mercoledì 25 marzo 2015

LA VALERIANA DIOICA

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La valeriana palustre è una specie prevalentemente europea con affinità subatlantiche presente in tutte le regioni dell'Italia settentrionale (salvo che in Liguria), in Toscana e in Abruzzo; nella Pianura Padana era un tempo più frequente, ma è oggi quasi scomparsa a causa dell'eutrofizzazione diffusa. La distribuzione regionale copre buona parte del territorio, dalle coste ai fondovalle del settore alpino, con lacune nelle Prealpi e nel Carso triestino; nell'area di studio è piuttosto diffusa ma non comunissima. Cresce in ambienti umidi, soprattutto in paludi piuttosto acide, dal livello del mare alla fascia montana. Tutte le specie di valeriana contengono olii essenziali e alcaloidi; si usa la radice (che però ha un odore sgradevole) che ha proprietà sedative. Il nome generico deriva dal latino 'valere' (vigoroso, sano), in riferimento alle proprietà medicinali di molte specie, quello specifico, dal greco 'dis' (due volte) e 'oikos' (casa), si riferisce al fatto che i fiori maschili e femminili sono portati da piante diverse. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.

Il genere Valeriana L. comprende circa 150 specie di erbe, tra cui la notissima pianta officinale che porta il nome volgare di Valeriana comune o Valeriana per antonomasia (Valeriana officinalis).

La valeriana comune è una pianta a fiore (angiosperma) appartenente alla famiglia delle Valerianacee. È la più nota del genere Valeriana, costituito da più di 150 specie, maggiormente divulgate nelle regioni boscose europee e, in parte, anche in Nord America e nelle regioni tropicali sudamericane.
Il nome botanico si deduce dal latino valere (rigoroso, sano). Il nome popolare, erba dei gatti, proviene dal fatto che la pianta fresca esercita un'attrazione di tipo "stupefacente" sui gatti ed è forse questo il motivo per il quale, pur essendo decorativa, la si incontra raramente nei giardini.

Pianta erbacea e perenne, con breve rizoma stolonifero, fusto eretto e solcato in superficie da scanalature, radici fibrose emananti uno sgradevole e penetrante odore; in condizioni ottimali può raggiungere altezze di circa 150 cm.
Le foglie sono opposte e prive di stipole, con picciolo presente solo nelle inferiori (le superiori sono sessili); tutte si presentano composte e imparipennate, costituite da 11-19 foglioline a lamina intera o dentata e di un bel colore verde intenso.

I fiori, leggermente profumati, si trovano riuniti a formare un particolare tipo di infiorescenza detta corimbo; sono ermafroditi, con calice ridotto e corolla a 5 petali, tubolare e dal colore rosa chiaro; l'androceo è composto da 3 stami, il gineceo da un pistillo tri-carpellare con ovario infero ed uniloculare. La fioritura avviene in aprile-giugno e l'impollinazione è entomogama (tramite Insetti).
Il frutto è un achenio striato provvisto di setole piumose derivanti dalla modificazione che i piccoli denti del calice subiscono con la maturazione. La loro presenza ne aiuta la dispersione per mezzo del vento.

I preparati in commercio come integratori alimentari contengono le radici, i rizomi (i fusti sotterranei) e gli stoloni (rami lunghi e sottili alla base del fusto). Le radici secche vengono preparate sotto forma di infusi o di tinture (gocce), mentre le varie parti della pianta e gli estratti entrano a far parte delle capsule o delle compresse.

I ricercatori non hanno identificato il principio attivo chiave, l’effetto di questo estratto vegetale probabilmente deriva dall’interazione di diversi costituenti anziché da un solo composto o da una classe di composti. Il contenuto di oli essenziali, tra cui gli acidi valerenici, i sesquiterpeni (sostanze meno volatili) o i valepotriati (esteri lipofili degli acidi grassi a catena corta) viene talvolta usato per standardizzarne gli estratti.

Come nel caso di molti altri preparati erboristici, anche in quelli a base di valeriana sono presenti anche molti altri composti.

