giovedì 26 febbraio 2015

PAPAVERO ROSSO

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Papaver L. è un genere di piante erbacee della famiglia delle Papaveraceae che comprende 48 specie, comunemente note come papaveri.

La specie più nota è il papavero comune Papaver rhoeas, specie messicola la cui fioritura è visibile nei campi della fascia temperata all'incirca da maggio.

T.G. Pons, nella Vita montanara e folklore nelle Valli Valdesi. I (1979; pag. 24), riporta che il papavero selvatico è noto come donna, “donna”, mentre nella Vita montanara e tradizioni popolari alpine (Valli Valdesi). II (pag. 234).  

L’infusione dei petali è usata come emolliente, sudorifico e calmante, nelle tossi e bronchiti. I semi sono considerati come narcotici, analogamente al succo della pianta che possiede anche delle proprietà narcotiche.

A Perrero, per purgare il sangue, le donne preparavano un’infusione con i petali di questa specie seccati al sole, secondo la dose di sette scodelle per due o tre giorni. Questo prodotto era utile anche per la pressione. Nel Dizionario del dialetto occitano della Val Germanasca, donno corrisponde al papavero selvatico, mentre donno doumétio, “donna domestica”, al papavero sonnifero. Il significato di “donna”, attribuito al papavero selvatico, si ritrova, con alcune varianti, in altre località quali Aisone (dono, madono), Argentera (madono, bela dona), Chiomonte (madonna, madonne, fiore della madonna), Entracque (dona), Monte Rosso Grana (cara madonno), Novalesa (signora), Oncino (madone rosse), Perrero (donno, al plurale), Piasco (madonne), Sampeyre (donno) e Villar Pellice (madone).

L’idea di donna potrebbe riferirsi all’uso medicinale che proprio le donne facevano della pianta. Infatti, nella tradizione popolare alpina in generale, la donna era considerata la depositaria per eccellenza della conoscenza degli effetti delle piante. Attenta osservatrice della natura, la donna esperta di piante esercitava un’arte basata su conoscenze e usi empirici, consolidati attraverso la tradizione e l‘esperienza, a cui spesso non era estraneo l’aspetto magico e rituale. Proprio questa conoscenza empirica fece sì che fossero scoperte, o riscoperte, in modo accidentale o consapevole, le proprietà delle piante.

Il riferimento alla donna potrebbe anche essere collegato al simbolismo della fertilità e del ciclo di morte/rigenerazione, rimandando eventualmente a pratiche di antichi culti agrari.

Nel mondo classico, i numerosi semi del papavero sonnifero richiamavano l’idea di fertilità. Inoltre, il papavero sonnifero era associato, insieme alle spighe di grano, a figure femminili, tra cui Demetra e Afrodite. Demetra era la dea del grano e dell’agricoltura, legata al ciclo della vita e della morte. Dal nome romano della dea, Cerere, deriva “cereale”, termine attribuito nell’antichità a grano, orzo e al papavero sonnifero. Scrive Lucio Anneo Cornuto (I secolo d.C.), nel Theologiae grecae compendium:

Le offrono anche teste di papavero a ragione; infatti la loro rotondità rappresenta la forma della terra le parti interne rassomigliano a luoghi cavernosi e sotterranei, inoltre producono innumerevoli semi come la terra.

Se in questo caso la descrizione rimanda alla fertilità del mondo vegetale, nel caso di Afrodite, dea dell’amore, il riferimento è alla fertilità della donna.

Per quanto riguarda il ciclo di morte/rigenerazione, il mistero della vegetazione “esige la morte del seme per garantire al seme stesso una nuova nascita”. In pratica, si stabilisce un parallelismo tra il mondo vegetale e quello umano. Nel mondo vegetale, quando la pianta giunge a maturazione, muore, lasciando cadere a terra i semi che germoglieranno in una nuova pianta. Nel mondo umano, lo stato narcotico - inteso come morte temporanea - causato dalla pianta (morte vegetale), è seguito da una discesa nell’Altro mondo (semi interrati) e da un risveglio (rinascita della pianta).

