sabato 14 febbraio 2015

L'ACQUA E IL SISTEMA IDRICO





« È più facile studiare il moto di corpi celesti infinitamente lontani che quello del ruscello che scorre ai nostri piedi. »
(Galileo Galilei, "Discorso intorno a due Scienze nuove".)

L’idraulica è la scienza che studia l'utilizzazione dei liquidi, in particolare dell'acqua. La meccanica dei fluidi ne costituisce la base teorica. La parola "idraulica" deriva dalla parola greca ὑδραυλικός (hydraulikos) composta da ὕδωρ (hydor) che significa acqua e αὐλός (aulos) che significa condotta.

Branche fondamentali dell'idraulica sono lo studio delle condotte in pressione, canali a pelo libero e foronomia.
I primi impieghi della forza dell'acqua risalgono alla Mesopotamia e all'Egitto, dove l'irrigazione è stato usata sin dal VI millennio a.C. e orologi ad acqua erano usati dal II millennio a.C. Altri primi esempi di uso della forza dell'acqua includono il sistema dei qanat nell'antica Persia e il sistema idrico di Turfan nell'antica Cina.

I Greci continuarono e migliorarono la costruzione di sistemi idraulici. Un esempio famoso è la costruzione di Eupalinos, nell'ambito di un appalto pubblico, di un canale di irrigazione per Samos. Un primo esempio di utilizzo della ruota idraulica, probabilmente il più antico in Europa, è la ruota Perachora (III secolo a.C.).

Degna di nota è la costruzione di automi idraulici da parte di Ctesibio (270 a.C. circa) ed Erone di Alessandria (10-80 d.C. circa). Erone descrive una serie di macchine funzionanti con energia idraulica, come una pompa, conosciuta da molti siti romani per essere stata utilizzata per sollevare l'acqua e in pompe antincendio, per esempio.

Nella Cina antica c'erano Sunshu Ao (VI secolo a.C.), Ximen Bao (V secolo a.C.), Du Shi (31 d.C. circa), Zhang Heng (78-139 d.C.), e Ma Jun (200 - 265 d.C.), mentre nella Cina medievale c'erano Su Song (1020 - 1101 d.C.) e Shen Kuo (1031-1095 d.C.) che si distinsero per gli studi sull'idraulica. Du Shi impiegò una ruota idraulica per alimentare il mantice di un altoforno per produzione di ghisa, mentre Zhang Heng fu il primo a impiegare idraulica per fornire la forza motrice per rotazione di una sfera armillare per l'osservazione astronomica.

Si ritiene che la Roma imperiale ricevesse oltre un milione di metri cubi d'acqua al giorno, che per la maggior parte rifornivano le case di privati per mezzo di condotte di piombo. A Roma confluivano almeno una dozzina di acquedotti a cielo aperto, con una vasta rete sotterranea, eccettuati gli ultimi 16 km in pianura dove si preferirono gli acquedotti sopraelevati che, assicurando una maggiore pressione all'utenza finale, facilitavano la distribuzione. Gli acquedotti romani erano delle opere ingegneristiche enormi: per costruire l'acquedotto Claudio fu necessario trasportare per ben 14 anni quarantamila carri di tufo all'anno.

Nelle province spesso gli acquedotti attraversavano profonde vallate, come a Nîmes, dove il Pont du Gard lungo 175 metri ha un'altezza massima di 49 metri, e a Segovia (in Spagna) dove un ponte/acquedotto di 805 metri è ancora in funzione.

I romani scavarono anche canali per migliorare il drenaggio dei fiumi in tutta Europa e per la navigazione, come nel caso del canale Reno-Mosa, lungo 37 km, che eliminava il passaggio per mare. In questo campo la loro opera più grande rimase il tentativo di prosciugare il lago Fucino, realizzato costruendo all'interno della montagna una galleria di 5,5 km, primato insuperato fino al 1870, con la costruzione della galleria ferroviaria del Moncenisio.

