martedì 30 agosto 2016

AMPUTAZIONI AGLI ANIMALI

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L’aspetto degli animali è curato eccessivamente, si utilizzano vestiti (a volte addirittura vestiti firmati) e si arriva a volte ad amputare parti del corpo dell’animale, nel segno della “maggiore bellezza” o della miglior presenza estetica: tagliare le orecchie perché siano più dritte e non cadenti, tagliare la coda, ecc..

Storicamente si amputavano le orecchie di cani da guardia e da difesa, come i dobermann, i bulldog e i boxer, per fare in modo che non avessero punti vulnerabili nel momento della lotta con altri animali. Questo tipo di pratica si è poi diffuso per ragioni estetiche, però quello che invece non è chiaro è che queste operazioni influiscono sulle interazioni sociali dell’ animale, oltre ad esporlo a dolori inutili e infezioni.

Al contrario del taglio di unghie e pelo, che fanno parte della cura e della pulizia generale del cane, l’ amputazione di coda e orecchie consistono nel taglio di tessuto cartilagineo, nervi, vasi sanguigni e altri tessuti, che possono mettere a repentaglio la salute dell’ animale.

Il cane ha bisogno di coda e orecchie per poter comunicare. Oltre alla comunicazione orale (come può essere l’ abbaiare, il ringhiare, ecc..) i cane comunicano  per mezzo di altri segnali, come ad esempio il movimento della coda e delle orecchie, attraverso l’odore e altri segnali fisici. La posizione delle orecchie e il movimento della coda trasmettono informazioni essenziali per la socializzazione con altri animali.

La coda inoltre è l’estensione della colonna vertebrale del cane e, oltre che da muscoli e tendini, è composta da ossa. Questo la rende una parte essenziale per l’equilibrio dell’animale. La coda permette anche una normale corsa, la possibilità di saltare e di fare tutta una serie di trucchi e piroette. Senza coda questi movimenti risulterebbero molto più complicati e faticosi.

Non soddisfatti dalla mutilazione di coda e orecchie, molti padroni vanno dal veterinario chiedendo l’amputazione delle corde vocali del loro animale, perché sono infastiditi dai versi del loro cane. Il risultato è che i cani diventano muti, incapaci di abbaiare o in grado di abbaiare solo flebilmente. Questo provoca gravi conseguenze, come la difficoltà a socializzare, poiché il cane comunica con gli altri animali e con il suo padrone abbaiando.

Nel caso dei gatti molte volte viene amputata la prima falange di ciascun dito, dove crescono le unghie. Questa pratica previene la crescita delle unghie, deformando però le zampe del felino che si ritrovano molto più esposti a infezioni e traumi, oltre che privati delle loro doti naturali, come l’agile arrampicata.

Le amputazioni sono molto traumatiche e dolorose per gli animali. Anche se l’ amputazione della coda viene solitamente realizzata nei primi cinque giorni di vita dell’animale e molti veterinari utilizzino l’anestesia locale, questa causa ai nostri piccoli amici molto dolore. Inoltre alcuni allevatori non utilizzano l’anestesia e causano agli animali sofferenze ancora maggiori.

L’amputazione delle orecchie invece è caratterizzata da un abbondante sanguinamento e un processo post operatorio molto sgradevole per l’animale. Se inoltre le cure e le attenzioni post operatorie e il procedimento utilizzato non sono adeguati, le amputazioni possono addirittura causare la morte dell’animale, poiché si formano ferite aperte molto suscettibili a infezioni che possono raggiungere l’osso, compromettendo ad esempio la colonna vertebrale e, in casi estremi, causare setticemia.

L'età migliore per il cucciolo è intorno al 60°-70° giorno, la conchectomia è un vero e proprio intervento chirurgico eseguito in anestesia totale.

Dopo l'asportazione di una parte del padiglione auricolare, il taglio viene effettuato in base alle proporzioni della testa, vengono applicati dei punti di sutura che verranno tolti dopo 12 giorni e le orecchie vengono fissate alla testa mediante dei cerotti.

La fase del risveglio è quella più critica, bisogna essere assolutamente vicini al cucciolo.

In questi 12 giorni si effettuano medicazioni e dopo aver tolto i punti di sutura le orecchie devono stare 4-5 giorni libere per permettere la completa cicatrizzazione della ferita, dopodichè si passa alla fase della "steccatura", che ha lo scopo di far sì che il cane tenga le orecchie dritte, mediante cornetti cioè cotone idrofilo arrotolato strettamente lungo quanto le orecchie. Questi bastoncini vengo infilati dentro le orecchie e avvolti partendo dalla base con strisce di cerotto traspirante.

Durante questa operazione le orecchie devono essere perpendicolari al cranio. Questa operazione va ripetuta ad intervalli settimanali fino a quando le orecchie staranno diritte. Tra una steccatura e l'altra bisogna lasciare libere le orecchie per 1 o 2 giorni e con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool pulirle e togliere la colla lasciata dal cerotto.



Dal 1 gennaio di quest’anno le razze italiane “Cane Corso” e “Mastino Napoletano” non prevedono più la conchectomia estetica nello standard ufficiale internazionale. La Federazione Cinologica Internazionale (FCI) ha approvato le modifiche- proposte dall’Italia- e modificato gli standard internazionali di bellezza: per il cane corso “ears are un-cropped” e per il mastino napoletano “ears are natural”. Si tratta di due razze italiane per le quali vigevano ancora standard antecedenti il divieto di amputazione estetica.

Questo traguardo – che allinea estetica ed etica- è il risultato dell’impegno preso da ENCI, ANMVI e FNOVI nella Dichiarazione congiunta, firmata a Milano un anno fa, che avviava – presso la Federazione Cinologica Internazionale (FCI)- l’avvio delle procedure di modifica dello standard in favore dell'integrità delle orecchie. L’iter di modifica si è concluso a Zagabria a novembre del 2015.

“E’ un successo di cui possiamo andare fieri e del quale possiamo a buon diritto rivendicare il merito- commenta il Presidente ANMVI Marco Melosi. Quando un anno fa abbiamo sottoscritto la Dichiarazione ANMVI-FNOVI-ENCI per l’osservanza dei divieti di amputazione estetica – prosegue Melosi- ci siamo dati un obiettivo radicale, per cancellare alla fonte una giustificazione estetica della conchectomia, procedura vietata in Italia in seguito alla ratifica, nel 2010, della Convenzione Europea per la Protezione degli Animali da Compagnia” (Legge 201/2010). Dal 2010, infatti, le amputazioni estetiche in Italia sono considerate reato penale di maltrattamento animale”.

Che la strada non fosse proprio tutta in discesa lo conferma il Presidente ENCI Dino Muto: "La modifica degli standard del Mastino Napoletano e del Cane Corso, che l’ENCI ha già difeso con successo vincendo una causa promossa presso il tribunale di Milano, sono un passo che da tempo si attendeva da parte della cinofilia ufficiale e che ho voluto, non appena assunto il ruolo di Presidente, in tempi più rapidi possibile. Speriamo che tale iniziativa italiana – aggiunge il Presidente dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana- venga presto seguita da alcuni Kennel Club esteri per la modifica dei pochi altri standard di razza non italiane che consentono ancora la conchectomia. Confidiamo che i medici veterinari non si prestino a effettuare la conchectomia se non per motivi realmente legati alla salute dei cani.”

Le nuove regole di standard non si applicheranno retroattivamente, come del resto non sono considerabili penalmente penali le amputazioni antecedenti l’entrata in vigore della Legge 201/2010. “Tuttavia- aggiunge Melosi- cambieranno definitivamente gli scenari delle competizioni di bellezza canina e il futuro di questi cani, perché viene definitivamente superata una discrasia etica fra la normativa vigente in Italia e i criteri estetici internazionali”.

Soddisfazione per la modifica degli standard è espressa anche dalla Vicepresidente Fnovi Carla Bernasconi secondo la quale "La cinofilia italiana fa una altro passo avanti nel rispetto dei cani". La Vicepresidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari Italiani ricorda che per tutti i cani, in Italia, le amputazioni di orecchie (conchectomia) e della coda (caudotomia) sono legali solo quando eseguite a scopo terapeutico da un Medico Veterinario che ne certifica- sotto la propria responsabilità- l’esecuzione e la finalità.

Per la caudotomia valgono anche le prescrizioni del Consiglio Superiore di Sanità che ha ammesso il taglio della coda a scopo di prevenzione in alcune razze da lavoro, in quanto esposte a rischio di traumi e compromissioni del benessere. Al riguardo la Fnovi ha prodotto specifiche linee guida veterinarie su divieti ed eccezioni consentite.


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IL DOBERMANN

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Il dobermann è recente e le sue origini si formarono nel lasso di tempo che va dal 1850 al 1870 ad Apolda nell'attuale Turingia in Germania. Il creatore della razza, Friedrich Louis Dobermann, in questa città si occupò di svariati incarichi, tra i quali quello di messo comunale ed esattore delle tasse, lavori pericolosi da quelle parti e per quei tempi. Frequentatore di mostre canine dove venivano esposti animali selezionati per le loro qualità migliori (velocità, caccia, guardia), sentì l'esigenza di selezionare una razza dove spiccassero alcune qualità, come il coraggio, la tempra e l'amore viscerale verso il conduttore. Creò un cane che, nel momento del bisogno, si tramuta nel miglior difensore che si possa desiderare di avere al proprio fianco.

Le razze utilizzate per la selezione del dobermann sono varie e non si conoscono tutte con certezza. La base di partenza fu il pinscher - per l'esattezza una femmina fuori taglia chiamata in un primo momento bismarck e poi cambiata in bismart per evitare di offendere il primo cancelliere Otto von Bismarck - e vennero poi introdotti lo stoppelhopser l'antenato dell'attuale cane da pastore tedesco ed oggi completamente estinto come anche il cane da macellaio progenitore dell'attuale rottweiler usato come bovaro, il levriero greyhound, il beauceron -da notare le somiglianze morfologiche e caratteriali tra le due razze ed il fatto che, in tempi non lontani, il dobermann venisse chiamato baruch- , il Manchester black and tan terrier ed infine l'alano blu ed il bracco di Weimar che si riscontrano tuttora nei soggetti di colore "blu" ed "Isabella".

La razza dobermann venne ufficialmente riconosciuta nel 1898, ben quattro anni dopo la morte del suo creatore. Il merito maggiore dell'istituzione di un libro genealogico sulla razza va ad Otto Göller, giudice nelle esposizioni tedesche, amico di Karl Friedrich ed allevatore e studioso della stessa. Göller allevava con il suffisso "Von Turingen" ed i primi dobermann ad entrare nel libro delle origini tedesco furono i suoi Graaf Belling V. Gronland e Gerthilde V. Gronland.

Durante la prima guerra mondiale, i dobermann vennero impiegati nell'esercito tedesco per portare ordini al fronte, ricercare feriti e dispersi e per fare la guardia a prigionieri o depositi. Oggigiorno viene adoperato da moltissime associazioni di pubblica utilità come cane da ricerca e soccorso e da svariati eserciti come cane da difesa o da ricerca di stupefacenti ed esplosivi. Negli USA viene usato dai marines che lo soprannominano "devil dog" a causa della particolare similitudine con le corna che assumono le orecchie quando vengono tagliate.