L’idea di donna rimanda ad un’altra pianta, la belladonna (Atropa belladonna). Si pensa che il nome “belladonna” derivi dal fatto che fosse utilizzata dalle donne italiane rinascimentali per dilatare le pupille e intensificare la bellezza del volto. Probabilmente, l’origine è più antica e richiamerebbe l’idea di “donna” come “signora” e “padrona”. Per esempio, in Romania, colui che raccoglie la belladonna deve seguire un rituale specifico, chiamandola “Grande Signora”, “Buona Signora”, “Signora della Foresta”, “Imperatrice” o “Imperatrice delle Erbe”. Si tratterebbe, in definitiva, di una pianta legata alla figura della Signora delle foreste e del mondo vegetale in generale, e ad un gruppo di esseri magici femminili in relazione con pratiche curative e divinatorie. Si potrebbe dire che nella belladonna si manifesti uno spirito femminile della natura, che permette di entrare in contatto con forze ed energie archetipiche.

Similmente, nel caso del papavero, l’idea di donna potrebbe riferirsi a uno spirito vegetale. Ingerire la pianta equivarrebbe ad assimilarne, attraverso i principi attivi, l’essenza, lo spirito appunto, responsabile dell’effetto curativo. Ma non solo, l’effetto narcotico poteva permettere di entrare in contatto con una realtà alternativa, quella del sogno. Nel passato, miseria, malattie, morte, insicurezze, frustrazioni, solitudine fisica e psicologica potevano essere situazioni pesanti da sostenere e tali da originare fantasie e ossessioni. Nasceva così un desiderio di consolazione, di evasione dalla realtà e di rivincita attraverso la compensazione del sogno, in cui si riacquistava speranza.

In sostanza, il riferimento alla donna potrebbe rimandare a una importante funzione proprio della donna nella tradizione popolare delle Valli Valdesi, come depositaria della conoscenza degli effetti delle piante in generale, e del papavero selvatico o coltivato in particolare. Ma soprattutto si può ipotizzare che siano esistiti in passato culti agrari volti a favorire la fertilità dei campi, culti in cui la nostra pianta aveva un certo ruolo simbolico.

 Nella mitologia si narra che il Papavero fosse il fiore della consolazione. Questo significato deriva da un'episodio legato alla figura di Demetra, la Dea dei campi e dei raccolti. Si racconta, infatti, che la dea abbia riacquistato la sua serenità, dopo la scomparsa della figlia, solo dopo aver sorseggiato infusi prodotti con i fiori di Papavero. Durante la prima guerra mondiale, in Gran Bretagna, si producevano ghirlande di papaveri che venivano usate per celebrare e ricordare i soldati caduti per la patria. Oltre al significato di consolazione al Papavero viene attribuito anche quello di semplicità. In altri casi e in altri luoghi il Papavero assume altri significati minori tra cui lentezza, dubbiosità, sorpresa, storditezza, sonno eterno, oblio e immaginazione.

Il papavero è anche associato al simbolo del potere. Infatti chi di noi non ha mai detto "gli alti papaveri della politica" oppure "è stato qualche grosso papavero a procurargli quella carica". Questo fatto è da ricollegare ad una antica leggenda che ha come protagonista Tarquinio il superbo, uno dei re di Roma. Si narra infatti che Tarquinio il superbo per far vedere al figlio il metodo migliore per impossessarsi della città di Gabi fece buttare giù con un bastone i papaveri più alti del suo giardino che significava che si dovevano prima distruggere le più alte cariche, le persone più importanti ed autorevoli.

Una volta il fiore di papavero veniva anche usato per rappresentare la fedeltà:  si prendeva un suo petale e si posava sul palmo della mano e si colpiva con un pugno, se si sentiva un rumore come di schiocco voleva dire che l'amato/a era fedele.

Nel linguaggio dei fiori il papavero simboleggia invece l'orgoglio sopito.


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