Porto era il golfo artificiale costruito dopo quello di Ostia al tempo dei primi imperatori: il suo bacino interno esagonale aveva un fondale di 4-5 m, una larghezza di 800 metri, banchine di mattoni e calcestruzzo e un fondo di blocchi di pietra per facilitarne il drenaggio.
Nel Medioevo importante fu il contributo dato all'idraulica dal mondo arabo. Nell'area geografica interessata al primo sviluppo della civiltà araba, furono realizzate importanti opere di canalizzazione per la bonifica e per la distribuzione dell'acqua, con largo impiego del sifone, pressoché sconosciuto precedentemente. L'Islam inoltre assicurò la continuità della conoscenza con le civiltà antiche, in particolar modo con la cultura alessandrina. Quando nel Rinascimento si riscopri la civiltà classica e la sua scienza, in realtà si disponeva di tecniche molto più evolute che nell'antichità e di strumenti matematici molto più versatili quali la numerazione araba e l'algebra, anch'essa di derivazione araba.

Dei numerosi architetti che operarono nel Rinascimento il più significativo e più versatile fu Leonardo da Vinci (1452-1519). A Leonardo è dovuta una prima versione della conservazione della massa in un corso d'acqua, in cui il prodotto tra la velocità media dell'acqua in una sezione e l'area della sezione medesima è costante; sempre Leonardo osservò che la velocità dell'acqua è massima al centro del fiume, e minima sui bordi.
La principale fonte "inanimata" di energia dell'antichità fu il cosiddetto mulino greco, costituito da un'asse di legno verticale nella cui parte bassa vi era una serie di palette immerse nell'acqua.Tale tipo di mulino venne usato principalmente per macinare il grano: l'asse passava attraverso la macina inferiore e faceva ruotare quella superiore, a cui era solidale. Mulini di questa specie richiedevano una corrente di acqua rapida ed avevano avuto origine nelle regioni collinose del Vicino Oriente. Tali mulini avevano in genere dimensioni contenute ed erano piuttosto lenti; la macina infatti girava alla stessa velocità della ruota, essi erano quindi adatti a macinare piccole quantità di grano ed il loro uso era puramente locale. Tuttavia essi possono essere considerati i precursori della turbina idraulica ed il loro uso si è protratto per più di tremila anni.

Un tipo di mulino idraulico ad asse orizzontale e ruota verticale fu progettato nel I secolo a.C. dall'ingegnere militare Vitruvio. L'ispirazione può essergli venuta dalla ruota persiana (o saqìya), un congegno per sollevare l'acqua consistente in una serie di recipienti disposti lungo la circonferenza di una ruota, fatta girare da forza umana o animale. Questa ruota era usata in Egitto nel IV secolo a.C. e Vitruvio ne descrisse una più efficiente modificazione, conosciuta come ruota a tazze; la ruota idraulica vitruviana è sostanzialmente una ruota a tazze funzionante in modo contrario.

Progettata per la macinazione del grano, la ruota era collegata alla macina mobile per mezzo di ingranaggi lignei, che davano una riduzione di circa 5:1. I primi mulini di questo tipo erano del tipo "con l'acqua che passa sotto".

Più tardi si provò che una ruota alimentata dall'alto era più efficiente, in quanto sfruttava anche la differenza di peso tra le tazze piene e quelle vuote. Tali ruote, benché più efficienti, richiedevano un considerevole impianto aggiuntivo per assicurare il regolare rifornimento idrico: comunemente si arginava il corso d'acqua in modo da formare un bacino, dal quale un canale di scarico portava un flusso regolare alla ruota.

Questo tipo di mulino fornì una sorgente di energia maggiore di quelle disponibili in precedenza, e non solo rivoluzionò la macinazione, ma aprì la via alla meccanizzazione di molte altre operazioni industriali. Un mulino romano a Venafro del tipo di quelli alimentati di sotto, con ruota di circa 2 metri di diametro, poteva macinare circa 180 kg di grano in un'ora, il che corrisponderebbe ad una potenza di circa tre cavalli vapore; un mulino azionato da un asino o da due uomini poteva invece macinare 4,5 kg all'ora.

