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domenica 20 agosto 2017

MIASMI

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Cattivi odori, persistenti e fastidiosi.
Il tipo di inquinamento idrico può essere di natura chimica, fisica o microbiologica e le conseguenze possono compromettere la salute della flora e della fauna coinvolta, fino agli uomini, nuocendo all'ecosistema e alle riserve idriche per uso alimentare. Ci sono due vie principali tramite le quali gli inquinanti raggiungono l'acqua, per via diretta e per via indiretta. L'inquinamento per via diretta avviene quando vengono riversate direttamente, nei corsi d'acqua, sostanze inquinanti senza alcun trattamento di depurazione. La via indiretta, invece, avviene quando le sostanze inquinanti arrivano nei corsi d'acqua tramite aria e suolo.

Un grande pericolo per la salute dell'uomo è costituito dalle fogne, che rilasciano acque inquinate da virus e batteri, causando malattie come epatite virale, salmonellosi e tifo. Inoltre, è molto preoccupante il fatto che scarichino in acqua detersivi non biodegradabili o contenenti fosfati. Questi detergenti, che assai sovente si vedono ricoprire di uno spesso strato schiumoso intere superfici d'acqua, per la loro complessa struttura chimica a catene ramificate difficilmente vengono aggrediti e degradati dai batteri in composti più semplici o meno nocivi; tali sostanze pertanto alterano fortemente le caratteristiche fisiche dell'acqua, modificandone la tensione superficiale e provocando la scomparsa, tra l'altro, della flora acquatica, del plancton e, con essi, dei componenti di tutta la piramide trofica. Conseguenza gravissima, oltre all'estendersi di larghi strati superficiali di materie in decomposizione, con relativi miasmi e colorazioni varie, è la diffusione in acque sia dolci sia marine di batteri e virus (del tifo, della dissenteria, del colera, dell'epatite virale, ecc) e l'assorbimento di questi microrganismi patogeni da parte di molluschi destinati all'alimentazione (quali mitili, ostriche e altri lamellibranchi eduli) e allevati in prossimità di sbocchi di scarichi con conseguente pericolo di gravi epidemie.



L'acqua si può inquinare non esclusivamente attraverso i fiumi ma anche con i prodotti inquinanti del suolo. Un'importante causa dell'inquinamento delle acque, in particolare delle acque dolci, sono per esempio gli scarichi di materiale organico.

I liquami che si trovano nelle fogne, dovrebbero passare attraverso impianti di depurazione prima di essere scaricati nei fiumi, purtroppo in Italia meno della metà degli scarichi vengono depurati.
Questi liquami possono contenere microrganismi che provocano alcune malattie, come colera e salmonellosi. Una persona rischia di ammalarsi se ingerisce questi organismi, cosa che può capitare facendo il bagno nel fiume o mangiando molluschi contaminati.

Negli allevamenti, gli escrementi vengono lavati via con l'acqua, i liquami così ottenuti vengono in parte utilizzati come fertilizzanti, in parte riversati nei fiumi. Alcuni tipi di industrie, per esempio quelle alimentari, scaricano materiali organici direttamente nei fiumi. Anche i fertilizzanti, sia chimici sia naturali, possono inquinare i fiumi.

Le numerose sostanze che si utilizzano in agricoltura non restano sul suolo o sulle piante. Quando la pioggia cade sul terreno, una parte di essa finisce sui canali di scolo e da qui ai fiumi e al mare.
Quando l'acqua piovana o quella d'irrigazione filtra nel terreno, tralascia lentamente un'altra parte di queste sostanze in profondità, sino alle falde acquifere dalle quali si prende l'acqua per bere, che potrebbe diventare non potabile a causa dei nitrati e dei fosfati rilasciati dai fertilizzanti chimici utilizzati sul terreno. I fertilizzanti in particolare provocano uno sviluppo eccessivo di alghe nei laghi e nei mari, attraverso un fenomeno che prende il nome di eutrofizzazione.

Le industrie si liberano dei rifiuti tossici derivanti dalle diverse lavorazioni attraverso discariche speciali, però alcuni tipi di rifiuti tossici finiscono nei fiumi, con i liquami di fogna.



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domenica 24 luglio 2016

INCENDI ESTIVI

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Le cause naturali che possono scatenare un incendio boschivo sono estremamente rare. La presenza di una gran quantità di combustibile, la vegetazione, e di comburente, l’aria, non basta da sola a provocare il fuoco. Quello che manca, in un bosco, è il calore necessario per una reazione chimica a catena. I roghi, quando non dipendono da irresponsabilità o distrazione, sono quasi tutti dolosi, ossia appiccati con l’intenzione di radere al suolo la vegetazione. In parte si spiegano con la tradizione agropastorale che considera il fuoco un mezzo per procurarsi nuovo pascolo o, nel caso dei contadini, per rigenerare la fertilità del terreno. Nel resto dei casi, l’incendio doloso si lega quasi sempre a interessi speculativi legati all’edilizia, ma non solo: in alcune regioni il numero di incendi crea o conferma assunzioni di operai forestali precari. Non raramente è capitato che ad accendere un rogo siano stati proprio coloro che erano pagati per spegnerlo. Già nel 2001 il Sisde denunciava la responsabilità degli stagionali in Sicilia, la pattuglia più folta con oltre 30.000 addetti sui 68.000 del totale nazionale. Il 2007 è stato l’annus horribilis per i boschi italiani con oltre 10.000 incendi. Al fenomeno degli incendi dolosi l’Italia è storicamente vulnerabile ma negli ultimi anni ha aumentato le difese. Grazie a una campagna di sensibilizzazione e a una miglior organizzazione dell’apparato antincendio della Protezione civile e delle Regioni, gli interventi spesso evitano il peggio. Gli strumenti principali per frenare la devastazione delle aree protette restano però l’applicazione di leggi per evitare la speculazione sulle aree incendiate, il rafforzamento dei divieti e l’istituzione del catasto regionale delle aree attraversate dal fuoco.

