Il legno in pellet è un combustibile ricavato dalla segatura essiccata. La norma UNI EN 14588 lo definisce come "biocombustibile addensato, generalmente in forma cilindrica, di lunghezza casuale tipicamente tra 5 mm e 30 mm, e con estremità interrotte, prodotto da biomassa polverizzata con o senza additivi di pressatura".
La capacità legante della lignina, contenuta nella legna, permette di ottenere un prodotto compatto senza aggiungere additivi e sostanze chimiche estranee al legno. Si ottiene, quindi, un combustibile naturale ad alta resa. L'umidità del materiale deve essere compresa in uno stretto intervallo (intorno al 15% m/m) per garantire una corretta pressatura.
La combustione del pellet di legno produce biossido di carbonio e inquinanti tipici della combustione delle biomasse solide. Residuo tipico sono gli incombusti, e in particolare le ceneri, la cui quantità è strettamente dipendente dalla tipologia di biomassa (circa 3% per il legno, 9-15% per paglia).
Grazie alla pressatura il potere calorifico del pellet, a parità di volume ma non di peso, è circa doppio rispetto al legno. Sul rendimento calorico influisce in minima parte anche la percentuale di legni duri di origine.
Il pellet è utilizzato come combustibile per stufe di ultima generazione, in sostituzione dei ceppi di legno. Ciò comporta una serie di miglioramenti di tipo ecologico, energetico e di gestione dell'impianto di riscaldamento rispetto alle stufe tradizionali.
Tra i vantaggi ambientali ed economici è da notare come la produzione di pellets non sia strettamente legata all'abbattimento di alberi interi: infatti possono essere prodotti da numerosi materiali di scarto come segatura e scarti di lavorazione di falegnameria, che in questo modo vengono rivalorizzati come combustibile di largo consumo.
I pellets sono cilindretti di legno pressato, prodotti a partire da residui di segatura e lavorazione del legno (trucioli e segatura), in genere prodotti da segherie e falegnamerie.
La materia prima è anticipatamente selezionata, essiccata e pulita dalle impurità, per ottenerne una qualità costante, con un’umidità residua ben determinata (circa 15%); la preparazione prevede inoltre una selezione di specie di legno più tenere (abeti, conifere) e una certa omogeneità qualitativa e dimensionale; la maggior accuratezza di questa preparazione si traduce in una miglior qualità del prodotto finito e in minor consumo di energia per la produzione.
Per la produzione di una tonnellata di pellet occorrono dai sei agli otto metri cubi di trucioli e segatura. Dopo la preparazione della materia prima, il materiale è immesso nelle presse tramite un trasportatore a coclea.
La pressa con un sistema di cilindri comprime il materiale, e lo fa passare attraverso i fori di una trafila, che lo riduce in lunghi spaghetti caldi, poi tagliati alla lunghezza desiderata (6–8 mm) e raffreddati nell’ambiente (aria).
La pressatura agisce sulla materia prima, trasformando la lignina in collante che riveste le fibre di cellulosa.
Per conferire al materiale una certa resistenza all’abrasione si usa aggiungere sostanze naturali (amido e farina) che facilitano anche la pressatura, in ragione di un massimo normato del 2%; agli effetti pratici si usa un'aggiunta di non più del 0,5%. La normativa prescrive inoltre che le polveri del prodotto non superino l'1%, perciò, prima dello stoccaggio, si setaccia il prodotto eliminando polveri e altri resti.
Il consumo d’energia necessario alla produzione e alla distribuzione del pellet partendo da resti secchi del legno è di circa il 2,7% dell'energia finale, molto minore di quello richiesto dal metano o dal gasolio (circa 10% e 12% rispettivamente).
