geografia, fisica e astronomia. Nello studio dei testi lo scolaro imparava a ben pronunciare, a leggerli con sentimento, a chiarirne il contenuto e ad intenderne la metrica. Degli autori greci il più letto era Omero; fra quelli latini durante la repubblica, Orazio, Andronico ed Ennio. Il maestro obbligava gli scolari ad impararne dei passi a memoria e a farne delle esposizioni orali e scritte.

Il rethor era professore di eloquenza, il terzo grado dell'istruzione (ragazzi sui 16 o 17 anni); le prime scuole di retorica furono aperte nel II secolo a.C. Gli studenti apprendevano le tecniche dell'arte del dire (dicendi praecepta): l'inventio, cioè il trovare gli argomenti da esporre; l'elocutio, la scelta dei modi espressivi; la memoria, l'apprendimento a memoria della composizione; l'actio, la corretta maniera di presentare il discorso. Si esercitavano quindi ad applicare queste tecniche con esercizi scritti ed orali: i primi consistevano in composizioni più varie di quelle assegnate dal grammaticus e graduate secondo la difficoltà, invece oralmente si facevano degli esercizi pratici dell'eloquenza, cioè le suasoriae o controversiae. Le suasoriae erano monologhi nei quali noti personaggi della mitologia o della storia, prima di prendere una grave decisione, ne valutavano gli argomenti favorevoli e contrari; nelle controversiae si svolgeva un dibattito fra due scolari che sostenevano due tesi opposte. Alle esercitazioni davanti al retore poteva essere ammesso il pubblico, anzitutto le famiglie degli scolari. Il completamento degli studi di retorica avveniva poi in Grecia, soprattutto ad Atene e a Rodi, dove si trovavano anche scuole famose di filosofi.

Lo stipendio di un maestro elementare fissato dall'edictum de pretiis di Diocleziano (301 d.C.) era di 50 denari per alunno al mese, il grammaticus guadagnava 200 denari al mese per allievo mentre il rhetor 250 denari. In età imperiale, a cominciare dai tempi di Vespasiano (69-79 d.C.) furono aperte a Roma scuole pubbliche finanziate dallo Stato: Quintiliano fu il primo a tenere una cattedra d'eloquenza con stipendio statale. Ai tempi di Adriano (117-138 d.C.) in ogni città dell'impero ci sarà una scuola pubblica.

Non c'erano edifici scolastici ma si faceva lezione in qualche stanza (tabernae, pergulae) o anche all'aperto. L'arredamento della scuola era semplice: solo in qualche scuola gli scolari si riunivano intorno al maestro attorno ad una tavola, di solito il maestro stava seduto su una seggiola con spalliera (cathedra) o senza (sella), che portava con sé insieme alla penna, la carta e l'inchiostro; i ragazzi utilizzavano sgabelli dovendo tenere le tavolette cerate (i quaderni di allora) sulle ginocchia. L'anno scolastico cominciava di marzo dopo le quinquatrus, festa in onore di Minerva; vi erano delle vacanze nei giorni festivi e ogni otto giorni (nundinae), solitamente i ragazzi si riposavano durante l'estate. L'orario scolastico era composto di sei ore. A mezzogiorno gli scolari tornavano a casa per il prandium e riprendevano le lezioni nel pomeriggio.

Spesso il maestro era ricordato come plagosus ("colui che picchia"), infatti le punizioni facevano parte del programma educativo; a volte l'unico modo per attirare l'attenzione dell'alunno e costringerlo allo studio era quello di ricorrere alle percosse. Lo strumento più utilizzato dai maestri per le punizioni era la ferula, una canna provvista di nodi di legno. Per infliggere punizioni più gravi si utilizzava la scutica, una frusta fatta di strisce di cuoio o staffile, ed ancora la virga, uno scudiscio anche questo formato da un fascio di strisce di cuoio. Lo scolaro veniva appoggiato sulle spalle di un compagno, mentre un altro ne teneva ben ferme le gambe, e quindi veniva frustato. La pena, oltre che dolorosa, era anche umiliante in quanto il ragazzo, oltre a essere percosso, veniva prima denudato davanti a tutti i presenti.