Contrariamente a come viene spesso descritto, il dobermann è un cane pacifico e socievole, ma suscettibile, infatti non attacca mai per primo. Affettuoso, attento, curioso, molto coraggioso, è spesso vittima di false leggende negative, come per esempio la crescita eccessiva del cervello con conseguente pazzia che deriverebbe dalla compressione dello stesso nella scatola cranica che ne fanno una delle razze più discusse.

A sfatare il mito del "cervello che cresce più della scatola cranica" o "del cranio che smette di crescere e schiaccia il cervello" - al di là dell'evidente contraddizione tra le due versioni e della sciocchezza a livello anatomico - è sufficiente la constatazione che la compressione della massa cerebrale, anche in misura minima, creerebbe evidenti problemi non solo a livello di umore e di carattere, ma anche a livello motorio e sensoriale. In altri termini, qualsiasi essere vivente dotato di encefalo racchiuso in scatola cranica, che si trovasse in tali condizioni, avrebbe progressive difficoltà nella deambulazione, nel controllo sfinterico, nell'orientamento e nell'equilibrio, oltre a evidenti deficit visivi, uditivi e sensoriali in genere, fino alla morte, dovuta al graduale e inarrestabile deterioramento cerebrale.



Di taglia medio-grande, il dobermann si mostra muscoloso, tonico ed agile, eppure cade vittima di false leggende negative.

Il dobermann è un cane di taglia medio-grande, i maschi al garrese misurano dai 68 ai 70 cm e pesano dai 40 a 44 kg, le femmine vanno dai 63 ai 67 cm, dai 32 ai 36 kg. Il fisico, al di là del sesso, è sempre atletico e slanciato. muscoloso, ma sempre leggero. La coda, sottile e di media lunghezza, viene tradizionalmente amputata, come le orecchie che sono, al naturale,  lunghe e pendenti. Il tartufo del dobermann è molto voluminoso, spicca in una testa piccola, con occhi piccoli, collo slanciato ed elegante.

Il pelo è sempre raso e lucido, ispido, liscio e lucente, con attaccatura sottile e al tatto omogeneo. Sul mantello non sono ammesse le macchie bianche  e il colore più comune è invece il nero focato, ma viene ammesso dallo standard anche il marrone focato mentre non riconosciuti dallo standard, ci sono anche dobermann albini, blu focato, o isabella. Gli ultimi due dal 1995 non più accettati e addirittura per i dobermann così tinti non è permessa la riproduzione perché il gene responsabile era lo stesso che poi causava al cane una forma di alopecia detta “del mutante di colore”.

Sfatati i miti sul carattere aggressivo “da compressione di cervello”, possiamo tranquillamente dire che il dobermann è un cane pacifico e socievole, affettuoso, attento, curioso e molto coraggioso. E’ molto legato alla sua famiglia e con il padrone, in particolare, sviluppa un rapporto quasi di venerazione. Lo difenderebbe fino alla morte.
Con i bambini, sempre alla faccia delle leggende canine, è molto delicato e premuroso: un ottimo compagno di giochi, sempre allegro, molto paziente e tollerante. Come per ogni animale, è necessario non lasciare soli bambini piccoli e dobermann, il cane deve essere educato a stare loro accanto. E viceversa i bambini a non farlo impazzire con dispetti voluti e non. E’ una questione di educazione reciproca.

La sua indole è comunque profondamente affettuosa. Anche la lealtà è naturale in questa razza, anzi, è abbondante e quasi esagerata tanto che il legame che il dobermann crea con il padrone ha veramente una potenza che sfiora l’incredibile. Per un cane dai forti sentimenti come il dobermann è importante una buona socializzazione, con gli umani e con i suoi simili, e un proprietario dal comportamento coerente che gli sappia impartire una ferma educazione.



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IL PINCHER

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Il Pincher è un cane di origini antichissime, che datano addirittura dalla Preistoria (come testimoniano dei reperti archeologici del periodo delle palafitte). Il cane Pincher di tipologia nana ha però una storia più recente: è stato creato in Germania attraverso diversi incroci fra cani come il Pincher Tedesco, il Bassotto e il Levriero Italiano e lo standard della razza risale al 1895, anno in cui è stato anche fondato il primo Pincherclub. Inizialmente venne utilizzato per la caccia dei piccoli mammiferi. Fino alla Prima Guerra Mondiale fu una delle razze di cani di taglia mini fra le più diffuse nei concorsi canini in Germania, ma a seguito dei due conflitti mondiali ci fu una moria - di questi come di altri cani- e il Pincher è riuscito a non estinguersi grazie alle specie che erano state importate negli Stati Uniti prima della guerra. Anche per questo il Pincher, e quello nano in particolare, è una razza molto apprezzata negli USA. Comunque oggigiorno è molto diffuso anche da noi in Europa: soprattutto in Belgio e poi in Francia, Gran Bretagna e Italia (dove è arrivato intorno agli anni '50).

La coda è con attaccatura alta. Viene spesso amputata per ragioni estetiche all'altezza della terza vertebra (pratica vietata in Italia). I colori sono il rosso cervo e nero focato, nello standard internazionale. Il pelo è di uguale lunghezza in tutto il corpo; sempre liscio, corto e fitto. Preferibilmente lucido. Il tronco non è molto largo. La sua lunghezza è circa pari a quella dell'altezza al garrese. Possiede un dorso leggermente scosceso. Costruzione compatta. La testa è di forma allungata. Il muso è appuntito. Colorazione degli occhi variabile in proporzione alla tonalità dei soggetti focati, più scura in quelli con focature scure. Tartufo rosso-marrone negli esemplari rosso cervo, nero nei nero-focati, più grande in proporzione alla dimensione della testa. Unghie decisamente lunghe e forti, di colore nero. La lunghezza totale della testa è in rapporto di 1:2 circa con la larghezza

Nonostante sia piccolo di statura, ha un carattere molto fiero, energico e vitale; ama il gioco ed i bambini. È un ottimo cane da guardia, in quanto è molto attento, l'intelligenza è la sua caratteristica principale, è molto sveglio e molto fedele al suo padrone.




E' estremamente affettuoso e anche un po' possessivo e chiunque ne abbia avuto uno sa che è un cane che davvero darebbe la vita per il padrone. Non fatevi però ingannare dalla sua taglia mini: lui non si cura di essere piccolo di stazza e si comporta in tutto e per tutto come un qualsiasi cane, anzi, spesso è più impavido di quelli grandi. E' molto intelligente ma alquanto testardo, per questo ha bisogno di qualcuno che lo sappia guidare senza prepotenza e con la giusta dose di fermezza, altrimenti tende a prendere il sopravvento. Se educato nel modo giusto è docile e molto ubbidiente ed è protettivo anche con i bambini. E' un ottimo cane da guardia poiché la sua vivacità lo rende attento ad ogni rumore, inoltre ha un intuito molto sviluppato che gli permette di interagire bene con gli estranei senza però fidarsi troppo, anche perché il suo punto di riferimento è sempre unicamente il padrone. Non è adatto a vivere fuori, perché il pelo rado lo rende soggetto a patire il freddo; il cane Pinscher nano, cerca spesso di riscaldarsi sotto delle copertine e ama molto la vita d'appartamento.

Il pelo corto non necessita di molte cure. È bene però fargli compiere una buona attività motoria accompagnata da una corretta alimentazione e proteggerlo dalle basse temperature (è un cane che soffre particolarmente il freddo). Soprattutto in inverno, data la sua delicatezza alle temperature rigide, bisogna vestirlo bene con un pullover per cane facilmente reperibile nei negozi per animali. È un buon compagno orgoglioso e intelligente, richiede esercizio fisico regolare. Nel caso di un riparo esterno curare molto il suo spazio mantenendolo pulito e al caldo.

La taglia mini fa del Pincher, sia medio che nano, un ottimo cane di casa. Avendo però un carattere deciso, il cane Pincher è portato a prendere il sopravvento, per questo è bene educarlo fin da subito. Non bisogna maltrattarlo e tanto meno picchiarlo, basta farsi vedere decisi e fargli sentire chi è che comanda: essendo un cane molto intelligente imparerà velocemente, inoltre la sua indole affettuosa lo indurrà ad obbedirvi volentieri (a patto che lo trattiate con rispetto). Il Pincher appartiene alla tipologia di cani di taglia mini ma questo non fa di lui un essere fragile, anzi, se tenuto bene gode di ottima salute ed è longevo: arriva tranquillamente ai 15 anni, a volte anche oltre. Non richiede più cure di qualsiasi altro cane: dategli una corretta e sana alimentazione alternando cibo umido e crocchette di buona qualità, fate attenzione agli sbalzi di temperatura -mettendogli una copertina dentro la cuccia anche se vive in casa- portatelo regolarmente dal veterinario per vaccini e visite di controllo, fatelo passeggiare giornalmente e dategli tanto amore e lui vi donerà allegria e affetto grazie al suo carattere vivace ma equilibrato.



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venerdì 26 agosto 2016

IL CIBO DEGLI ANIMALI DOMESTICI

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Troviamo in vendita crocchette adatte ad ogni razza di cane e gatto e ad ogni momento della loro vita. Gli italiani spendono miliardi per acquistare crocchette e scatolette per cani e gatti. Le etichette sono poco trasparenti. Le tipologie del pesce, della carne e dei cereali il più delle volte non vengono definite.

Il marketing trasforma gli scarti dell’industria alimentare in menù stellati per cani e gatti, ad esempio a base di salmone o di vitello. Ma la percentuale di pesce o carne presente nei prodotti può essere davvero minima.

I veterinari consigliano di scegliere per i nostri animali una dieta casalinga basata su alimenti freschi, che sia ben bilanciata per gli animali. Una dieta casalinga corretta è benefica per la salute degli animali e fa risparmiare. Ma bisogna anche specificare che deve essere assolutamente seguita da un esperto. Il fai da te può essere pericoloso.

Gli scarti di macellazione spesso diventano crocchette per cani e gatti. Le campagne di marketing e i consigli dei veterinari, ci spingono a pagare a peso d’oro questi prodotti.

Senza contare la drammatica questione dei cani e gatti su cui vengono testati i prodotti alimentari. 

Tra le problematiche l'eventuale presenza delle aflatossine (una tipologia di micotossine) nei prodotti alimentari per animali può risultare molto rischiosa per la loro salute: casi di morte e malformazione nei gattini, vomito e diarrea, ad esempio, fino ai tumori.

La presenza di aflatossine nei prodotti alimentari per gli animali domestici non è regolamentata dalla legge e dalle aziende è considerata normale, oltre a non essere indicata in etichetta. Si tratta, infatti, di tossine invisibili. Il problema ha avuto inizio negli ultimi anni a partire dall'introduzione dei cereali nelle crocchette per gli animali. In precedenza i cereali non erano presenti. Alti livelli di micotossine sono stati ritrovati nei prodotti per cani e gatti di marche molto note. Senza contare che non è obbligatorio per le aziende indicare in etichetta la presenza di antiossidanti, additivi e conservanti. 

Alcuni veterinari non consigliano mai un'alimentazione casalinga, ma suggeriscono solo prodotti industriali, semplicemente perché si tratta di un'operazione di marketing supportata dalle aziende del cibo per animali e delle grandi catene di negozi per animali. 

