giovedì 26 novembre 2015

LA MORFINA

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Un elisir a base di oppio è stato attribuito ad antichi alchimisti, ma la formula specifica è stata presumibilmente persa durante la conquista ottomana di Costantinopoli. Intorno al 1522, Paracelso fece riferimento ad un elisir a base di oppio che chiamò laudano, che significa "lodare", descritto come un potente antidolorifico, ma ne raccomandò un uso parsimonioso. Nel diciottesimo secolo, quando la Compagnia delle Indie ottenne un interesse diretto nel commercio dell'oppio in India, un altro oppiaceo chiamato laudano divenne molto popolare tra i medici e i loro pazienti. La morfina è stata scoperta come il primo alcaloide attivo estratto dalla pianta di papavero da oppio nel dicembre 1804 a Paderborn, in Germania, da Friedrich Sertürner.
Il farmaco è stato prima commercializzato al pubblico da Serturner nel 1817 come analgesico, ma anche come trattamento per la dipendenza da oppio e da alcolici. La produzione commerciale iniziò a Darmstadt, in Germania nel 1827 da parte della farmacia che è diventata la casa farmaceutica Merck, che dalla vendita di morfina ha avuto una gran parte della sua crescita e sviluppo. Poco dopo ci si è resi conto che la morfina dava più dipendenza dell'alcool o oppio, e il suo ampio uso durante la guerra civile americana si sarebbe tradotto in più di 400.000 malati "del soldato": malattia della dipendenza da morfina.

La Diacetilmorfina (meglio conosciuta come eroina) è stata sintetizzata dalla morfina nel 1874 e introdotta sul mercato dalla Bayer nel 1898. L'eroina è circa dalle 4 alle 12 volte più potente della morfina in base ai mg assunti di morfina. A causa della gran solubilità lipidica, la diacetilmorfina è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica più velocemente della morfina come l'idromorfone o il fentanyl, per poi far aumentare la tolleranza e causare l'insorgere della dipendenza. Utilizzando una varietà di misure soggettive e obiettive, uno studio ha stimato la potenza relativa di eroina versus morfina somministrata per via endovenosa ai tossicodipendenti da 2,80-3,96 mg di solfato di morfina a 1 mg di cloridrato di diamorfina (eroina).

La morfina è uno dei 30 alcaloidi presenti nell'oppio, una polvere ricavata dal liquido lattiginoso raccolto, dopo incisione, dalla capsula immatura del Papaver somniferum.
La morfina è un potentissimo analgesico; la somministrazione di soli 10mg (0,01 grammi) per via parenterale, è in grado di ridurre di almeno l'80% la percezione del dolore. Per questo motivo viene utilizzata come presidio terapeutico nel trattamento del dolore di tipo cronico - profondo di intensità medio elevata, come quello neoplastico in fase terminale. A tal proposito è interessante sottolineare come la morfina abolisca il dolore inteso come sofferenza, ma non la sua percezione. Spesso il soggetto rimane consapevole dello stimolo dolorifico, lo percepisce ma non se ne preoccupa, se ne distacca e non ha alcuna difficoltà a tolleralo.
La capacità della morfina di interagire con i recettori oppioidi di tipo µ, spiega lo stato di euforia che insorge in seguito alla sua assunzione. L'eccitazione è tuttavia transitoria e già dopo pochi minuti subentrano sintomi depressivi e narcotici (il nome morfina deriva proprio da Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni).
La morfina somministrata per via sottocutanea raggiunge l'apice dell'effetto analgesico in un tempo che va dai trenta ai sessanta minuti; tale effetto permane dalle quattro alle sei ore. L'iniezione endovenosa consente invece un più rapido raggiungimento del picco d'azione, peraltro più intenso; la durata complessiva degli effetti è invece simile.
Un derivato della morfina, chiamato codeina, viene utilizzato come antitussivo quando la tosse, che ricordiamo essere un prezioso meccanismo di difesa, rischia di aggravare una patologia concomitante (ernia inguinale, pertosse nel bambino ecc.).

Il più pericoloso effetto collaterale della morfina è rappresentato dalla sua potente azione depressiva sul centro del respiro, che in caso di intossicazione acuta può portare a coma e a morte per paralisi respiratoria. Per questo motivo la morfina è controindicata per i soggetti asmatici e per chi soffre di enfisema o di altre patologie caratterizzate da ridotta efficienza respiratoria.
Altri effetti indesiderati comprendono nausea, prurito, miosi (pupilla puntiforme) e stipsi (un derivato della morfina, chiamato loperamide, è utilizzato come antidiarroico). Particolarmente pericolose sono le ripercussioni sulla psiche dell'individuo, vista la capacità della morfina di indurre stati carenziali o di astinenza (quando si interrompe bruscamente l'assunzione insorgono effetti opposti, come diarrea, malessere generale, depressione, aumento della temperatura corporea ed iperidrosi). Il bisogno di assumerne morfina in continuazione, a qualsiasi costo e a dosi sempre maggiori, produce effetti devastanti sulla socialità e sulla salute mentale del tossicodipendente.
L'assunzione cronica di morfina provoca assuefazione e, come tale, si accompagna ad una resistenza ai suoi effetti terapeutici. Per ovviare a questo fenomeno della "tolleranza" e mantenere la medesima azione, è quindi necessario aumentare gradualmente la dose (ecco perché i cerotti a base di un derivato della morfina, il fentanile, destinati ai malati terminali vengono periodicamente sostituiti con altri a maggior rilascio).
Da non sottovalutare, infine, la vera e propria dipendenza fisica dall'alcaloide; quando l'assunzione viene interrotta bruscamente, il paziente lamenta infatti una forte mancanza dello stato euforico da esso prodotto.



È stato dimostrato negli anni sessanta che l'azione della morfina e degli oppioidi in generale è dovuta alla loro capacità di superare la barriera emato-encefalica e legarsi ai recettori oppioidi delle cellule cerebrali, specialmente nel talamo e nel sistema limbico. In particolare mimano l'azione delle endorfine, manifestando un'azione agonista nei confronti dei recettori oppioidi di tipo µ e agonista parziale nei confronti dei recettori d, provocando, così, svariati effetti:
bloccano il rilascio dei neurotrasmettitori a livello pre-sinaptico;
si legano sulla membrana postsinaptica al recettore µ, del tipo GPCR (accoppiato a proteina G), attivando la subunità alfa la quale, essendo di tipo Gi-inibitorio-, andrà ad inattivare l'adenilatociclasi; l'enzima inibito non catalizzerà più la reazione di ciclizzazione dell'ATP ad cAMP e in questo modo la concentrazione dell'AMP ciclico diminuirà notevolmente;
provocano l'efflusso di ioni potassio dal neurone post-sinaptico: in questo modo la cellula si iperpolarizzerà e risulterà refrattaria all'eccitazione.
Tutto questo provoca l'inibizione della trasmissione nocicettiva periferica al sistema nervoso centrale e influenza l'emotività e il comportamento: in assenza di morfina tali recettori sono bersaglio naturale degli oppioidi endogeni, in particolare endorfine e encefaline, due classi di sostanze sintetizzate dall'organismo per attenuare il dolore. L'effetto è una potentissima azione analgesica unita alla depressione del centro cerebrale preposto al controllo della respirazione.

Due farmaci, il naloxone e il naltrexone, sono in grado di spostare le molecole di morfina e analoghi dai recettori cerebrali, interrompendone l'azione: in particolare l'azione del naloxone è estremamente rapida, cosa che lo rende un farmaco salvavita in caso di intossicazione acuta da oppiacei (overdose). Il naltrexone invece si lega in modo più duraturo a tali recettori e inibisce l'azione di oppio e derivati per un periodo prolungato nel tempo, e si usa nella disintossicazione per impedire l'effetto eccitatorio della droga.

Le prime assunzioni di morfina sono spesso prive di effetti definiti come piacevoli, mentre disturbi come nausea, sonno e confusione mentale, che compaiono dopo una assunzione prolungata nel tempo, sono legati all'azione degli oppioidi su una zona del cervello nota come area postrema, al di fuori della barriera ematoencefalica e non ad una specifica tossicità. L'effetto è comunque in parte soggettivo e dipende dalla modalità di assunzione e dalla tolleranza individuale. La morfina produce una sensazione di euforia ed una forte sensazione di benessere fisico generalizzata; vi è uno stato di abbassata reattività psicofisica associata a brevi momenti di confusione e ottundimento dei sensi; provoca sedazione. Si avverte un'acuta sensazione di calore (orgasmo sessuale) e ci si sente trasportati in una dimensione estremamente diversa e piacevole. Il pensiero diventa vivace e fluido, i problemi "svaniscono" e ci si sente rilassati, isolati e fortemente sollevati dal dolore. Con il tempo e il ripetersi delle assunzioni, l'organismo sviluppa sia dipendenza sia assuefazione (fisica e mentale) agli effetti; le sensazioni piacevoli durano sempre meno e sono sempre meno intense e il tossicomane deve aumentare gradualmente la dose per ottenere gli stessi risultati. All'inizio del consumo abituale di morfina è relativamente facile mantenere una vita normale, ma poco a poco, oltre a quella psicologica, si instaura la dipendenza fisica, perciò diventa sempre più difficile staccarsi dalla sostanza e inizia a svilupparsi il bisogno di assumerne in continuazione, a qualsiasi costo, con effetti devastanti sulla socialità e sulla salute mentale.

I sintomi della crisi di astinenza da morfina sono progressivi e vanno aumentando fino a raggiungere il culmine dopo circa tre giorni; oltre questo tempo regrediscono nell'arco di tre-sette giorni, anche se ancora per alcuni mesi il soggetto può avvertire dolenzia diffusa, ansia, leggeri tremori, insonnia e sensazione di freddo.

Il decorso acuto si può dividere in quattro fasi:

I grado: da sei a dodici ore dall'ultima assunzione cominciano a manifestarsi sudorazione, rinorrea, sbadigli e salivazione; il sonno è profondo ma agitato.
II grado: dopo 24 ore i sintomi si accentuano, e gli sbadigli possono essere tanto forti da arrivare a lussare la mandibola; compare una forte lacrimazione e le pupille si dilatano (pupille midriatiche); compaiono tremori e scosse muscolari, e la pelle diventa fredda e sudata con peli rizzati (sindrome del "tacchino freddo") poi caldane, febbre con brividi e totale anoressia.
III grado: tra 24 e 48 ore i sintomi si accentuano ancora e si aggiungono innalzamento della temperatura corporea, insonnia, irrequietezza, inappetenza con grave depressione respiratoria e vasomotoria, si ha nausea e forti contrazioni intestinali con vomito e diarrea.
IV grado: tra 48 e 72 ore la crisi raggiunge il suo massimo: tremiti e brividi squassano tutto il corpo e la sensazione di freddo è molto intensa. Gli spasmi e le scosse muscolari fanno scalciare e compaiono crampi muscolari seguiti da dolori forti e diffusi a carico delle ossa.
Come già detto, oltre le 72 ore tutti i sintomi regrediscono lentamente. La crisi nell'adulto non è letale, nei neonati di madre eroinomane o morfinomane invece la crisi di astinenza che si verifica subito dopo il parto è mortale se non viene trattata con somministrazione via via decrescente di morfina per alcuni giorni.

Effetti collaterali indesiderati sono:

Aumento della secrezione dell'ormone adrenocorticotropo, che stimola quella di cortisolo, ormone della crescita e prolattina;
Inibizione degli ormoni sessuali ipofisari e periferici, mancanza di desiderio sessuale e di mestruazioni nelle donne e impotenza negli uomini
Stipsi, per riduzione della motilità intestinale
Morte per avvelenamento, infarto o altro.
L'uso prolungato può provocare tolleranza inversa e dipendenza fisica e psichica, cioè può indurre una riduzione della produzione degli oppioidi endogeni (in presenza di un prodotto esterno, il nostro organismo, per risparmiare energia, riduce una propria funzione fisiologica), dando luogo a dipendenza fisica e può provocare l'insorgere di atteggiamenti ansiosi, tipici di una dipendenza fisica.

Anche se l'organismo si abitua gradualmente alla morfina e derivati, può accadere che la dose assunta (incidentalmente o intenzionalmente, o ancora per nuova assunzione dopo un periodo di astinenza prolungata, in cui l'organismo ha ridotto la tolleranza) sia troppo elevata, inducendo uno stato di intossicazione acuta che è letale se non viene curato immediatamente. La sindrome da overdose è specifica e inconfondibile, diagnosticabile dalla presenza di tre sintomi: miosi, respirazione ridotta o assente e coma.

In questo caso occorre somministrare immediatamente naloxone o un qualsiasi antagonista dei recettori oppioidi (come l'amifenazolo e sottoporre il paziente a rianimazione, cercando di ripristinare la funzione respiratoria. Complicanze letali che possono sopraggiungere, specie se il soggetto è affetto da cardiopatie o tossicodipendente, sono edema polmonare, insufficienza cardiaca destra (cuore polmonare acuto), infarto, e paralisi intestinale, che vanno trattate con terapia rianimativa e sintomatica.