Il primo dei grandi pericoli che ogni anno corre il nostro territorio è quello degli incendi. Bisogna ricordare che i 500 mila ettari di bosco bruciati nel nostro Paese negli ultimi quindici anni costituiscono un autentico disastro per l’equilibrio ecologico della penisola, oltre a un ingentissimo danno economico. L’azione di prevenzione e di spegnimento riesce a limitare solo parzialmente i danni di questi incendi, che ormai sono diventati il funesto rituale delle nostre estati. Il Corpo forestale dello Stato suddivide i danni in diretti e indiretti: i primi sono rappresentati dal valore della massa legnosa; i secondi, più difficilmente stimabili, sono quelli legati alla difesa idrogeologica, alla produzione di ossigeno, alla conservazione naturalistica, al richiamo turistico, alle possibilità occupazionali di numerose categorie di lavoratori. Il clima svolge un ruolo fondamentale nel creare le condizioni favorevoli allo sviluppo e alla propagazione degli incendi e, in caso di fulmini - eventi assai rari - anche nel provocarli direttamente. Un dato importante da tener presente, infatti, è il grado di umidità della vegetazione, in particolar modo di quella erbacea del sottobosco, che varia a seconda dell’andamento stagionale. Tuttavia, condizioni climatiche simili e pari coefficienti di umidità in zone diverse non producono un uguale numero di incendi. Ciò significa che sono altre le cause che favoriscono le combustioni. Tra queste possono essere annoverate l’afflusso turistico, l’abbandono delle campagne, l’attività di particolari pratiche agronomiche e della pastorizia, le vendette personali e le speculazioni. Una correlazione interessante è quella degli incendi boschivi con la circolazione delle autovetture: a un progressivo aumento degli autoveicoli circolanti e dello sviluppo viario, aumentano in modo esponenziale gli incendi boschivi e, dal rilevamento dei punti di innesco del fuoco, si evince come numerosi incendi abbiano inizio dal bordo di strade e autostrade. In base all’andamento meteorologico e climatico, ogni anno si registrano due periodi a grave rischio: l’uno, quello estivo, più marcato nelle regioni del centro-sud e in Liguria; l’altro, quello invernale, specialmente nelle zone dell’arco alpino. In genere, è l’uomo la vera causa dell’inizio di un incendio, mentre il fenomeno dell’autocombustione è assolutamente eccezionale. Negli ultimi anni, il servizio antincendi del Corpo forestale dello Stato ha iniziato alcuni studi che entrano nel merito delle cause effettive. Nello specifico, sono state indicate una serie di motivazioni ripartite in: cause dolose, o volontarie e cause colpose, o involontarie. Al primo gruppo sono da ascrivere gli incendi da cui gli autori sperano di trarne un profitto (distruzione di massa forestale per la creazione di terreni coltivabili e di pascolo a spese del bosco; bruciatura di residui agricoli quali stoppie e cespugli per la pulizia del terreno in vista della semina; incendio del bosco per trasformare un terreno rurale in area edificabile; incendio del bosco per determinare la creazione di posti di lavoro); gli incendi legati alle attività di ricostituzione e di spegnimento (impiego del fuoco per operazioni colturali nel bosco per risparmiare mano d’opera; incendio nel bosco per perseguire approvvigionamento di legna); incendi da cui gli autori non traggono un profitto concreto (risentimento contro azioni di esproprio o altre iniziative dei pubblici poteri; rancori tra privati; proteste contro restrizioni all’attività venatoria; proteste contro la creazione di aree protette e l’imposizioni di vincoli ambientali; atti vandalici). Le cause colpose o involontarie sono invece legate all’imprudenza, alla negligenza, alla disattenzione o all’ignoranza degli uomini che, involontariamente, provocano incendi o, molto più raramente, all’azione della natura. Diviene dunque buona cosa far sapere che gli incendi boschivi rappresentano un reato punibile con 10 anni di reclusione, che possono diventare addirittura 15 nel caso in cui un incendio riguardi una riserva naturale o un’area protetta.

In entrambi i periodi dell'anno, anche se con differente intensità e pur variando da zona a zona, si determinano le condizioni d'aridità, predisponenti il fenomeno.

Generalmente, la causa determinante l'incendio dei boschi è di origine antropica, eccezion fatta per i casi dovuti ai fulmini. L'autocombustione, sovente citata a sproposito, è da ritenersi una giustificazione quanto mai semplicistica ed erronea, in quanto, nei nostri climi, non si verifica che in casi del tutto eccezionali e al più limitata ai soli fienili o discariche.

Le condizioni che influenzano sia l'inizio che la prima propagazione dell'incendio, sono principalmente rappresentate:

- dalla quantità d'acqua che si trova nei tessuti delle piante, che può variare dal 2 al 200% nei tessuti morti, in dipendenza delle condizioni atmosferiche ed in particolar modo dell'umidità relativa dell'aria;

- dal vento, che oltre a favorire l'afflusso dell'ossigeno, quale comburente, determina l'avanzamento della linea del fuoco, provoca il preriscaldamento del materiale legnoso e quindi nuovi punti d'inizio e di continuazione del fuoco;



- dalla quantità, dimensioni, disposizioni dei materiali combustibili, i quali, se sottili e non pressati, offrono maggiore superficie esterna all'ossigeno comburente.

Le condizioni favorevoli per l'inizio dell'incendio nel bosco, si verificano, più frequentemente, in presenza di copertura morta disseccata, con soprassuoli giovani, specialmente di essenze lucivaghe di resinose.

Le differenti condizioni meteorologiche: regime pluviometrico, dominanza dei venti, unitamente alle diverse tipologie forestali, al loro governo e trattamento, influenzano la frequenza stagionale degli incendi.

Oggi non vi e’ paesaggio naturale e vegetale che non sia stato modellato piu’ o meno intensamente dal fuoco.

Vasti e frequenti incendi forestali degli ultimi anni, uniti alla irregolarita’ delle precipitazioni, possono aggravare i rischi di desertificazione.

Tale pericolo e’ presente in tutta la parte Sud dell'area mediterranea e incomincia a interessare anche la parte Nord ed a preoccupare seriamente gli organismi internazionali, poiché minaccia i programmi di riforestazione e di utilizzazione delle risorse forestali.

Di fronte a tale problema i paesi più colpiti stanno organizzando il potenziamento dei mezzi di lotta e formulando progetti pilota alla CEE per contribuire al mutuo soccorso tra Stati Membri in caso di incendi di particolare gravità.

La statistica delle cause è purtroppo molto meno completa di quella dei sinistri.

Per questi motivi, la questione delle cause non può essere chiarita con dati certi e documentati e richiede una analisi profonda e molto allargata delle possibili motivazioni degli incendiari, per conoscere l'origine del fenomeno.

Il clima e l'andamento stagionale giocano un ruolo fondamentale nel predisporre una situazione di favore allo scoppio dell'incendio, per cui, periodi di non pioggia e di alte temperature, determinano condizioni di estrema pericolosità. E quando in luglio ed agosto ad altitudini comprese sino ai 700 m.s.l.m. la vegetazione erbacea e secca, il potenziale combustibile aumenta considerevolmente; viceversa, in pieno rigoglio vegetativo, l'innesco del fuoco è difficile.