D'altra parte, un'alimentazione casalinga o basata sugli avanzi della nostra dieta, se non seguita da un veterinario, può diventare pericolosa per gli animali.

Cani e gatti hanno fabbisogni ed esigenze nutrizionali molto diversi rispetto a quelli umani, che variano significativamente fra l'altro in funzione dell'età, della taglia, del tipo di attività fisica. Basti pensare, ad esempio, che mediamente l'uomo ha bisogno del 15% di calorie provenienti da proteine, mentre il cane del 35% e il gatto addirittura del 45%. Rispondere in modo corretto a fabbisogni così vari con preparazioni casalinghe è molto difficile, in quanto richiede una conoscenza approfondita della loro fisiologia e il rispetto di ben 42 diversi parametri legati al contenuto di nutrienti. Uno dei rischi maggiori di un'alimentazione preparata in casa è quindi quello di offrire una nutrizione non bilanciata, che può ripercuotersi sulla salute del pet sul medio-lungo periodo.

"La normativa europea relativa alla produzione di petfood", spiega il docente di Tecnica mangimistica e alimentazione degli animali da affezione, Università degli Studi di Torino, Diplomato ECVCN; membro del Comitato Scientifico per le Linee guida nutrizionali FEDIAF, "regolamenta in modo severo la qualità e la sicurezza delle materie prime e degli ingredienti utilizzati. Le materie prime di origine animale impiegate nella produzione industriale di petfood, ad esempio, oltre a essere sottoposte ad attenta verifica e certificazione, sono ottenute dalla macellazione di animali dichiarati idonei al consumo umano da parte del Servizio veterinario nazionale".

"Il termine additivi indica in realtà gli integratori: fra questi vi sono ad esempio vitamine, oligoelementi e antiossidanti utili per garantire la completezza dell'alimento e una sua migliore conservazione. Perciò quando si legge 'additivo' nella formulazione del petfood, non bisogna allarmarsi. L'utilizzo di droghe è poi da escludersi in quanto assolutamente vietato dalla severa normativa che regolamenta la produzione del cibo per animali".

Quella di non comprendere bene quanto riportato dall'etichetta è una delle maggiori preoccupazioni dei proprietari. Ma anche su questo il prof. Mussa rassicura: "La gamma di alimenti completi forniti dall'industria è ormai notevole e i proprietari richiedono spesso ai medici veterinari giudizi sui prodotti per i loro animali. Esiste una severa legislazione in materia di etichettatura del petfood - a livello europeo e nazionale - che ne garantisce la qualità e la sicurezza e che fissa delle linee guida precise in merito alle modalità con cui le indicazioni su materie prime e ingredienti utilizzati devono essere riportate. Le leggi attuali forniscono già gli strumenti che permettono una valutazione, se non esaustiva, comunque utile delle caratteristiche del prodotto: basti ricordare ad esempio che un mangime può essere definito 'completo' solo quando è in grado di coprire tutte le esigenze nutritive di un determinato animale. Naturalmente resta fondamentale il contributo del medico veterinario per valutare con maggior approfondimento l'adeguatezza della dieta per il proprio amico".



Secondo la prof. ssa Paola Dall'Ara, docente di microbiologia e immunologia veterinaria, Università degli Studi di Milano, l'alimentazione è fondamentale per l'aspettativa di vita degli animali: "È importante ricordare che 40 anni fa l'aspettativa di vita di un cane era di sei anni, mentre oggi è di 12 anni. Questo grazie ai progressi nella diagnostica e nella terapia medica e al miglioramento dell'alimentazione attraverso la diffusione del petfood nutrizionalmente bilanciato e adatto alle diverse esigenze degli animali da compagnia. Una corretta nutrizione ha, infatti, un ruolo fondamentale in termini di corretta crescita e sviluppo, prevenzione delle patologie, per la sua azione di supporto a livello immunitario, e non da ultimo come integrazione alla cura".

"Per valutare l'efficacia del petfood la vivisezione non serve a nulla", assicura il dr. Melosi. "Al contrario, sono sufficienti le consuete indagini veterinarie non cruente, come esami di feci e urine, che qualsiasi veterinario potrebbe trovare utile prescrivere ai propri pazienti".

Parlando di crocchette, prima di prendere in considerazione le varie marche, è sempre bene ricordare che in ogni caso si tratta di cibo processato, che è stato cotto, macinato, lavorato. Anche se gli ingredienti di partenza fossero eccellenti, dopo tutto il processo di lavorazione, non sono paragonabili a quelli freschi. E’ inevitabile che il valore nutritivo degli ingredienti venga perso durante la lavorazione, ed è per questo che nel cibo industriale vengono sempre aggiunti vitamine e minerali alla fine, per rimpiazzare quello che si è perso.

Si tratta quindi di integratori e vitamine sintetici, la cui utilità per l’organismo è stata confutata dagli esperimenti condotti dalle dottoresse Key-Tee Khaw e Aisla Welch (Cambridge, 2000), le quali, al termine di una ricerca durata 20 anni, affermarono che l’unico modo per ottenere tutti i minerali e le vitamine di cui abbiamo bisogno, è prenderli da frutta e verdura freschi.

Se gli integratori artificiali non possono sostituire e rimpiazzare un’alimentazione di frutta e verdura vera per noi umani, la stessa cosa vale per i nostri cani, che con il mangime industriale non possono scongiurare carenze nutrizionali.

La legge dice che la dicitura “Carni e derivati” sta a indicare ‘le parti carnose di animali terrestri a sangue caldo macellati, fresche o conservate, (carni) e tutti i prodotti o sottoprodotti (derivati)…’’. In altre parole, per derivati si intendono gli scarti di macellazione, quali possono essere le interiora di bovini, suini, ovini, equini, polli, galline, anatre, tacchini, conigli, zampe e teste di pollo, polmoni, mammella, milza, fegato, reni, stomaco e tendini., ma anche becchi, unghie, piume. Con derivati della carne, individuiamo un mix di scarti di animali non meglio specificati, di cui appunto non possiamo conoscere il valore nutritivo.

In una crocchetta media, il 70% degli ingredienti sono i cereali e le farine di carne, il glutine di mais e di frumento, la polpa di barbabietola e vari grassi animali.

A volte negli ingredienti delle crocchette non è specificato di quale cereale si sta parlando. Spesso quello maggiormente usato nelle crocchette è il mais. Per il cane i cereali non sono indispensabili, essendo essenzialmente un carnivoro, quindi grandi quantità di cereali possono essere difficili da digerire. Nella maggior parte di crocchette le quantità di cereali sono maggiori rispetto a quelle della carne.

Farine di carne: indicano che la materia prima è ottenuta da un processo di riciclaggio, per l’esattezza la legge (Legge 15 febbraio 1963 n° 281 e smi) le definisce “Prodotto ottenuto dal riscaldamento, dall'essiccamento e dalla macinazione della totalità o di parti di carcasse di animali terrestri a sangue caldo”. In sostanza si riciclano carcasse di bestiame per estrarne olio dal grasso, tramite fusione. E’ evidente che il valore nutritivo dipende dalla qualità delle proteine: un petto di pollo sarà più nutriente e salutare rispetto a una farina ottenuta tramite riciclaggio di una carcassa.

Glutine di mais/frumento o farine di mais e frumento: sono una fonte economica di proteine vegetali, in alternativa a quelle che dovrebbero provenire dalla carne.

Polpa di barbabietola: è quello che resta dopo l’estrazione dello zucchero dalle barbabietole. E’ comunissima negli alimenti secchi per cani in quanto ha un potere indurente per le feci e previene la diarrea.

Grassi/proteine idrolizzati: per proteina idrolizzata o idrolisata, si intende una proteina che ha subito un processo di idrolisi, è stata cioè già digerita per reazione con enzimi. In sostanza sono proteine pre digerite e il loro uso è utile a non scatenare reazioni allergiche in soggetti allergici o ipersensibili verso le stesse.

Quindi la gran parte di una crocchetta media è composta da cereali, farine di mais e frumento, le sostanze minerali e vitamine aggiunte e le carni occupano solo il 20%-30% della composizione.


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giovedì 25 agosto 2016

IL VELO DELLE SUORE

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La prima traccia dell'uso femminile del velo è attestata in un documento legale assiro del XIII secolo a.C. all'interno del quale l'uso del velo è permesso esclusivamente a donne nobili ed è proibito a prostitute e donne comuni. Anche documenti antichi greci e testimonianze scultoree mostrano come il velo sia considerato un modo per proteggere le donne e rendere visibile il loro status sociale.

L’usanza di coprirsi il capo con un velo è antichissima, e documentata da oltre tre millenni in area mesopotamica prima, poi indo-iranica. Fin dall’inizio l’atto di velarsi il capo ha assunto una pluralità di significati alquanto diversificati, dall’attribuzione di un’eccellenza a quella di simbolo dello stigma sociale, sia in ambito sacro che in ambito profano.

Anche nel mondo classico la sua presenza è legata sia al mondo della religione che alla vita quotidiana. Divinità o personaggi mitologici sono quasi sempre raffigurati con un velo che ricopre testa e spalle. A Roma il flamen dialis, il sacerdote incaricato del culto di Giove, aveva l’obbligo di indossare sempre un copricapo, l’apex, salvo quando stava nella sua abitazione. Il cristianesimo riprende l’uso del velo riservandolo alle donne.

Il Nuovo Testamento (1Cor 1,3-17) contiene infatti questa prescrizione di san Paolo: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. 

Il cristianesimo, fino a non molto tempo fa, ha sempre raffigurato le donne (la Madonna, le sante) con il capo velato; le stesse suore indossano il velo.

L’usanza si è ampiamente tramandata anche nella cultura popolare, tanto che in alcuni comuni del nostro paese l’usanza di portare il velo da parte della donne anziane è tuttora diffusa.

L’usanza di riservare il velo alle donne è diffusa anche nell’islam: all’epoca della predicazione di Maometto non sembra che le donne della penisola arabica apparissero coperte in pubblico: l’obbligo è stato probabilmente mutuato dai ‘vicini’ bizantini.

Anche il Corano contiene un riferimento al velo (Sura 24,31): “E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo (hijab) fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne”. E anche gli Hadith, i detti che la tradizione attribuisce a Maometto, contengono alcuni ambigui riferimenti all’obbligatorietà dell’uso del velo: pertanto, nel mondo islamico, essi vengono utilizzati sia da sostenitori, sia da detrattori dello svelamento (totale o parziale) del viso della donna. Il grande imam dell’università al-Azhar del Cairo, Mohammed Said Tantawi, nel 2009 ha emanato una fatwa con cui ha dichiarato il niqab e il burqa incompatibili con l’islam: a suo dire non sarebbero simboli religiosi, ma soltanto il retaggio di tradizioni locali.

Anche nell’ebraismo vi è obbligo di coprirsi il capo all’interno della sinagoga.