L'uso cronico conduce a uno stato di intossicazione la cui gravità dipende molto dal dosaggio medio assunto, dal tipo di droga, dalla sua purezza e dal modo in cui viene assunta; se tratta di droghe "da strada", a questi fattori si aggiungono altre patologie dovute alla scarsa o inesistente igiene e alle sostanze mescolate alla morfina base per diluirla (in genere lattosio o mannite, ma a volte anche polvere di marmo o sostanze tossiche come stricnina, piombo o chinino), per cui può essere difficile separare gli effetti diretti dell'intossicazione da morfina da quelli secondari dello stile di vita del tossicomane.

In ambito terapeutico un'intossicazione cronica incombe solo se la terapia supera le 3 settimane per almeno 30 mg di morfina orale al giorno pari a 5–10 mg per uso endovenoso.

Fisicamente, i sintomi sono pelle secca e sudorazione facile, stitichezza, alterazioni dentarie, dimagrimento progressivo, problemi epatici, cuore polmonare cronico (polmone da narcotici), una serie di malattie renali, immunitarie ed allergiche. Si possono riscontrare lesioni al cervello e al sistema nervoso centrale e periferico; compaiono alterazioni della vista (miosi estrema, nistagmo, atrofia del nervo ottico fino alla cecità) e dell'udito.

Dal punto di vista comportamentale e psichico il soggetto è ansioso, irrequieto, ha scarso appetito. L'attività sessuale è ridotta o assente. Il carattere si modifica profondamente: il consumatore abituale diventa apatico, indifferente, privo di iniziativa: è interessato principalmente alla droga. Tutti gli impegni, di qualunque genere, finiscono per essere trascurati, come anche l'affettività. Vengono colpite anche le funzioni intellettive: la memoria e l'attenzione si indeboliscono.

L'intossicazione acuta è di esclusiva competenza medica e va trattata in rianimazione, come anche le complicanze eventuali; quella cronica richiede assolutamente, per avere successo, la ferma e costante volontà del tossicomane a collaborare, e inizia con lo "svezzamento", o graduale con sostitutivi (metadone e altri agonisti o antagonisti della morfina) o brusco con sedativi e benzodiazepine, clonidina, doxepina, antidolorifici e antidepressivi. A questa segue una psicoterapia della durata di almeno due anni, individuale o di gruppo, coadiuvata dalla somministrazione di naltrexone che evita ricadute casuali bloccando l'effetto piacevole della droga. Sembra che tali terapie siano più efficaci se svolte in particolari comunità residenziali. Si inizia contemporaneamente a preparare il ritorno del paziente nella vita sociale e lavorativa, con corsi professionali, apprendistato o altri metodi di inserimento.

La tolleranza agli effetti farmacologici della morfina, impiegata per uso terapeutico, si instaura lentamente ed è limitata, mentre la tolleranza agli effetti collaterali è rapida (5-10 giorni) ad eccezione della stipsi che non si riduce con il progredire del trattamento.
La morfina può provocare sonnolenza e confusione mentale soprattutto nei primi giorni di terapia. In questa fase si raccomanda cautela nello svolgimento di attività che richiedono stati di veglia e di coordinazione costanti. Nella maggior parte dei pazienti quando la dose di morfina è stabilizzata gli effetti sulla funzione cognitive sono minimi.

La morfina rappresenta l’oppiaceo di riferimento rispetto alla quale viene calcolata la potenza relativa degli altri farmaci oppiacei:
1) codeina, meperidina, tramadolo: potenza pari ad un decimo di quella della morfina;
2) metadone: leggermente più potente della morfina, ma con minor capacità di indurre dipendenza; in genere si considera un rapporto di 1:1;
3) petidina: 10 volte più potente della morfina;
4) fentanil: 50-100 volte più potente della morfina;
5) sufentanil: 500-1000 volte più potente della morfina.




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mercoledì 25 novembre 2015

CAPTAGON

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La pillola di captagon era stata sviluppata nel 1937 dal medico Fritz Hauschild, rimasto colpito dagli straordinari effetti delle benzedrine sugli atleti americani che avevano partecipato alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. All'inizio della Seconda Guerra Mondiale veniva distribuita ai soldati dai medici militari. Secondo Der Spiegel, più di 35 milioni di dosi di Pervitin da 3 milligrammi furono confezionate per le forze di terra e aeree tedesche tra l'aprile e il luglio 1940. Per i loro uso massiccio sui tank tedeschi e austriaci le tavolette di Pervitin furono soprannominate Panzerschokolade, "cioccolato per carri armati".

La fenetillina è stata sintetizzata per la prima volta nel 1961 dalla tedesca Degussa AG e di lì utilizzata per circa 25 anni come farmaco alternativo più blando rispetto all'amfetamina e ai composti derivati. Nonostante non ci fosse indicazioni ufficiali, veniva utilizzata nel trattamento dei "bambini ipercinetici" (ora diagnosticabili con ADHD) e, meno comunemente, della narcolessia e della depressione. Le sue capacità ne fanno un prodotto dopante. Nel 2004 il Bild riportò che nella finale del Campionato mondiale di calcio 1954 alcuni giocatori tedeschi si sarebbero giovati dell'uso di droghe al Captagon.

Uno dei principali vantaggi di questo farmaco era rappresentato dal fatto che non causava un aumento della pressione sanguigna significativo come quello dell'amfetamina, quindi poteva essere impiegato su pazienti con problemi cardiovascolari. La fenetillina era ritenuta provocare minori effetti collaterali e minore dipendenza dell'amfetamina, finché nel 1981 negli Stati Uniti non venne inserita in una lista di sostanze sotto osservazione, prima, e poi nel 1986 l'Organizzazione Mondiale della Sanità la segnalò nella Convenzione sulle Sostanze Psicotrope, anche se la reale incidenza dell'abuso di fenetillina fosse abbastanza modesta all'epoca.

L'abuso di fenitillina sottoforma di Captagon è diffuso nei paesi arabi e, nonostante la sua illegalità, versioni contraffatte di questo farmarco continuano a essere disponibili. Molte delle pillole contraffatte di "Captagon" contengono in realtà altri derivati amfetaminici più facili da sintetizzare, ma vengono confezionati per richiamare le pillole di Captagon. Alcuni campioni di queste pillole hanno mostrato di contenere fenitillina, in seguito alle analisi, suggerendo che una produzione illegale di questo farmaco abbia comunque luogo. Mescolata a caffeina, è utilizzata da gruppi antigovernativi durante la guerra civile siriana. Infatti, fino al 2011, i principali centri di produzione sono stati la Libia e il Libano. Dopo lo scoppio della guerra civile, la Siria ne è diventato il primo produttore: viene prodotta localmente con un processo semplice ed economico. Secondo fonti locali, i gruppi militanti esportano la droga in cambio di armi e contanti.

L'organismo metabolizza la fenetillina scomponendola in amfetamina (24,5% della dose orale) e teofillina (13,7% della dose orale), entrambe le quali sono esse stesse psicostimolanti. Gli effetti fisiologici della fenetillina quindi risultano dalla combinazione di tutti e tre i composti.

Con il Captagon i miliziani dello Stato Islamico hanno trovato il modo di essere temerari, spesso oltre ogni morale.

Le anfetamine usate dai terroristi dell'Isis sono solo le ultime di una lunga serie di sostanze usate in guerra per togliere le inibizioni, sconfiggere la paura, sopportare la fatica e innalzare la soglia del dolore. Dai nazisti ai soldati vichinghi, passando per Vietnam e Afghanistan, la tragica storia della chimica al fronte.

La "droga della Jihad" come è stata soprannominata, è un cloridrato di fenetillina, un composto di anfetamina e altre sostanze stimolanti da decenni diffuso nei Paesi del Golfo, e ora diffusosi in modo capillare tra chi combatte la "Guerra Santa".

Perdita di giudizio, resistenza alla fatica, euforia e abbandono di ogni inibizione sono tra gli effetti delle pasticche, vendute dai 5 ai 20 dollari a dose. Chi le assume può non mangiare o dormire per giorni, ed è pervaso da un senso di onnipotenza che fa sentire invincibili. Siringhe con tracce di Captagon - si può anche iniettare - sono state trovate nella casa di uno degli attentatori di Parigi e la stessa droga era nel sangue di uno dei terroristi di Sousse, Tunisia. Ma quella tra guerre e droghe è un'associazione ricorsa più volte negli anni bui dell'ultimo secolo.



Di anfetamine fecero largo uso, per esempio, i soldati di Hitler. Quando il 14 maggio 1940, dopo solo 4 giorni, le truppe dell'armata nazista conquistarono l'Olanda, fu determinante la loro capacità di combattere senza sosta, giorno e notte, senza dormire. Secondo quanto sostenuto da Norman Ohler nel recente saggio Der totale Rausch ("La totale euforia"), questa resistenza sarebbe stata garantita dal Pervitin, un "farmaco militarmente prezioso" usato regolarmente anche dal generale Rommel e dallo stesso Hitler.

Di metanfetamine si servì, tra il 1939 e il 1945, l'esercito giapponese, che nel dopoguerra avrebbe pagato cari gli effetti dell'abuso di queste sostanze.

Ne utilizzarono, per sopportare estenuanti sessioni di volo, anche gli alleati. Gli statunitensi le impiegarono anche per un motivo psicologico: non volevano che i propri piloti si sentissero svantaggiati rispetto ai tedeschi. Tuttavia il ricorso alle anfetamine non fu indolore: i piloti alleati accusarono effetti collaterali come forte irritabilità e incapacità di incanalare la concentrazione. Molti militari diventarono dipendenti da queste sostanze e continuarono ad abusarne anche a guerra finita.

Durante il conflitto in Vietnam (1955-1975), l'abuso di eroina, marijuana e altre droghe divenne talmente comune tra i soldati americani che il 10-15% delle sviluppò una qualche forma di dipendenza e il Presidente Nixon si vide costretto a finanziare la prima grande espansione di programmi per il trattamento delle tossicodipendenze.

La lista continua fino ai giorni nostri. Un farmaco stimolante creato per curare la narcolessia e inserito nella lista "proibita" delle sostanze dopanti - il Modafinil - è attualmente testato su soldati di varie nazionalità per prolungare il numero di ore di veglia delle truppe (si arriva a 48 ore senza dormire). Fu dato per la prima volta ai piloti dell'Air Force americana nel 2003 in occasione dell'invasione in Iraq e si lavora ora alla struttura della molecola per prolungare ulteriormente la capacità di rimanere svegli.

L'utilizzo di anfetamine tra i soldati americani in Afghanistan è invece emerso, per esempio, con l'incidente della Tarnak farm, nel 2002, quando il pilota di un F-16 statunitense, forse sotto anfetamine, uccise con fuoco amico quattro soldati canadesi.

Non che l'utilizzo di sostanze psicoattive in battaglia sia prerogativa dell'epoca moderna. Molti secoli prima dell'avvento delle droghe sintetiche, i soldati greci e romani preferivano lanciarsi contro le schiere nemiche non ubriachi, ma comunque brilli, per innalzare la soglia del dolore e inibire la paura (l'usanza di miscelare vino all'acqua della borraccia sarebbe stata mantenuta dai soldati francesi fino agli anni '30 del Novecento).

Prima della battaglia i Berserkir, feroci guerrieri vichinghi votati al dio supremo della guerra Odino, entravano in una sorta di trance che li rendeva particolarmente feroci e insensibili al dolore. Credendosi invulnerabili, si lanciavano sul nemico vestiti di sole pelli, forse sotto effetto di droghe.

La stessa fiera esaltazione guidava gli hashshashin, la principale setta degli ismailiti, una corrente dell'Islam sciita, contro cui combatterono i Crociati nel 1200. Sembra che il loro nome, da cui deriva il termine "assassini", venga dal plurale arabo al-Hashishiyyun, "coloro che sono dediti all'hashish" (ma non tutti concordano con questa etimologia).
 
I guerrieri Inca masticavano foglie di coca per restare svegli; allo stesso scopo, due secoli fa, i soldati Prussiani assumevano cocaina (la consuetudine sarebbe rimasta anche in seguito, con caffeina e nicotina ad aggiungersi al cocktail). E l'elenco potrebbe continuare di cultura in cultura, di sostanza in sostanza, con effetti analoghi e sempre le stesse, tragiche conseguenze.

Ad attacco compiuto, stare svegli e vigili non serviva più: allora si ricorreva alle droghe per sopportare il dolore di perdite, ferite e amputazioni. Tra il '700 e il '900, la morfina fu ampiamente usata per curare le ferite da arma da fuoco e persino la dissenteria tra i soldati impegnati in battaglia. Tanto che dopo la Guerra Civile americana, si coniò l'espressione "soldier's disease" o "Army disease" per indicare la dipendenza da questa sostanza.
 La fenetillina (nota anche come amfetaminoetilteofillina o amfetillina) è un composto derivato dal legame (tramite ponte etile) tra amfetamina e teofillina, per entrambe le quali funge da profarmaco. La fenitillina viene commercializzata in qualità di psicostimolante sotto il nome di Captagon, Biocapton e Fitton.



