« Di tutto quanto c'è in Roma la fontana è certamente l'attrazione più forte. »
(John H. Secondari)
La Fontana di Trevi è la più grande ed una fra le più note fontane di Roma; è considerata una delle più celebri fontane del mondo.
La fontana, progettata da Nicola Salvi e adagiata su un lato di Palazzo Poli, è stata inaugurata nel 1735 e appartiene al tardo barocco.
La storia della fontana è strettamente collegata a quella della costruzione dell'acquedotto Vergine, che risale ai tempi dell'imperatore Augusto, quando Marco Vipsanio Agrippa fece arrivare l'acqua corrente fino al Pantheon ed alle sue terme.
Benché compromesso e assai ridotto nella portata dall'assedio dei Goti di Vitige nel 537, l'acquedotto dell'acqua Vergine rimase in uso per tutto il medioevo, con restauri attestati già nell’VIII secolo, poi ancora dal Comune nel XII secolo, in occasione dei quali si provvide anche ad allacciare il condotto ad altre fonti più vicine alla città, poste in una località allora chiamata “Trebium”, che potrebbe essere all’origine del nome. Il condotto dell’Acqua Vergine è il più antico acquedotto di Roma tuttora funzionante, e l’unico che non ha mai smesso di fornire acqua alla città dall’epoca di Augusto.
Il punto terminale dell’”Aqua Virgo” si trovava sul lato orientale del Quirinale, nei pressi di un trivio (“Treio”, nella lingua dell’epoca: altra ipotesi, abbastanza accreditata, sull’origine del nome). Al centro dell’incrocio venne realizzata una fontana con tre bocche che riversavano acqua in tre distinte vasche affiancate; risale al 1410 la prima documentazione grafica della “Fontana del Treio” (o “di Trevi”), così rappresentata. Poco tempo dopo, nel 1453, su incarico di papa Niccolò V, Leon Battista Alberti sostituì le tre vasche con un unico lungo bacino rettangolare, appoggiandolo ad una parete bugnata e merlata e restaurando i tre mascheroni da cui fuoriusciva l’acqua. Sulla parete fu apposta una lapide a memoria dell’intervento:
« NICOLAVS V. PONT. MAX.
POST ILLVSTRATAM INSI-
GNIBVS MONUMEN. VRBEM
DVCTVM AQVAE VIRGINIS
VETVST. COLLAP. REST. 1453 »
« Nicolò V Pontefice Massimo, dopo aver abbellito con insigni monumenti la città, restaurò il condotto dell’Acqua Vergine dall’antico stato di abbandono nel 1453. »
Dopo vari interventi di scarso rilievo, un altro importante restauro di tutto l’acquedotto fu compiuto nel 1570 ad opera di papa Pio V; in quell’occasione furono anche riallacciate le sorgenti originarie.
Dopo una serie di progetti presentati da vari architetti e mai posti in atto, verso il 1640 papa Urbano VIII ordina a Gian Lorenzo Bernini una "trasformazione" della piazza e della fontana, in modo da creare un nuovo nucleo scenografico nei pressi del palazzo familiare (Palazzo Barberini) allora in fase di ultimazione, e che fosse anche ben visibile dal Palazzo del Quirinale, residenza pontificia. Bernini progetta una grande mostra d'acqua e, prima ancora di ottenere l’autorizzazione, inizia i lavori, finanziati, tra l’altro, dai proventi di una sgraditissima tassa sul vino imposta ai romani. Amplia dunque la piazza (che inizialmente era solo un trivio) demolendo alcune casupole a sinistra della fontana preesistente, quindi la ribalta ortogonalmente, sino ad arrivare all'allineamento odierno, rivolto verso il Quirinale. La mostra, nota da varia documentazione illustrata, doveva essere strutturata in due grandi vasche semicircolari concentriche, al cui centro un piedistallo, appena sotto il pelo dell’acqua, doveva servire come base per un gruppo, probabilmente incentrato sulla statua della “Vergine Trivia”. Ma i fondi per il progetto si esaurirono presto e vennero anche drasticamente tagliati a causa della guerra che il papa aveva dichiarato al Ducato di Parma e Piacenza: non venne scolpita alcuna statua centrale e il cantiere fu bloccato. Nello spostamento si persero anche le tracce della lapide di Niccolò V.
La morte di Urbano VIII, nel 1644, e il conseguente processo aperto contro la famiglia Barberini, dal nuovo papa Innocenzo X comportò l’abbandono del progetto berniniano. Anzi, al Bernini, caduto in disgrazia per essere stato l’architetto della famiglia Barberini, venne affidato il semplice compito di prolungare l'acqua Vergine sino a piazza Navona, dove Francesco Borromini avrebbe dovuto realizzare una nuova mostra monumentale dinanzi al palazzo della famiglia del pontefice (Pamphilj).