Nelle società contemporanee l’obbligo di coprirsi la testa non è più considerato accettabile, in quanto contrasta con diritti fondamentali, quali la parità tra uomo e donna, che la maggioranza delle religioni non accetta, in quanto attribuiscono al genere femminile un ruolo subalterno (si pensi alle limitazioni nell’accesso al sacerdozio, per esempio). Proprio per questo motivo, però, è difficile comprendere quando una donna decide volontariamente di coprirsi il capo, e quando invece tale abbigliamento le viene imposto dal condizionamento familiare e sociale: in entrambi i casi si rischia di mettere a repentaglio un fondamento della democrazia, la libertà di coscienza. Il dibattito sulla questione all’interno del mondo laico è dunque intenso: e ancor di più lo è sui mezzi di informazione, dove il tema del velo tende a diventare sempre più ‘caldo’ con l’intensificarsi dei fenomeni migratori, il proliferare dei casi di cronaca e l’uso che ne viene fatto all’interno del confronto politico.

Fino al 1175, le donne anglosassoni e anglo-normanne, con l'eccezione delle giovani nubili, indossavano veli che coprivano interamente i capelli e spesso anche collo e mento. Solo a partire dai Tudor (1485), il velo diventa meno comune e l'uso di cappucci si fa più frequente.

Oggigiorno, nel mondo occidentale l'uso del velo è limitato quasi solamente a suore e monache cattoliche, tanto che in italiano l'espressione prendere il velo significa entrare in un ordine o congregazione femminile.

In altri contesti, comunque, sono gli uomini a velarsi: in Mauritania, per esempio, è diffusa l'abitudine maschile di coprirsi il capo con la tagelmust.

La monaca, consacrata nella verginità per essere esclusivamente sposa di Cristo, deve sottrarsi allo sguardo di altri possibili pretendenti e amanti. Essa vive quindi ritirata dal mondo, nel chiostro (claustrum, da cui derivano i termini claustrale, clausura), per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per la purezza e l’intensità dell’amore.

Il velo è una specie di clausura nella clausura, poiché anche all’interno del monastero la monaca ha uno stile di vita e un modo di relazionarsi con le altre claustrali molto riservato. Questa consuetudine non ha però nulla di opprimente, anzi il velo è molto caro alla monaca e da lei devotamente portato; lo bacia ogni volta che lo mette e che lo depone. Esso, distogliendola dal divagare con gli occhi, la aiuta a tenere lo sguardo del cuore più direttamente rivolto a Dio, nella contemplazione del suo volto sempre desiderato e cercato. Il velo è inoltre anche il segno del pudore che la nasconde, in certo senso, al suo stesso sposo.

Anticamente il velo era in uso anche di colore rosso, a significare che la vergine era stata riscattata dal sangue dello sposo, Cristo. Sulla base di questa testimonianza, nota l’autrice del volume, la monaca vive quindi in modo sublime il mistero nuziale e materno sul piano soprannaturale; il forte simbolismo del velo indica proprio la generosità e l’intensità con cui la claustrale fa dono di sé a Dio per tutti, rimanendo nascosta, per essere del tutto gratuita.

Il velo delle consacrate può essere acconciato in modo diverso e mutare nel colore e nel tessuto, indicando rispettivamente l’ordine di appartenenza, la funzione svolta dalla religiosa nella comunità o il momento della vita quotidiana.
Il colore dominante è stato storicamente il nero. 

Il velo bianco lo indossano le Serve di Maria, con tonaca (con cintura di cuoio), scapolare e cappa neri. Le Cistercensi all’inizio si vestivano di nero, passando poi a una tonaca di lana greggia naturale, scapolare nero, pantofole di panno dette socci, calze solate con cuoio o zoccoli: tuttavia il loro capitolo del 1481 concede pepli e casacche, purché non preziosi né plissettati. Ma niente veli di seta.

In ogni ordine religioso, esiste la consuetudine di adottare un abito per il coro e uno più semplice per l’uso domestico. Nell’abbigliamento casalingo il velo può essere tolto, restando i capelli semicoperti da una benda e dal soggolo. E anche nelle proprie camere le religiose sono dispensate dall’indossarlo. Il capo coperto è invece prescritto per la recita del breviario che avviene nel coro della chiesa interna, giacché si tratta di un atto solenne che esprime la riverenza dovuta al rapporto con Dio.

L’uso del velo in abito corale prevede un uguale sistema di copertura del capo, ma assai diverso può essere lo spessore della velatura. A fronte del sottilissimo tessuto nero delle benedettine di San Lorenzo, possiamo vedere lo scuro telo delle agostiniane di Santa Caterina di Venezia, documentato dall’immagine che il francescano Vincenzo Coronelli pubblicò nel suo Catalogo degli ordini religiosi in tre volumi, tra il 1707 e il 1715.

Storicamente nel chiostro tipologia e colore del velo, oltre che dell’abito, rivestivano un ruolo di riconoscimento: indicavano lo status delle monache nella struttura claustrale, distinguendo tra loro professe, con velo nero, e novizie, solitamente con velo bianco. Il velo è dunque anche indice di differenza di grado gerarchico.



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sabato 20 agosto 2016

LE FARFALLE DELLA PASTA

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Le farfalle possono arrivarci in casa anche dall’esterno, in particolare nella stagione estiva, durante la quale avviene solitamente il picco dell’infestazione: è molto utile fare uso di zanzariere alle finestre, tenere eventuali mangimi in sacchetti per animali in contenitori chiusi e lontani dai luoghi dove conserviamo farine, frutta secca, biscotti, cereali, tisane, sapori secchi, fiocchi vari e pasta.

A primavera è bene fare una pulizia profonda dei mobili di cucina  e dei contenitori con ‘acqua e aceto, asciugandoli poi molto bene, ed è consigliabile fare in modo che anche gli esterni di credenze ed armadietti vari siano perfettamente puliti.

Riponiamo quello che può essere contaminato dalle varie tarme in contenitori di vetro e plastica ermeticamente chiusi e lavati prima con acqua e aceto e aggiungiamo qualche foglia di alloro (l’alloro  fresco ha maggiori capacità di tenere lontane le tarme di quello secco) o un sacchettino aperto contenente chiodi di garofano.

Questi insetti forano le confezioni ed è quindi bene usare sempre contenitori chiusi, ma, nel caso non sia possibile, non lasciamo mai i sacchetti aperti e chiudiamo con le apposite mollettine o, ancora meglio, con l’apposita macchinetta per il sottovuoto.

Un trucco della nonna: evitiamo di mischiare il  rimanente del contenuto di una confezione vecchia con quello di una nuova e cerchiamo di consumare prima gli alimenti acquistati in precedenza.

Non lasciamo mai briciole e semini vari in giro, come anche cioccolata alle nocciole e pane secco.

E’ molto utile mettere un batuffolo di  cotone idrofilo o un pezzetto di stoffa con qualche goccia di essenza di eucalipto o di lavanda all’interno di armadi e credenze, ma non a contatto dei prodotti alimentari.

Anche un piccolo recipiente aperto contenente 1 dose di farina di mais e 3 di acido borico costituisce una buona prevenzione delle camole del cibo, evitando sempre il contatto diretto con gli alimenti.

Chi non è contrario ai prodotti chimici può avvalersi di un formidabile aiuto: la trappola ai feromoni che sono sostanze volatili emesse dagli insetti per comunicare tra loro.

In questo caso si tratta di un cartoncino cosparso di sostanza vischiosa che emette feromoni sessuali femminili che fungono da richiamo per gli insetti maschi, che, attratti, vanno ad appiccicarsi sulla superficie e rimangono intrappolati: così viene bloccata la proliferazione degli odiosi animaletti.

Altro accorgimento importante è quello di usare 1 solo foglietto per mobile o per ambiente aperto, in quanto più richiami possono confondere le farfalline e l’efficacia delle trappole diminuirebbe notevolmente.

Un altro ottimo mix naturale può essere realizzato con buccia di arancia fresca e dei chiodi di garofano. L’odore emanato dai due ingredienti, molto gradito al nostro naso, è invece sgradevole alla tignola della farina che si guarderà bene dallo stazionare nella vostra dispensa.

Questi insetti possono essere già presenti nelle confezioni sigillate sugli scaffali di negozi e supermercati, per cui la prima cosa è fare attenzione al momento dell’acquisto che gli imballaggi non contengano piccoli fori e che il prodotto non presenti grumi, impurità e filamenti.



Le specie più diffuse sono la Pyralis farinalis e l’Ephestia kuehniella, micro lepidotteri molto simili tra oro dalla tipica forma di piccola farfalla notturna. Non sono autoctone ma sono giunte sino a noi via mare dall’Asia passando prima dagli Stati Uniti d’America. Sono di colore bruno mentre le ali sono attraversate da una striscia trasversale di colore argento chiaro.

Sia le larve, piccoli bruchi giallastri dalla testa rossa lunghi circa 1 cm, che gli adulti adorano i cereali (riso, l’orzo, il mais, il grano, le sementi per uccelli), tutti i tipi di farine e in genere i derivati del grano (farina d'avena, farina di mais, pasta, cereali, farine, miscele per dolci, farina di pancake, muesli, cibo secco per animali), la frutta secca ....

Generalmente questi animali arrivano nelle nostre abitazioni sottoforma di uova o microscopiche larve attraverso gli imballaggi di carta come ad esempio i sacchi di mangime per cani o per uccelli che andrebbero a tal proposito conservati se possibile in garage o all’esterno in contenitori muniti di coperchio.

Un altro veicolo di contaminazione possono essere le confezioni di zucchero o farina che andrebbero conservate per qualche giorno in freezer in modo da eliminare eventuali parassiti.

In ambienti domestici prolificano con molta facilità a causa della presenza di farina e pasta.In genere durante il giorno sono statiche su tende o pareti. Sono attratte dalle superfici con colori omogenei. Per l'eliminazione uno dei metodi più conosciuti è l'utilizzo di carte adesive ai feromoni, che attraggono solo i maschi, allo scopo di bloccare la riproduzione. Le larve della tignola si insinuano nelle spaccature dei muri e nelle intercapedini dei mobili.



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IL COLLARE A STROZZO

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Il collare a strozzo o a strangolo è un oggetto spesso al centro di discussioni tra estimatori e detrattori. Lo si considera al pari di uno strumento di tortura ma, come sostengono gli addestratori, la bravura nell’utilizzo è fondamentale. Come per ogni attività di training, saper maneggiare un oggetto con la giusta conoscenza può incidere sull’esito finale, esattamente come l’educare il proprio cane nel modo più adeguato. Partendo dal presupposto che imposizioni, violenza, autoritarismo, brutalità e aggressività siano le armi peggiori per affrontare un percorso di crescita insieme, il collare a strozzo può diventare un’arma se finisce nelle mani sbagliate.
Ma al contempo può rientrare positivamente all’interno di un percorso educativo, se gestito nel modo giusto e con un atteggiamento positivo. Il collare a strozzo è costituito da una catena con due anelli alle estremità, inserendo uno nell’altro si ottiene un collare di sicurezza. Ma può essere anche in corda e creare una sorta di chiusura a cappio. Ovviamente se l’animale è agitato e tende a tirare con forza il collare stringerà maglie o tessuto intorno al collo. Per questo motivo è importante conoscerlo e utilizzarlo nel modo migliore per la salute dei cani.