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sabato 21 novembre 2015

IL PUGILATO

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Le origini del pugilato risalgono all'antichità. Alcuni incontri famosi sono descritti nell'Iliade e nell'Eneide. I combattenti usavano proteggersi le mani con lacci di cuoio rinforzati con placche di piombo. Il pugilato iniziò a far parte del programma olimpico nel 668 a.C. e la letteratura tramanda i nomi dei vincitori delle olimpiadi su un arco di tempo di oltre un millennio. Non erano previste categorie di peso e per questo motivo, la disciplina, a livello agonistico elevato, era riservata a soggetti di taglia notevole.Il pugilato era presente anche nella Roma antica. Il combattimento terminava con la resa di uno dei due contendenti; le ferite gravi (e a volte anche la morte) erano accettate, non essendo dovute a malvagità, ma semplicemente alla superiorità tecnica e atletica.

Bisogna giungere al 1719 per vedere nascere a Londra una scuola moderna di pugilato. Nello stesso anno un certo James Figg si autodichiarò campione di boxe avendo vinto 15 combattimenti e non trovando nessun avversario che avesse il coraggio di sfidarlo. Figgn era un “armadio”,  aveva un corpo di atleta, era alto 1.84 cm e pesava 84 kg. Al tempo non si parlava di boxe ma di "nobile arte della difesa". Naturalmente, oltre al sapersi difendere, a scuola si imparava anche come far valere i propri diritti, i quali erano meglio difesi dopo abbondanti mescite di birra e gin. Non esistevano regole di combattimento e i pugilatori lottavano a mani nude.
Il successore sul trono di Figg, certo Jack Broughton, propose nel 1743 un codice di regole che includevano: l'identificazione di un ring delimitato da corde, la presenza di due secondi che potessero assistere il pugilatore, l'identificazione di un arbitro per il giudizio e di un altro arbitro che controllasse il tempo. Inoltre venivano indicati i colpi vietati e cioè: colpi portati con la testa, coi piedi e le ginocchia e i colpi sotto la cintura. Era inoltre prevista la sospensione dell'incontro per 30 secondi quando uno o entrambi i pugilatori erano a terra; trascorsi i 30 secondi si contavano 8 secondi: chi non era in grado di riprendere era sconfitto. Non vi era però limite alla durata dei combattimenti. Era inoltre regola che si facessero scommesse e gli stessi pugilatori scommettevano su se stessi.

Famoso il caso di Johnson Jackling che, forte della sua superiorità, nella seconda metà del 1700 si arricchì grandemente puntando sempre su se stesso. Morì però in povertà, dopo aver suscitato entusiasmi enormi e sperperato la sua fortuna.
Nel 1825 si svolse il primo incontro tra un campione britannico, Sayer, e un campione americano, Heenan. Finì dopo 42 riprese con un'invasione di campo da parte della folla, la fuga dell'arbitro e un verdetto di parità che calmò parzialmente gli animi degli spettatori. L'ambiente delle scommesse avvelenava progressivamente il pugilato e i verdetti risentivano della mancanza di regole certe cui gli arbitri potessero rifarsi. Furono quindi scritte regole, per merito soprattutto del marchese di Queensberry, che aprirono la porta al pugilato moderno. Venivano introdotte tre categorie di pesi (massimi, medi e leggeri); veniva stabilito il conteggio dei 10 secondi per il KO e l'obbligo per l'atro pugile di allontanarsi senza colpire il pugile caduto, anche se questo aveva solo un ginocchio a terra. Erano obbligatori guanti nuovi. La durata delle riprese era fissata in 3 minuti, con un intervallo di 1 minuto; rimaneva fluttuante il numero delle riprese che veniva lasciato alla contrattazione tra i pugili. Tuttavia, era facoltà dell'arbitro prolungare l'incontro sino a che non fosse manifesta l'inferiorità di uno dei due contendenti. Rimaneva quindi il concetto che il perdente era colui che soccombeva, soluzione quindi molto prossima a quella del KO.

Bisogna arrivare ai primi del 1900 per la creazione di altre categorie (medio-leggeri, piuma, gallo, mosca e medio-massimi) e per limitare la durata degli incontri: 20 riprese, 15 per gli incontri validi per titoli europei e mondiali, 12 per titoli nazionali. Limitando la durata dell'incontro, si imponeva la necessità di individuare criteri per la vittoria ai punti.

Nel pugilato non esistono due pugili con uno stile che possa essere considerato identico. Nella pratica esistono, tuttavia, dei modi di definire alcuni stili, senza che per questo un pugile debba essere inquadrato esclusivamente in uno di essi. In alcuni casi, infatti, un pugile potrebbe essere classificato sia come in-fighting che come out-fighting.

Il classico pugile stilista, in inglese "out-fighter", cioè che boxa rimanendo all'esterno della guardia dell'avversario, cerca di tenere a distanza l'antagonista colpendolo con pugni veloci e che arrivano da lontano, distruggendo gradualmente la resistenza e le forze dell'avversario fino a ridurlo in propria balìa. A causa del loro affidarsi a colpi veloci ma non devastanti, gli stilisti tendono a vincere ai punti piuttosto che per KO, benché alcuni di essi presentino carriere con percentuali molto alte di incontri vinti prima del limite.

Gli out-fighter sono spesso considerati i migliori strateghi del pugilato, grazie alla loro abilità di controllare l'andamento dell'incontro e di condurre l'avversario verso l'epilogo da essi pianificato intaccandone metodicamente le forze ed esibendo maggiore abilità e destrezza di un picchiatore. Lo stilista out-fighter, perché questo stile dia buoni risultati, deve essere dotato di un buon allungo, di velocità di braccia, di ottimi riflessi e deve essere in grado di svolgere un grande e continuo lavoro di gambe.

Il puncher è un pugile con una dotazione tecnica completa, abile nel boxare a distanza ravvicinata unendo la tecnica alla potenza e alla velocità , ed è un pugile che ha spesso la capacità di mettere fuori combattimento l'avversario con combinazioni di pugni o anche con un unico colpo. I movimenti e la tattica del puncher sono spesso simili a quelli di uno stilista, a differenza del quale, tuttavia, il puncher non tenta di evitare gli scambi a distanza ravvicinata. Inoltre, i puncher non cercano di sfiancare l'avversario sulla distanza, con incontri che si risolvono spesso ai punti, ma tendono a demolire l'avversario con le combinazioni di colpi per poi cercare il KO.



Il picchiatore, in inglese "slugger", è solitamente un pugile carente di tecnica e di gioco di gambe, che compensa queste carenze con la pura potenza dei propri pugni. Molti picchiatori ricercano la stabilità dell'assetto per favorire la potenza, e per questo tendono ad essere insufficientemente mobili e ad avere difficoltà ad inseguire i pugili veloci di gambe, di cui possono anzi diventare un facile bersaglio. I picchiatori a volte tendono a trascurare le combinazioni, privilegiando le ripetizioni di colpi singoli, a volte portati con una sola mano e con grande potenza (per lo più ganci e uppercut), ma spesso con velocità minore di quella degli stilisti.

La lentezza e la prevedibilità degli schemi (colpi singoli con traiettorie ovvie) spesso lasciano la strada aperta ai pugni d'incontro e, per avere successo, i picchiatori devono essere in grado di assorbire notevoli dosi di pugni. Le armi più importanti del picchiatore sono la potenza e la capacità di incassare.

L'aggressore, o incalzatore, o "in-fighter", in inglese, cioè che boxa dall'interno della guardia dell'avversario, è un pugile dall'aggressione continua, per questo chiamato anche "pressure fighter", che tenta di rimanere addosso all'avversario, aggredendolo con continue raffiche e intense combinazioni di ganci e uppercut. Un buon in-fighter necessita di buone doti di incassatore, perché questa tecnica lo espone ad essere colpito da serie di jab e diretti prima di riuscire ad entrare nella guardia dell'avversario, dove i colpi dell'in-fighter sono più efficaci. Gli in-fighter agiscono meglio a distanza ravvicinata perché generalmente sono di statura più bassa della media degli avversari e hanno un minore allungo, e perciò sono più efficaci ad una distanza in cui le più lunghe braccia dei loro avversari sono svantaggiate nel colpire rispetto alle loro.

Tuttavia, diversi pugili alti rispetto alla loro categoria sono relativamente abili nell'effettuare una boxe d'aggressione dall'esterno della guardia dell'avversario, quanto all'interno. L'essenza dello stile dell'incalzatore è l'aggressione senza soste. Molti in-fighter di bassa statura utilizzano l'altezza ridotta come strumento per schivare i colpi ed infilarsi nella guardia dell'avversario, abbassandosi fino alla vita per passare sotto o di fianco ai colpi in arrivo. A differenza del bloccare i colpi con i guantoni, le schivate fanno andare a vuoto l'avversario causandone lo sbilanciamento, e consentono all'in-fighter di passargli sotto al braccio disteso con i pugni liberi per colpire d'incontro. Nonostante questo stile esponga parecchio i pugili che lo praticano ai colpi degli avversari, qualche in-fighter fu noto invece per essere stato difficile da colpire.

Le qualità indispensabili per un in-fighter sono l'aggressività, la resistenza, il saper incassare e il saper schivare i colpi infilandosi nella guardia dell'avversario.

Il colpitore d'incontro è un pugile che usa come ultima difesa i movimenti della testa e blocchi costanti per contrastare l'avversario. Quando l'avversario tenta di colpire, il pugile d'incontro usa la propria difesa per schivare il colpo e per restituirlo contestualmente. Il pugno d'incontro ha una potenza spesso devastante, perché la potenza del pugno va a sommarsi alla forza contraria del movimento di sbilanciamento in avanti del pugile che è stato schivato.

I pugili d'incontro combattono soprattutto a distanza ravvicinata, ma alcuni di essi rimangono invece alla stessa distanza di uno stilista. Per essere efficaci, gli incontristi usano i movimenti del capo, i riflessi, la velocità, l'allungo e devono essere buoni incassatori.

Ci sono delle regole generalmente accettate riguardo alle possibilità di successo che ciascuno di questi stili di boxe ha sugli altri. In generale, un aggressore / in-fighter è avvantaggiato rispetto ad uno stilista / out-fighter, uno stilista / out-fighter è avvantaggiato rispetto ad uno stilista / puncher, e un puncher è avvantaggiato rispetto ad un aggressore / in-fighter; questo forma un circolo in cui ciascuno stile è più forte rispetto ad alcuni stili e più debole rispetto ad altri, senza che ce ne sia uno superiore agli altri, come in un rock-paper-scissors. Il risultato di un incontro è ovviamente determinato anche da vari altri fattori, quali il livello di abilità e di allenamento dei pugili, ma l'ampiamente sostenuta esistenza di queste relazioni tra i vari stili si riassume in un cliché diffuso tra fan e scrittori di pugilato che dice che “gli stili fanno i match”.

I puncher e i picchiatori tendono a vincere gli aggressori / in-fighter perché, cercando di avvicinarsi, gli aggressori / in-fighter finiranno invariabilmente dritti incontro ai più potenti colpi dei primi. Così, a meno che l'aggressore non abbia delle capacità di incassatore fuori dal comune, la potenza superiore dei primi la spunterà. A parità di capacità pugilistica e di condizione atletica, naturalmente. .

Nonostante gli aggressori / in-fighter trovino più sfogo alla loro boxe con i punchers, che accettano molto più di buon grado gli scambi ravvicinati, hanno in realtà più probabilità di successo contro gli stilisti. Lo stilista / out fighter preferisce un combattimento più lento, con maggior distanza tra sé stesso e l'avversario. L'in-fighter tenta senza soste di ridurre questa distanza per scatenare continue raffiche furibonde, mentre a distanza ravvicinata lo stilista perde parecchia della propria efficacia, perché non riesce a tirare i colpi più efficaci del suo repertorio. L'aggressore / in-fighter esce generalmente vittorioso da questo confronto, a causa del proprio incalzare e dell'agilità con cui questo viene messo in atto, che lo rende difficile da sfuggire.

Per esempio, l'aggressore / in-fighter Joe Frazier, nonostante fosse stato facilmente dominato dal picchiatore George Foreman, creò invece molti più problemi allo stilista Muhammad Ali nei loro tre incontri. Allo stesso modo l'aggressore Harry Greb fu l'unico ad aver sconfitto il grande out-fighter Gene Tunney. Joe Louis, dopo il ritiro, ammise che odiava essere incalzato, e che l'aggressione continua dell'imbattuto Rocky Marciano gli avrebbe causato problemi anche nel suo periodo migliore. Gli stilisti / out-fighter tendono ad essere più efficaci contro un picchiatore, le cui ridotta velocità di braccia e gambe, e l'inferiore tecnica, lo rendono un bersaglio facile da colpire per la superiore velocità dello stilista.

La preoccupazione principale dello stilista è quella di prestare sempre il massimo dell'attenzione, poiché al picchiatore è sufficiente arrivare a segno con un colpo di quelli giusti per mettere fine all'incontro. Se lo stilista riesce ad evitare o a limitare l'efficacia dei colpi del picchiatore, lo può stancare colpendolo con veloci jab fino a portarlo, alla lunga, all'esaurimento delle forze. Se la tattica è sufficientemente efficace, lo stilista può perfino aumentare la pressione negli ultimi round in un tentativo di raggiungere il KO. Molti pugili classici hanno avuto i loro successi migliori contro i picchiatori. Il più famoso degli esempi di questo tipo di match è quello con cui Ali, nel 1974, a Kinshasa, stroncò Foreman con un KO all'8º round dopo avergli fatto esaurire le energie nel vano tentativo di trovare immediatamente una soluzione di forza.