Non vi è dubbio che la causa prima degli incendi boschivi vada ricercata essenzialmente nell'alto grado di depauperamento e di forte spopolamento delle zone dell'alta collina e della montagna. Un simile evento ha determinato nel tempo I'abbandono di tutte quelle pratiche agronomiche e selvicolturali che di contro in passato venivano effettuate nelle campagne e nei boschi, con il risultato di rendere il bosco meno soggetto nei confronti del fuoco.

I diradamenti, le ripuliture, il pascolo disciplinato, eventuali colture ed in alcuni casi anche il fuoco controllato, facevano si che il sottobosco non fornisse esca e nel contempo, la presenza attiva dell'agricoltore e del pastore era garanzia e sicurezza per un rapido intervento anche qualora l'incendio scoppiava.

Così, anche quando gli agricoltori, involontariamente potevano essere causa dell'incendio, essi stessi provvedevano a spegnerlo direttamente; cio’ era possibile grazie alla cospicua presenza demografica nelle zone di campagna, oggi di contro, fortemente diminuita ed invecchiata.

La situazione è ora cambiata, tanto che le operazioni selvicolturali tradizionali sono molto trascurate; e pratiche agronomiche e pastorali, nelle quali si fa uso anche del fuoco, oggi assumono, per i boschi limitrofi ai campi ed ai pascoli, un pericolo costante, poiché l'esodo da tali zone, in particolare quello giovanile, è stato massiccio. Ma, se questa è la ragione prima di certi tipi d'incendio, non diverse sono le considerazioni da fare per quanto concerne l'incendio boschivo determinato dalla presenza di altri potenziali utenti.

Anche tali casi riguardano l'uso del territorio, così carente di strutture e di servizi atti ad assicurarne il mantenimento, dal punto di vista fisico ed economico, in funzione dell'uso e non dell'abuso più intenso.

Una correlazione interessante è quella degli incendi boschivi con la circolazione veicolare. Infatti si vede che ad un progressivo aumento degli autoveicoli circolanti e dello sviluppo viario, aumentano in progressione gli incendi boschivi. E dal rilevamento dei punti d'innesco del fuoco si evince come moltissimi incendi abbiano inizio dal bordo di strade ed autostrade.

Qualsiasi strategia di prevenzione e lotta al fuoco, per quanto valida nei suoi principi ispiratori, è destinata a fallire se non sostenuta dalla partecipazione della gente, sia in termini di convincimenti che di azioni materiali.

Di qui la necessità di indicare alcuni orientamenti volti ad integrare il piano organizzativo anticendio, soprattutto quando lo studio delle cause del fenomeno induce a ritenere che il comportamento dell'uomo, doloso o colposo che sia (83,5%), è all'origine del diffondersi degli incendi boschivi e della distruzione dei delicati equilibri ambientali.

Valgono, pertanto, le seguenti considerazioni:

- La salvaguardia e la tutela dei boschi sono oggi strettamente connesse al grado di civiltà degli uomini, alla loro cultura e sensibilità.
Si rilevano, infatti, insufficienti i divieti e le sanzioni, i sistemi di lotta tecnologicamente avanzati, o altre iniziative adottate, in presenza di una coscienza sociale poco attenta alle esigenze dell'ambiente.

- La difesa del bosco e degli alberi, è ormai quasi esclusivamente connessa alla qualità dei rapporti che l'uomo è in grado di stabilire con l'ambiente. Al riguardo, l'opera di sensibilizzazione delle popolazioni e di informazione dei cittadini, anche con il coinvolgimento dei mass media, non sarà mai pienamente efficace se non mira a realizzare una cultura della tutela del patrimonio forestale inteso come bene imprescindibile che appartiene alla stessa collettività.
É necessario, pertanto, dare opportuno impulso a tutte quelle azioni di carattere informativo e formativo che concorrono alla crescita di una cultura dell'ambiente e del bosco, promuovendo la consapevolezza che uomini e alberi appartengono al medesimo contesto naturale.

- La disattenzione verso tale ultimo interesse e valore (il bosco ha oggi un valore più pubblico che privato, più generale che locale, più culturale che materiale, più ecologico che economico) spesso addebitabile all'incuria, alla scarsa attenzione ed educazione, alla superficiale conoscenza del bosco e del suo significato ambientale, in non rari casi nasconde mire speculative che andrebbero, sempre e ovunque, contrastate, tenuto conto del divieto di cui all'art. 9 della legge 1 Marzo 1975, n. 47 e di analoghe disposizioni regionali in materia.
La predetta legge vieta l'insediamento di costruzioni di qualsiasi tipo nelle zone boscate distrutte o danneggiate dal fuoco, impedendo, altresì, che tali zone assumano una destinazione diversa da quella avuta prima dell'incendio.
La tutela giuridica è stata in seguito integrata dalla Legge Galasso, n. 431 dell' 8 Agosto 1985, che sottopone al vincolo paesaggistico i terreni boscati percorsi dalle fiamme.

- I materiali di risulta dall'agricoltura o della ripulitura dei boschi, le paglie, un tempo risorse da utilizzare negli allevamenti zootecnici, oggi sono considerati solo uno scarto da distruggere con l'incendio.
Da questi fuochi disseminati nelle campagne si origina un consistente numero di incendi, cosiddetti "involontari", riconducibili, alla stregua della bruciatura delle stoppie, soprattutto nell'Italia meridionale, alla medesima preoccupante tendenza al disinteresse e alla disattenzione per le risorse naturali.
Una più assidua vigilanza sull'osservanza delle norme, statali e regionali, che vietano tali operazioni nei periodi di massimo rischio per gli incendi, sicuramente circoscriverebbe la proporzione del fenomeno.

- Oggi si è promossa l'immagine del bosco come elemento del paesaggio e richiamo turistico, provocando l'effetto di un aumento della mobilita’ di massa e della presenza umana all'interno dei complessi boscati.
Una presenza, spesso, che si traduce in azioni devastatrici ed inquinanti, mediante comportamenti irresponsabili, come l'accendere fuochi ed abbandonare rifiuti nei boschi; una presenza, molte volte, poco consapevole del valore delle risorse naturali di cui beneficia e non in grado di capire il significato e l'importanza del ruolo che esse svolgono nell'ambito territoriale, ne’ il livello di produttivita’ che tali risorse raggiungono sia in termini di biomassa che di servizi forniti alla società.