La pianta era usata come erba medicinale già nell’antica Grecia e nell’antica Roma. I suoi usi terapeutici furono descritti da Ippocrate e, nel II secolo d.C., Galeno la prescriveva per combattere l’insonnia. Nel Cinquecento era usata per curare il nervosismo, i tremori, il mal di testa e le palpitazioni cardiache. A metà Ottocento era considerata uno stimolante e si pensava che non solo non curasse i sintomi, ma contribuisse ad aggravarli, quindi era tenuta in scarsa considerazione come erba medicinale. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu usata in Inghilterra per alleviare lo stress dovuto ai bombardamenti tedeschi.

Oltre che per i disturbi del sonno, la valeriana è usata per curare gli spasmi e lo stress gastrointestinale, per le convulsioni epilettiche e per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, tuttavia non ci sono prove scientifiche che ne sostengano l’uso per queste patologie.

Una revisione sistematica della letteratura scientifica identifica nove esperimenti clinici randomizzati e in doppio cieco per lo studio sugli effetti sui disturbi del sonno. Queste ricerche studiano l’efficacia della valeriana come terapia per l’insonnia e sono valutate con un sistema di punteggi standardizzato che quantifica la probabilità di distorsioni nella loro progettazione. Tutti e nove gli esperimenti hanno qualche difetto di progettazione, ma tre di essi hanno ottenuto il punteggio massimo (5 in una scala da 1 a 5) e sono descritti nel seguito. Diversamente dagli altri sei che hanno ottenuto punteggi inferiori, questi tre descrivono la procedura di randomizzazione e i metodi di progettazione dell’esperimento in cieco e riportano il numero di partecipanti che si sono ritirati (tasso di abbandono).

La prima ricerca è realizzata con misurazione ripetuta. A 128 volontari sono stati somministrati 400 mg di estratto acquoso di valeriana, un preparato commerciale contenente 60 mg di valeriana e 30 mg di luppolo e un placebo.

I partecipanti hanno assunto uno dei tre preparati in ordine casuale per nove notti consecutive e hanno compilato un questionario la mattina successiva.

Paragonato al placebo, l’estratto di valeriana ha fatto registrare un miglioramento soggettivo statisticamente significativo nel tempo impiegato per addormentarsi (più o meno lungo del normale), nella qualità del sonno (migliore o peggiore del normale) e nel numero di risvegli notturni (più o meno numerosi del normale). Questo risultato è stato più pronunciato nel gruppo di 61 pazienti che all’inizio della ricerca avevano dichiarato di dormire poco e male. Il preparato commerciale non ha invece fatto registrare un miglioramento statisticamente significativo in nessuna di queste tre misurazioni. La significatività clinica dell’uso della valeriana contro l’insonnia non può tuttavia essere determinata con questo esperimento, perché tra i requisiti per la partecipazione non figurava il soffrire di insonnia; inoltre, lo studio ha avuto un tasso di abbandono del 22,9%, che potrebbe aver influito sui risultati.

Nella seconda ricerca 8 volontari affetti da insonnia lieve (che avevano cioè abitualmente problemi ad addormentarsi) sono stati valutati per scoprire l’effetto della valeriana sulla latenza del sonno (il tempo che intercorre tra il momento in cui si va a dormire e i primi cinque minuti di immobilità durante il sonno). I risultati erano basati sui movimenti notturni, registrati da sensori posti sul polso e sulle risposte a un questionario (compilato alla mattina successiva) relativo alla qualità del sonno, alla latenza, alla profondità del sonno e alla sonnolenza mattutina.

Le sostanze somministrate durante il test erano 450 o 900 mg di estratto acquoso di valeriana e un placebo. A ogni volontario è stata assegnata casualmente una di queste tre alternative, nelle notti dal lunedì al giovedì, per tre settimane, per un totale di 12 notti. L’estratto di valeriana da 450 mg ha fatto diminuire la latenza media da 16 a 9 minuti, un risultato simile a quello delle benzodiazepine (farmaci con obbligo di prescrizione, usati come sedativi o tranquillanti). Non è invece stata rilevata una diminuzione della latenza con l’estratto di valeriana da 900 mg.

Su una scala da 1 a 9, i partecipanti hanno valutato con 4.3 punti la latenza dopo la dose di 450 mg, e con 4.9 punti quella dopo il placebo. La dose da 900 mg ha migliorato il sonno, ma i partecipanti, la mattina successiva, hanno riferito un aumento della sonnolenza.