Trascorsero quasi 60 anni prima che Clemente XI si ponesse di nuovo il problema di trovare una soluzione alla fontana di Trevi, ma i progetti di Carlo Fontana (un obelisco su un gruppo di rocce, sul modello della fontana dei Quattro Fiumi), di Bernardo Castelli (una colonna su una base rocciosa, con una rampa spirale), non ebbero miglior successo. Stessa sorte per i disegni di vari altri architetti, che prevedevano anche la parziale demolizione degli edifici che il Bernini aveva lasciato alle spalle della fontana.
Sembrava l’ultima occasione, perché la famiglia del successivo pontefice Innocenzo XIII (i Conti, duchi di Poli) aveva da poco fatto allargare le proprietà della famiglia fino alla piazza di Trevi, acquistando i due edifici dietro la fontana per rimpiazzarli con un palazzo nobiliare. Qualunque progetto di realizzazione di una fontana monumentale avrebbe dunque potuto compromettere e danneggiare il palazzo, ed era quindi da evitare accuratamente.
Un curioso episodio si colloca nel pontificato del successivo papa Benedetto XIII, originario di Gravina di Puglia il quale, con spirito campanilistico, ai più noti architetti dell’epoca preferì artisti rigorosamente provenienti dal Meridione, i cui progetti risultarono però decisamente scadenti. L’unica opera realizzata fu una statua della “Madonna col Bambino”, del napoletano Paolo Benaglia, destinata forse al piedistallo che il Bernini aveva sistemato al centro delle due vasche. Lo strano dell’episodio consiste nel fatto che l’artista ha confuso la “vergine” cui fa riferimento il nome dell’acquedotto con la Madonna anziché con una ragazza che, come tramandato da una leggenda popolare riportata da Sesto Giulio Frontino, avrebbe indicato ai soldati inviati da Agrippa il luogo dove si trovava la fonte da cui avrebbe potuto essere prelevata l’acqua per il nuovo acquedotto, che dunque fu chiamato “Vergine” a ricordo dell’episodio. Stupisce che neanche al pontefice sia stata segnalata la ‘’gaffe’’. Della statua si sono comunque perse le tracce.
A parte dunque la parentesi decennale (dal 1721 al 1730) dei pontificati di Innocenzo XIII e Benedetto XIII, all'inizio del XVIII secolo quello della fontana di Trevi diventa un tema obbligato per i numerosi architetti residenti o di passaggio a Roma, e l'Accademia di san Luca (oggi Accademia di Belle Arti di Roma) ne fa il tema di diversi concorsi. Si conoscono disegni e pensieri di Nicola Michetti, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga ed altri architetti italiani e stranieri.
Tocca a papa Clemente XII, nel 1731, il compito di riprendere in mano le sorti della piazza e della fontana: nell'ambito delle grandi commissioni del suo pontificato che porteranno al completamento di grandi fabbriche rimaste incompiute, bandisce un importante concorso per la costruzione di una grande mostra d'acqua. Dopo aver scartato alcuni progetti che tentavano di preservare la facciata del palazzo Poli, l’attenzione venne posta sui disegni di Ferdinando Fuga, Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli, con grande disappunto dei duchi di Poli, ancora proprietari dell'edificio, che avrebbero visto la facciata del proprio palazzo diminuita di due interassi di finestre e, inoltre, coronata dallo stemma araldico della famiglia del papa, i Corsini. Clemente XII non volle ascoltare ragioni, affidò i progetti ad una commissione di esperti e il bando venne vinto da Nicola Salvi.
L'opera era impostata secondo un progetto che raccorda influenze barocche e ancor più berniniane al nuovo monumentalismo classicista che caratterizzerà tutto il pontificato di Clemente XII. Il Salvi riprende l'idea di fondo di papa Urbano VIII e di Bernini, cioè quella di narrare, tramite architettura e scultura insieme, la storia dell'Acqua Vergine. Il progetto di Salvi venne scelto anche perché più economico rispetto agli altri.