Il nostro Paese è primo a livello mondiale per consumo di pellet per il riscaldamento, con circa 3 milioni di tonnellate annue. Risultiamo anche i primi importatori al mondo di pellet, con oltre 2,5 Mt/anno, visto che la produzione interna non è in grado di rispondere alla domanda. Importiamo questo combustibile legnoso soprattutto da Austria e Germania, ma stanno crescendo le importazioni via nave da USA e Canada, una modalità che ha comportato dei prezzi più omogenei lungo lo stivale e una distribuzione garantita in quasi tutte le regioni anche attraverso la Grande Distribuzione Organizzata.
Sono due i motivi principali per una produzione interna che non decolla. Il primo è il costo elevato dell’energia in Italia: la produzione di pellet è un processo energivoro, che richiede circa 1 MWh di energia termica e 200 kWh di energia elettrica per una tonnellata di prodotto finito. Il secondo motivo è l’elevato costo della materia prima nel nostro Paese. Da una parte, infatti, le segherie tendono a valorizzare gli scarti per recuperare redditività poiché il loro core business è in evidente difficoltà. Dall’altra, le caratteristiche orografiche dei terreni italiani e il costo del personale rendono poco competitivi i fornitori italiani di legno.
Quasi tutto il pellet consumato in Italia (il 96%, pari a circa 2,7 milioni di tonnellate nel 2014) è usato nel settore residenziale: l’81% nelle stufe (se ne contano circa 2,2 milioni), il 15% nelle caldaie domestiche (con potenze inferiori a 35 kW) e il 4% in quelle commerciali, cioè con potenza oltre 35 kW.
Il prezzo del pellet è fortemente ciclico e stagionale: il periodo migliore per comprarlo è quello estivo, mentre nei mesi di maggior consumo (da ottobre a gennaio) il prezzo tende ovviamente a crescere. In questi mesi il prezzo di un sacco da 15 kg di pellet certificato si attesta intorno a 4/4,20 euro e può scendere fino a 3,60 euro al sacco nel periodo primavera-estate.
Per riscaldare con il pellet un appartamento di circa 75 metri quadri in Pianura Padana, servono 1-1,2 tonnellate/anno di combustibile per una spesa che varia tra 250 e 280 euro. Questo nel caso in cui il sistema a pellet sia quello utilizzato in modo prevalente, ma il consumo può variare in funzione di come sono distribuiti i piani dell'abitazione (se su uno o più livelli) e dalla canalizzazione o meno della stufa.
«Il prezzo del pellet varia anche in funzione delle condizioni meteorologiche: se l’inverno è meno rigido, c’è una maggiore offerta sul mercato e il prezzo di conseguenza si abbassa – afferma Laura Baù di Aiel-Associazione Italiana Energie Agroforestali -. A livello di trend generale, riteniamo che il prezzo tenderà a essere piuttosto stabile nel corso della prossima stagione fredda, rimanendo più competitivo del metano».
Con un punto di domanda, però: l’IVA. Con la Legge di Stabilità 2015 era arrivata una brutta sorpresa per chi acquista pellet: l’IVA veniva infatti aumentata dal 10 al 22% a partire dal primo gennaio 2015. In realtà, gli aumenti di prezzo paventati per il consumatore finale (per l’abitazione di 75 m2 in Pianura Padana intorno ai 35 € annui) sono stati quasi completamente assorbiti dai rivenditori al dettaglio, che non hanno aumentato il prezzo a causa di una domanda rimasta praticamente stabile fra il 2014 e il 2015 (l’inverno 2014/2015 è stato più mite di quello 2013/2014).
«Nel corso di quest'autunno probabilmente i prezzi si potrebbero alzare un po’, sia in previsione di un inverno meno mite rispetto allo scorso anno sia proprio per l'aumento dell'IVA» spiega Laura Baù. Si può risparmiare qualcosa (generalmente un 5% per MWh consumato) se si opta per l’acquisto del pellet tramite autobotte, quindi con quantità ingenti, ma anche in questo caso il combustibile rimane più costoso della legna da ardere e del cippato. Punti di forza del pellet sono le emissioni inferiori e il funzionamento automatizzato e programmabile delle stufe (modulazione della potenza a partire dal 30% circa), con rendimenti oltre il 90% e facilità di gestione delle ceneri.