- L'analisi dell'incidenza percentuale degli incendi sul tipo di proprietà e sul tipo di bosco bruciato evidenzia come le superfici colpite da maggiori aggressioni siano quelle in cui coesistono la proprietà privata e la presenza del ceduo, tipo di bosco più frequentemente destinato all'abbandono.
Se a queste informazioni si aggiunge la considerazione che quasi il 30% degli incendi si verifica nelle aree di collina interna e circa il 34% in quelle di montagna interna, e possibile argomentare che la ricorrente frequenza degli incendi va correlata anche al complesso dei problemi che ostacolano il corretto recupero delle stesse aree.
I fattori che rendono un bosco vulnerabile al fuoco non sono diversi da quelli che concorrono a determinare la marginalità economica e sociale del contesto territoriale del quale esso fa parte. II bosco, infatti, si configura sempre più come sito destinato ad essere toccato dalla stessa pericolosa fragilità ambientale del territorio che lo comprende.

- Lo studio analitico del fenomeno evidenzia che molti incendi si verificano lungo le ferrovie, strade ed autostrade, a partire dalle scarpate e dalle cunette spesso interessate da vegetazione facilmente infiammabile, oppure lungo le piste e i sentieri che si addentrano nei boschi.
Questi fuochi possono essere prevenuti sia con azioni tendenti a rendere più consapevole e responsabile il comportamento dell'uomo, che con interventi di vigilanza delle Amministrazioni preposte.

- Per la prevenzione degli incendi volontari, che spesso assumono la forma dell'atto vandalico o del ricatto alle istituzioni, e opportuno attuare tutte le misure tendenti a ridurre le tensioni sociali che potrebbero degenerare nell'uso del fuoco.

- Oggi gli interventi contro il fuoco sono affidati a personale altamente addestrato e all'impiego di mezzi terrestri ed aerei.
Da scoraggiare e’ la morbosa curiosità con la quale di solito la gente assiste passivamente all'incendio, quasi che l'incendio stesso costituisca uno spettacolo.
Seppure non si può nascondere che l'incendio susciti emozioni spettacolari, è pur vero che si tratta di un quadro desolante nel quale si consumano una parte della natura, della nostra storia, della nostra cultura e si distrugge un patrimonio naturale difficilmente ricostituibile nella sua originaria complessità ecologica.
E’ indispensabile dunque che nel corso di un incendio tutti si adoperino a collaborare con i forestali e con quanti sono preposti a compiti di spegnimento, astenendosi da ogni intralcio o disturbo.

- Chiunque scopra un incendio che ha attaccato o minaccia di attaccare un bosco è tenuto a dare l'allarme perchè possa essere immediatamente avviata l'opera di spegnimento.



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martedì 5 luglio 2016

IL CANADAIR

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Il Canadair è un velivolo progettato in Canada per le missioni antincendio. Preleva acqua direttamente dal mare o dai laghi, e viene usato anche in operazioni di sorveglianza marittima, ricerca e recupero. Ha due serbatoi interni e riesce a contenere 5.346 litri, mentre l'autonomia è di sei ore. Ne esistono varie versioni.

Il riempimento dei serbatoi su una superficie d'acqua viene detto 'flottaggio'. In questa fase, della durata di circa 10-12 secondi, apposite sonde (una per serbatoio) vengono abbassate idraulicamente e convogliano l'acqua all'interno dell'aereo che viaggia a circa 120 chilometri l'ora. Il flottaggio si può fare su tutte le superfici di acqua di almeno 1.500 metri, senza onde di rilievo. Se il vento è a prora questo spazio può essere ridotto a 8-900 metri.

Considerata la bassa velocità di crociera dei Canadair, il suo impiego deve essere di solito limitato alle zone entro 25 chilometri dagli specchi di acqua, altrimenti l'intervallo tra i lanci successivi sarebbe troppo lungo e ne annullerebbe gli effetti. Altre limitazioni all'impiego sono rappresentate dal vento (che può impedire di scaricare causando eccessiva deriva o addirittura precarie condizioni di sicurezza a bassa quota) e dal fumo provocato dall'incendio, considerato che le operazioni avvengono con volo a vista.

Il Canadair CL-215 (ora supportato dalla Bombardier) è un aereo anfibio concepito specificamente per la lotta antincendio, con la possibilità di operare efficientemente in regioni densamente boscose; può operare anche su piste semi-preparate nonché (naturalmente) sull'acqua. Negli anni la versione originale antincendio è stata anche trasformata in cargo e trasporto passeggeri in aree ricche di specchi d'acqua.

Il primo volo è stato compiuto il 23 ottobre 1967, e la sua prima consegna operativa è stata verso l'agenzia francese di protezione civile nel giugno 1969, mentre le ultime consegne sono state concluse nel 1990. Successivamente su due esemplari sono stati montati dei motori a turboelica del tipo Pratt & Whitney Canada PW123AF con elica quadripala da 1775 kW (2380 shp), dando origine alla versione T (turboprop). Di questa non sono stati prodotti nuovi esemplari (di fatto non esiste una versione "215T", ma solo una "modifica"), ma la Canadair ha venduto i kit di aggiornamento per quelli esistenti, consistenti anche in una modifica aerodinamica al fine di ridurre gli effetti negativi del rinnovato flusso dell'elica. Ne esiste anche una versione "utility", in grado di trasportare 30 passeggeri in uno scompartimento, oppure combi per 11 passeggeri, ma mantenendo una capacità operativa con i serbatoi anteriori.

Spinto da due potenti motori radiali a 18 cilindri, il velivolo è in grado di caricare mediante due sonde retraibili 5443 kg di acqua in appena 12 secondi. Partendo da terra può essere riempito di ritardante. L'apertura di due portelloni permette lo sgancio del carico sui fuochi obiettivo.

È stato sicuramente il più diffuso aereo antincendio al mondo, fino alla sua sostituzione col CL-415; tra gli operatori, l'Italia, con una flotta privata di tre velivoli della So.R.E.M. (in passato interessata alla gestione dei CL-415 della Protezione Civile), Francia (primo operatore in ordine di tempo), Spagna, Canada, Portogallo, Grecia.

Dall'aggiunta di aggiornamenti aerodinamici e di nuovi motori turboelica Pratt & Whitney Canada PW123AF è nata la modifica T, nella quale è stata anche aggiornata l'avionica. Immutata la capacità del serbatoio interno.