Nel mondo romano la carta non esisteva, si usava il foglio di papiro o pergamena. I fogli di papiro venivano uniti tra loro e arrotolati intorno ad un bastoncino per formare un volumen che si leggeva srotolandolo. I fogli di pergamena potevano dare origine a due diversi tipi di libro: a un volumen o a un codex costituito da fogli piegati e tagliati in quattro (quaternio, da cui deriva il nostro "quaderno"), uniti tra loro come i quaderni di oggi. Per scrivere si usavano inchiostri di diversi colori, il più comune era quello nero (atramentum) e ci si serviva di una cannuccia (calamus) o di una penna d'oca (penna).Volumina e codices avevano un costo molto elevato, quindi per documenti di minore importanza si usavano le tavolette di legno con i bordi rialzati su cui veniva spalmato uno strato consistente di cera di colore scuro (cerae codicilli o pugillares); per scrivere si usava un bastoncino (stilus o graphium) con un'estremità a punta ed un'altra a spatola. Solo persone molto ricche potevano permettersi una biblioteca personale ben fornita e quindi essere clienti dei vari librai che riproducevano i libri servendosi di copisti. Tito Pomponio Attico fu uno fra i più famosi librai.

Punto di riferimento per l'organizzazione della scuola nel Medioevo fu certamente la scuola romana.

Il percorso di studi di età romana (su cui si baserà quello medievale) era pressappoco questo:

Elementare: Dal literator e dal calculator si imparava a leggere, scrivere e far di conto.
Medio: Insieme al grammaticus si approfondiva lo studio della lingua latina e si imparava quella greca; si studiava la letteratura di queste due lingue e le prime nozioni di storia, geografia, fisica e astronomia.
Superiore: Dal rhetor si studiava eloquenza, l'arte di costruire discorsi per gli usi più vari (giudiziari e politici innanzitutto). Per far questo occorreva conoscere il diritto, la storia dell'eloquenza, la filosofia. Ciò che attualmente viene definito un corso di perfezionamento in discipline umanistiche.
Una novità rispetto al mondo antico è che chiunque poteva accedere all'istruzione elementare (anche a Roma la scuola la pagavano le famiglie). Infatti già nell'alto Medioevo, in tutti o quasi i monasteri, fra le altre strutture ricettive, esisteva la scuola (destinata ai figli dei contadini perché i figli dei feudatari o delle famiglie più in vista studiavano in casa propria, seguiti da precettori privati), così come nelle città esistevano di norma scuole diocesane (da cui sarebbero poi sorte le università) e spesso anche parrocchiali.

Nelle scuole dei monasteri si poteva imparare a leggere, scrivere e far di conto; a seconda delle epoche (il Medioevo abbraccia ben dieci secoli) e dei luoghi, ci si poteva fermare qui, oppure si potevano proseguire gli studi in diversi ambiti: farmacologia-erboristeria e medicina, musica, astronomia, logica, retorica ecc.

Il successivo corso di studi era sostanzialmente quello romano, ma diversa era la cultura generale degli insegnanti.

A scuola nel Medioevo tra una lezione di grammatica e una di retorica si studiavano bestiari e lapidari. Dai primi si imparava, per esempio, che le tigri si incantano davanti alla loro immagine riflessa in uno specchio (e non mancava lo studio di animali particolari, sulla cui esistenza nessuno nutriva dubbi, come draghi e ippogrifi), mentre dai secondi si estraeva quanto c'era da sapere sugli influssi che le stelle hanno su ogni singola pietra preziosa e sulle loro virtù magiche.

Ma la differenza più evidente rispetto alla cultura latina era certamente nell'interpretazione complessiva della storia e del sapere che si offriva agli studenti. Per un insegnante medievale era scontato ritenere che la storia è guidata dalla provvidenza divina e che in tutti gli scrittori, anche in quelli pagani, si può rintracciare un'anticipazione delle verità rivelate dal cristianesimo.

Questa è la ragione per cui i critici medievali interpretavano, ad esempio, la IV ecloga del poeta latino Virgilio (pagano e morto nel 19 a.C.) come una prefigurazione della venuta salvifica del Cristo. Un'altra differenza rispetto al panorama culturale dell'istruzione odierna era data dal forte simbolismo di cui erano impregnate tutte le discipline. La realtà era ritenuta un insieme di segni della presenza di Dio e del mondo ultraterreno, non per nulla il testo più rappresentativo della cultura medievale. Le cose non sono solo quello che appaiono ma (come il corpo contiene l'anima) contengono una realtà più profonda. A conclusione degli studi liberali, dal Basso Medioevo in poi, si poteva scegliere un percorso di studi universitari in qualche prestigiosa istituzione.

