lunedì 22 giugno 2015

L'ERMELLINO



L'ermellino è un piccolo, agilissimo predatore capace di muoversi con destrezza sulla neve, tra le rocce, sugli alberi ed in acqua. Il colore mimetico e la velocità con cui si muove lo rendono particolarmente temibile per i piccoli animali e difficilmente avvistabile per i naturalisti.
E' molto simile alla donnola, da cui si distingue per le dimensioni inferiori e per il ciuffo nero all'estremità della coda.
Si accoppia in  autunno, ma la gestazione si interrompe nei mesi invernali: tra marzo e maggio nascono 4-7 piccoli.
La sua pregiatissima pelliccia lo ha fatto, in passato, oggetto di caccia spietata.

Il corpo è lungo fino a 30 cm nei maschi, circa la metà nelle femmine; le zampe sono relativamente corte. Il pelame, rosso-bruno sul dorso e bianco sul ventre in estate, viene mutato in inverno divenendo completamente bianco, tranne la punta della coda, nera. Agile, sebbene si sposti soprattutto a terra è un ottimo arrampicatore. Ha abitudini notturne e crepuscolari. È un predatore specializzato nella caccia a conigli e lepri, ma si nutre anche di micromammiferi, uccelli, uova, piccoli rettili, anfibi, pesci e invertebrati. Scava tane sotterranee; la particolare morfologia del suo corpo permette, specialmente alla femmina, di seguire le prede anche in cunicoli di piccole dimensioni. Se disturbato può rilasciare un secreto repellente, di odore muschiato, dalle ghiandole perianali.
La pelliccia di ermellino, nel suo aspetto invernale, è molto pregiata. Tradizionalmente è indossata come segno del potere da regnanti e come insegna di dignità dai gradi più elevati della gerarchia accademica o giudiziaria.

L'ermellino identifica l'appartenenza di alcuni personaggi rinascimentali, come Ludovico il Moro, ad un ordine cavalleresco. Campeggia, inoltre, nello stemma araldico di Giovanni Andrea da Lampugnano (sicario e uccisore nel 1476 di Galeazzo Maria Sforza) che è così composto: a destra la Lupa e a sinistra la Mustela Alpina detta, in volgare, ermellino.

Con l'uso di questa simbologia Leonardo da Vinci, nel dipinto della “Dama con l'ermellino”, intende fare memoria della congiura contro Galeazzo Maria. Gli elementi iconografici alludono al mandante della congiura che aveva armato la mano di Andrea da Lampugnano e di altri sicari. I principali elementi di questa ipotesi sono: la Croce di Sant'Andrea sulla spallina della misteriosa Dama; la collana di perle nere al collo che allude al lutto; la mano scheletrita che non accarezza l’ermellino e non lo teme; le dimensioni sproporzionate dell’ermellino: errore, questo, non ammissibile in uno studioso delle forme quale Leonardo era. Queste analisi fanno ritenere che il soggetto della “Dama con ermellino” non sia Cecilia Gallerani bensì Caterina Sforza, figlia naturale di Galeazzo Maria. Tesi avvalorata dalla simbologia usata per i “piatti di pompa” n. 8 e n. 9, custoditi al Museo Nazionale di Ravenna, sul cui verso è indicato il nome di Caterina Sforza mentre, sul recto, è usata la simbologia Andreana che si ritrova anche nell’abside della Chiesa di Sant'Andrea in Melzo dove, oltre agli affreschi di epoca leonardesca, recenti ricerche hanno portato alla luce un teschio che le analisi effettuate hanno stabilito essere quello di Galeazzo Maria Sforza, V duca di Milano.



L'opera è uno dei dipinti simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese, tra il 1482 e il 1499. L'opera, della quale si ignorano le circostanze della commissione, viene di solito datata a poco dopo il 1488, quando Ludovico il Moro ricevette il prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell'Ordine dell'Ermellino dal re di Napoli.

L'identificazione con la giovane amante del Moro Cecilia Gallerani si basa sul sottile rimando che rappresenterebbe, ancora una volta, l'animale: l'ermellino infatti, oltre che simbolo di purezza e di incorruttibilità (annotava lo stesso Leonardo che "prima si lascia pigliare dai cacciatori che voler fuggire nell'infangata tana, per non maculare la sua gentilezza", cioè il mantello bianco), si chiama in greco "galé" (γαλή), che alluderebbe al cognome della fanciulla.