I lavori furono finanziati per 17.647 scudi (la moneta dello Stato della Chiesa). Questi fondi furono in parte raccolti grazie alla reintroduzione del Gioco del Lotto a Roma. La costruzione della fontana fu iniziata nel 1732, e papa Clemente XII la inaugurò nel 1735, con i lavori ancora in corso. Nel 1740, però, viene ancora una volta interrotta, per riprendere solo due anni più tardi. Tra le cause dei lunghissimi tempi di realizzazione dell’impresa, oltre all’indubbia grandiosità dell’opera, il notevole aumento dei costi e quindi dei fondi necessari, e le liti frequenti tra il Salvi e Giovanni Battista Maini, lo scultore incaricato dell’esecuzione della fontana. Nessuno dei due vedrà la conclusione dell’opera: Nicola Salvi morì nel 1751 e il Maini l’anno dopo. Ma anche il papa non vide l’opera finita (e forse per questo volle inaugurarla in anticipo), e così il successore Benedetto XIV (che forse per lo stesso motivo pretese una seconda inaugurazione nel 1744).
La prima fase dei lavori termina nel 1747, quando vengono completate le statue e le rocce posticce. A Giuseppe Pannini fu affidato l'onere di portare finalmente l'opera a compimento, ma fu rimosso dal suo incarico a causa delle variazioni da lui eseguite sul progetto originale: i lavori subirono un ulteriore ritardo. Nel 1759 l'incarico fu affidato allo scultore Pietro Bracci, coadiuvato dal figlio Virginio. La fontana viene finalmente ultimata dopo l'esecuzione del complesso scultoreo centrale, durante il pontificato di papa Clemente XIII. Il 22 maggio 1762 (dopo trent’anni di cantiere), l’opera fu finalmente mostrata al pubblico in tutta la sua maestosità (e il papa la inaugurò per la terza volta).
Dal primo bozzetto realizzato dal Maini alla realizzazione finale del gruppo scultoreo del Bracci, l'opera viene reinterpretata in chiave illuminista. Le nuove idee provenienti dalla Francia stavano infatti facendosi strada nella cultura romana: il cavallo nero ed il cavallo bianco trovano espressione nella esecuzione del Bracci.
Almeno dieci scultori hanno lavorato alla realizzazione della fontana di Trevi. Alla fine, però, essa diventa una scenografia e un simbolo fondamentale della Roma papale.
Il tema dell’intera composizione è il mare. È inserita in un’ampia piscina rettangolare dagli angoli arrotondati, circondata da un camminamento che la percorre da un lato all’altro, racchiuso a sua volta entro una breve scalinata poco al di sotto del livello stradale della piazza. Il Salvi ricorse al sistema della scalinata per compensare il dislivello tra i due lati della piazza: il lato sinistro (quello verso il colle del Quirinale) è infatti molto più elevato rispetto all’altro, tant’è che si è anche dovuto ricorrere ad un breve parapetto per delimitare la strada, parzialmente coperto da rocce, su una delle quali è scolpito uno stemma Cardinalizio raffigurante un leone rampante.
La scenografia è dominata da una scogliera rocciosa che occupa tutta la parte inferiore del palazzo, al cui centro, sotto una grande nicchia delimitata da colonne che la fa risaltare come fosse sotto un arco di trionfo, una grande statua di Oceano che guida un cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli alati, a loro volta guidati da altrettanti tritoni. Ai lati della grande nicchia centrale altre due nicchie, più piccole, occupate dalle statue della Salubrità (a destra di Oceano) e dell'Abbondanza. Le tre nicchie sono delimitate da quattro grosse colonne. I due cavalli tradizionalmente noti come “il cavallo agitato” (quello di sinistra), per avere una posa molto più dinamica dell’altro, e “il cavallo placido” rappresentano gli analoghi momenti del mare a volte calmo a volte agitato.
Sempre ai lati dell’arco principale, sopra le due nicchie, due pannelli a bassorilievo, raffiguranti Agrippa nell’atto di approvare la costruzione dell’acquedotto dell’Aqua Virgo (a sinistra, sopra l’Abbondanza) e la “vergine” che mostra ai soldati il luogo dove si trovano le sorgenti d’acqua.