Secondo le indicazioni degli educatori e degli addestratori esperti, il collare a strozzo è l’unico metodo per gestire un cane con problemi comportamentali, cioè un animale difficile da coordinare. All’interno di un percorso riabilitativo l’articolo è presente, viene utilizzato per placare l’indole di un animale troppo irruento e magari aggressivo. Ovviamente solo personale idoneo sarà in grado di usarlo nel modo migliore, ricorrendovi solo in casi davvero estremi. Nonostante il nome, il collare non viene utilizzato per strozzare l’animale, ma per attirare l’attenzione e guidare il cane attraverso piccoli colpi non troppo tesi.
Il suo impiego può trovare spazio anche in un percorso educativo di base accanto al proprietario, atto a impostare camminata e comandi ad hoc. Ovviamente non può essere impiegato con cani di taglia piccola o nei cuccioli, ma sempre e comunque sotto l’occhio attento di una guida. Lo strappo deve essere comunque breve, non troppo violento, utilizzato solo per richiamare all’ordine Fido. Il vero educatore saprà utilizzare l’articolo nell’interesse del cane, ovvero impartendo ordine e mossa senza ferirlo. Senza tenere il collare in tensione, ma utilizzando l’articolo solo all’occorrenza per coordinare movimenti, direzione, regole e ordini.



Il collare a strozzo può diventare un’arma nelle mani peggiori, senza la guida e l’indicazione di un educatore o addestratore. Se utilizzato come mezzo educativo violento, coercitivo, per istigare alla rabbia, all’aggressività e all’attacco. Spesso un impiego errato può incidere sulla salute del cane, uno strattone troppo prolungato può bloccare il respiro provocando una vera strozzatura. Inoltre può favorire danni fisici al cane, in particolare se oltre alla struttura ad anelli sono presenti ganci e spuntoni. Il collare a strangolo può essere considerato un articolo temporaneo, solo nel periodo rieducativo di Fido. Un uso errato può cagionare la salute dell’animale fomentando un’indole aggressiva e stressata.

Nonostante tutto, questo collare è molto diffuso e usato dagli addestratori che non si curano del fatto che non sia né salutare né gentile.

Inoltre tendono anche a consigliarlo ai nuovi padroni fin da quando il cane è un cucciolo, non prendendo in considerazione il fatto che possa causare delle lesioni al collo del piccolo che potrebbero anche non essere più curabili.

Una delle più probabili problematiche successive all'uso di questo strumento sono le rotture dei vasi sanguigni dell'occhio del cane (mentre si sforza per riuscire a respirare), ci saranno anche dei danni all'apparato respiratorio e l'esemplare potrebbe anche svenire (sia per il dolore che sempre per la mancata respirazione).

Inoltre non è raro che si possano riscontrare nell'esemplare delle paralisi temporanee di varie parti del corpo.

Il collare educativo potrebbe anche causare dei danni alla spina dorsale e molti altri problemi legati agli strattoni al collo.

I disturbi successivi all'utilizzo di questo strumento, purtroppo, potrebbero anche essere permanenti nonché molto dolorosi.



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martedì 16 agosto 2016

LA COCCINELLA

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Le coccinelle sono insetti molto comuni e si osservano nei prati, nelle coltivazioni di grano, orzo, avena, erba medica.

Popolano giardini in fiore, serre di rose e tutte quelle piante che vengono attaccate dagli Afidi, in quanto esse cacciano questi insetti sia negli stadi larvali che gli esemplari adulti, liberando le piante da questi parassiti. La loro utilità non finisce qui in quanto sono molto voraci anche di altri insetti.

Presentano un corpo arrotondato con il capo (visto dall'alto) coperto parzialmente dal pronoto. Sono di colore rosso vivo con il capo e le zampe di colore nero. Nere sono anche le macchie rotonde poste in numero di tre su ogni elitra (ali anteriori) e il settimo posto al centro dell'attaccatura delle stesse. Le zampe minuscole, in tutto tre paia, hanno tarsi suddivisi in quattro articoli. Sul capo sono posti i piccoli occhi composti e le antenne anch'esse piccole; presentano un apparato boccale ben sviluppato.

Dopo il pronoto di colore nero si notano le ali anteriori di colore rosso con le macchie rotonde nere. Il numero di queste macchie costituisce un elemento di identificazione per questi insetti. Le ali anteriori o elitre sono dure e coriacee, colorate e avvolgono tutta la parte anteriore dell'insetto conferendogli una forma rotondeggiante. Le ali posteriori leggere, membranose, delicatissime sono nascoste sotto le ali anteriori o elitre e sono le uniche paia di ali idonee al volo. Infatti, quando l'insetto decide di volare le elitre si aprono e si dispongono rigide ad angolo con il capo, lasciando libere le ali posteriori di aprirsi per il volo. Sono insetti che si nutrono di altri insetti e principalmente di afidi.

Manifestano diverse armi per difendersi dai predatori e molestatori curiosi. La prima consiste nel rilasciare, se molestata, un liquido arancione, cioè gocce di emolinfa mediante una autoemorrea riflessa. Questo liquido è acre, colora la superficie con cui viene a contatto ed emana un odore forte e persistente. Una seconda arma di difesa sta proprio nei colori forti delle loro elitre. Esse possono essere rosse (le più comuni), gialle, cosparse di pois neri che le rendono poco appetibili ai predatori.

Esistono circa cento specie solo in Italia e sono tutte utili ai coltivatori e floricoltori, come la piccola Adalia bipunctata, septempunctata e la Anatis ocellata tipica delle conifere, facilmente riconoscibile in quanto è più grossa della coccinella classica (septempunctata), e presenta un numero maggiore di pois sulle elitre, circa sette su ogni una.

Le coccinelle contribuiscono alla lotta biologica ai parassiti dell'orto in quanto possono essere definite come insetti che si nutrono di altri insetti. A rovinare le nostre coltivazioni sono invece quegli insetti che basano la propria sopravvivenza nutrendosi delle piante, i quali vengono definiti come insetti fitofagi.

Tra le piante che attirano particolarmente le coccinelle troviamo il rafano, i cavolfiori ed i broccoli. Le coccinelle sarebbero attirate soprattutto dal loro aroma.



L'efficacia dei Coccinellidi conferisce a questa famiglia un ruolo di primo piano nell'insieme degli entomofagi predatori, condiviso con i Rincoti Antocoridi, i Ditteri Sirfidi, i Neurotteri Crisopidi e alcune famiglie di Coleotteri. Molti insetti predatori, infatti, svolgono un ruolo di secondo piano nel contesto degli agenti di controllo naturali dei fitofagi e spesso surclassato dai parassitoidi o da altri agenti naturali. I Coccinellidi, invece, possono assumere un ruolo predominante e determinante nel controllo biologico di alcune specie.

Per questo motivo sono tra i principali predatori applicati nei vari metodi di lotta biologica. Alcune specie possono essere moltiplicate in allevamenti massali, quando la polifagia permette l'impiego di un adeguato ospite di sostituzione di facile allevamento o un substrato artificiale. Esistono tuttavia limiti operativi nell'allevamento dei Coccinellidi afidifagi. La mobilità dei coccinellidi rende inoltre difficile il mantenimento delle popolazioni introdotte con i lanci, a meno che non si operi in coltura protetta adottando apposite barriere antinsetto. I contesti applicativi di maggior rilievo sono il metodo propagativo e il metodo protettivo, che possono fornire anche risultati di grande portata, tuttavia in casi specifici si ricorre anche al metodo inoculativo. Quest'ultimo, ad esempio, è largamente adottato nell'impiego del Cryptolaemus montrouzieri contro alcune cocciniglie.

La prima esperienza significativa di applicazione del metodo propagativo si ebbe nel 1888 con l'introduzione del Coccinellide Rodolia cardinalis negli agrumeti californiani: in soli due anni si riuscì a debellare la piaga dell'Icerya purchasi, che da 20 anni era responsabile della progressiva distruzione degli agrumeti in questa regione. L'efficacia di questo predatore è tale che la cocciniglia è oggi un fitofago di minore importanza controllato esclusivamente con la lotta biologica in tutto il mondo.
La prima esperienza di applicazione su larga scala del metodo inoculativo si ebbe a partire dal 1916 negli Stati Uniti d'America con il Cryptolaemus montrouzieri: questo coccinellide non riesce ad acclimatarsi stabilmente nelle regioni più fredde, pertanto furono realizzati diversi allevamenti massali allo scopo di introdurlo sistematicamente, ogni primavera, negli agrumeti delle regioni più interne della California, contro la cocciniglia Pseudococcus calceolariae. L'allevamento del crittolemo, che ormai vanta un'esperienza quasi secolare, continua ad essere attuato efficacemente ai fini della lotta biologica contro il cotonello degli agrumi (Planococcus citri).

Le coccinelle sono divise in diverse sottofamiglie e tribù che comprendono circa 360 generi. La sistematica interna dei Coccinellidi ha subito diverse revisioni, non sempre condivise e ancora oggi esistono divergenze in merito alla collocazione sistematica di vari raggruppamenti, spesso a livello di tribù. Una delle più importanti revisioni, citata spesso come fondamentale, è stata attuata da SASAJI, basandosi sulle relazioni filogenetiche e sulla morfologia delle larve e degli adulti. Questa revisione definisce sei sottofamiglie (Chilocorinae, Coccidulinae, Coccinellinae, Epilachninae, Scymninae, Sticholotidinae) e rivede la posizione di diverse tribù e generi. Nonostante l'impianto di base, accettato in gran parte dai coleotteristi, alla revisione di Sasaji si oppone la critica di una parzialità in quanto basata sui Coccinellidi orientali. La sua classificazione pertanto è stata revisionata successivamente da diversi autori con l'aggiunta di nuove sottofamiglie. Tali revisioni non sono tuttavia convergenti verso uno schema universale e restano a tutt'oggi divergenze in merito alla posizione di alcuni taxa.

In particolare è controversa la posizione della sottofamiglia Ortaliinae. Nell'albero originario di Sasaji, questa sottofamiglia era ridotta al rango di tribù (Ortaliini), nella sottofamiglia Chilocorinae, dalla quale è stata in seguito separata e inserita in una sottofamiglia distinta (Sottofam. Ortaliinae, tribù Ortaliini). Negli Ortaliinae, alcuni schemi comprendono anche la tribù dei Noviini (proveniente da Coccidulinae), tuttavia altri schemi divergono in merito alla posizione dei Noviini.
Lo schema di FÜRSCH contempla la separazione della tribù Ortaliini dai Chilocorinae con l'inserimento nella sottofamiglia degli Ortaliinae, ma mantiene i Noviini nella sottofamiglia dei Coccidulinae.