La disputa, già aperta da Poliziano e Boiardo, su armi e lettere per i nobili diventa motivo ricorrente della cultura cinque-seicentesca. Tra i tanti che l'affrontano, basti citare il Castiglione, che nel Cortegiano ne fa argomento di discussione alla corte di Urbino: e la conclusione è che, pur restando le armi il primo compito del cavaliere, tuttavia «a niun più si convenga l'esser litterato, che ad un uom di guerra» (i, 46).

Certo, non cesserà l'interesse per l'educazione fisica e per gli sport nobiliari, in particolare a Firenze il calcio, ravvivato anche dalle indagini archeologiche e dalla riscoperta della ginnastica degli antichi operata dal Mercuriale col suo De arte gymnastica del 1569 e 1573. Ne sono testimonianza gli innumerevoli trattati di equitazione e arte della scherma, le cronache delle giostre e poemi, come La caccia di Erasmo di Valvasone, dove si suggerisce pallacorda, pallone, pallamaglio, salto, corsa, palestra, lotta, equitazione e nuoto. Ma alla fine le lettere finiranno per avere il sopravvento.

Intanto, mentre i nobili si aprono alla cultura, crescono le scuole cittadine dei mercanti e si sviluppa la nuova cultura umanistica, all'interno del cristianesimo si ripresentano movimenti di riforma che l'ortodossia cattolica perseguita come eretici: e sono attivi soprattutto nel campo dell'istruzione popolare. Già nel Trecento John Wycliffe in Inghilterra, e nel Quattrocento Jan Hus e i fratelli moravi in Boe­mia si ponevano questo problema; nel Cinquecento lo affrontano con particolare impegno in Svizzera Ulrico Zwingli e Giovanni Calvino, e in Germania Martin Lutero. E anche in Italia, oltre ai Valdesi, che raccomandavano: «Enseigna lo teo fill en la timor del Signor e en la via de las costumas e de la fé», non mancano riformatori che, senza trovare (antico male nostro!) rispondenza tra le masse popolari, seppero tuttavia esplorare con grande profondità le vie del rinnovamento, come Fausto e Lelio Socini e Pietro Carnesecchi, perseguitati dalla Chiesa.

Lutero, nella lettera Ai consiglieri di tutte le città della nazione tedesca, affinché istituiscano e mantengano scuole cristiane, del 1524, dichiarava che «in due o tre anni si potrebbero istruire tutti i ragazzi in modo che a quindici o diciotto ne sappiano di più di quanto se ne sapeva prima con tutte le scuole superiori o conventi»; e proponeva che «se i genitori non possono fare a meno dei bambini per l'intera giornata, li mandino a scuola almeno per una parte del tempo». E Melantone, suo ispiratore e Praeceptor Germaniae, nel De corrigendis studiis precisava: «In una città bene ordinata c'è bisogno di scuole dove i fanciulli, che sono il semenzaio della città, siano istruiti»; e disegnava un piano di organizzazione scolastica cittadina. E anche se Erasmo da Rotterdam potrà commentare che «dove fiorisce il luteranesimo, le scuole deperiscono», in realtà proprio da questi movimenti si avrà una grande espansione dell'istruzione in Europa.

E la Chiesa cattolica cercherà di rispondere, sia con iniziative individuali, sia con interventi ufficiali. Le iniziative individuali erano cominciate presto: le guerre, con gli infiniti danni alle popolazioni, suscitavano attività di assistenza a favore dei fanciulli abbandonati o orfani. A Venezia Girolamo Emiliani (Miani) nel 1511 ne raccolse alcuni e insegnò loro lavori manuali e a leggere e scrivere; la sua attività si fuse poi a Roma con quella della Confraternita degli orfani, e fu detta dei Somaschi. Poi seguirono Gesuiti, Barnabiti, Scuole Arcimbolde, Oratoriani di Filippo Neri, Litterati e altri ordini anche di monache, come quello di sant'Angela Merici. E accanto a loro va ricordata la riflessione di singoli intellettuali cattolici, come il cardinal Sadoleto col suo De liberis recte instituendis del 1533.