Nel pugilato viene ravvisata una certa somiglianza con la scherma per il particolare tipo di studio preparatorio fra i contendenti in funzione del successivo scambio di colpi. Fondamentalmente il pugilato si basa su tre colpi:

Diretto: colpo più importante per il pugile tecnico. A seconda dell'uso può essere un colpo di disturbo, di arresto, di preparazione al diretto successivo, oppure un colpo potente, portato mediante una rotazione del corpo. Si attua avanzando leggermente e si colpisce con la mano che sta davanti nella guardia (jab), oppure facendo ruotare tutto il corpo nel senso del pugno, colpendo con la mano posteriore .
Gancio: colpo potente e demolitore che basa la sua potenza sulla leva fornita dalla spalla e dalla posizione ad angolo retto del braccio, è il colpo di chiusura per eccellenza. Il gancio per essere efficace deve essere eseguito a corta distanza (hook).
Montante: colpo dato dal basso verso l'alto, di solito si usa nel corpo a corpo. Si attua ruotando la spalla in modo da imprimere potenza al pugno (uppercut).
Questi colpi, portati in rapida sequenza e con varietà, generano le "serie" o "combinazioni". Anche se la fase offensiva ha un ruolo decisivo, due sono le tecniche per evitare di prendere colpi: schivare e parare, ovvio il fatto che per ogni tipo di colpo vi siano differenti tipi di schivate e di parate.

Dai tre aspetti offensivi e dai due difensivi può nascere un complesso incontro, che vede sul "quadrato" due uomini che si affrontano lealmente secondo regole codificate e che alla fine del match li vedrà abbracciarsi. Il pugilato è uno sport impegnativo e completo, le doti fisiche richieste sono infatti velocità, agilità, forza e resistenza. Il pugilato richiede sia sforzi aerobici che anaerobici, pertanto l'allenamento mira sia al miglioramento della resistenza, ovvero alla durata dello sforzo fisico nel tempo, tramite corsa, salto della corda, allenamento a corpo libero, sia al miglioramento della forza e allo sviluppo della massa muscolare.

Spostamento: significa un collocamento del corpo fuori dall'asse di attacco dell'avversario con l'aiuto di un movimento laterale. Questo tipo di azione è in francese chiamato décalage. Parlano anche di "passo di diagonale" quando lo spostamento si effettua su un asse obliquo.
Il pugilato richiede soprattutto una notevole forza di sopportazione e carattere per poter affrontare gli sforzi durante l'allenamento e il quasi inevitabile dolore fisico durante gli incontri come del resto capita in tantissimi altri sport anche non da combattimento. Contrariamente alla maggior parte degli altri sport, la sconfitta nel pugilato è accompagnata da dolore fisico: ciò richiede una ferrea volontà a non darsi per vinto davanti alla fatica del match.

Secondo la Federazione Pugilistica Italiana: è dilettante il pugile che partecipa a pubbliche gare per puro spirito agonistico e non per lucro. I pugili dilettanti sono inquadrati nelle seguenti categorie: aspiranti, schoolboys, cadetti, juniores, seniores. Quando si ammettono incontri fra pugili dilettanti di diverse categorie, si applicano i regolamenti della categoria inferiore. I dilettanti percepiscono comunque un fondo spese minimo. Il pugile dilettante combatte con un abbigliamento specifico e che si differenzia dal professionista per l'uso obbligatorio del casco protettivo (poi abolito dal 2013), guanti da 10 oz dotati di antishock, paradenti e canottiera del colore corrispondente al proprio angolo.

Diverso è il caso delle World Series of Boxing, ove i pugili, pur se dilettanti, combattono con abbigliamento e regolamenti analoghi a quelli professionistici.

Il pugile aspirante, maschio o femmina, deve avere un'età superiore ai 13 ed inferiore ai 32 anni. Può frequentare la palestra e sostenere gli allenamenti, ma non disputare incontri.

Pugili schoolboys è una categoria di transizione riservata ai soli maschi: ad essa appartengono i pugili compresi fra i 14 ed i 15 anni di età, non compiuti. Al compimento del quindicesimo anno, vi è il passaggio automatico alla qualifica cadetti. Questi pugili possono disputare incontri della durata massima di tre riprese di 1' e 30" cadauna, fra loro oppure con pugili cadetti di anni 16 non compiuti. Non possono comunque sostenere più di quindici incontri annui.

I Pugili Junior sono cadetti i pugili maschi di età superiore ai 15 anni ed inferiore ai 17; mentre sono cadette le pugili di età superiore ai 14 anni e inferiore ai 17. Al compimento del diciassettesimo anno vi è il passaggio automatico alla qualifica juniores.

I Junior maschi possono gareggiare sulla distanza delle tre riprese di 2 minuti l'una, fra di loro oppure con pugili juniores. Possono inoltre gareggiare con pugili schoolboys se non hanno compiuto il sedicesimo anno di età.
Le pugili Junior possono disputare incontri della durata di tre riprese di 1' e 30" l'una, fra loro o con le pugili Youth.
I Pugili Youth sono juniores i pugili di età superiore ai 17 ed inferiore ai 19 anni. Al compimento del diciannovesimo anno di età vi è il passaggio automatico nella categoria seniores, con inquadramento nella serie relativa al punteggio.

Gli youth possono gareggiare sulla distanza delle quattro riprese di due minuti ciascuna, fra loro, con pugili cadetti, oppure con pugili seniores di II e III serie (ma con incontri di tre riprese di due minuti).
Le pugili youth possono disputare incontri della durata di tre riprese di 2', fra loro, con le pugili cadette, oppure con le pugili seniores di II serie (ma con incontri di tre riprese di 1' e 30" ciascuna).
Il pugile Elite o proviene dalla qualifica juniores, oppure si tessera a partire dal diciannovesimo anno di età, sempreché non abbia superato i 32 anni. Se si è tesserato prima dei 32 anni, può continuare a tesserarsi fino all'età di 35 anni, se però non ha trascorso più di due anni senza disputare incontri.

Nonostante le regole moderne e l'adozione delle precauzioni suggerite dalla medicina dello sport, il pugilato mantiene ancora il suo aspetto di sport violento e cruento. Lo scambio di colpi alla testa può comportare l'insorgere di traumi, che possono manifestarsi durante l'incontro oppure in un secondo momento.

L'urto violento sulla testa può essere causa di un'emorragia immediata a livello cerebrale, i cui sintomi variano dallo stordimento alla perdita di coscienza. Né sono mancati decessi conseguenti, appunto, a trauma cranico.

I medici sportivi hanno identificato una sindrome, tipica e non rara dei pugili professionisti, denominata punch drunk (ubriaco da pugni) oppure dementia pugilistica. I sintomi sono: perdita della memoria, difficoltà nell'ideazione, difficoltà ad effettuare movimenti di precisione ed alterazione della personalità.

A livello dilettantistico si cerca di evitare la sindrome con l'utilizzo di caschi di gomma dura attorno alla testa. Nonostante ciò, un colpo potente e ben portato può provocare forti danni anche ai pugili così protetti.

La sindrome è provocata da piccole emorragie cerebrali non gravi, ma che, sommate negli anni, producono effetti dannosi per l'attività cerebrale.



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FAMIGLIE CON MALATI PSICHIATRICI

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Mentre la cultura nei diversi settori della medicina avanza anche fra la gente comune per effetto del continuo apporto dei media, che crea poi domanda di ritorno, è opinione diffusa che nel campo della salute mentale esista ancora una certa misconoscenza del problema. È viceversa ben presente l’effetto del pregiudizio, come sempre avviene in questi casi, che va dalla paura, alla vergogna, alla colpa. La paura soprattutto è diffusissima nei confronti di un pericolo vago e distinto; vergogna e colpa colpiscono invece i familiari. I media purtroppo, invece di impegnarsi nella lotta al pregiudizio, ne sono anch’essi vittime acritiche, sempre alla ricerca esasperata di sensazionalismo a ogni costo.
In questo panorama si può verificare, a un certo punto, la situazione di un congiunto colpito dalla malattia mentale con diagnosi di schizofrenia o di altra psicosi grave. E qui inizia la difficoltà del confronto con qualcosa di difficile da capire, con i pareri più diversi degli addetti ai lavori (farmaci vecchi e nuovi, psicoterapie di varie tendenze, prognosi nebulose, prese in carico difficili), con il peso maggiore che grava sulla famiglia, non in grado di reggerlo per varie ragioni (età avanzata, mancanza di risorse economiche, conflittualità eccessiva…).
A differenza di altre malattie o di un handicap fisico, la malattia mentale non concede tregua, non consente una vita familiare degna di questo nome, poiché è molto distruttiva.

Convivere con il disagio mentale di un figlio o un genitore. Stare 24 ore al giorno assieme a una persona scrutando i suoi comportamenti, osservando le sue reazioni, assecondando le piccole follie quotidiane e temendo, d´altro canto, che un giorno la psiche possa dare il via a un raptus di violenza incontenibile.

Detto così, quello del disagio psichico sembra un problema per poche famiglie sfortunate. Invece una casa su due, circa un quinto della popolazione, si trova a fare i conti con situazioni di malessere, se non di vera malattia. Si tratta di dati peraltro destinati ad aumentare inesorabilmente, secondo gli specialisti, con la crescita dello stress della vita. Ma soprattutto si tratta di dati stimati, nascosti. La maggior parte dei casi non viene allo scoperto, ma resta latente: "Le famiglie, per un senso di vergogna, spesso sono restie a confidare a uno specialista di avere un problema - dice Vincenzo Villari, primario della Psichiatria 2 delle Molinette - E lo fanno solo quando esplode in modo eclatante. Invece spesso è possibile prevenire certi comportamenti violenti facendosi seguire da una persona neutrale, esterna alla famiglia, in grado di valutare certe situazioni critiche che si sono cristallizzate in casa. E questo è un problema trasversale a tutta la società, che non si fa influenzare dal ceto o dal livello culturale. Anche se spesso famiglie di estrazione sociale diversa reagiscono in modo diverso al problema".



Solo in rari casi, ovviamente, il destino di questi nuclei familiari è quello di diventare protagonisti di un caso di cronaca atroce. "Da sempre si tende erroneamente a collegare la malattia mentale alla violenza - continua Villari - Invece le statistiche non lo dimostrano affatto. Quello che cambia, piuttosto, è che la violenza nelle persone sane sembra spinta da ragioni più comprensibili, mentre i malati mentali a volte agiscono spinti da motivazioni deliranti. E questo ci spiazza. Certamente, però, va presa in considerazione l´esistenza di un precedente. Se già una persona ha avuto un episodio di violenza, capire l´origine del disturbo e curarla è fondamentale per ridurre il rischio che si ripeta".

In generale il disturbo è soggettivo, il malato non fa del male ma sta male. E stanno male i loro familiari. Da anni, ormai, la psichiatria prende in cura, oltre al malato, anche i parenti. Perché spesso sono proprio le relazioni nate sotto lo stesso tetto la causa o l´affetto di un disagio psichico. In molti casi non si può parlare di malattia mentale, ma di malessere. E spesso si instaurano relazioni familiari basate sul ricatto emotivo, comportamenti improntati sulla paura di reazioni. "È una situazione molto più frequente di quanto non si pensi - conclude Villari - ed è anche difficile da sondare dall´esterno, perché le dinamiche all´interno di una famiglia possono sembrare incomprensibili, agiscono su livelli sotterranei. La famiglia è un grande contenitore di emozioni e i suoi componenti devono essere in grado di notare quando queste dinamiche prendono una piega sbagliata: comportamenti strani, emozioni diverse dal solito, decadimento improvviso del rendimento scolastico o lavorativo. Quello è il momento in cui bisogna chiedere aiuto, prima che sia tardi".

L’attenzione riservata alle famiglie nella psichiatria ha una storia relativamente recente ed in pochi anni il lavoro con le famiglie si è radicalmente trasformato.
Fino a quando era il manicomio l'istituzione preposta a rispondere ai bisogni non solo di cura, custodia, ma anche di controllo sociale, nel rapporto tra istituzione e paziente la famiglia restava in ombra, scompariva dalla scena. La separazione netta tra la normalità e la follia costruiva la lontananza della famiglia.
Possiamo forse immaginare le ricadute emotive nelle famiglie rispetto al vissuto di colpa per l'assenza, per la distanza del familiare ricoverato. Le ricerche al riguardo sono scarse, ma sono le persone, i loro racconti a suggerirci l’esistenza di un vissuto familiare pesante anche in presenza di risposte istituzionali tanto certe quanto forti e di delega totale quali quelle manicomiali.
L’ereditarietà, questione su cui oggi s’impegnano le neuroscienze, era l’unico terreno in cui comparisse la famiglia in chiave esclusivamente deterministica e come fonte di dati anamnestici oggettivi, o presunti tali (la tara ereditaria).
Ancora oggi dobbiamo confrontarci con le famiglie che ricordano "il sangue malato" del nonno morto in manicomio, forse ricomparso nel figlio, e si vergognano, e non parlano, e piangono.