Questa versione non è stata commercializzata perché il produttore si è concentrato sul nuovo modello CL-415, che oltre ai motori a turboelica, comprendeva anche una avionica aggiornata ed aggiunte aerodinamiche all'estremità delle ali (winglet) e sui piani di coda (finlet) già presenti sul 215T. Diciassette CL-215 sono stati portati allo standard T, e di questi, 15 operano in Spagna e 2 in Québec.

Il Bombardier 415 (precedentemente noto come Canadair CL-415), nasce a Saint Laurent – Quebec (Canada), effettuando il primo volo nel dicembre del 1993.
E’ un velivolo anfibio biturbina, appositamente progettato come bombardiere d’acqua. Universalmente riconosciuto come il più efficace mezzo aereo per la lotta agli incendi boschivi. Finora ne sono stati consegnati 88 a diversi Paesi – tra cui l’Italia che, con 19 unità, ne è il maggiore utilizzatore. Tra gli operatori europei di CL-215 e CL-415, rientrano Francia, Spagna, Grecia e Croazia, mentre nel bacino del Mediterraneo sono anche attivi Turchia e Marocco.



Il velivolo è derivato dal Canadair CL-215 e differisce da quest’ultimo principalmente per l’impiego di propulsori turboelica P&W 123 AF da 2.380 hp ciascuno e per i comandi di volo assistiti idraulicamente.
E’ interamente metallico e ha un’apertura alare di 28,60 mt, una lunghezza di 19,82 mt e un’altezza di 8,90 mt. Il massimo peso al decollo dal suolo è di 19.890 kg – mentre per le operazioni acquatiche esso è ridotto a 17.168 kg. Tuttavia, durante la fase di caricamento dell’acqua sui bacini idrici il velivolo può raggiungere il peso massimo di 21.360 kg. Il carico sganciabile sull’incendio è di 6.140 litri, che vengono caricati in circa 12 secondi di contatto ad alta velocità sul bacino, mediante due sonde (probes), le quali vengono estratte idraulicamente in fase di avvicinamento e retratte al termine della procedura di prelievo, consentendo così l’accelerazione del velivolo fino alla velocità di distacco dallo specchio d’acqua. La velocità di crociera è di 180 nodi (333 Km/h), il prelievo dell’acqua è intorno ai 75 nodi (140 km/h), mentre la velocità tipica di sgancio del carico sull’incendio è di 100 nodi (185 km/h).

Solitamente, subito dopo il prelievo dagli specchi marini o lacustri, l’acqua viene addizionata di schiuma estinguente – in percentuale variabile stabilita dall’equipaggio – che rende la massa d’acqua più compatta, quindi con azione di soppressione più efficace. Il carico è contenuto in quattro serbatoi presenti nella zona centrale della fusoliera e ognuno di essi è collegato a un portellone ad azionamento idraulico.

Lo sgancio del carico viene azionato mediante la pressione di un pulsante posto su entrambi i volantini di pilotaggio e può avvenire con varie opzioni:

in “Salvo”, ovvero l’apertura simultanea dei quattro portelloni oppure uno o due alla volta;
in “Sequenza“, con un intervallo di tempo predeterminato, se la conformazione del fronte di fuoco lo richiede;
L’equipaggio di condotta è composto da due membri. Nella zona anteriore è presente un seggiolino centrale per un osservatore (jump-seat), mentre altri otto posti per passeggeri sono disponibili in cabina, su due panche parallele alla direzione di volo.


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mercoledì 18 maggio 2016

IL MATERASSO

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Il materasso è il vero protagonista del nostro riposo quotidiano e risalendo indietro nel tempo, pare che gli antichi lo sapessero bene.

Riposare bene per vivere meglio. Il sonno, insieme al cibo, influisce notevolmente sulla qualità della vita. Si pensi che ogni essere umano trascorre 1/3 della sua esistenza dormendo, mediamente 2.900 ore all’anno. Per questo è importante scegliere un materasso adatto alle proprie caratteristiche ed esigenze fisiche. Se nella preistoria bastava adagiarsi per terra su un giaciglio di fortuna, ricavato da un cumulo di foglie secche e paglia ricoperte da pelle di animale, nel corso dei secoli l’evoluzione tecnologica ha portato a tipologie di materassi sempre più confortevoli e personalizzate.

Il materasso nacque nel Neolitico. I giacigli vennero sollevati dal terreno per evitare lo sporco e l'umidità del terreno. Il primo materasso era probabilmente una catasta di foglie secche o di paglia, coperto da una pelle di animale.
Intorno al 3600 a.C pelli di capra ripiene di acqua furono usate in Persia.
Nel 3400 a.C.g li egiziani dormivano su archi di rami di palma ammucchiati negli angoli delle loro case.
I materassi dell'Antica Roma nel 200 a.C. consistevano in sacchi di stoffa ripieni di fieno o lana e, per le persone più facoltose, di piume di uccelli.
Durante il rinascimento, i materassi erano pieni di baccelli di pisello, paglia o qualche volta piume, coperti con velluti, broccati o sete.
Nei secoli XVI e XVII si riempivano i materassi con paglia o piume e messi su di un letto che consisteva in una cornice di legname con reticolati di appoggio di corda o cuoio.
Primi anni del XVIII secolo i materassi erano pieni di cotone o di lana.
Nella metà del XVIII secolo le fodere dei materassi cominciano ad essere fatte di lino o cotone. L'ossatura del materasso è in canne di bambù e lo stesso è ripieno di fibre naturali come fibra di cocco, cotone, lana o crine.
Nella Contea di Somerset in Inghilterra durante il 1824 fu brevettato il primo materasso ad aria.
Nel 1871 il tedesco Heinrich Westphal inventò il materasso a molle. Egli successivamente morì in povertà, non avendo avuto alcun profitto dalla sua invenzione.
Nel 1870 Zalmon G. Simmons inventa il primo materasso a molle fondando la Simmons Bedding Company, la quale sarà la prima azienda ad utilizzare le molle insacchettate singolarmente.
Sir James Paget (medico personale del principe di Galles) nel 1873 presentò un materasso pieno di acqua per il trattamento dei degenti affetti da piaghe da decubito.
Nel 1928 viene realizzato il primo materasso in lattice di gomma da John Boyd Dunlop, fondatore dell'omonima società di pneumatici.
Nel 1930 i materassi a molle divengono abbastanza comuni e le imbottiture in materiali artificiali cominciano ad essere usate in maniera abbastanza diffusa.
Il chimico tedesco Otto Bayer riuscì a sintetizzare un polimero ottenuto per reazione di isocianato e poliolo; nel 1935 nasce il poliuretano (PUR). Il suo successo fu immediato grazie alla grande versatilità d'impiego che ne ha permesso l'utilizzo per una gamma molto ampia di applicazioni. Inizia la produzione di materassi in schiuma sintetica.



