Il calice fu utilizzato fin dai primi tempi del Cristianesimo per consacrare il vino durante la liturgia eucaristica; poiché i primi luoghi di culto furono ambienti comuni in case private, la sua origine fu certamente legata all'ordinaria suppellettile domestica, senza particolari prescrizioni riguardo alla materia o alla forma. Non esistono calici di sicuro uso liturgico anteriori al VI secolo.
Quanto alla materia, sono prevalentemente ricordati calices o scyphi aurei o argentei, qualche volta anaglyphi, ossia lavorati a sbalzo e cesello con figure a rilievo, e spesso ornati con perle e gemme. Questa varietà, mantenutasi nel corso del primo millennio, era giustificata da esigenze rituali e liturgiche e soprattutto dall'uso della comunione sotto le due specie del pane e del vino.
Dopo il Mille, in seguito alla semplificazione del rito e al graduale disuso della somministrazione del vino ai fedeli, la forma del calice divenne più essenziale, raggiungendo la definitiva morfologia caratterizzata da tre elementi (coppa, fusto e base) verso la fine del XIII secolo.
I calici del periodo romanico si presentano a coppa larga e poco profonda, quasi semisferica, poggiante direttamente sul nodo in cui s'innestava la base a campanula rovesciata. In età gotica la forma del calice si allungò, la coppa divenne meno ampia, mentre il fusto è arricchito da decorazioni di tipo architettonico, con nodo poligonale, poggiava sul piede polilobo con nielli e smalti; questo stile proseguì fino al XV secolo.
Nel XVI secolo si affermò una tipologia più semplice, con coppa svasata, fusto ovoidale e base circolare, secondo proporzioni che si mantennero fino al XIX secolo. La decorazione si stabilizzò su modelli decorativi tardo rinascimentali (fregi fitomorfi, volute, cartigli, medaglioni, ecc.) cui si aggiunsero in seguito i simboli della Passione.
Nel XIX secolo, il calice presenta linee generalmente ulteriormente semplificate con elementi decorativi neogotici o barocchi, col predominio d'elementi decorativi simbolici che ricordano l'Eucaristia o la Passione.
Le norme liturgiche esigono che almeno la coppa del calice sia in metallo prezioso, oro o argento, e che, comunque, l'interno sia sempre dorato. Di solito ha forma di coppa sostenuta da uno stelo ornato da un nodo, poggiato su una base circolare.
Prima della celebrazione eucaristica il calice va preparato, predisponendo sopra alcuni oggetti liturgici e biancheria sacra, nel seguente ordine:
purificatoio
patena con la forma di pane
palla
corporale
Il calice può essere consacrato con l'apposita benedizione riportata dal Benedizionale.
Il calice è dissacrato se subisce lesioni tali da modificarne la forma, o se è stato adibito ad usi profani.
Nel Rito romano (Novus Ordo), dopo la preghiera Universale, un Diacono oppure lo stesso celebrante versa il vino con una goccia di acqua recitando sottovoce questa formula: "L'acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita Divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana". Nel rito ambrosiano la formula da recitare ad alta voce è: "Dal fianco aperto di Cristo uscì sangue e acqua". Nella seconda parte della Celebrazione Eucaristica, dall'Offertorio e fino alla Comunione, si pone il vino dentro il calice e si appoggia lo stesso sul corporale e sull'altare. Normalmente il calice viene coperto con la palla (un fazzolettino quadrangolare spesso inamidato). Secondo il rito dell'eucarestia, richiama l'Ultima Cena di Gesù. L'ostia da consacrare viene invece posta sopra la patena, un piattino dello stesso materiale del calice.
Gli ortodossi copti arabi usano un cucchiaio per prendere il Sangue di Cristo dal calice che chiamano mastir e nessuno tranne il prete deve toccarlo.
Il calice è il vaso sacro usato per la celebrazione dell'Eucaristia: in esso si pone il vino che diventa il sangue di Cristo. Il termine deriva dal latino calix, che significa "tazza, coppa".
A livello simbolico, il calice ha un significato che va al di là del suo essere un recipiente, e che fa sì che esso esprima la comunione con Dio o la sorte toccata per il peccato.
Tre sono le accezioni di calice nel mondo biblico:
calice della comunione,
calice dell'ira,
calice di salvezza.
L'usanza dei popoli orientali di far circolare, durante i pasti, un calice a cui tutti bevono, ne fa un simbolo di comunione.
Nei banchetti sacrificali l'uomo è invitato alla mensa di Dio; il calice, che gli viene offerto, traboccante (Sal 23,5), è il simbolo della sua comunione con il Dio dell'alleanza, che è la porzione dei suoi fedeli (Sal 16,5).
Se il calice è comunione, esiste la possibilità di bere al calice dei demoni (cfr. Dt 32,17; 1Cor 10,21): si parla di esso in relazione al culto idolatrico.
L'empietà attira l'ira di Dio; per esprimerne gli effetti i profeti riprendono il simbolo del calice, il quale versa il vino che rallegra il cuore dell'uomo (Sal 103,15), ma il cui abuso porta all'ebbrezza vergognosa. Una tale ebbrezza è il castigo riservato da Dio agli empi (Ger 25,15; Sal 75,9; cfr. Zc 12,2). La loro parte di calice, bevanda di morte, che essi devono bere loro malgrado, è il vino dell'ira di Dio (Is 51,17; Sal 11,6; Ap 14,10; 15,7-16,19).
Se l'ira di Dio è riservata ai peccatori ostinati, la conversione permette loro di sfuggirvi.
Già nell'Antico Testamento i sacrifici di espiazione esprimono il pentimento del convertito; il sangue delle vittime, raccolto nei calici d'aspersione (Nm 4,14), veniva versato sull'altare e sul popolo; si rinnovava così l'alleanza tra il popolo purificato e YHWH (cfr. Es 24,6-8).
Tali riti prefiguravano il sacrificio in cui l'offerta del sangue di Cristo doveva realizzare l'espiazione perfetta e l'alleanza eterna con Dio. Questo sacrificio è il calice che il Padre dà da bere al suo figlio Gesù (Gv 18,11); questi l'accetta con obbedienza filiale per salvare gli uomini, e lo beve rendendo grazie al Padre in nome di tutti coloro che salva (Mc 10,39; Mt 26,27-28.39-42; Lc 22,17-20; 1Cor 11,25).
Ormai questo calice è il calice della salvezza (Sal 116,13): esso viene offerto a tutti gli uomini, affinché comunichino con il sangue di Cristo fino a che egli ritorni, e benedicano per sempre il Padre che darà loro da bere alla mensa del suo Figlio nel regno (1Cor 10,16; Lc 22,30).
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