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martedì 17 novembre 2015

L'ALOE SOCOTRINA

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L’Aloe Socotrina è una pianta grassa perenne appartenente alla famiglia delle Liliaceae, una pianta xerofita, cioè in grado di conservare l’acqua al proprio interno e di sopravvivere a lungo in zone aride. E’ utilizzata ed apprezzata da secoli in varie zone del mondo per le diverse proprietà terapeutiche. L’aloe ha proprietà antinfiammatorie, analgesiche, disintossicanti ed antiprurito, è un efficace fungicida, aiuta ad idratare e proteggere la pelle ed infine ha proprietà energizzanti e rigeneranti.

L’impiego terapeutico dell’Aloe è molto antico e databile intorno al 2000 a.c., però lo studio sistematico della pianta è iniziato alla fine degli anni cinquanta negli Stati Uniti, quando un farmacista texano, Bill Coats, mise a punto un processo per stabilizzare la polpa rendendone possibile la commercializzazione senza più problemi di ossidazione e fermentazione. Nel contempo il governo americano riconobbe ufficialmente l’uso dell’Aloe per la cura ed il trattamento della pelle in caso di ustioni. Da allora gli studi sulla pianta, dal punto di vista terapeutico, sono attivi in tutto il mondo. L’Aloe ha proprietà antinfiammatorie, analgesiche, disintossicanti ed antiprurito, è un efficace fungicida, aiuta ad idratare e proteggere la pelle ed infine ha proprietà energizzanti e rigeneranti.

Esistono oltre 300 varietà diverse di Aloe, ma solo poche decine possiedono in misura significativa le proprietà curative. La varietà più utilizzata in Omeopatia è l’Aloe socotrina, nome che si deve allo stesso Hahnneman che chiamò così il rimedio omeopatico derivato dalla pianta proveniente dall’isola di Socotra nell’Oceano Indiano. La droga medicinale è costituita dal succo solidificato ricavato dalle foglie carnose della pianta. La foglia viene tagliata e messa in posizione verticale in modo che il suo succo (gel) possa colare ed essere raccolto in un recipiente, per poi farlo essiccare all’aria. Esistono anche altri procedimenti per ottenere il succo di Aloe e consistono nel far macerare o nel cuocere le foglie della pianta. Il succo viene esposto al sole ed a seguito dell’evaporazione diviene un concentrato solido di colore rosso-brunastro, con delle masse corpose denominate “epatiche”.

Il rimedio omeopatico Aloe socotrina è ricavato dalla soluzione in alcool del succo (gel) della pianta.

L’aloina contenuta nel rivestimento delle foglie è un glucoside che ha azione purgante ed emmenagoga (regola le mestruazioni rare o scarse ed eventuali disturbi connessi). Tali proprietà, già note fin dall’antichità, oggi sono ampiamente riconosciute dal mondo scientifico, tant’è che l’Aloe è contenuta in molti prodotti farmaceutici utili per regolare l’intestino e le mestruazioni.



A piccole dosi è digestivo e tonico per l’apparato gastro-intestinale; a forti dosi è un potente purgante e provoca congestione del sistema portale, cioè del fegato, dell’intestino e del retto in particolare, degli organi genitali. Inoltre il rimedio è irritante per le mucose del naso, dell’utero, dell’intestino, della vescica, ove determina la formazione di masse gelatinose.

L’Aloe Socotrina si usa a piccole dosi ed è un rimedio naturale digestivo e tonico per l’apparato gastro-intestinale. Aloe Socotrina si usa generalmente nei seguenti principali casi:

emorroidi che fuoriescono dall’apertura anale e arrecano fastidi
bisogno frequente ed impellente di defecare, difficoltà a trattenersi, dolori addominali come coliche e arofagie dolorose
frequente bisogno di urinare e sensazione di ingrossamento e di pesantezza alla prostata, aumento eccessivo del desiderio sessuale
mestruazioni frequenti ed eccessivamente abbondanti
emicrania e cefalea con sensazione di pesantezza, periodiche ed alternate a diarrea, peggiorano con il caldo e migliorano con l’aria fresca.
febbre
formazione di muco denso, gelatinoso e abbondante

L’apparato digerente e genitale sono due delle zone di maggior interesse per quanto riguarda l’utilizzo di Aloe Socotrina, indicata nel trattamento di emorroidi anche sanguinanti, con forte prurito e dolore. Indicata anche nel trattamento di situazioni dove l’impulso di defecare è frequente, si trattengono le feci a fatica o in caso di coliche.
Il trattamento dell’apparato genitale prevede per la donna l’impiego in caso di frequenza troppo ravvicinata delle mestruazioni mentre per gli uomini si impiega per controllare un desiderio sessuale eccessivo. Si impiega per questi ultimi anche in caso di ingrossamento prostatico o di bisogno troppo frequente di urinare.
Al contrario di quanto accade per l’Alumina, che interviene nei casi di eccessiva secchezza delle mucose, l’Aloe Socotrina viene impiegata qualora le stesse diano luogo a muco abbondante e di consistenza gelatinosa. Un ulteriore suo utilizzo occorre in caso di cefalea o emicrania, qualora siano alternate a episodi di diarrea e tendano a peggiorare con il caldo.


LEGGI ANCHE : http://marzurro.blogspot.it/2015/11/larcipelago-di-socotra.html






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DORSTENIA GIGAS

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Dorstenia gigas è una pianta succulenta endemica dell'isola di Socotra.
Dal fico famiglia (Moraceae), gigas Dorstenia è una specie molto apprezzata per la sua bellezza. E 'molto raramente a disposizione dai produttori.

Le piante appartenenti al genere Dorstenia appartengono alla famiglia delle moracee della quale fa parte il gelso, e tutte le piante del genere Ficus. Dorstenia comprende circa 170 specie, distribuite perlopiù dalla punta meridionale della penisola arabica, lungo le coste dell' Africa orientale fino al Sudafrica, ma troviamo queste piante anche in Brasile, Messico, Indie occidentali, Venezuela e Colombia.
La maggior parte delle specie non ha importanza ai fini amatoriali, perchè sono piante poco appariscenti e tranne una sola specie che raggiunge fino 2 metri di altezza, la Dorstenia gigas dell'Isola di Socotra, tutte le altre sono piante di dimensioni molto ridotte e che quindi ben si adattano ad essere coltivate in vaso.
Quasi tutte le Dorstenia prediligono zone ombrose, dove crescono all'ombra di Acacie e Commiphora. Si possono rinvenire fino ad un altitudine di 2000 slm., di contro vegetano anche in terreni sabbiosi sulle coste fin quasi al livello del mare.
I tessuti delle Dorstenia sono percorsi da una rete di vasi nel cui interno c'è un lattice bianco e maleodorante (come nei Ficus) che proteggono queste piante dal morso di animali selvatici.
La coltivazione di queste piante è semplice se si rammenta che amano molto il caldo.



Durante la vegetazione la temperatura ottimale è compresa tra 22° e 35°, mentre durante il riposo non dovrebbe mai scendere sotto i 15°, temperature attorno ai 10° portano irrimediabilmente alla perdita della pianta. Benchè appartengano alle succulente anche durante il periodo di riposo occorre dar loro un po' di acqua, affinchè l'apparato radicale non si secchi mai completamente, molto importante nei semenzali che non sono più in grado di produrne di nuove una volta seccate. La propagazione avviene da seme (1 mm.), che matura dopo tre - cinque settimane, una singola infiorescenza può contenerne anche fino a 30. Spesso i semi germinano senza nessun accorgimento nei vasi limitrofi alla pianta, si lasciano stare fino alla grandezza di 1 cm. e poi si possono rinvasare.


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lunedì 16 novembre 2015

ISIS

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« Noi crediamo ciecamente in Dio noi ci batteremo per liberare i prigionieri dalle manette per porre fine all'oppressione alla quale i sunniti sono stati sottoposti dai malvagi sciiti e dalle crociate occupanti, di assistere gli oppressi e ripristinare i loro diritti anche a costo della nostre stesse vite  per far diventare la parola di Dio suprema nel mondo e ripristinare la gloria dell'Islam. »
Stato Islamico dell'Iraq (ISI) (2006–2013)

ISIS è la sigla per Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, conosciuto anche col nome di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), anche se la seconda formula è meno diffusa.

Il califfato comprende un territorio tra Siria e Iraq, che parte dalla città di Aleppo e si estende fino alla regione di Diyala.

Abu Bakr al-Baghdadi si è autoproclamato califfo dello Stato Islamico. Il suo vero nome è Awad Ibrahim al-Badri, è nato a Samarra, a nord di Baghdad, il 1° Luglio 1971 ed è diventato dottore in teologia islamica nel 2007.

Il califfo nel mondo islamico è colui che è considerato il successore di Maometto e riveste il ruolo di guida politica e spirituale della comunità islamica mondiale.

Prima di tale proclamazione, il gruppo si faceva chiamare Stato Islamico dell'Iraq e Siria, o ISIS, perfetto corrispettivo dell'inglese Islamic State of Iraq and Syria, o Islamic State of Iraq and al-Sham, ossia Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (abbreviato ISIL, se riferito all'equivalente espressione Islamic State of Iraq and the Levant).

Le origini del gruppo risalgono ad "al-Qaida in Iraq" (2004-2006), poi rinominata "Stato Islamico dell'Iraq" (2006-2013), fondata da Abu Mus'ab al-Zarqawi nel 2004 per combattere l’occupazione americana dell’Iraq e il governo iracheno sciita sostenuto dagli USA dopo il rovesciamento di Saddam Hussein. A partire dal 2012 lo Stato Islamico dell’Iraq è intervenuto nella guerra civile siriana contro il governo di Baššar al-Asad e nel 2013, avendo conquistato una parte del territorio siriano e scelto come propria capitale Raqqa, ha cambiato nome in Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS).

Nel 2014 l'ISIS ha espanso il proprio controllo in territorio iracheno (con la presa in giugno di Mossul), proclamando la nascita del "califfato" il 29 giugno 2014. Le rapide conquiste territoriali dell’ISIS hanno finito per attirare la preoccupazione della comunità internazionale, spingendo gli Stati Uniti d'America e altri Stati occidentali e arabi a intervenire militarmente contro l’ISIS con bombardamenti aerei in Iraq da agosto 2014 e in Siria da settembre 2014.

Dapprima alleato di al-Qaida, rappresentata in Siria dal Fronte al-Nusra, l'ISIS se ne è definitivamente distaccato nel febbraio 2014, diventandone il principale concorrente per il primato nel jihad globale. Così, a partire da ottobre 2014, altri gruppi jihadisti esterni all’Iraq e alla Siria hanno dichiarato la loro affiliazione all'ISIS, assumendo il nome di "province" (wilayat) dello Stato Islamico: tra queste, si sono particolarmente distinte per le loro attività la provincia del Sinai, attiva nella regione egiziana del Sinai, e le province libiche di Barqa e di Tripoli, che, nel contesto della seconda guerra civile libica, controllano alcune città in Libia.

L'ONU e alcuni singoli Stati hanno esplicitamente fatto riferimento allo Stato Islamico come a un'organizzazione terroristica, così come i mezzi d'informazione in tutto il mondo.

Nel maggio del 2003, in Iraq, Paul Bremer, governatore civile dell'Iraq occupato dalle forze americane, dopo l'abbattimento del regime sunnita di Saddam Hussein, emanò un decreto che prevedeva lo scioglimento dell’esercito iracheno. Improvvisamente 400.000 soldati dello sconfitto esercito iracheno furono esclusi da incarichi militari e fu negato loro il trattamento pensionistico. Da questo evento, numerosi ex-militari cominciarono a imbracciare le armi e a combattere contro gli statunitensi e contro il nuovo governo sciita iracheno da essi voluto, cominciando a organizzarsi in gruppi di combattimento e a coordinarsi per riconquistare il potere in Iraq.

Questo gruppo di scontenti formò nel 2004 la Jamaat al-Tawid wa l-jihad, JTJ (Organizzazione del Tawid e del Jihad). Nell'ottobre dello stesso anno, il capogruppo, Abu Mus'ab al-Zarqawi, giurò fedeltà a Osama bin Laden e cambiò il nome dello stesso in Tanim Qaidat al-jihad fi Bilad al-Rafidayn, ossia “Organizzazione della Base del jihad nel Paese dei due Fiumi” (con riferimento alla Mesopotamia), meglio conosciuto come "al-Qaida in Iraq" (AQI), un nome che non è mai stato usato dal gruppo, ma con cui sono state spesso descritte le sue varie incarnazioni.

L'organizzazione, con un intento soprattutto propagandistico, cambiò nuovamente il proprio nome nel gennaio del 2006, questa volta in "Mujahidin del Consiglio della Shura". Il 12 ottobre 2006 il gruppo "Mujahidin del Consiglio della Shura" si unì ad altre quattro fazioni ribelli e il giorno seguente venne annunciata la fondazione del Dawlat al-Iraq al-Islamiyya (Stato islamico dell'Iraq, ISI).

Il 9 aprile 2013, dopo essersi ampliato all'interno della Siria, il gruppo adottò il nome di "Stato Islamico dell'Iraq e del Levante", conosciuto anche come "Stato Islamico dell'Iraq e di al-Sham" o "Stato Islamico dell'Iraq e della Siria", ma anche con le forme abbreviate al-Dawla (Lo Stato) e o al-Dawla al-Islamiyya (Lo Stato Islamico). Il nome viene abbreviato in ISIS o ISIL.

Il 14 maggio 2014 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato la sua decisione di usare Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL) come nome di principale del gruppo.