Ma la massima iniziativa ufficiale si dispiegò nel Concilio di Trento (1543-1565). Preceduto da un decreto di Leone x che nel Concilio lateranense dei 1515 aveva comminato il rogo dei libri non approvati e la scomunica dei loro autori, il Concilio redasse un Index librorum prohibitorum, in cui figuravano Dante, Machiavelli, Ovidio e altri massimi ingegni. Inoltre condannò in dieci "regole" le diverse specie di libri: eretici, osceni, di geomanzia, idromanzia, aeromanzia, piromanzia, chiromanzia, necromanzia o altre forme di magia. Il che, nell'incerto confine tra scienza e magia, significò un freno alla ri­cerca scientifica: e ne faranno le spese i maggiori ingegni, da Giordano Bruno, a Tommaso Campanella, Galileo e a tanti altri, con il risultato di un deperire delle scienze in Italia in confronto al resto dell'Europa toccata dalla riforma. Quanto alle scuole, il Concilio isti­tuì dei "seminari" per l'istruzione dei chierici. Vi prevedeva l'insegnamento della grammatica, del computo ecclesiastico e «delle altre buone arti,». e soprattutto «della sacra scrittura, dei libri ecclesiastici, delle omelie dei santi, dei sacramenti e delle forme dei riti e delle cerimonie».

Così approntava i quadri di un esercito destinato a controllare, l'istruzione dei ceti privilegiati e a trascurare quella dei ceti subalterni, ai quali si riservava il catechismo: il suo reparto più forte fu l'ordine dei Gesuiti, fondato da Ignacio de Loyola nel 1534. Facendo seguito al Piano di educazione, contenuto nelle Costituzioni originarie, l'Ordine elaborò tra il 1586 e il 1599 quella Ratio studiorurn che, tenendo conto di molte esperienze protestanti, dava rigore all'organizzazione delle sue scuole. Prevedeva l'organizzazione in classi, gli orari, i programmi, la disciplina, la divisione in sei anni di studia inferiora e tre di studia superiora, nei quali apprendere grammatica, poesia, retorica e filosofia, divisa a sua volta in logica, fisica, etica, seguiti da un anno di metafisica, matematica superiore, psicologia, fisiologia, e conclusi da una repetitio generalis, da un anno di pratica di insegna­mento e infine da altri quattro anni di teologia. In questi studi la cultura classica, ormai riaffiancatasi a quella biblica, veniva «purgata ab omni obscoenitate» ad uso dei giovinetti delle scuole. Inutile dire che, così organizzate, le scuole gesuitiche, a cominciare dal Collegio romano fondato nel 1565, produssero una buona messe di uomini di cultura e di scienziati eminenti: in grado, se non altro, di contrastare per secoli le teorie di Copernico, di Galileo, di Bruno e di Newton.

Il loro predominio comportò un irrigidimento dello spirito dell'Umanesimo, intento solo alle forme linguistiche e diffidente agli aspetti culturali, e la fine delle libertà universitarie. A Bologna, sottomessa al potere pontificio, per domare gli studenti, «soliti strepitare e non lasciare leggere..., scrivere sui muri, giocare a palla», si introdussero severe restrizioni, cominciando nel 1569 con la richiesta di una professione di fede per i licenziandi, continuando nel 1609 con l'obbligo della comunione almeno due volte l'anno, e così via reprimendo. Quanto lontani i tempi dell'Authentica dei Barbarossa! Erano del resto i tempi in cui il Cardinal Legato nelle Romagne, con editti del'1663 e 1090, comminava la scomunica alle popolane che avessero abbandonato i f'ig'li per fare le balie, ma tutelava le nobildonne che li avessero esposti «per ragioni d'honore» ; e in cui si distinguevano gli orfanotrofi per i figli di «genitori onesti» e di «genitori ignoti».