La coccinella è il simbolo della Foundation Against Senseless Violence olandese, come è possibile vedere nel logo. Altre compagnie utilizzano le coccinelle nel proprio logo.
Nello scautismo prendono il nome di coccinelle le bambine tra gli 8 e gli 11 anni nei gruppi dove è presente un cerchio. L'uniforme delle coccinelle prevede un copricapo circolare di colore rosso a 7 punti neri.
Nella mitologia estone, la coccinella è l'animale scelto da Linda per ricercare un potente mago che possa salvare la vita all'eroe Kalev.
Per la simpatia che ispira, la coccinella è spesso usata come simbolo per antonomasia delle tecniche di difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale (lotta biologica e lotta integrata) e proposta nei marchi e nelle campagne di marketing. Ad esempio, la campagna pubblicitaria che lanciò il marchio del consorzio Melinda della Val di Non era basata su uno spot che proponeva la coccinella come emblema di una produzione basata su uno dei primi disciplinari di lotta integrata avviati in Italia.
Usata come simbolo dalla Compagnia petrolifera Total (che per un periodo negli anni 70', dava in omaggio dei modellini magnetici a chi si riforniva).
Nel Triveneto è anche, curiosamente, chiamata "l'ave maria va a scuola".
Nel Saluzzese si insegnava ai bambini una filastrocca che recitava: parpaiola vola, vola, mustemè la via për endé a scola, ( coccinella vola vola, insegnami la strada per andare a scuola).
Nella zona di Firenze è chiamata Lucia, molto probabilmente perché popolarmente associata alla omonima santa siciliana: si crede infatti che raccogliendo questo insetto e facendolo volare via, venga protetta la vista di chi lo fa; al contrario, chi facesse del male o peggio ancora uccidesse la coccinella, sarebbe colto da problemi alla vista.



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LE PULCI

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Le pulci possono costituire un problema per il cane o il gatto durante tutto l’anno, ma tipicamente la popolazione di questo insetto esplode 5-6 settimane circa dopo l’inizio della stagione tiepida.

Una pulce femmina depone circa 2000 uova nel corso della sua vita. In un giorno, una singola pulce femmina può deporre fino a 30-50 uova. Le uova non si attaccano all’animale e cadono rapidamente a terra in varie parti della casa. Entro 2-5 giorni, le uova schiudono.

Dopo la schiusa, le larve si dirigono verso le zone buie della casa e si nutrono delle feci delle pulci adulte, formate dal sangue parzialmente digerito del cane o gatto di cui gli insetti adulti si nutrono. Le larve crescono, mutano due volte e formano un bozzolo all’interno del quale si trasformano in pupe.

Le pulci immature trascorrono circa 8–9 giorni nel loro bozzolo. Durante questo periodo, continuano a crescere fino a diventare adulte, in attesa del segnale che è tempo di emergere.

Dall’interno del bozzolo (pupa), gli insetti adulti percepiscono il calore, le vibrazioni e il diossido di carbonio esalato che indicano che un ospite è nelle vicinanze. In questo caso le pulci adulte lasciano il bozzolo, salgono sull’ospite, effettuano il pasto di sangue e rapidamente si riproducono. In assenza di un ospite gli adulti possono rimanere nell’ambiente, all’interno del bozzolo, fino a un anno.

Le pulci sono difficili da vedere, ma è facile capire quando sono presenti. I segnali d’allarme sono:
 eventuali puntini neri presenti sul pettine possono essere le feci delle pulci. Se sul pettine si rinvengono direttamente le pulci, immergerle in una ciotola di acqua e sapone prima che possano allontanarsi o saltare nuovamente sull’animale.
Un cane o gatto infestato dalle pulci spesso diviene molto nervoso e si gratta eccessivamente.

Le pulci appartengono all’ordine dei sifonatteri, questo termine indica che si tratta di insetti dotati, allo stadio adulto, di apparato boccale pungente-succhiante (sifon) e privi di ali (atteri).

Pertanto insetti ematofagi privi di ali i cui adulti necessitano del sangue dell’ospite per attuare la riproduzione. Gli ospiti sono individuati tra gli animali a sangue caldo.



Le pulci con cui l’uomo viene più diffusamente in contatto sono la pulce del gatto (Ctenocephalides felis) e la pulce del cane (Ctenocephalides canis).
Meno frequenti la pulce dell’uomo (Pulex irritans) e la pulce del pollame (Echidenofaga gallinacea).

La "stagione delle pulci", in cui gli adulti sono attivi, è l'estate o l'inizio dell'autunno. Il numero di individui che sopravvivono all'inverno dipende dalla temperatura; il tasso di sopravvivenza è massimo negli inverni più miti. Nelle aree più calde, per esempio equatoriali e tropicali, gli adulti possono essere presenti durante tutto l'arco dell'anno.

Nella maggior parte dei casi la pulce dell'uomo (Pulex irritans Linnaeus) è più molesta a causa dei suoi movimenti sulla cute che per le sue punture; provoca al suo ospite solo fastidio (arrossamento cutaneo e prurito); tuttavia, alcune persone e alcuni animali possono soffrire di allergia alla saliva delle pulci, e riportare questi sintomi in forme particolarmente violente. In casi estremi, ripetuti morsi di pulce possono causare anemia nell'animale ospite. L'azione delle pulci penetranti è più impegnativa perché alle lesioni prodotte dal parassita possono aggiungersi complicazioni settiche e gangrenose, artriti, necrosi ossee e tendinee, fistole, caduta di falangi o di dita, ecc.

Le pulci possono anche essere vettori o ospiti intermedi, di virus zoopatogeni, di batteri (Enterobatteriacee del genere Salmonella Lign., come la S. enteritidis (Gärtn.) Castell. et Chalm e la S.typhimurium Loeff; Parvobatteriacee del genere Pasteurella Trev., come la P. pestis Lehm. et Neum. e la P.tularensis (McCoy et Chapin) Berg.; Rickettsiaceae del genere Rickettsia Rocha Lima, come la R. prowazekii Rocha Lima e la R. mooseri Monteiro; di Protozoi, Nematelminti, Platelminti, ecc.; fra le quali è particolarmente pericolosa la Xenopsylla cheopis Rothsch, forma subcosmopolita, ma più frequente nei paesi caldi, che trasmette la peste bubbonica, malattia primaria dei Rosicanti.

Per animali domestici come cani e gatti esistono prodotti veterinari di vario genere che contrastano l'infestazione da parte di pulci. Questi prodotti allontanano le pulci dagli animali, ma non difendono il proprietario o l'abitazione. Controllare tappeti e divani.

L'infestazione di una abitazione deve essere combattuta con strumenti che interrompono il ciclo di vita della pulce, impedendone la riproduzione. In genere, si utilizzano pesticidi analoghi a quelli usati per combattere le tarme. Esistono pesticidi nati specificamente per gli ambienti domestici, il problema dei prodotti antipulci sta nell'azione: alcuni riescono ad uccidere solo gli individui adulti ma non agiscono su uova e larve, altri sono specifici per le larve ma non intaccano gli adulti. Per questo motivo, l'utente è costretto a effettuare diversi cicli di trattamento o scegliere un prodotto ad ampio raggio da usare, in un'unica soluzione, per l’eliminazione di pulci e larve.



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sabato 13 agosto 2016

INSETTICIDI



La quasi totalità degli insetticidi in commercio sono a base di piretrine o piretroidi. Scopriamo in che misura queste sostanze possono essere nocive per l'uomo.

Le piretrine sono composti naturali con proprietà insetticida che si trovano nel piretro, l'estratto di certe specie di crisantemi. Sono spesso usate negli insetticidi casalinghi e per il controllo dei parassiti sugli animali domestici o sul bestiame.

I piretroidi sono una sintesi chimica molto simile alle piretrine ma molto più tossica e persistente nell'ambiente. Sono stati sintetizzati più di mille piretroidi ma meno di una dozzina sono quelli correntemente usati. Permetrina, Deltametrina, Alletrina, Esbiotrina, Cipimetrina sono i nomi che spesso troverete tra i composti degli insetticidi disponibili nei banchi dei supermercati, dai normali spray alle piastrine e liquidi da collegare alla presa elettrica.

In zone infestate da gravi malattie endemiche di cui le zanzare sono vettore (Malaria, Dengue) sostanze a base di permetrina vengono comunemente usate per impregnare le zanzariere o gli abiti al fine di offrire uno scudo ancora più efficace contro questi pericoli. Alcuni dei prodotti antiparassitari da applicare direttamente sugli animali domestici, in particolare cani, sono a base di permetrina. Allo stesso modo si utilizzano prodotti simili per il trattamento delle infestazioni da pidocchi sugli esseri umani, anche bambini.

Alte dosi di queste sostanze possono causare vertigini, mal di testa, nausea, spasmi muscolari, debolezza, perdita di conoscenza e convulsioni.

I piretroidi entrano nell'ambiente principalmente a causa del loro utilizzo come insetticidi.
Nell'aria, tutte le piretrine e molti dei piretroidi si degradano rapidamente (1-2 giorni) a causa della luce solare e di altri fenomeni naturali.

Le piretrine e i piretroidi si depositano al suolo e vengono degradati da microorganismi contenuti nella terra e nell'acqua, solitamente non filtrano nel sottosuolo raggiungendo le falde acquifere.

Solitamente piretrine e piretroidi entrano nel corpo quando si ingeriscono cibi contaminati da queste sostanze chimiche.

Possono anche essere respirati o assorbiti attraverso la pelle. L'uso di prodotti che contengono queste sostanze possono aumentare ovviamente i rischi si esposizione. Sono tra questi gli insetticidi, shampoo o antiparassitari per animali domestici, trattamenti per la pelle e repellenti per zanzare.

Piretrine e piretroidi interferiscono con le funzionalità del sistema nervoso. L'esposizione a livelli molto alti di queste sostanze possono causare vertigini, mal di testa, nausea, spasmi muscolari, debolezza, perdita di conoscenza e convulsioni. Non ci sono prove che piretrine e piretroidi possano colpire la capacità riproduttiva degli esseri umani ma alcuni studi hanno evidenziato una riduzione della fertilità sugli animali.

Non ci sono prove che pirerine e piretroidi possano causare il cancro in uomini o animali. Studi effettuati dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) hanno determinato che la possibilità di causare il cancro sugli esseri umani per tre piretroidi (deltametrina, fenvalerate, permetrina) non è classificabile.

Alcuni piretroidi sono irrorati per controllare l'infestazione di zanzare durante il periodo primaverile ed estivo. Rimanere in casa e chiudere le finestre durante queste operazioni diminuisce l'esposizione. Un ulteriore modo per minimizzare possibili esposizioni è quello di lavare frutta e verdura prima di mangiarla. Assicurarsi inoltre che i bambini si lavino le mani prima di mangiare e fare attenzione che non ingeriscano la terra.

La Occupational Safety and Health Administration (OSHA) ha stabilito in 5 milligrammi di piretrine per metro cubo di aria su 40 ore di lavoro settimanali il limite di concentrazione di questa sostanza sui luoghi di lavoro.

La EPA americana raccomanda una esposizione giornaliera per dieci piretroidi differenti che oscilla tra 0,005 e 0,05 mg per kg di peso corporeo al giorno.

Piretrine e piretroidi non sono selettivi nei confronti delle zanzare. Per cui quando si "spruzza" un insetticida nell'ambiente vengono colpiti tutti gli insetti che transitano o sono presenti nell'area trattata, tanto quelli utili quanto quelli dannosi. Perciò quando si utilizzano questi prodotti all'aperto occorre fare particolarmente attenzione a non trattare piante in fiore, altrimenti si colpiranno gli insetti pronubi, api comprese, che sono tra l'altro tra i pochi insetti protetti dalle leggi italiane.