In seguito alla seconda guerra del Golfo, lo jihadista salafita giordano Abu Mus'ab al-Zarqawi e il suo gruppo di militanti della Jamaat al-tawid wa l-jihad, fondata nel 1999, raggiunse la notorietà nelle prime fasi della guerriglia irachena, non solo attaccando le forze della Coalizione ma anche con attacchi suicidi nei confronti di obiettivi civili e decapitando ostaggi. Il gruppo di al-Zarqawi, crescendo in forze, attrasse nuovi combattenti e nell'ottobre del 2004 si alleò ufficialmente con la rete di al-Qaida di Osama bin Laden, cambiando il proprio nome in Tanim qaidat al-jihad fi Bilad al-rafidayn ("Organizzazione della base del jihad nel Paese dei due fiumi", ossia la Mesopotamia), anche conosciuta come al-Qaida in Iraq (AQI).



Gli attacchi contro i civili, il governo iracheno e le forze di sicurezza aumentarono nei successivi due anni. In una lettera ad al-Zarqawi del luglio 2005 Ayman al-Zawahiri delineò un piano in quattro fasi per espandere la guerra in Iraq: espellere le forze statunitensi dall'Iraq, stabilire un'autorità islamica (un emirato), espandere il conflitto ai vicini laici dell'Iraq e ingaggiare un conflitto arabo-israeliano. Nel gennaio del 2006 AQI unì vari gruppi ribelli iracheni più piccoli in un'organizzazione chiamata "Mujahidin del Consiglio della Shura".

Questo fu soprattutto un atto propagandistico e un tentativo di dare al gruppo un sapore più iracheno, e forse di allontanare al-Qaida da al-Zarqawi, colpevole di aver commesso alcuni errori tattici, come gli attentati terroristici di Amman nel 2005, nel quale vennero colpiti tre alberghi. La rottura definitiva fra i due gruppi avverrà però solo nel 2013. Il 7 giugno del 2006 al-Zarqawi venne ucciso in un bombardamento statunitense e gli succedette come capo dell'AQI il militante egiziano Abu Ayyub al-Masri.

Il 12 ottobre del 2006 venne annunciata la fondazione del Dawlat al-Iraq al-Islamiyya (Stato islamico dell'Iraq, ISI), comprendente i sei governatorati più sunniti dell'Iraq, e Abu Omar al-Baghdadi si autoproclamò comandante, ma di fatto era solamente un prestanome, dato che il potere era detenuto dall'egiziano Abu Ayyub al-Mari, a cui venne dato il titolo di ministro della guerra all'interno del governo dell'ISI, che era composto da dieci elementi. La dichiarazione incontrò la critica ostile degli altri gruppi rivali dell'ISI in Iraq e dei principali ideologi al di fuori dal paese.

Secondo uno studio dei servizi segreti statunitensi all'inizio del 2007 lo Stato Islamico aveva pianificato di sottrarre potere nell'area centrale e occidentale del paese e trasformarle in un califfato. Negli ultimi mesi del 2007 gli attacchi violenti e indiscriminati dell'ISI contro civili iracheni avevano gravemente danneggiato l'immagine del gruppo e causato una perdita di sostegno da parte della popolazione, causandone un maggior isolamento. Molti ex guerriglieri sunniti che precedentemente avevano lavorato con lo Stato Islamico cominciarono a lavorare con le forze americane.

Le truppe statunitensi fornirono nuovo personale per le operazioni contro lo Stato Islamico, e ciò permise di catturare o uccidere molti membri di alto livello del gruppo. al-Qaida sembrava aver perso il suo punto d'appoggio in Iraq e appariva seriamente menomata. Durante il 2008 una serie di offensive statunitensi e irachene riuscì a scacciare i ribelli pro-Stato Islamico dai loro rifugi sicuri (come i governatorati di Diyala e al-Anbar e l'assediata capitale Baghdad) verso l'area della città di Mossul, nel nord del paese, l'ultimo dei grossi campi di battaglia della guerra irachena. Nel 2008 l'ISI si descrive come in uno stato di “straordinaria crisi” ascrivibile a vari fattori, in particolare ai Figli dell'Iraq, una coalizione tribale irachena inizialmente sostenuta dagli Stati Uniti.

Nel 2009 il futuro comandante dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi venne rilasciato dal campo di detenzione americano di Camp Bucca in seguito al parere di una commissione che ne raccomandava il "rilascio incondizionato". Secondo la testimonianza di alcuni ex-internati, il campo era un vero e proprio centro di indottrinamento e addestramento per terroristi, con classi dedicate all'apprendimento delle tecniche per costruire autobombe o perpetrare attacchi suicidi. Sul finire dello stesso anno il comandante delle forze statunitensi in Iraq, il generale Ray Odierno, ha dichiarato che l'ISI “si è trasformato significativamente negli ultimi due anni. Quello che una volta era dominato da individui stranieri è ora diventato sempre più dominato da cittadini iracheni”. Il 18 aprile 2010 i due principali capi di ISI, Abu Ayyub al-Mari e Abu Omar al-Baghdadi, vennero uccisi in un'incursione irachena e statunitense vicino a Tikrit. In una conferenza stampa del giugno del 2010 il generale Odierno ha riportato che l'80% dei 42 principali capi dell'ISI, inclusi reclutatori e finanziatori, sono stati uccisi o catturati, solo otto erano ancora a piede libero. Ha poi detto che erano stati tagliati fuori dal comando pachistano di al-Qaida, e che i servizi segreti hanno potuto portare a termine con successo la missione che ha portato all'uccisione di al-Mari e al-Baghdadi in aprile; in più, il numero di vari attacchi e vittime nei primi cinque mesi di conflitti in Iraq, è stato il più basso dal 2003.

Il 16 maggio del 2012 Abu Bakr al-Baghdadi fu nominato nuovo comandante dello Stato Islamico dell'Iraq. Al-Baghdadi ricostituì l'alto comando del gruppo, decimato dagli attacchi, affidando incarichi a ex militari e ufficiali dei servizi segreti del partito Ba'th che avevano servito sotto il regime di Saddam Hussein. Questi uomini, molti dei quali già prigionieri delle forze americane, arrivarono a costituire un terzo dei venticinque più alti gerarchi di al-Baghdadi. Uno di loro era l'ex colonnello Samir al-Khalifawi, anche conosciuto come ajji Bakr, che ebbe l'incarico di supervisionare le operazioni del gruppo.

Nel luglio del 2012 Abu Bakr al-Baghdadi pubblicò in linea una dichiarazione audio nella quale annunciava che il gruppo stava ritornando verso le roccaforti dalle quali gli statunitensi e i Figli dell'Iraq li avevano scacciati prima del ritiro delle truppe americane. Ha dichiarato inoltre l'inizio di una nuova offensiva in Iraq chiamata “Abbattere i muri” con l'obiettivo di liberare i membri del gruppo rinchiusi nelle prigioni irachene. La campagna “Abbattere i muri” culminò nel luglio del 2013 con il gruppo che effettuava incursioni simultanee a Taji e nella prigione di Abu Ghurayb, liberando più di 500 prigionieri, molti dei quali veterani della guerriglia irachena.

Nel marzo del 2011 cominciarono delle proteste contro il governo siriano di Baššar al-Asad. Nei mesi seguenti la violenza tra i dimostranti e le forze di sicurezza portò alla graduale militarizzazione del conflitto. Nell'agosto del 2011 Abu Bakr al-Baghdadi cominciò a inviare in Siria membri iracheni e siriani dell'ISI con esperienza nella guerriglia per formare un'organizzazione all'interno del Paese. Guidato da un siriano chiamato Abu Muammad al-Jawlani, il gruppo cominciò a reclutare combattenti e a costituire celle terroristiche in tutto il paese. Il 23 gennaio 2012 il gruppo annunciò la sua formazione come Jabhat al-Nura li-Ahl al-Sham, più conosciuto come Fronte al-Nusra. Al-Nura crebbe rapidamente diventando una forza combattente sostenuta dall'opposizione siriana.

Nell'aprile del 2013 al-Baghdadi pubblicò una dichiarazione audio nella quale annunciò che era stato fondato il Fronte al-Nura, finanziato e sostenuto dallo Stato Islamico dell'Iraq e che i due gruppi si stavano fondendo insieme col nome "Stato Islamico dell'Iraq e Al-Sham". Al-Jawani pubblicò una dichiarazione in cui negò la fusione dei due gruppi lamentandosi che né lui né nessun altro all'interno del comando di al-Nura era stato consultato in proposito.

Nel giugno del 2013 Al Jazeera disse di aver ottenuto una lettera del capo di al-Qaida Ayman al-Zawahiri, indirizzata a entrambi i comandanti, nella quale questi si espresse contro la fusione e incaricò un emissario di supervisionare le relazioni tra i due gruppi per porre fine alle tensioni.

Lo stesso mese al-Baghdadi pubblicò un altro messaggio audio rifiutando la decisione di al-Zawahiri e dichiarando che la fusione stava proseguendo. A ottobre al-Zawahiri ordinò lo scioglimento di ISIS, dando al Fronte al-Nura il compito di portare avanti il jihad in Siria, ma al-Baghdadi contestò la decisione sulla base della giurisprudenza islamica e il gruppo continuò a operare in Siria. Nel febbraio del 2014, dopo otto mesi di lotta per il potere, al-Qaida rinnegò qualsiasi relazione con ISIS. L'azione di disconoscimento viene ribadita nuovamente a febbraio 2014 con un comunicato di al-Qaida diffuso via web. Al-Qaida ha giudicato troppo estremi i propositi del movimento.




Secondo la giornalista Sarah Birke ci sono “significative differenze” tra il Fronte al-Nura e ISIS. Mentre al-Nura agisce attivamente per rovesciare il governo di Assad, l'ISIS “tende a essere più focalizzata a istituire un proprio governo nei territori conquistati”. L'ISIS è “molto più spietata” nel creare uno stato islamico “portando avanti attacchi settari e imponendo immediatamente la shari'a”. Al-Nura ha “un numeroso contingente di combattenti stranieri” ed è visto da molti siriani come gruppo sviluppatosi localmente; di contro i combattenti dell'ISIS sono stati descritti come “invasori stranieri” da molti rifugiati siriani.

ISIS conta una grossa presenza nella Siria centrale e settentrionale, dove ha imposto la sharia in alcune città. Il gruppo probabilmente controlla le città di confine di Atmeh, al-Bab, Azaz e Jarablus, e di conseguenza ciò che entra ed esce tra Siria e Turchia. I combattenti stranieri in Siria comprendono alcuni terroristi russofoni che erano parte del Jaysh al-Muhajirin wa l-Anar (JMA). Nel novembre del 2013 Abu Omar al-Shishani, il leader ceceno del JMA, giurò fedeltà ad al-Baghdadi e il gruppo si divise poi tra chi seguì al-Shishani unendosi all'ISIS e quelli che continuarono a operare indipendentemente nella JMA guidati da un nuovo comandante.

Nel maggio del 2014 Ayman al-Zawahiri ordinò al Fronte al-Nura di sospendere gli attacchi all'ISIS. Nel giugno del 2014, dopo continui combattimenti tra i due gruppi, il distaccamento di al-Nura nella città siriana di al–Bukamal promise alleanza con l'ISIS.

La sera del 29 giugno 2014 l'ISIS ha proclamato la restaurazione del Califfato islamico, con Abu Bakr al-Baghdadi come califfo. Nella prima notte di ramadan, lo Shaykh Abu Muhammad al-Adnani al-Shami, portavoce del neonato Stato Islamico, ha dichiarato che il Consiglio della Shura del gruppo ha deciso di fondare formalmente il califfato, descrivendolo come “un sogno che vive nelle profondità di ogni credente musulmano”, e che i musulmani di tutto il mondo dovrebbero giurare la loro fedeltà al nuovo califfo. La fondazione del califfato è stata criticata e ridicolizzata da studiosi musulmani e altri islamisti dentro e fuori i territori occupati, ma molti ribelli erano già stati assimilati dal gruppo. Nell'agosto del 2014 un alto comandante dello Stato Islamico ha dichiarato che “nella Siria orientale non c'è più nessun Esercito siriano libero. Tutti i membri dell'Esercito siriano libero si sono uniti allo Stato Islamico. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani lo Stato islamico ha reclutato più di 6.300 combattenti solo nel mese di luglio 2014, molti di loro provenienti dall'Esercito siriano libero.

Una settimana prima di cambiare il suo nome in "Stato Islamico", l'ISIS ha preso Trabil, attraversando così per la prima volta il confine giordano-iracheno. L'ISIS ha ricevuto un certo sostegno in Giordania, parzialmente dovuto alla repressione attuata dallo stato, ma ha intrapreso una campagna di reclutamento in Arabia Saudita, dove le tribù nel nord hanno rapporti con quelle dell'Iraq occidentale e della Siria orientale. Raghad Hussein, la figlia del dittatore Saddam, che ora vive in Giordania, ha pubblicamente espresso il suo sostegno all'avanzata di ISIS in Iraq, riflettendo l'alleanza di convenienza dei ba'thisti con ISIS e il suo obiettivo di riconquistare il potere a Baghdad.