Le quattro grandi colonne corinzie sorreggono il prospetto superiore, sul quale si trovano, in corrispondenza di ogni colonna, quattro statue allegoriche più piccole: da sinistra a destra, l’”Abbondanza della frutta”, la “Fertilità dei campi”, la “Ricchezza dell’Autunno” e l’”Amenità dei giardini”. Nel mezzo, tra le due statue centrali, sormontata da un imponente stemma araldico di papa Clemente XII sorretto da due “Fame”, è posta la grande iscrizione commemorativa-inaugurativa che il pontefice volle apporre un po’ frettolosamente:
CLEMENS XII PONT MAX
AQVAM VIRGINEM
COPIA ET SALVBRITATE COMMENDATAM
CVLTV MAGNIFICO ORNAVIT
ANNO DOMINI MDCCXXXV PONTIF VI
La mossa scogliera in travertino, animata da essenze vegetali e animali scolpiti, vivificata dallo scorrere copioso dell’acqua, è realizzata al pari delle sculture da artisti di ambito berniniano quali Maini, Pincellotti, Bracci, Della Valle. Questi insieme ad uno stuolo di artefici dalle diversificate specializzazioni (stagnari, ottonari ed argentieri, falegnami, pittori, scalpellini, intagliatori…) furono dal Salvi magistralmente diretti ed organizzati. Nella parte centrale l’ordine unico corinzio, tipologicamente riferibile agli archi di trionfo romani , ripartisce lo spazio in riquadri laterali con le sculture ed i bassorilievi relativi alla storia della scoperta e della conduzione dell’acqua Vergine. L’acqua sgorga dalle rocce in diversi punti: sotto il carro di Oceano va a riempire tre vasche, prima di riversarsi nella piscina maggiore. Le tre vasche non facevano parte del progetto originario del Salvi, ma vennero aggiunte a seguito delle modifiche apportate da Giuseppe Pannini, che lo sostituì dopo la morte. Altra modifica sostanziale riguardò i soggetti delle due statue laterali, che rappresentavano inizialmente Agrippa e la “vergine Trivia”. Data l’ampiezza e la complessità dell’opera, molti furono gli scultori impegnati nella realizzazione dei vari gruppi statuari. Prima di morire Giovanni Battista Maini riuscì a progettare solo il modello del gruppo centrale di Oceano, che fu poi realizzato da Pietro Bracci. Le due statue della “Salubrità” e dell’”Abbondanza” sono entrambe opera di Filippo della Valle; il bassorilievo di Agrippa è di Andrea Bergondi, mentre è di Giovanni Battista Grossi quello della “vergine”; le quattro statue superiori sono opera (da sinistra a destra) di Agostino Corsini, Bernardino Ludovisi, Francesco Queirolo e Bartolomeo Pincellotti; da ultimo lo stemma pontificio, realizzato dallo stesso Paolo Benaglia che aveva già scolpito, qualche anno prima, la “Madonna col Bambino”.
Completa la descrizione dell’opera la curiosa ed inattesa scultura di un oggetto che riporta ad un aneddoto: sulle rocce che coprono il parapetto sulla sinistra della fontana è stato scolpito un grande vaso di travertino (detto Asso di coppe per la forma che ricorda molto quel simbolo raffigurato sulle carte da gioco). Le chiacchiere del tempo riferiscono che il Salvi l'avesse fatto mettere in quel punto per disturbare la vista di un barbiere che aveva bottega lì a fianco e continuava a criticare il lavoro dell'architetto. Sembra che in tal modo il vaso - che effettivamente non ha nulla a che vedere con il tema della fontana, né si riscontra alcunché di simile sull’altro lato - impedisse un’agevole visuale dei lavori all’inopportuno critico.
Un importante intervento conservativo fu compiuto nel 1998 quando la fontana fu ripulita e fu ammodernato e sistemato anche l'impianto idraulico. Mentre, sponsorizzato in modo consistente da Fendi con più di due milioni di euro, a metà del 2014 è iniziato un restauro radicale dell'intero monumento per complessivi 16 mesi di lavori, osservabili almeno parzialmente in diretta tramite una passerella provvisoria sospesa sulla vasca.
Il simbolo della città che rappresenta e probabilmente anche l'imponenza stessa della fontana è all'origine di leggende e aneddoti che le si infittiscono attorno e che sono entrati a far parte della cultura popolare romana.
La tradizione più conosciuta e persistente dice che lanciando una moneta dentro la fontana, voltandole le spalle, ci si propizia un futuro ritorno nella città. Si ignorano le origini della tradizione, che però potrebbe derivare dall'antica usanza di gettare nelle fonti sacre oboli o piccoli doni per propiziarsi la divinità locali, come per i pozzi dei desideri. La tradizione è così universalmente nota che sono ben rari i turisti, anche stranieri, che si sottraggono al “rito” del lancio della monetina.
Il Comune di Roma ha deliberato che tutte le monetine recuperate (per somme, comunque, sempre di un certo rilievo) siano destinate alla Caritas della capitale; il che non impedisce a qualche "dilettante" di tentare recuperi personali non autorizzati e sanzionati.
Secondo un’altra tradizione, quando dalla fontana si attingeva ancora acqua da bere (e l'acqua di Trevi, che oggi si usa solo per irrigazione e per alimentare le fontane, era considerata tra le migliori di Roma, per non essere calcarea) le ragazze ne facevano bere un bicchiere al fidanzato che partiva, bicchiere che poi frantumavano in segno e augurio di fedeltà.
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