Anche se sono statisticamente significativi, la riduzione di 7 minuti della latenza e il miglioramento della qualità del sonno rilevato soggettivamente forse non sono clinicamente significativi. La scarsa numerosità del campione non consente di generalizzare con sicurezza i risultati a una popolazione più ampia.

La terza ricerca ha esaminato gli effetti di lungo termine in 121 partecipanti affetti da insonnia primaria (o non organica) diagnosticata da un medico.

Ai partecipanti sono stati somministrati 600 mg di un preparato commerciale standardizzato di radice di valeriana essiccata oppure il placebo per 28 giorni. Per valutare l’efficacia e la tolleranza delle due alternative sono state usate diverse tecniche di rilevazione, compresi i questionari sull’efficacia terapeutica (somministrati il quattordicesimo e il ventottesimo giorno), sulle modifiche delle abitudini del sonno (somministrato il ventottesimo giorno) e sui cambiamenti della qualità del sonno e dello stato di benessere generale (somministrati prima dell’inizio della ricerca, il quattordicesimo e il ventottesimo giorno).

Dopo 28 giorni, il gruppo che ha ricevuto l’estratto di valeriana ha registrato una diminuzione dei sintomi dell’insonnia con tutti gli strumenti di valutazione rispetto al gruppo di controllo. Le differenze tra il gruppo della valeriana e quello di controllo sono diventate sempre più marcate nei questionari somministrati a metà esperimento e alla fine dell’esperimento.

La revisione conclude che le nove ricerche non sono sufficienti a determinare l’efficacia della valeriana per la cura dei disturbi del sonno; ad esempio nessuna delle ricerche ha controllato l’efficacia del doppio cieco, nessuna ha calcolato la taglia del campione necessaria a ottenere un effetto statisticamente rilevante, soltanto una ha controllato le variabili che influiscono sul riposo e soltanto una ha validato le misure risultanti.

In uno studio randomizzato e a doppio cieco, 75 partecipanti con diagnosi di insonnia non organica sono stati assegnati casualmente o a 600 mg di estratto di valeriana standard disponibile in commercio o a 10 mg di oxazepam (farmaco della famiglia delle benzodiazepine) per 28 giorni. Gli strumenti di valutazione dell’efficacia e della tolleranza comprendevano una scala di valutazione del sonno, una scala di valutazione dell’umore e questionari standard per la valutazione dell’ansia, ma anche la valutazione del sonno effettuata da un medico (nei giorni 0, 14 e 28). Il risultato della terapia è stato determinato con una scala di valutazione a 4 step alla fine della ricerca (giorno 28). Entrambi i gruppi hanno fatto registrare un miglioramento simile nella qualità del sonno, ma il gruppo della valeriana ha riportato meno effetti collaterali rispetto a quello dell’oxazepam. Questa ricerca, però, mirava a dimostrare la superiorità della valeriana rispetto all’oxazepam, quindi i suoi risultati non possono essere usati per dimostrare che le due sostanze sono equivalenti.

In uno studio randomizzato a doppio cieco e con gruppo di controllo, i ricercatori hanno valutato i parametri del sonno con tecniche di polisonnografia che misuravano obiettivamente gli stadi del sonno, la latenza e il tempo di sonno totale. Per la misurazione soggettiva dei parametri del sonno sono stati usati diversi questionari. Sedici partecipanti con diagnosi di insonnia non organica sono stati assegnati casualmente a una dose singola e a una somministrazione di 14 giorni di 600 mg di preparato standardizzato di valeriana oppure al placebo. La valeriana non ha avuto alcun effetto su nessuno dei 15 parametri oggettivi e soggettivi, tranne che sulla diminuzione del tempo di comparsa del sonno ad onde lente (13,5 minuti, contro i 21,3 minuti del placebo). Durante il sonno ad onde lente diminuivano: l’eccitabilità, il tono muscolo-scheletrico, la frequenza cardiaca, la pressione e la frequenza respiratoria. L’aumento del sonno ad onde lente probabilmente allevia i sintomi dell’insonnia, tuttavia soltanto in 1 delle 15 variabili c’era differenza tra il placebo e la valeriana, quindi la diversità potrebbe anche essere imputabile al caso. Il gruppo della valeriana ha riferito meno effetti collaterali rispetto a quello del placebo.