Quando s’intende acquistare del pellet è sempre buona norma fare una breve ispezione visiva in particolare del fondo del sacchetto: un elevato contenuto di polveri e di pellet rovinati può significare che il prodotto è di qualità scarsa o prodotto in maniera non corretta (il corrispondente parametro tecnico è quello della durabilità meccanica). Un mito da sfatare è invece relativo al colore del pellet: un pellet chiaro non è indice di maggiore qualità rispetto a un pellet scuro, ma dipende solo dalla tipologia di alberi da cui è stato prodotto.
«Il parametro chiave che non si deve mai perdere di vista è il contenuto in ceneri – afferma il Prof. Toscano, del Laboratorio Biomasse dell’Università Politecnica Marche -. Quando questo valore è elevato è probabile che anche altri parametri, come zolfo e cloro, superino determinati livelli di concentrazione. Per rientrare nella classe migliore il pellet deve presentare al massimo lo 0,7% del peso su s.s. (sostanza secca) di contenuto in ceneri. Chi dispone di stufe domestiche dovrebbe scegliere prodotti con queste caratteristiche o non superare comunque l’1%. In generale, il pellet per stufe domestiche dovrebbe ricadere nella classe A1 della normativa UNI EN ISO 17225-2, mentre per le A2 e B il prodotto dovrebbe essere utilizzato per alimentare le caldaie».
In aiuto al consumatore possono venire in aiuto le certificazioni emesse da enti terzi rispetto a produttori e distributori. La certificazione più diffusa in Italia e a livello internazionale è la EN Plus, che fa riferimento alla nuova norma UNI EN ISO 17225-2. All’interno del logo di EN Plus viene riportata la classe di qualità del pellet (A1 o A2). «È importante scegliere pellet certificato per avere una garanzia di trasparenza, qualità, tracciabilità – spiega Laura Baù -. EN Plus basa il proprio controllo lungo tutta la filiera ed è l’unica a fornire uno standard sulle caratteristiche chimico-fisiche del pellet in maniera da ottimizzare l’uso negli apparecchi. Il consumatore ha difficoltà a comprendere le caratteristiche del pellet e anche per i produttori di stufe e caldaie è utile avere uno standard di prodotto per poter calibrare le macchine e perfezionarne il funzionamento».
Se la certificazione è senz’altro un elemento positivo che può aiutare il consumatore nella scelta del pellet, non ne vanno taciuti alcuni limiti. Primo fra tutti la difficoltà di verificare in maniera continuativa i prodotti in commercio. I produttori certificati En Plus devono obbligatoriamente sottoporsi a una singola ispezione ogni anno e l’organismo di certificazione può richiedere, a sua discrezione, delle verifiche ispettive straordinarie, ad esempio se si dovesse riscontrare un numero di lamentele significativo.
«Va ricordato che la qualità non può essere ridotta alla forma - spiega il Prof. Toscano -. Quella della qualità del pellet è una questione di sostanza che richiede continua attenzione e analisi di processo e di prodotto. Il controllo della qualità delle biomasse è però un’operazione complessa e costosa e i margini della filiera del pellet non sempre sono tali da permettere sforzi economici significativi su questo aspetto. Il Laboratorio Biomasse ha raffinato delle soluzioni per fornire un’alternativa anche a piccoli produttori e distributori al fine di avviare un percorso efficace di controllo della materia prima con costi compatibili con la propria dimensione. In sintesi, l’approccio operativo è tracciare, per quanto possibile, l’origine della biomassa e applicare dei controlli frequenti di laboratorio considerando pochi ma specifici parametri analitici. Il Laboratorio sta inoltre investendo, come attività di ricerca, sulla possibilità di applicare la tecnica analitica della spettroscopia a infrarossi per poter effettuare dei controlli qualitativi rapidi, economici e in alcuni condizione su tutta la materia prima».
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