La letteratura tra XV e XVIII secolo ridonda di satire scolastiche: in latino maccaronico, nell'italiano "fidenziano", suo contraltare pseudo­colto, nelle commedie. Ecco il frate Teofilo Folengo immaginare nel suo maccaronico Baldus tre diverse educazioni delle tre figure sociali, che ci ricordano quelle del Facetus. La prima è di Baldus, nobile nato tra contadini, che, mandato a scuola, apprende in tre anni a leggere.

Virgilio, ma appena comincia ad annusare i poemi cavallereschi, «fecit de cuius Donati deque Perotto scartozzos ac sub prunis salcizza cosivit», e rifiuta le percosse e spezza le tavolette sulla testa del maestro (III, vv.94-120), come Eracle con Lino, l'indisciplinato scolaro delle Bacchides di Menandro-Plauto e l'Agricane del Boiardo. La seconda educazione è del chierico "Prae Iacopinus", così ignorante che bisogna insegnargli l'alfabeto, mostrandogli che l'asino quando raglia dice "a", la pecora dice "be", e i villani del suo paese chiamano i porci facendo "ce ce" (ivi). La terza educazione è quella ricevuta dallo stesso Folengo, nel personaggio di Merlin Coccai, autore del Baldus: mandato a studiare a Bologna a spese del paese, segue le lezioni del « filosofastro» Peretto (che è nientemeno che il grande Pietro Pomponazzi) e di Petro Ispano, ma adopera i loro libri per nettezzare culamen, e si mette a scrivere versi in latino maccheronico (ivi, XXII, vv. 120-132),

E dopo il latino maccheronico del Folengo, ecco l'italiano latineggiante di un autentico maestro di scuola, Fidentio Glottocrisio Ludimagistro, o Maestro di scuola dalla lingua d'oro, sotto il quale si cela il vicentino Camillo Scroffa. Tra il serio e il faceto ci parla del suo «amplissimo ludo letterario», frequentato da «cento fanciulli d'indole prestante», e ce ne descrive le giornate, col poco studio, i frequenti tumulti e l'inevitabile uso della frusta.

Nel corso del XVIII secolo vennero istituite scuole pubbliche gestite dallo Stato. In Italia, il Regno di Sardegna è stato il primo a dar vita alla nuova politica scolastica con l'istituzione di scuole laiche statali di vario grado. Tutti gli stati iniziarono ad organizzare scuole laiche e pubbliche, per sostituire le scuole gestite dai religiosi, in particolare i gesuiti. In ambito europeo, nel 1774, Maria Teresa d'Austria approvò il progetto dell'abate Giovanni Ignazio Felbiger, che prevedeva l'obbligo scolastico per i bambini dai 6 ai 12 anni e l'istituzione di scuole per preparare i maestri. Con la rivoluzione francese, inoltre, si afferma una nuova idea della scuola: l'istruzione primaria deve essere pubblica (aperta sia ai maschi che alle femmine), obbligatoria e gratuita.

Se già per prima nel 1774 l'imperatrice Maria Teresa d'Austria aveva istituito scuole elementari pubbliche gratuite per i bambini dai 6 ai 12 anni in ogni piccolo borgo del suo Impero, i suoi successori mantennero vigilanti tale obbligo, sicché tutti i sudditi dell'impero sapevano leggere scrivere e far di conto, a differenza di quanto avveniva in gran parte delle restante Europa in tutto il XIX secolo.

Con il nuovo secolo nella maggior parte dei paesi occidentali attraversò un graduale cambiamento della scuola rispetto a quella che si può definire Scuola dell'Ancien Regime, caratterizzata da:

impronta collegiale e privata (scuola a pagamento)
programmi di studio monolitici
due tipologie di scuole elementari: le scuole per ricchi in preparazione ai collegi e le scuole elementari con avviamento professionale.
La visione dell'educazione come fatto naturale di Rousseau non aveva pesato molto sulla società che manteneva questa forte divisione tra coloro che potevano accedere ad una scuola di buon livello e coloro che non se lo potevano permettere, relegandoli ad uno status sociale basso. La formazione dei primi stati nazionali e il maggior peso politico dei borghesi convinse la classe dirigente della necessità di offrire alla popolazione un'istruzione, quale modo per permettere la nascita di un sentimento nazionale e la condivisione dei valori della modernità. Le nuove fabbriche necessitarono sempre più di operai che fossero perlomeno in grado di leggere e scrivere e per questo si investì molto sull'istruzione pubblica. L'insegnamento di maggiore importanza in tutte le scuole fu quindi l'alfabetizzazione, in seguito, considerato il periodo storico si diede maggiore importanza all'acquisizione di una mentalità scientifica piuttosto che di conoscenze umanistiche. Il ruolo del maestro fu visto come centrale in quanto formatore di persone.