Dal IV secolo d.C. nell'Impero Romano furono installati mulini di notevoli dimensioni. A Barbegal, vicino ad Arles, nel 310 venivano usate per la macinazione del grano 16 ruote alimentate per disopra, che avevano un diametro fino a 2,7 metri; ciascuna di esse azionava, attraverso ingranaggi lignei, due macine: la capacità di macinazione complessiva era di 3 tonnellate all'ora, sufficienti al fabbisogno di una popolazione di 80.000 abitanti (e la popolazione di Arles a quel tempo non superava i 10.000 abitanti); il mulino serviva quindi una vasta zona.

È sorprendente che il mulino di Vitruvio non venisse comunemente usato nell'Impero Romano fino al III e IV secolo. Essendo disponibili gli schiavi ed altra mano d'opera a basso prezzo, vi era uno scarso incentivo a impegnare del capitale; si dice poi che l'imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) si sia opposto all'uso dell'energia idraulica, perché questa avrebbe recato disoccupazione.

Nel Medioevo la ruota idraulica fu largamente usata in Europa per una grande varietà di usi industriali. Il Domesday Book, il catasto inglese compilato nel 1086, ad esempio cita 5624 mulini ad acqua quasi tutti del tipo vitruviano. Tali mulini vennero usati per azionare segherie, follatoi, frantoi di minerali oltre che di cereali, mulini a pestelli per la lavorazione dei metalli, per alimentare i mantici delle fornaci e per una varietà di altri congegni. Ebbero in questo modo una grande importanza anche sulla ridistribuzione geografica delle attività industriali.

Un'altra fonte di energia sviluppatasi nel Medioevo fu il mulino a vento. Sviluppatosi in Persia nel VII secolo, pare che sia derivato dalle più antiche ruote di preghiere azionate dal vento usate nell'Asia centrale. Un'altra congettura, plausibile, ma non dimostrata, è che il mulino a vento derivi dalle vele delle navi. Durante il X secolo esso era largamente usato in Persia per pompare acqua e macinare frumento.

I mulini persiani erano costituiti da un edificio a due piani: nel piano inferiore si trovava una ruota orizzontale azionata da sei o dodici ali atte a prendere il vento, collegate ad un asse verticale, che trasmetteva il movimento alle macine situate al piano superiore, con una disposizione che ricorda quella dei mulini greci ad acqua. I mulini a vento ad asse orizzontale si svilupparono in Europa settentrionale attorno al XIII secolo.



Un acquedotto è il complesso delle opere di presa convogliamento e distribuzione dell'acqua necessaria ad una o più utilizzazioni : uso potabile, uso irriguo, uso industriale, ecc.

La parola deriva dai due termini della latino aqua ("acqua") e ducere ("condurre").

Costruttivamente può essere realizzato in vari modi: con canali artificiali, con tubazioni o con soluzioni miste.

Nel caso di canali il funzionamento può essere solo a pelo libero, nel caso di tubazioni anche in pressione.

Per gli acquedotti potabili, si preferisce il funzionamento in pressione, perché dà maggiore garanzia di igienicità, anche se in Puglia è stato realizzato all'inizio del Novecento il Canale Principale dell'Acquedotto Potabile del Sele - Calore, tuttora in esercizio, che funziona a pelo libero.

Molti acquedotti attraversano il paesaggio con dei ponti o somiglianti a dei piccoli fiumi. Acquedotti abbastanza larghi possono essere utilizzati da imbarcazioni. Sono tipi particolari di ponti, che anziché far superare ostacoli a strade e ferrovie, trasportano acqua. Ma, mentre con i ponti stradali si possono raggiungere punti più elevati rispetto al percorso di base, la cosa è ovviamente impossibile per l'acquedotto.
Anche se di abitudine si associa l'acquedotto all'Antica Roma, in realtà la loro invenzione risale ad alcuni secoli prima, quando, nel Medio Oriente, antichi popoli come i babilonesi e gli egiziani costruirono dei sofisticati impianti di irrigazione.