La scritta apocrifa ("LA BELE FERONIERE / LEONARDO DA VINCI") ha anche fatto ipotizzare che l'opera raffiguri Madame Ferron, amante di Francesco I di Francia, ipotesi oggi superata.

Esiste poi un'interpretazione, poco seguita ma interessante per capire la molteplicità di suggestioni che ha generato il ritratto, secondo cui l'opera sarebbe una memoria della congiura contro Galeazzo Maria Sforza: la donna effigiata sarebbe sua figlia Caterina Sforza, con la collana di perle nere al collo della dama che alludono al lutto, e l'ermellino un richiamo allo stemma araldico di Giovanni Andrea da Lampugnano, sicario e uccisore nel 1476 dello Sforza.

Il dipinto, col Ritratto di musico e la cosiddetta Belle Ferronnière del Louvre, rinnovò profondamente l'ambiente artistico milanese, segnando nuovi vertici nella tradizione ritrattistica locale. Dell'opera si sa che ebbe subito un notevole successo. Immortalato da un sonetto di Bernardo Bellincioni (XLV), venne mostrata dalla stessa Cecilia alla marchesa di Mantova Isabella d'Este che cercò di farsi ritrarre a sua volta da Leonardo, pur senza successo (ne resta solo un cartone al Louvre).

Le tracce del dipinto nei secoli successivi sono più confuse. Dimenticata l'attribuzione a Leonardo, l'opera venne riassegnata al maestro solo alla fine del XVIII secolo. Durante la seconda guerra mondiale venne nascosto nei sotterranei del castello del Wawel, dove fu trovato dai nazisti che avevano invaso la Polonia; quando fu ritrovato recava nell'angolo inferiore a destra l'impronta di un tallone, a cui venne rimediato con un restauro.

In quest'opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra. Vi è corrispondenza tra il punto di vista di Cecilia e dell'ermellino; l'animale infatti sembra identificarsi con la fanciulla, per una sottile comunanza di tratti, per gli sguardi dei due, che sono intensi e allo stesso tempo candidi. La figura slanciata di Cecilia trova riscontro armonico nell'animale.

La dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e al tempo stesso ha l'imperturbabilità solenne di un'antica statua. Un impercettibile sorriso aleggia sulle sue labbra: per esprimere un sentimento Leonardo preferiva accennare alle emozioni piuttosto che renderle esplicite. Grande risalto è dato alla mano, investita dalla luce, con le dita lunghe e affusolate che accarezzano l'animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia. L'abbigliamento della donna è curatissimo, ma non eccessivamente sfarzoso, per l'assenza di gioielli, a parte la lunga collana di perle scure. Come tipico nei vestiti dell'epoca, le maniche sono le parti più elaborate, in questo caso di due colori diversi, adornate da nastri che, all'occorrenza, potevano essere sciolti per sostituirle. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo dello stesso colore dei capelli raccolti.

Lo sfondo è scuro, ma dall'analisi ai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era originariamente dipinta una finestra.

L'ermellino è dipinto con precisione e vivacità. A un'analisi della morfologia dell'animale, esso appare però più simile a un furetto. Può darsi che Leonardo, sempre indagatore del dato naturale, si ispirasse a un animale catturato, allontanandosi dalla, tutto sommato più realistica, tradizione iconografica (ad esempio si può vedere un ermellino nel Ritratto di cavaliere di Vittore Carpaccio del 1510 circa). Del resto, l'ermellino è un animale selvatico mordace e difficilmente ammaestrabile, di conseguenza sarebbe stato molto difficile poterlo utilizzare come modello, al contrario del furetto che può essere addomesticato quasi alla stregua di un gatto, oltre che relativamente semplice da trovare nelle campagne lombarde dell'epoca. Si consideri inoltre che l'ermellino ha dimensioni molto più ridotte, superando raramente e comunque di poco i 30 cm, mentre il furetto, come nel dipinto, a occhio misura tra i 40 e i 60 cm.


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