Le formulazioni che favoriscono un intimo contatto della sostanza tossica con l’individuo (o una più facile penetrazione di questo attraverso la pelle) risulteranno a rischio maggiore: per questo motivo gas e liquidi insetticidi puri rappresentano generalmente una minaccia superiore rispetto, per esempio, alle polveri bagnabili, ai formulati granulari od alle soluzioni acquose. Esistono tuttavia dei formulati insetticidi molto tossici che possono essere adoperati con bassissimo rischio di contaminazione quali, ad esempio, i micro-incapsulati ed i prodotti in esca.

In genere gli effetti tossici di un prodotto risultano maggiormente gravi e compaiono più rapidamente se questo è ingerito od inalato; diversamente, la comparsa di sintomi pericolosi sarà più lenta se il prodotto viene assorbito attraverso la cute.

Eliminata la causa volontaria a scopo di suicidio, l’ingestione di prodotto insetticida è in genere un fenomeno accidentale provocato per lo più da trascuratezza e superficialità (ad esempio portando alla bocca le mani sporche mentre si fuma o si mangia, oppure assumendo cibi contaminati non debitamente lavati). In ogni caso, poiché l’insetticida deve attraversare lo stomaco e l’intestino prima di venire assorbito dall’organismo e penetrare nel circolo sanguigno, a seguito dell’ingestione si dispone del tempo necessario alla somministrazione delle opportune cure mediche.

Soprattutto gli insetticidi fumiganti in fase di vapore – ma anche alcune nebbie aerosol, polveri e fumi – presentano il maggiore rischio di inalazione, soprattutto quando utilizzati in condizioni di scarsa ventilazione ed in ambienti confinati. Fortunatamente la maggior parte delle particelle aeree vengono filtrate nelle cavità nasali o trattenute dalle superfici umide del tratto respiratorio (per essere quindi rinviate alla bocca dai movimenti dell’epitelio ciliato ed espulse durante l’espirazione o con la tosse) riducendo grandemente il rischio di una intossicazione. Tuttavia, considerata la notevole superficie deputata agli scambi gassosi presente nei polmoni (circa 70-80 mq), è bene ricordare che anche una leggera inalazione di piccole quantità di insetticida può avere gravi ripercussioni sull’organismo in quanto il suo assorbimento a livello sanguigno è pressoché immediato, concedendo poche possibilità di intervenire tempestivamente con rimedi efficaci.

La pelle forma una efficace barriera protettiva ed è molto meno permeabile alle sostanze tossiche rispetto agli apparati digerente e respiratorio. Tuttavia l’assorbimento dermale, seppure relativemente lento, può avere conseguenze pericolose quando è protratto per molto tempo (ad esempio quando si indossano indumenti protettivi contaminati con sostanze tossiche – i quali rimangono aderenti alla pelle per lunghi periodi – o si maneggiano prodotti concentrati senza provvedere in seguito alla pulizia delle mani o delle altre parti del corpo contaminate). Delle diverse formulazioni disponibili per gli insetticidi, i prodotti liquidi sono maggiormente soggetti ad assorbimento cutaneo, penetrando facilmente attraverso le ghiandole sebacee e sudorifere oppure insinuandosi nelle ferite (raggiungendo rapidamente il flusso sanguigno); le polveri invece, trattandosi di sostanze solide non in soluzione, presentano le minori possibilità di penetrazione.

Quanto più una sostanza tossica rimane a contatto con l’individuo, tanto più si protrae la sua azione nociva: per questo motivo la rapida rimozione delle fonti di contaminazione è un fattore indispensabile per la tutela della salute dell’organismo.
Nel caso degli operatori professionali specializzati nelle disinfestazioni, si è verificato che l’esposizione prolungata ai tossici avviene soprattutto per via dermale; è quindi opportuno prestare particolare attenzione alle caratteristiche di tossicità dermale di un dato prodotto insetticida prima di procedere al suo utilizzo, valutando l’adozione dei necessari dispositivi di sicurezza.

Gli insetticidi si possono trovare in polveri secche che sono miscele fini di tossici a bassa percentuale con polveri di silicio, argilla, talco, ecc. che non devono reagire con prodotto tossico. Le dimensioni ed il peso delle polveri devono essere abbastanza vicini a quelle del tossico per evitare che si separino. L'adesione delle polveri è dovuta sia alla gravità sia alla attrazione elettrostatica tra la carica del substrato (negativa) e quella della particella (positiva). Per aumentare quest'ultima, la polvere viene fatta passare attraverso campi ionizzanti o griglie. Le polveri secche sono utilizzate soprattutto nella concia delle sementi in modo che essa rimanga aderente al seme per proteggerlo.

I granuli, o microgranuli offrono il vantaggio di poter essere mescolati a concimi e sementi. Come vettori del tossico vengono utilizzati granelli di attapulgite, un silicato di magnesio e di alluminio fortemente assorbente, delle dimensioni di 0,3 -0,7 MM o anche fino a 2–3 mm. I granelli sono estremamente porosi e quindi sviluppano una superficie enorme. Un kg di granelli ne contiene fino a 6 milioni con una superficie assorbente di 13 ettari. Il principio attivo viene riparato da una rapida degradazione e rilasciato lentamente. Altri vantaggi sono la persistenza e la distribuzione localizzata.

I pellets si ottengono addizionando ai formulati insetticidi sostanze appetenti e comprimendo la miscela in forma di cilindretti o glomeruli che funzionano da esche.

Le esche sono il metodo tradizionale contro insetti terricoli masticatori. Viene utilizzata una sostanza appetita dalle specie da contrastare (crusca, risina, cariossidi di mais frantumate, ecc.) a cui viene aggiunto l'insetticida insieme a latte in polvere, zucchero, melasso, ecc.). La medesima tecnica viene utilizzata per la distribuzione dei chemiosterilizzanti contro formiche, le quali, trasportandole nel nido e alimentandone la regina, ne provocano la sterilizzazione. Contro le blatte si utilizzano esche all'acido borico che hanno azione lenta ma duratura.



Le microcapsule sono formulazioni intermedie tra secco e liquido, sono a base di gelatina o polimeri speciali. Con la coacervazione si incorporano in capsule di 3-50 µm il tossico: questa tecnica comporta aumento di persistenza, abbassamento del rischio di tossicità, selettività, adesione elettrostatica maggiore, possibilità di distribuzione anche in acqua. Hanno l'inconveniente di essere ingerite dalle api perché somigliano ai granelli di polline; quindi, siccome aderiscono al corpo delle api, vengono ingerite con le operazioni di pulizia.

Le polveri bagnabili vengono mescolate con acqua ottenendo delle sospensioni. Contengono il principio attivo disperso nei vettori già visti per le polveri secche.

Alcuni insetticidi sono prodotti in liquidi concentrati, con addizione di acqua e sospensivi e di alginati, polisaccaridi, anticongelanti. Queste formulazioni si diluiscono in acqua, come per le polveri bagnabili e le emulsioni.

Le emulsioni concentrate contengono il principio attivo disciolto in un solvente che funziona da vettore e che può essere cicloesanone, xylolo, kerosene reso inodore. Il solvente non è solubile in acqua ma è possibile ottenere delle emulsioni con acqua e vettore solvente mediante l'aggiunta di un opportuno emulsionante; si forma un'emulsione lattescente omogenea e stabile.

I Piretrinici furono conosciuti fin dalla antica Mesopotamia e nel mondo antico erano noti come polvere persiana. I principi attivi sono ricavati dalla macinazione del capolino delle Composite soprattutto del Chrysantemun cinerarifolium da cui si estraggono Piretrine, Jasmoline e Cinerine. L'estratto standard contiene il 25% di principio attivo nella seguente composizione: piretrina I 10%, piretrina II 9%, cinerine I e II 6%, jasmoline I e II basse dosi.
Questo estratto ha una rapidissima azione per contatto (effetto knock-down), ma gli enzimi cellulari ossidanti possono rapidamente degradare questi insetticidi e permettere all'insetto di riprendersi; vengono perciò aggiunti dei sinergizzanti (sesamina, piperonil-butossido, sulfossido, BHT,ecc.) i quali esaltano l'attività dei piretrinici fino a 30 volte, bloccando le ossidasi enzimatiche cellulari. Questi composti naturali, però, sono estremamente fotolabili e termolabili.

A partire dalla molecola originaria, l'industria chimica ha prodotto una evoluzione di questi insetticidi: aggiungendo prima alogeni (Cl, Br) (Barthin), poi sostituendo l'anello furinico della parte alcolica con un secondo benzene (Permethrin); in questo modo si è ottenuta una molecola a bassa tossicità per gli animali superiori e una persistenza di 30-40 giorni (uso domestico e zootecnico). Successivamente è stato introdotto nella molecola un gruppo cianidrico (CN) (Cypermethrin) e poi la sostituzione di due atomi di Cloro con due di Bromo (Decamethrin) ottenendo una capacità insetticida 40 volte maggiore del Parathion. Infine la parte acida è stata sostituita in blocco con isopropil-clorofenil-acetato e composti affini contenenti Fluoro (es.Fluvalinate).

In altra direzione l'industria ha sostituito la parte alcolica con un anello benzenico, ottenendo il Dimethrin (2,4,dimetil-benzil-crisantemato, a bassissima tossicità ed utilizzato come disinfestante di acque potabili ai tropici. In seguito, mediante la sostituzione del benzene con un gruppo N-ftalmidico, si è ottenuto il Tetramethrin (neopinamina) e, sostituendo con composti furilici a catena laterale a triplo legame, si sono ottenuti il Furamethrin ed il suo isomero più attivo, il Proparthrin. Questi ultimi tre insetticidi sono aerosolizzati contro mosche e zanzare. Al gruppo furilico è stato poi agganciato un anello benzenico (Resmethrin) il quale conferisce all'insetticida una maggiore resistenza alla degradazione ossidativa (pur non diminuendone la fotolabilità). Infine manipolando la catena laterale dell'acido crisantemico si è ottenuto il Kadethrin, un insetticida ad effetto fulminante 60 volte più potente delle piretrine naturali.

Il primo piretroide di sintesi, il fenvalerate; fu immesso nel mercato nel 1978 ed oggi la classe consta di ben 42 principi attivi. I piretroidi non sono in grado di penetrare nella pianta per cui esercitano azione prevalentemente per contatto; la loro liposolubilità che ne permette la penetrazione nelle cere epicuticolari. Agiscono depolarizzando la membrana degli assoni nervosi e così impedendo la trasmissione dell'impulso.

Nelle piante del genere Nicotiana (N.tabacum, glutinosa, macrophylla, rustica) sono contenuti alcaloidi fortemente tossici: nicotina che si trova nelle foglie di tabacco fino al 18%, nornicotina e neonicotina (chiamata anche anabasina perché presente nella Chenopodiaca Anabasia aphylla). Solitamente la nicotina è utilizzata come solfato associato a saponi, idrossido di ammonio, ecc. Viene utilizzata per contrastare Afidi, per contatto o inalazione e va usata in dosi bassissime di mezzo o un millesimo % di principio attivo.

I nicotinoidi (cloronicotinili, di sintesi) agiscono a livello del sistema nervoso fissandosi ai ricettori adrenalici (adrenalino-mimetici) della membrana assonica depolarizzandola e bloccando la trasmissione dell'impulso nervoso. Sono sistemici e persistenti ed il principio attivo assorbito dalla pianta giunge ai giovani germogli in fase di crescita. In commercio sono: Acetamiprid, Clothianidin, Imidacloprid, Thiacloprid e Thiamethoxam. È sconsigliato l'uso vicino ai corsi d'acqua, in quanto sono molto tossici per gli organismi acquatici, e nell'epoca di fioritura, poiché sono estremamente tossici per le api. Proprio per la sospetta tossicità nei confronti delle api, l'Unione europea ne ha bandito la commercializzazione per un periodo di due anni a partire dal 2013.