Nel giugno del 2014 la Giordania e l'Arabia Saudita hanno dislocato le loro truppe ai confini con l'Iraq dopo che l'Iraq stesso ne ha perso, o abbandonato, il controllo dei punti di attraversamento strategici che erano caduti in mano all'ISIS, compiendo alcuni eccidi come il massacro di Camp Speicher dove trovarono la morte circa 160 reclute dell'aeronautica militare irachena. Alcune speculazioni dicono che al-Maliki ha ordinato un ritiro delle truppe dal confine con l'Arabia Saudita in modo da “aumentare la pressione sull'Arabia Saudita e portare la minaccia dell'ISIS a sfondare anche quel confine”.

Nel luglio del 2014 Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, ha dichiarato il suo sostegno al nuovo califfato e al califfo Ibrahim; nel settembre 2014 ha lanciato un'offensiva nell'Adamawa e nel Borno, due stati della Nigeria nord–orientale, seguendo l'esempio dello Stato Islamico. Il 25 dello stesso mese viene distrutta a Mossul la Moschea di Giona che, poiché frequentata anche dai cristiani, viene considerata dallo Stato Islamico "meta di apostasia". Lo Stato Islamico ha inoltre imposto ai cristiani di Mossul di abbandonare la città e di lasciare i propri beni o, in alternativa, di pagare la tassa di protezione, altrimenti sarebbero stati uccisi. L'8 agosto 2014 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha autorizzato i primi bombardamenti mirati contro lo Stato Islamico nel nord dell'Iraq e il lancio di aiuti umanitari alle popolazioni in fuga dalle zone da esso occupate.

I primi attacchi sono stati effettuati con dei caccia F-18 e dei droni Predator. Le incursioni americane hanno permesso a ventimila dei quarantamila Yazidi (una minoranza finita nel mirino dello Stato Islamico, che nei giorni precedenti ne aveva uccisi almeno 500 durante l'avanzata nel nord dell'Iraq, seppellendo vive parte delle vittime, inclusi donne e bambini, e rapendo quasi trecento donne per trasformarle in schiave), di fuggire dai Monti del Sinjar, dove erano intrappolati sotto la minaccia dei jihadisti. Inoltre grazie all'appoggio aereo i curdi hanno riconquistato Guwair e Makhmur, due cittadine in posizione strategica, e l'esercito iracheno ha lanciato due controffensive una nel distretto di al-Bakri e una nel distretto di Muqdadiyya. Il 10 agosto i terroristi hanno assediato 50.000 yazidi rifugiatisi sul monte Sinjar, uccidendone almeno 500 e seppellendoli in fosse comuni. Per aiutare gli yazidi in trappola, gli Stati Uniti hanno inviato una missione militare composta da 100 uomini tra marines e forze speciali con il compito di organizzare una via di fuga per i civili minacciati. Il 15 agosto 2014 il consiglio europeo ha approvato la fornitura di armi ai Curdi per aiutarli a contenere l'avanzata dello Stato Islamico.



Nei giorni successivi le truppe dell'ISIS si sono rese responsabili di un nuovo massacro nel villaggio yazidi di Kocho, in cui hanno ucciso oltre 80 uomini e hanno rapito più di 100 donne, dopo che gli abitanti si erano rifiutati di convertirsi all'Islam. Altri eccidi commessi dallo Stato Islamico nei confronti degli yazidi nella prima metà di agosto si sono svolti nei villaggi di Quiniyeh (70-90 morti), Hardan (60 morti), Ramadi Jabal (60-70 morti), Dhola (50 morti), Khana Sor (100 morti), Hardan (250-300 morti), al-Shimal (decine di vittime), Khocho (400 morti e 1.000 donne rapite) e Jadala (14 morti); altri 200 yazidi sono stati uccisi per aver rifiutato la conversione nella prigione di Tal Afar, mentre centinaia (tra cui almeno 200 bambini) sono deceduti di stenti durante la fuga o sono stati uccisi da bombardamenti di mortaio lungo le strade. Stime dell'ONU parlano di circa 5.000 yazidi (soprattutto uomini) uccisi e altri 5.000-7.000 (soprattutto donne e bambini) catturati e sovente venduti come schiavi.

Oltre agli yazidi e ai cristiani assiri, lo Stato Islamico ha perseguitato anche la minoranza sciita dei turcomanni, 700 dei quali sono stati massacrati tra l'11 e il 12 luglio nel villaggio di Beshir. Altri dei più sanguinosi eccidi perpetrati dallo Stato Islamico hanno avuto luogo il 10 giugno a Mosul (dove 670 detenuti sciiti del carcere di Badush sono stati fucilati), tra il 12 e il 15 giugno a Camp Speicher (tra i 1.095 e i 1.700 soldati iracheni sono stati fucilati dopo avere abbandonato la base, e migliaia di altri sono scomparsi), il 16 luglio a Shaer (200 soldati siriani fucilati dopo la presa di un giacimento di gas) e il 24 agosto a Tabqa (250 soldati siriani sono stati fucilati dopo la presa della base aerea di Tabqa).

Lo Stato islamico ha operato massacri anche in Siria, dove nelle prime due settimane di agosto ha ucciso oltre 700 membri della tribù sunnita degli Chaitat, che si era ribellata alla sua autorità nell'est del paese. Il 17 agosto 2014 le forze peshmerga curde annunciano di aver ripreso il controllo della diga di Mossul, un importante sito strategico, con l'aiuto dei bombardamenti aerei americani, e di aver riconquistato le cittadine di Tel Skuf, Ashrafia e Batnaya. La notizia viene smentita dallo Stato Islamico che la rigetta come "mera propaganda di guerra". Anche secondo altre fonti la diga di Mossul sarebbe ancora nelle mani dello Stato Islamico. Il 19 agosto 2014 l'esercito iracheno lancia un'offensiva per riconquistare la città di Tikrit.

La questione dell'acronimo corretto da utilizzare per riferirsi al gruppo è stata discussa da molti commentatori. Ishaan Taroor del Washington Post ha concluso:

« Nel crescente campo di battaglia delle controversie di editing, la distinzione tra ISIS o ISIL non è così grande.»
Il 29 giugno 2014 venne annunciata la fondazione di un califfato, guidato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, chiamato Stato Islamico.

Alcuni analisti hanno osservato che eliminare il riferimento geografico dal nome ha ampliato il raggio d'azione del gruppo e Laith Alkhouri, un analista del terrorismo, pensa che dopo aver conquistato molte aree della Siria e dell'Iraq, ISIS abbia visto la concreta opportunità di prendere controllo di un movimento jihadista globale.

Alla fine dell'agosto del 2014 una delle principali autorità islamiche egiziane, la Dar al-Ifta al-Miriyya, ha consigliato ai musulmani di smettere di chiamare il gruppo Stato Islamico ma di riferirsi a esso come Separatisti di al-Qaida in Iraq e Siria o QSIS, dato il carattere non-islamico dell'organizzazione.

I detrattori di ISIS, particolarmente in Siria, si riferiscono al gruppo usando l'acronimo arabo Daish - più volgarmente Daesh -, che può significare al-Dawla al-Islamiyya fi Iraq wa l-Sham ("Stato Islamico dell'Iraq e del Levante", o "della Grande Siria"), ma che può essere anche letto con significati spregiativi, motivo per cui il gruppo considera il termine denigratorio e punisce con la fustigazione coloro che lo usano. Il termine viene utilizzato anche a livello internazionale; in occasione dell'attentato al consolato italiano al Cairo dell'11 luglio 2015, il ministro italiano Paolo Gentiloni ha dichiarato "Risponderemo con rinnovata determinazione nel contrasto al Daesh e al fanatismo terrorista".

Lo Stato Islamico è un'organizzazione estremista islamica, d'ispirazione salafita, che considera il jihad globale un dovere di ogni musulmano. Come al-Qaida e molti altri gruppi jihadisti odierni, lo Stato Islamico è un prodotto dell'ideologia dei Fratelli Musulmani, la prima organizzazione islamista al mondo, che tuttavia non afferma la cogenza del jihad avendo da tempo optato per una strategia legale per salire al potere. Segue un'interpretazione radicale e anti-occidentale dell'Islam, promuove la violenza religiosa e considera coloro che non concordano con la sua interpretazione del Corano infedeli e apostati; sostiene di rifarsi all'Islam delle origini e rifiuta le “innovazioni” più recenti considerandole responsabili della corruzione del suo spirito originario. Condanna i califfati più recenti e l'Impero ottomano per aver deviato da quello che chiama “Islam puro”, per restaurare il quale ha stabilito un suo califfato. Allo stesso tempo lo Stato Islamico mira a fondare uno stato fondamentalista salafita, e quindi sunnita, in Iraq, Siria e altre parti del levante.

Dopo aver conquistato le città irachene, ISIS ha pubblicato alcune linee guida su come indossare veli e vestiti. L'ISIS avverte le donne di Mossul di indossare veli che coprano tutto, pena una severa punizione.



Un religioso ha dichiarato alla Reuters di Mossul che uomini armati dell'ISIS gli hanno ordinato di leggere gli avvertimenti ai fedeli nella sua moschea. ISIS ha anche messo al bando manichini nudi e ordinato che le facce dei manichini sia maschili sia femminili venissero coperte. ISIS ha pubblicato 16 note chiamate “Contratto con la città”, una serie di regole rivolte ai civili di Nineveh. Una regola stabilisce che le donne devono stare in casa e non uscire a meno che non sia necessario. Un'altra regola dice che rubare sarà punito con l'amputazione della mano. Oltre a bandire la vendita e il consumo di alcolici, che è normale nella cultura musulmana, ISIS ha vietato la vendita e l'uso di sigarette e narghilè. Hanno anche messo al bando “musica e canzoni in macchina, alle feste, in negozi e in pubblico, così come fotografie di persone nelle vetrine dei negozi”.

I cristiani che vivono in aree sotto il controllo dell'ISIS che vogliono rimanere nel califfato hanno tre opzioni: convertirsi all'islam, pagare l'imposta religiosa oppure la morte. “Offriamo tre scelte: l'islam, la dhimma, che include il pagamento della jizya, se rifiutano questo non avranno nient'altro che la spada”, ha dichiarato l'ISIS. ISIS ha già imposto simili regole per i cristiani di Al-Raqqa, in Siria, una delle città più liberali della nazione.

I seguaci dell’ISIS sono combattenti che hanno aderito alla causa, o sono stati costretti a farlo, erano appena mille nel 2012, ora se ne contano diverse decine di migliaia.
Si tratta di ragazzi in cerca di un lavoro, alcuni sono nati in Iraq, Siria e territori limitrofi, ma molti di loro parlano inglese e sono partiti da diverse parti del mondo, anche dall’Europa, attratti dalla propaganda dell’ISIS (per indicare questi ultimi si fa spesso riferimento all’espressione “Foreign Fighters“).

Ci sono molti combattenti stranieri tra le file dell'ISIS. Nel giugno del 2014 la rivista inglese The Economist riporta che «l'ISIS potrebbe avere fino a 6.000 combattenti in Iraq e 3–5.000 in Siria, inclusi forse 3.000 stranieri; quasi un migliaio si dice vengano dalla Cecenia e forse cinquecento o qualcosa di più da Francia, Gran Bretagna e altre parti d'Europa». Il comandante ceceno Abu Omar al-Shishani, ad esempio, è stato nominato tale per il settore nord della Siria dall'ISIS nel 2013. Secondo il New York Times nel settembre del 2014 c'erano più di 2.000 europei e 100 americani tra i combattenti stranieri dell'ISIS.

La bandiera dell’ISIS vede campeggiare su uno sfondo nero la frase in bianco “Non vi è altro Dio all’infuori di Allah e Muhammad è il Suo Messaggero“.
Si tratta del principio più importante per tutto l’Islam e rappresenta il primo pilastro della fede musulmana.

Ulteriore elemento simbolico, fortemente evocativo per i musulmani più acculturati, è il luogo prescelto nell'estate del 2014 per l'annuncio della costituzione del "Califfato" islamico: la moschea di Mossul, detta al-Nuri, così detta perché fondata dal sultano turco Nur al-Din (il nostro Norandino), che avviò proprio da Mossul la riconquista islamica della Terrasanta occupata dai crociati. Anche il nome di battaglia del suo capo non è casuale, essendo la sua kunya Abu Bakr quella del primo califfo "ortodosso" (rashid) della Umma islamica, mentre la nisba al-Baghdadi sottolinea la originale matrice del suo capo e del movimento: l'Iraq, di cui Baghdad è la capitale e che fu, dall'VIII al XIII secolo, sede prestigiosa del califfato abbaside.

La particolarità dell’ISIS è il suo massiccio uso della rete, con le stesse competenze di una moderna azienda multinazionale.
E’ stata provata l’esistenza di una fitta rete di account Twitter che condividono i messaggi dei membri più influenti dell’organizzazione. Video, foto e social network sono solo alcune delle nuove “armi” a disposizione dell’ISIS per la propaganda del loro pensiero.

Sul giornale online dell'ISIS Dabiq è stato poi pubblicato il 12 ottobre un fotomontaggio, che è stato (come probabilmente sperava l'ISIS) puntualmente riproposto dai media occidentali, in cui era raffigurata sullo sfondo la Basilica di San Pietro a Roma, con il vessillo dell'ISIS sventolante al di sopra dell'obelisco della piazza, e un titolo (The failed Crusade) in cui si sottolineava il "fallimento" della "Crociata" - intesa dai componenti dello Stato Islamico dall'inefficacia dei bombardamenti aerei alleati - e l'imminente inevitabile conquista di Roma, assurta a simbolo dell'intero Occidente.