Nel 1966 nei laboratori “Ames Research Center” gli scienziati Chiharu Kubokawa e Charles A. Yost sviluppano, per conto della NASA, una schiuma sintetica a lento ritorno elastico (Memory Foam) per migliorare la sicurezza nei seggiolini dei veicoli spaziali. Inizia così l'impiego di schiume tecniche nella produzione di materassi.
Nel 1980 viene costruito il materasso ad aria.
Esistono diversi materiali e tipologie costruttive che vengono addottate per realizzare i materassi che si trovano in commercio.

Tra i più comuni si trovano quelli in lattice, poliuretano o waterfoam, molle, molle insacchettate, memory foam e gonfiabili.

Tra i materassi ergonomici il materasso in lattice naturale era ed è uno dei più performanti ed ergonomici in assoluto, ma il prezzo non è spesso tra i più economici poiché il lattice è un materiale ricavato dall'incisione di una pianta chiamata anche albero della gomma, albero non invasivo per la fauna locale ma che necessita una particolare lavorazione oltre al tantissimo materiale per creare un materasso matrimoniale appunto in lattice. Il primo "materasso in lattice" viene prodotto nel 1928 da John Boyd Dunlop, fondatore dell'omonima società di pneumatici. Da allora il materasso in lattice è molto cambiato. Il cuore del materasso è costituito da una lastra di lattice di gomma, miscelato con altre sostanze, rivestito da una fodera più o meno trapuntata. Il materasso in lattice ha un'elasticità che gli permette di assecondare le curve fisiologiche del corpo evitando pressioni anomale sulla circolazione del sangue e sulle terminazioni nervose. Inoltre il materasso in lattice evita la formazione di polvere all'interno e per questo è particolarmente apprezzato da chi è allergico agli acari della polvere. Annosa è la questione sulle percentuali di lattice naturale con cui vengono prodotte le lastre, in realtà una percentuale di sostanze di origine naturale diverse dal lattice è sempre presente nelle lastre ed è funzionale ad una corretta vulcanizzazione del lattice stesso. I fattori da considerare nell'acquisto di un materasso in lattice sono altri cioè innanzi tutto lo spessore della lastra, infatti una lastra di spessore ridotto, inferiore ai 15 cm non ha un'elevata capacità elastica ed avrà una minore durata nel tempo. Altro elemento importante da considerare prima di procedere all'acquisto è la qualità dei tessuti di rivestimento e dell'imbottitura, infatti il lattice elimina lentamente il calore e l'umidità che il corpo perde durante il sonno ecco perché i tessuti e le imbottiture devono essere di ottima qualità per mitigare questo inconveniente.Poi sono arrivati i materassi di ultima generazione ortopedici salutati (con certificazione LGA) composti da schiuma medicale derivati da materiali naturali anallergici che consentono di garantire la corretta postura della colonna vertebreale, del capo, delle spalle e delle gambe in qualsiasi posizione assunta nel materasso, ideali per dare sollievo a diverse patologie croniche.

I materassi ad aria o di acqua, servono per usi speciali, adottati particolarmente per i malati lungodegenti per evitare le piaghe da decubito.

I materassi in memory (memory foam) o in poliuretano hanno un prezzo più accessibile dei materassi in lattice. Vengono commercializzati come buoni supporti per dormire grazie al fatto che il "memory foam" assorbe il peso del corpo per poi tornare alla forma originale al rilascio. Questo materiale quindi sostiene tutti i punti di pressione del corpo riempendo "i buchi" del corpo normalmente scoperti sostenendo in modo ottimale ogni punto di pressione donando inoltre una sensazione di benessere. I materassi in memory vengono quindi abbinati a particolari poliuretani che devono dare al materasso una portanza rigida altrimenti il corpo affonderebbe nel materasso. Esistono quindi materassi con più o meno centimetri di memory, di base si parla di almeno 4/5 cm per garantire una giusta efficacia.

Un aspetto negativo di questo materiale è che trattiene il calore, il memory foam è infatti termosensibile e si adatta al calore del corpo). In inverno, se la camera da letto è particolarmente fredda il memory risulterà più denso rispetto ad una stanza calda che farà "ammorbidire" il materasso. La scarsa traspirabilità è un ulteriore fattore da prendere in considerazione.

Materassi con scarsi materiali possono indurre ad avere anche problemi di nausee o di asma perché possono essere trattati con sostanze chimiche, colle, stabilizzanti e coloranti (che di norma vengono utilizzate nell'assemblaggio di memory e poliuretani) di scarsissima qualità.

I materassi gonfiabili sono diventati popolari grazie alla comodità di utilizzo, ai costi ridotti (rispetto ai materassi tradizionali) ed alla facilità con cui possono essere utilizzati per creare delle soluzioni letto temporanee o d'emergenza. Questi materassi sono realizzati con plastiche e gomme speciali, combinate a fibre tessili mediante il procedimento di floccaggio che conferisce loro un aspetto vellutato e che fa in modo che le lenzuola aderiscano al materasso.



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giovedì 28 aprile 2016

ACQUA SPRECATA

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Il consumo medio quotidiano di una famiglia europea si aggira attorno ai 165 litri. Calcolando anche l'acqua virtuale, quella che non vediamo ma è servita a produrre il cibo e a far funzionare le industrie, scopriamo che il conto s'impenna. E che la situazione del nostro paese si fa critica: l'impronta idrica in Italia, cioè la quantità di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, è pari a 132 miliardi di metri cubi l'anno, 6.309 litri pro capite al giorno. Siamo il terzo importatore netto di acqua virtuale al mondo (62 miliardi di metri cubi l'anno), dopo Giappone e Messico e prima di Germania e Regno Unito.

"La colpa è del peggioramento delle nostre abitudini alimentari", spiega Francesca Greco, la ricercatrice del King's College di Londra che assieme a Marta Antonelli ha curato lo studio. "In Italia il consumo di cibo è responsabile dell'89 per cento dei consumi di acqua e questo dato ci dovrebbe aiutare perché la dieta mediterranea ha un impatto idrico molto minore di quella a base di carne. Peccato che negli ultimi anni il nostro stile di vita sia peggiorato: importiamo grandi quantità di beni che richiedono molta acqua come la carne di maiale tedesca".