I rotenoidi sono sostanze estratte dalle radici di piante tropicali (Tephrosia, Longocharpus, Derris) ed utilizzate contro specie sensibili anche ai nucotinici. Si utilizzano nell'ambito domestico in quanto sono meno tossici per l'uomo (ma molto tossiche per pesci e maiali). Poco persistenti e presentano anche un certo potere acaricida.

Le quassine sono sostanze innocue per le api e per l'uomo. I principi attivi sono ricavati dalla macerazione del legno delle piante tropicali Quassia e Picrasma (Simaroubaceae). Sugli insetti hanno un effetto più blando rispetto ai nicotinici ed ai piretrinici ed il loro meccanismo d'azione è abbastanza simile. L'acqua di macerazione viene filtrata ed aggiunto sapone. Si possono utilizzare durante la fioritura ma il costo le rende poco utilizzate.

Le veratrine sono sostanze contenute nei semi di Schoenocaulon ed in piante di Veratrum; le rianodine si trovano in piante di Ryania. Le prime agiscono per ingestione e le seconde per contatto causandone lenta morte per gli insetti. Le rianodine sono piuttosto tossiche anche per l'uomo ed altri mammiferi; le veratrine sono meno tossiche e si prestano per la disinfestazione di animali domestici. La fisostigmina è un alcaloide naturale.

Alcuni insetticidi di fabbricazione giapponese utilizzano la nereistossina che viene ricavata da anellidi Lumbriconereis heteropoda: essa manifesta potere insetticida per ingestione e/o contatto nei confronti di larve di Lepidotteri e Coleotteri, ad esempio contro la Leptinotarsa decemlineata (la Dorifora della patata) e potere citotropico e persistenza. Contiene gruppi cambammici, metilici, zolfo e cloro.

Organici di origine minerale (oli minerali) sono miscele di idrocarburi aromatici e alifatici saturi o insaturi. Dalla distillazione frazionata (circa 340 °C) del catrame di carbon fossile si ottengono oli antracenici che contengono molti composti aromatici insaturi e sono fortemente viscosi, quindi troppo energici e provocavano fitotossicità. Venivano adoperati contro coccidi e uova di Afidi sulle pomacee.

Dalla distillazione frazionata del petrolio greggio (al di sopra dei 310 °C), si ottengono oli di petrolio distinti in leggeri (paraffinici, bianchi) se evaporano a 335 °C per il 65-80%, e medi se a questa temperatura evaporano per il 40-50%.

L'insetticida ideale sarebbe quello che riesce a colpire solo la specie dannosa con tossicità lieve o nulla per altri organismi non dannosi o, addirittura, utili, come gli antagonisti naturali delle specie dannose, che dovrebbero essere protetti. Una buona selettività minimizza i rischi di inquinamento ambientale e comporta rispetto per gli equilibri naturali degli eco-agro-sistemi.

La resistenza è una diminuzione, fino all'immunità, ad un determinato principio tossico. Il fenomeno si verifica in quanto lo stesso principio tossico opera una selezione in favore di individui dotati di resistenza genetica, la cui discendenza, nel tempo e continuando ad insistere sulla popolazione il tossico, diviene via via selettivamente più resistente fino a divenite inattaccabile da quel determinato tossico e spesso anche da quelli della stessa classe chimica.

La tolleranza o mitridatismo è detta anche tolleranza da vigore. Si tratta della sopravvivenza degli individui più robusti che solo in parte possono trasmettere alla discendenza questo loro vigore: la tolleranza non è da considerare ereditaria.
La resistenza sensu stricto o vera resistenza, deriva da deviazioni dei meccanismi di penetrazione, attivazione, degradazione, escrezione di un principio attivo tossico. Essa è sempre ereditaria. Può essere distinta in:
morfologica: la penetrazione del principio attico è ostacolata o impedita da strutture morfologiche (lignezza delle setole ai pulvilli delle zampe, minore permeabilità, spessore del tegumento, composizione fisico-chimica della cuticola, ecc.)
etologica: quando il comportamento del parassita è o diviene tale da ridurre il contatto con il tossico (rigurgito, velocità di digestione e di escrezione, ecc.)
fisiologica: quando il parassita è dotato di enzimi in grado di detossificare l'insetticida (ossidazione, riduzione, idrolisi, dealogenazione,ecc.). Uova e pupe di insetti manifestano resistenza per il fatto che in questi stadi non possono agire quei meccanismi che portano alla disidratazione (inibizione di colinoesterasi, di trasmissioni nervose, alterazione del metabolismo idrico e disidratazione irreversibile).

La resistenza fisiologica può essere: semplice (se ad un tossico corrisponde un solo enzima detossificante), incrociata (se un solo enzima detossifica più composti), moltiplicata (se un solo composto è detossificato da più enzimi), multipla (se l'organismo utilizza più processi di detossificazione, uno per ogni gruppo o tipo di sostanza tossica). Può inoltre insorgere una forma di resistenza dovuta ad una variazione del tipo di acetilcolinoesterasi la quale diviene insensibile agli esteri fosforici, cambammici, ecc.

Gli antichi Romani chiamavano pestis qualsiasi causa di danno: ad esempio per essi la ruggine del grano (crittogama) era la maxima segetum pestis, ossia la massima causa di danno per le messi. Queste espressione è rimasta identica nell'idioma inglese, pest, e un organismo riceve tale denominazione quando interferisce con gli interessi umani. Analogamente, un qualsiasi principio attivo ad azione biocida è detto, in inglese, pesticide. In italiano non esistono termini generali corrispondenti alle parola pest e pesticide, ma negli ultimi decenni si è diffusa, come neologismo, la parola pesticida, derivata da un'impropria traduzione dall'inglese. In ambito normativo, un insetticida, o altro principio attivo ad azione biocida, è definito, secondo l'uso, come presidio medico chirurgico o prodotto fitosanitario, sebbene le recenti norme sull'uso sostenibile di tali prodotti adottino ormai liberamente il termine pesticida. In ambito tecnico-agronomico è di ampio impiego il termine fitofarmaco o agrofarmaco e, in modo meno appropriato, quello di antiparassitario. Inutilizzata invece la definizione prodotto per la protezione delle piante, termine standard nel mondo anglosassone (plant protection product).

L'uso di sostanze chimiche per debellare gli organismi dannosi che infestano le colture è una pratica agricola molto antica. Plinio, intorno al 70 d.C. raccomandava l'impiego dell'arsenico come insetticida; composti arseniacali erano molto diffusi in Cina per tali scopi già nel XVI sec.

Nell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento erano usati come insetticidi l'arseniato di piombo o di calcio e i polisolfuri di calcio e di bario, composti del mercurio e del fluoro, derivati nitrici (dinitroortocresoli), i sottoprodotti dell'industria petrolifera (oli neri e oli bianchi), sostanze di origine vegetale come il solfato di nicotina, estratto dalle foglie di Solanacee (Nicotiana tabacum e Nicotiana sativa), il piretro, estratto dal capolino delle Composite del genere Chrysantemum (Pyretrum, già conosciuto da epoche antichissime come polvere persiana). Questi insetticidi sono detti di prima generazione.

Per chiarire la storia degli insetticidi è necessario ricordare che essi trovarono prima impiego bellico come armi chimiche e che tuttora essi sono stoccati per tale uso negli arsenali di quasi tutti i paesi. Furono utilizzati nel corso della I e della II Guerra Mondiale su vari fronti (gas asfissianti) e successivamente nel corso della guerra tra Iran e Iraq con l'effetto di sterminare interi villaggi.

Gli insetticidi di seconda generazione si affermarono dopo la seconda guerra mondiale, prima i cloroderivati organici, poi i fosforganici e un decennio dopo i carbammati. Il DDT (diclorodifeniltricloroetano), all'inizio degli anni '40 del secolo scorso, inaugurò la nuova strategia di lotta contro gli insetti dannosi. Fu sintetizzato nell'800 da Zeidler e nel 1939 Müller ne scoprì il potere insetticida. Analoghi del DDT sono il DDD (diclorodifenildicloroetano) ed il metossicloro. Anche il gammesano è un cloro derivato e fu sintetizzato nell'800 da Faraday; fu riscoperto come insetticida nel 1942 in Francia, da Dupire, e si compone di cinque stereoisomeri a diversa attività insetticida. Il più attivo, l'isomero gamma, viene commercializzato puro al 99% col nome di lindano.

Più tardi comparvero i cloroderivati ciclodienici: clordano, eptacloro, dieldrina, endrina e endosulfan, quest'ultimo un po' diverso perché nella sua molecola troviamo lo zolfo. Gli organofosforici si originarono dalle ricerche di Schäder, in Germania, che cercava sostanze tossiche per l'impiego bellico; furono sintetizzati per la prima volta nel 1937 dalla Bayer (Germania). Questi composti fino al termine della seconda guerra mondiale sono stati protetti dal segreto militare. Nel 1944 fu sintetizzato il 0,0-dietil-0-para-nitrofenilfosfato, commercializzato col nome di parathion, un fosforganico di vasto impiego.

La fisostigmina fu scoperta nel 1863 da J. Jobst e Otto Hesse e venne sintetizzata da Percy Lavon Julian e Josef Pikl nel 1935. Da essa derivarono i carbammati di cui il carbaryl è il composto più noto e diffuso. Sono esteri dell'acido carbammico, derivati sintetici dell'eserina, un alcaloide contenuto nei semi di una leguminosa africana, Physostigma venenosum, la fava del Calabar, nota agli indigeni che la impiegavano in sommari "giudizi di Dio" facendone ingerire l'infuso ai presunti colpevoli. I carbammati furono sintetizzati da Gysin nel 1953 alla Union Carbide negli Stati Uniti. Oltre al carbaryl ricordiamo l'isolano (non più utilizzato), il pirimicarb, il lannate, il propoxur. Il carbaryl fu prodotto sostituendo la catena laterale dell'acido carbammico con due anelli di benzene; nel grafico a fianco si possono vedere le varie sostituzioni che hanno danno luogo ai diversi insetticidi.

Durante una sintesi programmata fra derivati degli erbicidi dichlobenil e fenuron si ottenne un prodotto che non aveva attività erbicida, ma una elevatissima attività insetticida. Il primo composto di questa classe immesso nel mercato fu il diflubenzuron nel 1975. Attualmente esistono dieci benzoiluree in commercio. Il meccanismo d'azione delle benzoiluree è completamente diverso da quello delle altre classi chimiche conosciute. I composti di questa classe esplicano la loro azione interferendo sulla formazione della chitina per cui, bloccando lo sviluppo delle larve nella fase di muta (per un'imperfetta formazione della nuova cuticola), provoca conseguentemente la loro morte. Per questo motivo sono classificati come insetticidi regolatori di crescita. Questi insetticidi non sono sistemici ed esplicano la loro azione prevalentemente per ingestione.
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