Gli acquedotti di stile romano furono usati sin dal VII secolo a.C., quando gli Assiri costruirono una struttura di calcare alta 10 m e lunga 300 per trasportare l'acqua attraverso una valle fino alla capitale Ninive per una lunghezza totale di 80 km.

I Romani costruirono numerosi acquedotti per portare acqua ai centri abitati e alle industrie. La stessa città di Roma ebbe la più grande concentrazione di condotte idriche con 11 acquedotti costruiti nell'arco di cinque secoli, con una lunghezza complessiva di circa 350 km. Solo 47 km di questi erano costruiti in superficie, la maggior parte erano sotterranei (l'acquedotto Eifel in Germania ne è un esempio classico). Il più lungo degli acquedotti romano viene considerato quello costruito nel II secolo a.C. per approvvigionare Cartagine attraverso una condotta da 141 km.

Gli acquedotti romani erano delle costruzioni molto sofisticate il cui standard qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre 1000 anni dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente. Essi erano costruiti con tolleranze minime: ad esempio la parte di acquedotto a Ponte del Gard in Provenza ha un gradiente di soli 34 cm per km (1:3000) scendendo di soli 17 m nella sua intera lunghezza di 50 km. La propulsione è interamente garantita dalla gravità, trasportando un grande quantitativo d'acqua in modo molto efficiente (il citato Ponte del Gard ne veicolava 20.000 m³ al giorno).

A volte, quando si incontrano depressioni maggiori di 50 m lungo il percorso, vengono utilizzati i sifoni inversi, condotte a gravità utilizzate per superare il dislivello, in uso anche ai giorni nostri, quando gli ingegneri idraulici utilizzano questa metodologia per gli impianti idrici e fognari.

Molte delle esperienze accumulate dagli antichi romani vennero perse durante il Medioevo e in Europa la costruzione di acquedotti conobbe una interruzione, fatta eccezione per il Regno di Sicilia dove, dalla conquista islamica, si ampliò la rete idrica per le coltivazioni e per i giardini privati. Nei primi anni del regno venne realizzato il complesso architettonico della Zisa a Palermo, una sorta di monumentale fontana, che fungeva anche da palazzo di rappresentanza, alimentata da un acquedotto interrato e che con una serie di cascatelle faceva proseguire il medesimo all'esterno, dove giungeva in un ricco giardino. Molte tecniche idrauliche importate dai musulmani rimasero ancora in uso fino agli anni sessanta del XX secolo, la cui terminologia è di derivazione islamica, specie per la coltivazione degli agrumi. Dal XIII secolo si ha una ripresa della costruzione di acquedotti, alcuni capaci anche di far muovere l'acqua in salita, come nei casi di Perugia (1276-1278), Orvieto (fine XIII sec.) e Spoleto (XIII-XIV sec.)di cui rimane il cosiddetto Ponte delle Torri, un ponte-acquedotto alto 82 metri e lungo 220.In particolare nella città di Perugia venne realizzata la Fontana Maggiore proprio per celebrare la costruzione dell'acquedotto lungo circa cinque chilometri che segnò probabilmente la riconquista delle antiche tecniche idrauilche romane. Ancora nel XVI secolo il Vasari scrive nella vita di Nicola e Giovanni Pisano (cfr. Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti) l'ammirazione per questo acquedotto: "E avendo i Perugini dal monte Pacciano, lontano due miglia dalla città, condotto per canali di piombo un’acqua grossissima, mediante l’ingegno et industria d’un frate de’Silvestrini." Per il resto dell'Europa l'approvvigionamento di acqua venne garantito principalmente tramite lo scavo di pozzi, ma questo metodo creava gravi problemi di salute pubblica quando le falde acquifere risultavano contaminate.

