domenica 18 ottobre 2015

IL LAMPIONE e illuminazione pubblica




Generalmente vengono definiti lampioni tutti quei sistemi dedicati all'illuminazione pubblica, il termine, utilizzato perlopiù in relazione ad infrastrutture e viabilità, è utilizzato anche in urbanistica o design urbano per identificare un punto luce volto all'illuminazione di uno spazio urbano circoscritto, pubblico o privato, o per migliorare l'identificazione di un punto d'interesse, spesso d'accesso o di transito, ma anche di sosta.

Più correttamente tali sistemi sono chiamati "apparecchi per pubblica illuminazione" o "corpi illuminanti" e si dividono in molteplici categorie; il termine generico lampione infatti identifica un vasto numero di corpi illuminanti, dalle caratteristiche molto diversificate.

Il concetto di illuminazione pubblica è relativamente recente, anche se certe parti di edifici importanti (castelli, conventi) hanno sempre avuto un'illuminazione notturna continua assicurata mediante torce o bracieri. L'illuminazione pubblica coincide all'inizio, e anche oggi in gran parte, con l'illuminazione stradale, e nasce coll'ingrandirsi delle città e il diffondersi della criminalità, che ovviamente era grandemente favorita dalle tenebre.

Dapprima limitata a lanterne da appendersi sotto i balconi delle case, avrà una svolta con la disponibilità del gas illuminante, che permetterà di realizzare nel 1825 un'illuminazione a gas centralizzata nella città di Parigi, che prenderà da questo il soprannome di Ville Lumiere. Nel 1811 Windsor costruì la prima officina pubblica a Londra (Gas-Ling and Coke) per la produzione continua di gas che, convogliato in tubature, alimentava le lampade per illuminare Pali Mali, il Saint James's Park e il Golden Lane.

I primi esperimenti in Italia furono compiuti nel 1818 da Giovanni Arduin; nel 1832 venne inaugurata l'illuminazione a gas della galleria De Cristoforis a Milano, alla quale seguì quella pubblica nel 1845; nel frattempo (1840) si attiva la prima illuminazione pubblica di Napoli. Il 1º ottobre 1846, a Torino, furono illuminate le contrade Doragrossa e Nuova e, poco dopo, anche le vie Po e Santa Teresa, piazza Castello, piazza San Carlo e piazza Vittorio. Solo nel 1847 il governo pontificio autorizzò l'installazione dell'illuminazione a gas a Roma. In anni successivi, il gas giunse ad illuminare anche le pubbliche vie di città meno grandi: ad esempio Forlì, nel 1864, o Prato, nel 1869.

L'illuminazione elettrica si iniziò nel 1814 (lampada ad arco di Humphry Davy); questo determinò un ulteriore progresso con la messa a punto del sistema ad arco fra due carboni di storta affiancati (candela Jablochkov) o disposti frontalmente; nel 1878 Thomas Edison ideò la prima lampadina a incandescenza. L'affermazione di questo sistema di illuminazione è dovuta sia alla facilità di impiego, alla tonalità e alla costanza della luce, sia al rapido progredire dell'industria elettrica che ha consentito di portare ovunque l'energia elettrica. Il primo impianto di illuminazione pubblica a incandescenza fu montato a New York nel 1882. In Europa, a Torino e a Milano nel 1884: nel maggio 1884 infatti fu inaugurato il primo impianto di illuminazione elettrica a Torino in piazza Carlo Felice con 12 lampade ad arco Siemens da 800 candele; nello stesso anno le Ferrovie illuminarono elettricamente la stazione di Porta Nuova e l'ingegnere torinese Enrico progettò l'illuminazione del Teatro Regio.



Dopo una cinquantina d'anni, comincerà a diffondersi l'illuminazione elettrica, oggigiorno praticamente la sola utilizzata.

La disponibilità, a partire dall'ultimo ventennio del secolo scorso, di lampade più efficienti rispetto alla classica lampadina a incandescenza, ha permesso di aumentare e migliorare l'illuminazione pubblica, che si è estesa anche a scopi meno strettamente utilitaristici come l'illuminazione di monumenti, generando però contemporaneamente problemi di inquinamento luminoso.

L'illuminazione pubblica è stata gradualmente estesa anche ad ambiti extraurbani relativi ai trasporti, quali incroci stradali e aeroporti, mentre l'illuminazione di altre grandi superfici, come carceri e aree industriali, anche se molto simile come tecniche e motivazioni non si può a stretto rigore definire pubblica.

Il progetto di illuminazione pubblica (in particolare quella stradale) in Italia è regolato dalla norma UNI 11248 che definisce la categoria illuminotecnica in base al tipo di strada, al flusso di automezzi, alla presenza di pedoni, di svincoli, di pericoli di aggressione, ecc. Per ogni categoria vengono definiti i parametri illuminotecnici che il progetto deve soddisfare. Particolari caratteristiche sono definite anche per le zone circostanti alla carreggiata (piste ciclabili, marciapiedi, attraversamenti pedonali, incroci).

Il progetto deve essere realizzato in maniera da limitare gli sprechi energetici e limitare fenomeni indesiderati quali l'abbagliamento debilitante e l'inquinamento luminoso.

L'altezza dei pali deve essere circa pari alla larghezza della carreggiata e la distanza dipende dal tipo di apparecchi utilizzati e soprattutto varia in base alle caratteristiche illuminotecniche richieste dalla norma, l'angolo di inclinazione del braccio del lampione deve essere dimensionato in modo da ridurre effetti di inquinamento luminoso.