I risultati di alcune ricerche indicano che la valeriana potrebbe essere utile per l’insonnia e altri disturbi del sonno, ma sono smentiti da altre ricerche. L’interpretazione degli studi è complicata dal fatto che i campioni sono piccoli, i diversi studi usano diverse quantità e diverse sorgenti di valeriana, misurano risultati diversi o non considerano le potenziali distorsioni dovute all’alto tasso di abbandono dei partecipanti. Nel complesso queste ricerche non dimostrano che la valeriana sia efficace per migliorare la qualità del sonno.

Sono stati identificate diverse sostanze chimiche che compongono la valeriana, ma non si sa con esattezza quale sia responsabile del suo effetto sonnifero negli animali e negli studi in vitro. È probabile che il principio attivo non sia uno solo e che gli effetti della valeriana derivino da diversi componenti che agiscono indipendentemente o in modo sinergico.

Come fonte principale degli effetti sedativi della valeriana sono state proposte due categorie di componenti. La prima comprende i costituenti maggiori dell’olio volatile, tra cui l’acido valerenico e i suoi derivati, che hanno dimostrato di avere proprietà sedative negli studi compiuti sugli animali. Tuttavia anche gli estratti di valeriana con quantità minime di questi componenti hanno proprietà sedative, e quindi è probabile che altri componenti siano responsabili di questi effetti o che essi siano causati da diverse sostanze contemporaneamente. La seconda categoria comprende gli iridoidi, tra cui i valepotriati. I valepotriati e i loro derivati funzionano come sedativi in vivo, ma sono instabili e si degradano se conservati o in ambiente umido, e quindi la loro attività è difficile da valutare.

Un meccanismo probabile con cui l’estratto di valeriana esplica il suo effetto sedativo potrebbe essere l’aumento del GABA (acido gamma-aminobutirrico), un neurotrasmettitore inibitorio disponibile nelle sinapsi. I risultati di una ricerca in vitro sui sinaptosomi indicano che l’estratto di valeriana può far rilasciare il GABA alle terminazioni nervose e poi impedire che venga riassorbito dalle cellule. L’acido valerenico, inoltre, inibisce un enzima che distrugge il GABA. L’estratto di valeriana contiene una quantità di GABA sufficiente a causare un effetto sedativo, ma non si sa con certezza se il GABA sia in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e contribuisca quindi all’effetto sedativo della valeriana. La glutamina, presente negli estratti acquosi ma non in quelli alcolici, può attraversare tale barriera ed essere convertita in GABA. La concentrazione di questi componenti varia in modo significativo tra i vari esemplari della pianta, a seconda del luogo di raccolta, quindi variano molto le quantità presenti nelle preparazioni a base di valeriana.

Negli Stati Uniti la valeriana è in commercio come integratore alimentare. Gli integratori alimentari sono regolati come alimenti, e non come farmaci, quindi non sono necessarie la valutazione e l’approvazione da parte della Food and Drug Administration prima della messa in commercio, a meno che siano richieste per la prevenzione o la terapia di patologie specifiche. Gli integratori alimentari non sono sempre sottoposti a test al momento della produzione, quindi la loro composizione può variare considerevolmente a seconda del lotto.
In Italia la situazione è molto simile, in quanto la maggior parte degli integratori sono commercializzati come parafarmaci.

I partecipanti agli studi clinici hanno riferito rari casi di effetti collaterali attribuibili alla valeriana: mal di testa, capogiro,prurito,
disturbi gastrointestinali.
sono gli effetti collaterali riferiti con maggior frequenza negli esperimenti clinici, ma effetti simili sono anche stati riscontrati nei gruppi di controllo.

In una delle ricerche è stato riportato un aumento della sonnolenza il mattino successivo all’assunzione di 900 mg di valeriana. Un’altra ricerca invece ha concluso che 600 mg di valeriana non hanno un effetto clinico significativo sul tempo di reazione, sulla vigilanza e sulla concentrazione il mattino successivo all’assunzione. Diverse segnalazioni hanno descritto effetti collaterali, ma nell’unico caso in cui è stato tentato il suicidio mediante overdose non è possibile attribuire con sicurezza i sintomi alla valeriana.


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