Rare le eccezioni precedenti al XIX secolo tra cui l'acquedotto New River, aperto nel 1613 in Gran Bretagna per rifornire di acqua potabile fresca la città di Londra coprendo una distanza di 62 km, e in Sicilia l'acquedotto benedettino che approvvigionava il convento di San Nicola a Catania percorrendo oltre 6 km e l'acquedotto Biscari, voluto dal Principe Ignazio Paternò Castello per la realizzazione della risaia più estesa del Regno. Delle due strutture siciliane la prima venne concessa nel 1649 a titolo gratuito al senato civico, in sostituzione dell'approvvigionamento cittadino dal fiume Amenano, del lago di Nicito e delle cisterne e pozzi privati, in cambio della manutenzione della stessa. L'acquedotto alimentava almeno una decina di mulini gestiti dai frati benedettini e concessi in enfiteusi, prima di giungere al maestoso convento. La struttura voluta nel XVIII secolo dal Principe Biscari, invece, non superava i due km di estensione e durò soltanto finché non fu in vita lo stesso principe. Per entrambe le strutture, realizzate in conci di pietra lavica, mattoni e ghiara, si fece largo uso di ponti di ispirazione romana e nel caso dell'acquedotto Biscari erano stati realizzati due livelli di archi.

Lo sviluppo di canali fornì un ulteriore spunto alla costruzione di acquedotti. Tuttavia, la costruzione di acquedotti su vasta scala non riprese fino al XIX secolo per la nuova necessità di alimentare città in rapida crescita e industrie assetate d'acqua. Lo sviluppo di nuovi materiali (come il calcestruzzo e la ghisa) e di nuove tecnologie (come il motore a vapore) consentirono significativi miglioramenti. Per esempio, la ghisa permise la costruzione di sifoni invertiti più grandi e resistenti a maggiori pressioni, mentre pompe a vapore ed elettriche permisero un considerevole aumento della quantità e velocità del flusso d'acqua. L'Inghilterra primeggiava nel mondo per la costruzione di acquedotti, con gli esempi notevoli costruiti per trasportare l'acqua a Birmingham, Liverpool e Manchester.

In Italia, fra 1823 e 1831, venne costruito a Lucca un acquedotto di foggia simile a quelli dell'antica Roma. Il suo architetto, Lorenzo Nottolini, progettò l'opera lunga circa 3,25 km per portare l'acqua del Monte Pisano nella città ponendo alle sue estremità due tempietti che servivano come depositi di decantazione. L'acqua scorreva sulle arcate a "pelo libero" e solo nel tempietto a valle, posto alla periferia della città, veniva introdotta in condotte a pressione. Nei quartieri meridionali di Lucca l'acqua poteva salire fino a circa otto metri, in quelli settentrionali fino a sei. Era quindi teoricamente possibile allacciare le case private fino ai primi piani, anche se, inizialmente, solo il Palazzo Ducale e le fontane pubbliche furono forniti d'acqua.

Gli acquedotti in assoluto più grandi sono stati costruiti negli Stati Uniti per approvvigionare le più grandi città. Quello di Catskill porta l'acqua a New York coprendo una distanza di 190 km, ma è superato in grandezza da quelli dell'ovest dello stato, il più importante dei quali è l'Acquedotto del Colorado, cioè quello che collega il Colorado all'area urbana di Los Angeles situata 400 km più a ovest.

Anche se indubbiamente gli acquedotti sono delle grandi opere di ingegneria, la notevole quantità d'acqua che trasportano possono creare delle grosse problematiche ambientali a causa dell'impoverimento dei corsi d'acqua.

Le acque potabili vengono trasportate dalle condotte adduttrici (opere di adduzione) che funzionano sia in pressione che a pelo libero.

Lungo il tracciato di una condotta adduttrice in pressione vengono realizzate varie opere d'arte necessarie per l'esercizio e la manutenzione delle stesse.