Non solo abbiamo aumentato i consumi di carne (una bistecca da 3 etti costa 4 mila litri di acqua) ma siamo passati dal pollo ruspante al wurstel, dalla ricotta con latte di pecora al pascolo ai latticini d'importazione provenienti da allevamenti intensivi. E così la situazione è progressivamente peggiorata: l'impronta idrica dell'Italia è del 66 per cento più alta della media mondiale (1.385 metri cubi pro capite l'anno). E tra le principali economie non europee l'Italia si colloca al vertice dei consumi pro capite, dopo Stati Uniti, Canada e Australia.

"Sul risparmio idrico è stata fatta molta comunicazione ma sul versante sbagliato: si parla quasi solo dei consumi nelle case che valgono il 4 per cento del nostro bilancio complessivo", aggiunge Francesca Greco. "Visto che i prodotti di origine animale (latte, uova, carne, formaggi) rappresentano quasi la metà dell'impronta idrica totale dei consumi, in Italia per migliorare dovremmo puntare con forza sul made in Italy, sui prodotti da pascolo, sul chilometro zero, sulla dieta mediterranea".

Entro il 2050 non ci sarà abbastanza cibo per sfamare i nove miliardi di popolazione previsti. Secondo le recenti stime la domanda di cibo e fibre crescerà del 70% con un impatto insostenibile per l’oro blu.
A lanciare l’allarme è lo Stockholm International Water Institute (SIWI), che denuncia anche lo spreco enorme di acqua. Oltre un quarto di tutta l’acqua che consumiamo al mondo serve a produrre un miliardo di tonnellate di cibo che vengono poi buttate.
Se analizziamo i consumi attuali di acqua, vediamo che il 70% dell’oro blu viene impiegato in agricoltura, il 20% dall’industria e il 10% per uso domestico. E le richieste possono essere molto differenti tra loro, per esempio la produzione di carne richiede circa 8-10 volte più acqua rispetto a quella di cereali. Un bambino che nasce nei paesi industrializzati consuma da 30 a 50 volte più acqua rispetto a un coetaneo che abita in un Paese in via di sviluppo.
Per il 2025 nei Paesi in via di sviluppo si prevede un aumento del 50% dei consumi di acqua e in quelli industrializzati una crescita del 18%. La conseguenza immediata sarà che nel 2030 il 47% della popolazione mondiale vivrà in aree con problemi di scarsità d’acqua. Inoltre dare da mangiare a tutti nel 2050 potrebbe richiedere il 50% in più di acqua rispetto a quella necessaria attualmente.

Ogni giorno utilizziamo centinaia di litri d’acqua senza prestare molta attenzione; in genere l’atteggiamento più diffuso è quello di pensare che «basta aprire un rubinetto e servirsene a piacere», in realtà le cose non stanno proprio così, è necessario fermarsi a riflettere un attimo per dare il giusto valore ad una risorsa che purtroppo non è infinita.

Gli effetti di questa situazione sono sotto gli occhi di tutti: casi crescenti di razionamento idrico; il consumo di acqua minerale o filtrata diventato quasi un obbligo; lievitazione del costo dell’acqua potabile ecc.

Se poi allarghiamo lo sguardo a livello mondiale, il panorama diventa ancora più preoccupante: circa un miliardo e mezzo di persone non dispongono di acqua potabile.

Di fronte ad un quadro tutt’altro che roseo, oltre ad avvicinarsi al rubinetto con maggiore rispetto, diventa importante porsi il problema di come contribuire in prima persona a migliorare la situazione.

D’altra parte, un uso più appropriato dell’acqua non fa bene solo all’ambiente, ma anche al portafogli e con molta probabilità anche alla pace tra i popoli, perché sono oramai numerosi gli analisti politici che individuano nella carenza d’acqua uno dei possibili motivi di conflitto armato tra i paesi.

La doccia presenta un minor consumo d’acqua, rispetto al bagno, soprattutto se si tiene l’acqua aperta solo quando serve.
Inoltre è possibile adottare docce a risparmio energetico, in grado di ridurre i consumi oltre il 70%. In termini pratici, considerando una doccia al giorno si possono risparmiare in un anno oltre 50.000 litri d’acqua e diverse centinaia di euro.
La cosa importante è di utilizzare docce che non si limitino a ridurre il consumo d’acqua (allora tanto vale non aprire totalmente il rubinetto, con il risultato che s’impiega più tempo a lavarsi e si consuma lo stesso quantitativo di acqua), ma sfruttino in maniera più intelligente l’acqua, garantendo un elevato potere lavante a fronte di minori consumi.
Vi sono inoltre vantaggi secondari interessanti: nel caso di boiler elettrico, più persone riescono a fare la doccia consecutivamente e minori sono i cali di portata per gli altri utenti, l’unico rovescio della medaglia è che, passando meno acqua nei tubi, si deve attendere più tempo l’arrivo dell’acqua calda.

Nel caso in cui si utilizzino lavatrici o lavastoviglie è bene farle girare sempre a pieno carico; nel caso dei lavaggi a mano evitare l’uso d’acqua corrente e preferire l’acqua raccolta in un lavabo o in una bacinella.
Sempre per ridurre gli sprechi, non lasciate diventare vecchio lo sporco dei piatti e le macchie ostiche dei tessuti perché richiedono un lavaggio più impegnativo sia da un punto di vista chimico (detersivi) sia energetico (tempi e temperature più elevate); lavare separatamente i pezzi a seconda del grado di sporco.
Si consuma più acqua, energia e detersivi lavando a mano o a macchina?
Per rispondere in maniera corretta a questa domanda è necessario conoscere due fattori: grado di riempimento ed «economicità» della macchina da una parte e capacità di lavaggio manuale dall’altra.
Comunque alcuni studi in materia hanno dimostrato che per lavare lo stesso quantitativo di stoviglie, pari ad un carico intero di una lavapiatti, mediamente si consumano 80 litri d’acqua se lavati a mano; 60 se lavati a macchina; 12 litri nel caso di apparecchi ad elevata efficienza, i quali oltre al risparmio d’acqua consentono una notevole contrazione dei consumi di detersivi ed energia.