Il teorico del positivismo Auguste Comte così come il sociologo Émile Durkheim sostenevano che l'educazione dovesse portare l'individuo a condividere l'ethos della società, per consentirne il progresso e che di conseguenza dovesse essere sovraordinata a deterministica.

Di diverso avviso Herbert Spencer, il quale rifacendosi a Darwin considerava l'evoluzione come un processo evolutivo che dovesse coinvolgere il corpo (in fondo l'uomo è un animale che deve essere pronto per la guerra) e la mente (razionalità scientifica). Il filosofo britannico riteneva che i valori etici dipendessero dalla società e per questo l'educazione morale doveva rifarsi alla comprensione empirica dei propri errori. Rispetto ai pensatori francesi Spencer riteneva che l'educazione dovesse portare allo sviluppo personale della persona, secondo le sue aspettative, di conseguenza con una maggiore dose di individualismo.

All'interno di un contesto scolastico (ad esempio all'interno di una classe tenendo conto di un definito contesto di partenza e delle finalità proprie dell'istituzione educativa, viene readatto ed applicato da parte dei lavoratori della conoscenza un progetto educativo che, avvalendosi di appropriate metodologie didattiche, si propone di raggiungere gli obbiettivi educativi previsti sviluppandosi secondo una precisa scansione temporale. Ciò al fine di soddisfare i bisogni educativi dell'utenza.

La maggior parte dei paesi hanno sistemi di educazione formale generalmente obbligatori (obbligo formativo) nei quali gli studenti progrediscono attraverso la frequenza di varie tipologie di scuole. I nomi di queste ultime variano da paese a paese ma comprendono generalmente: 1) la scuola elementare per l'educazione primaria dei bambini e 2) la scuola secondaria per l'educazione secondaria dei ragazzi che hanno completato l'educazione primaria. L'istituzione che affronta l'educazione superiore, è comunemente chiamata università.
Nel 1792, in seguito alla Rivoluzione francese, la scuola venne definita pubblica , obbligatoria e gratuita, infatti sia i maschi che le femmine dovevano accedervi. Inizialmente, essa era divisibile in quattro livelli di istruzione nettamente distinti: elementare, medio-inferiore, medio-superiore (al quale si affiancarono i licei) e universitario. Nel 1810, Gioacchino Murat decretò l'obbligatorietà della scuola primaria italiana nel Regno di Napoli, obbligo peraltro scarsamente osservato e non completamente osservato anche ai giorni nostri in parecchie zone dell'Italia meridionale.L'obbligo scolastico comunque fu fatto effettivamente osservare (con le accennate eccezioni di alcune zone del meridione) a partire dagli anni Trenta del secolo XX. Negli anni Sessanta del XX secolo fu la RAI che, tramite la trasmissione "Non è mai troppo tardi", cercò di alfabetizzare almeno una parte del milione di italiani ancora analfabeti. Nel secondo dopoguerra l'obbligo scolastico fu portato a quattordici anni e, poco prima dell'inizio del XXI secolo, a 16 anni.L'ordinamento scolastico fu profondamente riordinato nel 1923 dal ministro Giovanni Gentile, valente studioso che fu nominato ministro dell'Istruzione per un breve periodo nel governo di Benito Mussolini, con una profonda riforma che rimase in vigore sino agli inizi del XXI secolo. Negli anni Sessanta del XX secolo fu gradualmente resa obbligatoria la frequenza dei tre anni della scuola media inferiore per i bambini dagli undici ai quattordici anni, abolendosi le scuole di avviamento commerciale e di avviamento industriale che erano state istituite nei comuni più popolosi ed altresì abolendosi le classi sesta, settima ed ottava della scuola elementare, che ancora erano in funzione nei piccoli centri (spesso in pluriclasse, cioè con una sola maestra che curava l'insegnamento per più classi contemporaneamente, data la scarsità del numero di alunni dei piccolissimi centri).

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