Le principali sono:

gli scarichi: ubicati nei punti più depressi del profilo idraulico. Nell'omonimo pozzetto, realizzato in calcestruzzo armato, viene realizzata una derivazione chiusa da una saracinesca che una volta aperta permette lo svuotamento della condotta adduttrice. L'acqua dello scarico viene convogliata, tramite un'apposita condotta, in fossi o collettori vicini. Nel caso in cui la configurazione del terreno dovesse richiedere condotte di scarico molto lunghe perché si possa trovare un idoneo recapito finale, si preferiscono ai suddetti scarichi, denominati scarichi liberi, quelli definiti scarichi a pompa , che per come sono realizzati, permettono lo scarico a gravità della maggior parte del sifone da vuotare, direttamente sul terreno nelle vicinanze dell'opera, ma ne lascia una certa parte all'interno della condotta, che viene eliminata a mezzo di una pompa.
gli sfiati: ubicati nei punti di massima quota del profilo idraulico. Possono essere:
liberi: in questo caso sono costituiti da una tubazione, terminante con un tratto ricurvo detto pastorale, collegata direttamente con l'adduttrice e di altezza superiore alla linea dei carichi idrostatici (si utilizzano in condotte con basse pressioni interne)
automatici : costituiti da un'apparecchiatura idraulica, denominata sfiato (air relief valve), dotata di sfere, che a seconda della pressione in condotta, si abbassano, permettendo la fuoriuscita dell'aria o si alzano chiudendo la condotta. Tali sfiati sono montati, all'interno di pozzetti in calcestruzzo armato, in derivazione alla condotta principale e sono preceduti da una saracinesca che permette il loro smontaggio senza interruzione del flusso.
Gli sfiati possono svolgere una o tutte e tre le seguenti funzioni:

funzione di degasaggio: quando hanno la funzione di eliminare l'aria che si forma all'interno della condotta durante il suo esercizio che trascinata dall'acqua, si va raccogliendo nei punti alti del tracciato. Tali bolle d'aria, se non eliminate, formerebbero delle sacche che possono assumere dimensioni tali da ridurre significativamente il flusso idrico sino ad interromperlo;
funzione volumetrica di svuotamento: durante le fasi di svuotamento permettono l'entrata di un volume d'aria tale da compensare il volume di liquido che fuoriesce dagli scarichi, evitando così pericolose depressioni interne. I problemi di depressione si possono verificare non solo durante normale gestione di una condotta (svuotamento e riempimento per la manutenzione della condotta) ma anche per situazioni eccezionali quali:
rottura della condotta con notevole fuoriuscita d'acqua rispetto al valore di portata a regime;
operazioni di scarico incontrollate ed accidentali della condotta;
funzione volumetrica di riempimento: durante la fase di riempimento di una condotta permettono la fuoriuscita dell'aria esistente all'interno delle tubazioni vuote evitando così il pericolo della formazione di sacche d'aria.
opere di interruzione o di disconnessione idraulica: sono costituite da serbatoi (anche pensili) di capacità limitata, che vengono costruite tutte le volte che è necessario annullare la piezometrica in un punto dell'adduttrice, sia per non sottoporre uno o più tratti di condotta a pressioni eccessive non compatibili con le caratteristiche delle tubazioni utilizzate, sia per permettere la derivazione di una o più condotte dall'adduttrice, in questo caso si parla di partitori. In alcuni casi si utilizzano anche per permettere l'esecuzione di misure idrauliche di controllo. Le derivazioni da adduttrici possono anche esser effettuate in carico senza la necessità di realizzare partitori.
opere di accumulo: sono serbatoi di grande capacità, realizzati lungo il tracciato di condotte adduttrici molto estese, al fine di garantire una riserva idrica, per un dato periodo di tempo, nei tratti a valle dell'opera nel caso di interruzioni del flusso nel tronco di monte.
tratte pensili: vengono realizzati per l'attraversamento aereo di fiumi, torrenti, zona in frana, ecc. Possono essere realizzati con:
pontitubo: in cui si sfrutta l'autoportanza del tubo. Nel caso di tubi in acciaio la singola campata non può superare i 40 ÷ 50 m;
ponti veri e propri: la condotta viene portata da ponti opportunamente realizzati.
sottopassi: vengono realizzati per sottopassare strade, autostrade, ferrovie, piccoli corsi d'acqua ecc. Attualmente per la posa della condotta, in sostituzione dello scavo in trincea, vengono utilizzate tecnologie no dig che preservano l'integrità della sovrastruttura.
Le opere di adduzione alimentano i serbatoi urbani a servizio di uno o più abitati che, in base alla posizione rispetto alla rete di distribuzione, possono essere di due tipi:
di testa;
di estremità.
I serbatoi urbani svolgono diverse funzioni quali:
disconnessione idraulica tra adduzione (a portata costante nelle 24 ore) e distribuzione (a portata variabile nelle 24 ore);
compenso nelle 24 ore, riserva idrica e antincendio;
regolazione della piezometrica.
A valle del serbatoio urbano, generalmente viene realizzata una condotta di avvicinamento, denominata suburbana, che collega l'opera di accumulo alla rete di distribuzione idrica urbana.
La rete di distribuzione idrica urbana è costituita dall'insieme delle condotte, delle apparecchiature e dei manufatti necessari ad alimentare le utenze private, le collettività, i vari servizi pubblici, le aziende artigiane e la piccola industria inserita nel contesto urbano.
Il punto (o i punti) in cui la suburbana si innesta nella rete di distribuzione viene denominato origine della distribuzione urbana o ODU.
La suburbana normalmente non ha erogazioni lungo il tracciato.
La rete di distribuzione moderna viene generalmente realizzata esclusivamente a maglie chiuse (quella a rete ramificata non è più utilizzata) perché garantisce i seguenti vantaggi:

di natura gestionale: maggiore elasticità ed efficienza di funzionamento poiché non è necessario interrompere il flusso nel caso di fuori servizio di un singolo tronco;
di natura igienica: maggiore garanzia di mantenimento della potabilità dell'acqua distribuita poiché con il sistema reticolare l'acqua è sempre in movimento e non si determinano pericoli di acqua morta come nelle ramificazioni aperte.
di natura funzionale: il percorso possibile da un nodo della rete a qualsiasi altro non è unico.
Esistono anche reti miste costituite da un insieme di maglie chiuse e ramificazioni aperte.
Tuttavia negli ultimi anni si sta largamente diffondendo la tecnica della distrettualizzazione della reti, ossia si procede alla suddivisione della intera rete in porzioni minori al fine di migliorare la gestione e favorire il contenimento delle perdite idriche.
In una rete di distribuzioni a maglie chiuse si distinguono:

una o più maglie principali, costituite da condotte di diametro maggiore;
uno o più ordini di maglie secondarie di minor diametro;
condotte minori per l'allacciamento alle utenze.
Secondo quanto prescritto dal dall'Allegato 8 del DPCM 4/3/96, una rete di distribuzione idrica adeguatamente dimensionata deve assicurare:

nelle ore di punta del servizio ed al minimo livello idrico nel serbatoio, almeno 10 m di carico sulla copertura degli edifici;
nelle ore di minimo consumo (ore notturne) ed al massimo livello nel serbatoio, un carico sulle tubazioni della rete ovunque inferiore a 70 m;
il contenimento delle oscillazioni della linea piezometrica in rete durante l'esercizio entro un limite di 20÷30 m per evitare di sollecitare eccessivamente i giunti delle tubazioni.
Poiché attualmente la maggior parte delle utenze è dotata di sistema di autoclave, tali valori di pressione possono risultare eccessivi; in tal senso la carta del Sistema Idrico Integrato adottata dall'Acquedotto Pugliese prevede che il carico idraulico minimo deve essere non inferiore a 0,5 atmosfere misurate immediatamente a valle del rubinetto d'arresto posto immediatamente dopo il misuratore.

Sulle condotte distributrici vengono realizzati gli impianti privati che collegano la rete di distribuzione all'impianto idrico a servizio delle singole utenze (condomini, ospedali, caserme, attività commerciali, ecc.).


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