E’ stato stimato che il guadagno dell’ISIS ammonti a circa 3 milioni di dollari al giorno, per un totale di oltre due miliardi.
Il 90% di questa ricchezza deriva dal business del petrolio, ma vi concorrono anche donazioni private, saccheggi, furti nelle banche dei territori conquistati e altre attività non ancora chiare.

Uno studio di duecento documenti (lettere personali, note spesa e registri dei membri) appartenenti ad al-Qaida in Iraq e a ISIS stesso è stato effettuato dalla RAND Corporation nel 2014. Si è scoperto che tra il 2005 e il 2010 le donazioni dall'estero arrivavano solo al 5% del capitale a disposizione del gruppo, il resto veniva raccolto in Iraq. Nel periodo di tempo studiato, alle cellule era richiesto d'inviare fino al 20% degli introiti derivanti da rapimento, estorsione e altre attività, al livello superiore della gerarchia del gruppo. I comandanti di grado più alto avrebbero poi distribuito i fondi alle celle provinciali o locali che si trovavano in difficoltà o avevano bisogno di soldi per condurre gli attacchi. I dati mostrano che per il denaro liquido ISIS contava su membri di Mossul, la cui dirigenza era usata per elargire ulteriori fondi ai miliziani di Diyala, ala al-Din (Salahuddin) e Baghdad che si trovavano in difficoltà.

Nella metà del 2014 lo spionaggio iracheno ha ottenuto informazioni da un membro dell'ISIS, il quale ha rivelato che le risorse del gruppo ammontano a due miliardi di dollari statunitensi. ISIS è così il più ricco gruppo jihadista del mondo. Alcune voci dicono che circa tre quarti di questa somma è rappresentata da risorse di cui il gruppo si è impadronito durante la presa di Mossul nel giugno del 2014; queste includono fino a 429 milioni di dollari rubati dalla banca centrale di Mossul, assieme ad altri milioni e a una grande quantità di lingotti d'oro rubati da altre banche di Mossul. È stato però messo in dubbio il fatto che ISIS abbia potuto recuperare una somma così imponente dalla banca centrale e abbia realizzato le rapine in banca di cui è accusata.

ISIS ha regolarmente praticato l'estorsione, ad esempio domandando denaro ai camionisti, minacciandoli di far esplodere il loro carico. Le rapine in banca e alle gioiellerie sono state altre fonti di guadagno. È risaputo, inoltre, che il gruppo abbia ricevuto fondi da donatori privati dagli stati del Golfo, e sia il primo ministro iraniano sia quello iracheno Nuri al-Maliki hanno accusato l'Arabia Saudita e il Qatar di finanziare l'ISIS, senza però fornire prove.

Si pensa che il gruppo riceva dei considerevoli finanziamenti dalle sue operazioni nella Siria orientale, dove ha sequestrato campi petroliferi e contrabbandato materiali grezzi e beni archeologici. ISIS guadagna denaro anche dalla produzione di petrolio greggio e vendendo energia elettrica nella Siria settentrionale e al governo siriano.



Fin dal 2012 l'ISIS ha prodotto rapporti annuali dando informazioni numeriche sulle sue operazioni in uno stile che ricorda i report aziendali, incoraggiando potenziali donatori.

All'inizio di settembre del 2014 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite decise di mandare in Iraq e in Siria un team per investigare su abusi e uccisioni “di portata inimmaginabile” compiute dallo Stato Islamico. Zeid Ra'ad al Hussein di Giordania, che ha sostituito Navanethem Pillay come Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha incoraggiato i capi mondiali a intervenire per proteggere le donne e bambini che si trovano tra le mani dei combattenti dello Stato Islamico, che si diceva stessero cercando di creare una “casa del sangue”. Ha fatto appello alla comunità internazionale perché concentri i suoi sforzi per porre fine al conflitto in Iraq e Siria.

Lo Stato Islamico obbliga le persone che si trovano nelle aree sotto il suo controllo ad attestare la propria fede islamica, vivere secondo la propria interpretazione dell'islam sunnita e sotto la Legge coranica con la pena di morte, tortura e mutilazione genitale. La violenza è rivolta verso i musulmani sciiti, Assiri, yazidi, drusi, caldei, siriaci e armeni cristiani, in particolare shabak e mandei.

Amnesty International ha accusato l'ISIS di pulizia etnica nei gruppi minoritari dell'Iraq settentrionale.

Durante il conflitto iracheno del 2014, l'ISIS ha pubblicato dozzine di video che mostrano il trattamento riservato ai civili, molti dei quali erano considerati in base alla loro religione e gruppo etnico. Navanethem Pillay, da Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha segnalato la presenza di crimini nella zona di guerra dell'Iraq divulgando un rapporto delle Nazioni Unite in cui si fa riferimento a militari iracheni e diciassette civili uccisi in una strada di Mossul da parte dei combattenti dell'ISIS. Le Nazioni Unite riportano inoltre che dal cinque al ventidue giugno ISIS ha ucciso più di mille civili iracheni e ne ha feriti almeno un altro migliaio. Dopo la pubblicazione da parte di ISIS di fotografie che ritraggono i suoi combattenti uccidere file di giovani uomini, le Nazioni Unite hanno dichiarato che le esecuzioni a sangue freddo eseguite dall'ISIS nell'Iraq settentrionale vanno quasi sicuramente annoverate tra i crimini di guerra.

L'avanzata dell'ISIS in Iraq nella metà del 2014 è stata accompagnata da continua violenza in Siria. Il 29 maggio un villaggio siriano è stato assaltato dall'ISIS e almeno quindici civili sono rimasti uccisi, secondo Human Rights Watch almeno sei erano bambini. Un ospedale della zona ha confermato di aver ricevuto quindici corpi lo stesso giorno. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha riportato che il primo giugno un uomo di centodue anni è stato ucciso con tutta la sua famiglia in un villaggio a Hama.

L'ISIS ha reclutato nei propri ranghi bambini iracheni che possono essere visti mentre pattugliano le strade di Mossul imbracciando un fucile con una maschera in faccia.

Secondo un rapporto, la presa delle città irachene nel giugno del 2014 da parte dell'ISIS è stata accompagnata da un'impennata di crimini contro le donne. Il Guardian ha riportato che l'agenda estremista dell'ISIS si estende al corpo delle donne e che le donne che vivono sotto il suo controllo sono state catturate e stuprate.

Hannaa Edwar, una delle principali sostenitrici dei diritti delle donne a Baghdad, che dirige un'organizzazione non governativa chiamata "Iraqi Al-Amal Association", ha dichiarato che nessuno dei suoi contatti a Mossul ha potuto confermare alcun caso di stupro. Un'altra attivista per i diritti delle donne di Baghdad, Basma al-Khatib, ha detto che una cultura della violenza contro le donne esiste in Iraq e si sente sicura del fatto che avvenissero violenze sessuali nei confronti delle donne a Mossul non solo per opera dell'ISIS, ma di tutti i gruppi armati.

Durante un incontro con Nuri al-Maliki, il ministro degli Esteri britannico Wiliam Hague ha dichiarato: "Chiunque glorifichi, supporti o si unisca all'ISIS deve capire che aiuterebbe un gruppo responsabile di rapimento, tortura, esecuzioni, stupro e molti altri orribili crimini". Secondo Martin Williams del The Citizen, un quotidiano sudafricano, una parte dei membri appartenenti alla linea dura del salafismo considerano il sesso extraconiugale con più partner come una forma legittima di guerra santa ed è "difficile riconciliare questo con una religione nella quale alcuni seguaci insistono che le donne debbano essere coperte dalla testa ai piedi, con solo una sottile apertura sugli occhi".

Haleh Esfandiari del Woodrow Wilson International Center for Scholars ha sottolineato l'abuso su donne locali da parte dei combattenti dell'ISIS dopo aver catturato un'area. "Solitamente prendono le donne più vecchie a un improvvisato mercato degli schiavi e provano a venderle. Le più giovani... sono stuprate o date in spose ai combattenti.  È basato sul matrimonio temporaneo e una volta che questi combattenti hanno fatto sesso con queste giovani donne, le passano ad altri combattenti".

Alcuni testimoni hanno dichiarato che alcune ragazze yazide, dopo essere state stuprate dai combattenti dell'ISIS, si sono suicidate gettandosi dal monte Jebel Sinjar.

L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha evidenziato come l'ISIS promuova la persecuzione delle persone omosessuali prevedendo per loro la pena capitale.

Diversi Tribunali islamici, tra cui le Corti islamiche di Wilayat al-Furat, di Mayadin e di Dayr al-Zor, hanno condannato a morte diversi omosessuali con metodi particolarmente brutali e cruenti, anche ispirati a un antico supplizio islamico secondo cui "i sodomiti devono essere fatti precipitare dal punto più alto della città, e poi lapidati fino alla morte". Alcuni omosessuali, quindi, sono stati legati e portati in cima al tetto del palazzo più alto della città, fatti precipitare a terra, e poi lapidati pubblicamente.

Alcuni commentatori sunniti come Zayd Hamis, e anche mufti jihadisti e salafiti come Adnan al-Aroor e Abu Basir al-Tartusi, ritengono però che lo Stato Islamico e altri gruppi terroristici a esso correlati non siano affatto salafiti, ma eretici kharigiti, al servizio di un'agenda imperiale anti-islamica.

Altre fonti associano invece l'ideologia del gruppo non al Fondamentalismo islamico e al jihadismo di al-Qaida, ma al Wahhabismo. Secondo lo studioso Bernard Haykel il wahabismo è “il parente più stretto dello Stato Islamico.  Per al-Qaida la violenza è un mezzo per arrivare a un fine, per ISIS è un fine in sé”. Secondo il New York Times, “tutti i più influenti teorici del jihad criticano lo Stato Islamico definendolo anormale, considerando nullo l'autoproclamato califfato” e criticandolo per le decapitazioni di giornalisti e operatori umanitari.

I salafiti, come gli appartenenti allo Stato Islamico, credono che solo un'autorità legittima possa intraprendere la direzione del jihad, e che la purificazione della società islamica sia prioritaria rispetto ad altre attività, come quella di combattere contro Paesi non musulmani. Ad esempio, per quanto riguarda la questione palestinese, lo Stato Islamico considera amas – un gruppo sunnita che costituisce la branca dei Fratelli Musulmani in Palestina – come apostata e senza alcuna autorità per guidare il jihad. Combattere amas potrebbe quindi essere il suo primo passo verso il confronto con Israele.

Alla fine di settembre del 2014 più di centoventi studiosi islamici di tutto il mondo hanno firmato una lettera aperta al leader dello Stato Islamico rifiutando esplicitamente le interpretazioni che il gruppo dà del Corano e della Hadith per giustificare le proprie azioni. La lettera rimprovera lo Stato Islamico per le esecuzioni dei prigionieri, descrivendole come “atroci crimini di guerra”, e per la persecuzione degli yazidi, definita “abominevole”. Accusano inoltre il gruppo di istigare la fitna istituendo la schiavitù in contraddizione all'interpretazione antischiavista che gli ulema danno al giorno d'oggi.

L'11 ottobre 2014, Mazen Darwish, avvocato siriano di fede musulmana, ha inviato una lettera aperta al quotidiano ‘The Guardian’ nella quale dice: Le conseguenze disastrose di ciò sono chiaramente evidenti nel mondo arabo e in Siria, il mio paese, dove le forme più violente di fascismo e la più sporca barbarie sono praticate in nome del patriottismo e dell’Islam, nella stessa misura... Non potete uccidere un'idea eliminando la gente.

In un comunicato l'ONU fa riferimento allo Stato Islamico come "gruppo terroristico", in un altro comunicato del 2 settembre 2014 si riferisce all'ISIS come al «so-called Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL)» (cosiddetto ISIL), contemporaneamente esprimendo apprezzamento alle forze di sicurezza irachene e peshmerga impegnate nella difesa di Amerli. Ha inoltre dichiarato il più alto livello di emergenza sotto il profilo umanitario e invitato il governo iracheno a formare un governo il prima possibile entro i limiti della Costituzione irachena.

Alcuni cospirazionisti hanno avanzato l'ipotesi secondo cui dietro lo Stato Islamico ci siano gli Stati Uniti d'America, che così facendo intendono destabilizzare ulteriormente il vicino oriente. Le prime notizie in tal senso furono pubblicate nel luglio 2014 dal Gulf Daily News, una testata che ha sede nel Bahrein. Quando tali indiscrezioni hanno cominciato a guadagnare consensi, l'ambasciata americana in Libano ha emesso un comunicato ufficiale in cui nega le accuse, definendole una totale invenzione.

Un'altra teoria complottista afferma che Abu Bakr al-Baghdadi è in realtà un attore e agente israeliano del Mossad chiamato “Simon Elliot”: chi condivide questa asserzione ribadisce che ciò si evince dai documenti scoperti da Edward Snowden, ma l'avvocato di quest'ultimo ha definito tutta la vicenda “una bufala”.



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