Si può realizzare l'impianto di illuminazione disponendo i lampioni in vari modi:

Disposizione unilaterale: I lampioni vengono disposti su un solo lato della carreggiata, rientrano in questa categoria anche gli impianti in cui i lampioni sono posti tra le due carreggiate (dove è presente uno spartitraffico)
Disposizione bilaterale: I lampioni sono disposti su entrambi i lati della carreggiata disposti frontalmente gli uni agli altri
Disposizione a quinconce: I lampioni sono disposti su entrambi i lati della strada posti alternativamente, in questo modo si ottiene un'uniformità dell'illuminazione maggiore.



Anche se con un po’ di ritardo, anche l’Italia riesce alla fine a seguire le orme dei paesi più progrediti. E’ Venezia, assieme a Torino, una delle prime città a dotarsi di una primitiva illuminazione pubblica: decretata a partire dal maggio del 1732, essa impone alla città lagunare una tassa speciale per tutti i cittadini (ad ogni modo l’illuminazione non si diffonde inizialmente ovunque e per lungo tempo continua a sopravvivere l’uso di rivolgersi, in caso di necessità, alle guide notturne).
Ancora nel 1763 il Parini può contemplare a Milano le fiaccole dei lacchè in corsa davanti alle carrozze dei nobili ed è necessario attendere il 1786 per poter parlare di vera illuminazione cittadina. Dieci anni dopo è la volta di Bologna, ma l’impresa non viene condotta a termine prima del 1801: nel frattempo la città, fatta eccezione per qualche lumino acceso davanti agli altari votivi alla Madonna, rimane nell’oscurità più totale e coloro che escono di notte per le vie sono costretti a ricorrere necessariamente all’uso di piccole lanterne.
Firenze si rivela più sollecita e il primo tentativo di illuminare il suo centro storico risale al 1783 anche se in passato, come apprendiamo dall’Osservatorio fiorentino del Lastri, le lampade collocate in prossimità delle immagini sacre, specialmente quelle agli angoli delle strade, erano abbastanza frequenti da riuscire ad avere la meglio sulle tenebre circostanti.
Precise notizie su Lucca, ricavate dal libro Vita lucchese nel Settecento (Cesare Sardi, 1905) confermano l’accensione delle prime luci di strada a partire dalla fine del ‘700: finalmente la gente può aggirarsi per le vie anche dopo il tramonto, frequentare le osterie e i ritrovi di ogni sorta.
Dall’opera del Sardi, inoltre, apprendiamo che i lampioni compaiono nel 1792, grazie all’opera di privati benefattori: Pietro Bancari e Cosimo Bernardini che ne collocano qualcuno davanti alle proprie dimore. I meno facoltosi si accontentano di lanterne a muro, mentre il Comune provvede per i lampioni del Palazzo Pubblico regolando, con norme opportune, la quantità d’olio secondo l’intensità luminosa della luna e l’orario di accensione in base al variare delle stagioni.

Nella città toscana si raggiunge comunque una perfetta efficienza nel 1808, sotto il regime napoleonico, con l’istallazione di 100 lampioni, dei quali 70 ordinati nuovi e 30 scelti tra quelli di proprietà privata. Anche i romani rimangono al buio fino al 1798, data in cui il governo repubblicano prescrive a tutti i proprietari di case con “più di tre finestre corrispondenti sopra di una strada” l’obbligo “di tenere sospeso ad una finestra del primo piano un lampione acceso in tutta la notte dal tramontare del sole sino al nuovo giorno”.

Provvedimenti ancora più solleciti si registrano a Napoli dove fin dal 1770 il governo ordina che tutti gli edifici pubblici, i Banchi, i palazzi dei ministri, degli ambasciatori e dei nobili di grande casato, tengano fanali accesi di notte davanti alle porte e agli angoli delle strade; in seguito ne viene collocato un centinaio lungo la strada di Forcella.

Ma si tratta di un’illuminazione di breve durata in quanto le luci vengono presto abbattute da malviventi che necessitano del buio per poter svolgere le loro illecite attività. Per ovviare a questo grave inconveniente si racconta che padre Gregorio Maria Rocco (1700-1782), ottenuta la licenza dal re, inizia a disporre nei punti più trafficati, e in apposite nicchie, 300 copie di un quadro raffigurante la Vergine e 100 figure del Cristo montate su altrettante croci di legno: da quel giorno si registra una vera e propria gara da parte dei fedeli per mantenere continuamente accesi, sia di giorno che di notte, due fanali ai lati di ciascuna raffigurazione sacra. Con questo espediente Napoli riesce finalmente ad essere illuminata, persino nei vicoli in precedenza troppo bui e pericolosi.

Tra il 1785 e il 1786 si hanno tracce di appalti per l’illuminazione anche nelle vie principali della città di Palermo.

Molti, però, sono i centri che rimangono ancora al buio, rotto a malapena da qualche scialbo lumicino posto davanti alla edicole dei Santi e al rintocco della campane delle chiese, annuncianti un’ora trascorsa dall’Avemaria, piazze, strade, vicoli e cortili, ripiombano nell’oscurità.
Soltanto a partire dalla metà dell’Ottocento, con l’entrata in funzione del gas ottenuto dalla distillazione del carbon fossile, anche i centri italiani possono finalmente dotarsi di lampioni stradali capaci di illuminare e vincere in maniera efficace e duratura persino le tenebre più profonde.




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