Le vaschette del water tradizionali, in genere contengono circa 24 litri, un volume d’acqua tale da permettere una buona azione lavante nel caso di presenze solide, ma eccessivamente elevata nel caso di rifiuti liquidi.
Mediamente, con tali sciacquoni si ha un consumo giornaliero di circa 100 litri a persona, in gran parte sprecati.
Più efficienti sono le vaschette a due mandate, una da 3 e l’altra da 6 litri, grazie alle quali il consumo giornaliero, a parità di funzione, scende a 15 litri d’acqua.
Se utilizzate in maniera corretta, ossia schiacciando il tasto giusto al momento giusto, con le vaschette a doppia mandata si arriva a risparmiare circa 17.000 litri d’acqua l’anno a persona.
Quando non si hanno a disposizione vaschette ad hoc, è possibile modificare i tradizionali cassonetti introducendo dei pesi che permettono di ottenere le stesse prestazioni.
Un altro metodo è di inserire nella vaschetta un mattone o più semplicemente una bottiglia piena d’acqua.
In quest’ultimo caso si risparmia molta acqua, ma si riduce anche la quantità disponibile per ogni scarico con l’inconveniente di ridurre l’azione lavante.

I rubinetti vanno aperti solo quando serve e tenuti chiusi mentre ci si insapona o ci si lava i denti; analogamente per lavare la frutta e la verdura è sufficiente usare acqua raccolta in una bacinella e non quella corrente.
Per dare un’idea concreta di quanto questi gesti quotidiani possano far variare notevolmente il livello dei consumi idrici, analizziamo in dettaglio cosa accade durante il lavaggio dei denti: tenendo aperto il rubinetto per tutto il periodo di pulizia, si arriva a consumare 10.000 litri l’anno a persona; quando il rubinetto viene aperto solo per il risciacquo il consumo d’acqua si riduce a 1600; se poi invece dell’acqua corrente si utilizza quella contenuta in un bicchiere, si arriva a non più di 200 litri d’acqua l’anno.
Per quanto concerne interventi di tipo impiantistico, è possibile sostituire i normali filtrini dei rubinetti (quelli che ogni tanto dobbiamo pulire dal calcare e da altre sporcizie) con dei modelli risparmio energetico (aeratori).
Come per le docce vale il discorso di acquistare dei modelli che non si limitino a ridurre la portata dell’acqua, ma che producano un getto di eguale capacità lavante con consumi inferiori.

L’acqua, che a causa di perdite delle guarnizioni gocciola dai rubinetti o dallo sciacquone, sembra poca cosa, ma essendo continuativo, anche il semplice gocciolamento comporta uno spreco inutile di migliaia di litri d’acqua (e di euro).
Nel caso in cui l’impianto è dotato di accumuli dell’acqua calda, come ad esempio i boiler elettrici, oltre al consumo d’acqua le perdite idriche si tramutano anche in uno spreco d’energia elettrica.
È pertanto consigliabile di sostituire immediatamente le guarnizioni danneggiate.

Tutti i detergenti, compresi quelli ecologici, comportano un impatto ambientale per la loro produzione, il trasporto e lo smaltimento.
Inoltre, soprattutto nel caso di detergenti convenzionali, si ha una liberazione di residui tossici nell’ambiente che poi vengono assimilati attraverso la respirazione, la pelle e il consumo di alimenti.
Ecco perché è bene ridurre al minimo l’impiego di detergenti e detersivi e in ogni caso preferire i prodotti ecologici.
In tutti i processi di pulizia viene utilizzata l’acqua come diluente che, se usata in modo intelligente, riserva ottime sorprese.
Per il lavaggio di stoviglie e del bucato è possibile trattare energicamente l’acqua con opportuni dispositivi da applicare direttamente alle condotte dell’acqua o direttamente nelle macchine da lavare o sotto forma di additivi, ottenendo circa un dimezzamento dei consumi dei detersivi.
Per quanto concerne la pulizia delle superfici è consigliabile impiegare dei panni in microfibra dove l’azione chimica degli additivi è completamente sostituita dall’azione meccanica, ossia si pulisce e si sgrassa unicamente utilizzando l’acqua.
Ma anche in questo caso, per non avere risultati deludenti, è necessario scegliere prodotti d’elevata qualità.

Il calcare è ben noto per la tendenza a creare incrostazioni, assai difficili da rimuovere da box doccia, lavelli e rubinetteria in generale; ma i maggiori inconvenienti, il calcare li crea all’interno dell’impianto idraulico, ossia nelle condutture e, soprattutto, nei generatori d’acqua calda (elettrici o a gas).
Tali depositi creano due tipi di barriere: una termica e una fisica.
La prima si traduce in un maggior consumo di energia per nulla trascurabile, infatti, per ogni millimetro di deposito di calcare nei tubi, si registra un aumento dei consumi elettrici di circa il 10% e siccome lo strato accumulato in un generatore d’acqua calda può diventare molto spesso, nel tempo, i consumi possono crescere vertiginosamente.
Analogamente, lo strato di calcare crea anche una barriera fisica al passaggio dell’acqua che, nel caso d’impianto dotato di autoclave, fa anch’esso aumentare i consumi di elettricità.
Infine va detto che il calcare sollecita maggiormente l’impianto idraulico riducendone la durata.
Una verifica della presenza di calcare all’interno dei tubi può essere realizzata con una semplice prova.
Aprite al massimo il rubinetto dell’acqua fredda e notate la portata; dopo qualche istante ripetete la stessa cosa con il rubinetto dell’acqua calda.
La minore portata dell’acqua calda è essenzialmente dovuta alle incrostazioni di calcare presenti nel generatore di calore.
Le soluzioni utili per vincere il calcare si dividono in due categorie: trattamenti in grado di inibire il potere di coesione del calcare che, pur continuando ad essere presente nell’acqua, non è più in grado di formare incrostazioni; trattamenti di rimozione del calcare dall’acqua.

La gestione e la salvaguardia di una delle più importanti risorse naturali, l’acqua, a livello europeo è sempre più impostata sui principi del cosiddetto sviluppo sostenibile. L’acqua è natura, salute, cibo, uguaglianza, urbanizzazione, industria, energia. La gestione efficiente di questa preziosa risorsa è sufficiente a garantire uno sviluppo sostenibile e tale obiettivo è perseguibile mediante un perfezionamento dei sistemi tecnologici, un’ottimizzazione del mercato, attraverso una modulazione della richiesta, un abbattimento degli sprechi ed una maggiore consapevolezza degli effetti delle azioni antropiche sull’ambiente. In altri termini una migliore qualità della vita è figlia di una migliore qualità della risorsa acqua.



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sabato 16 gennaio 2016

RUBINETTI GOCCIOLANTI

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Un rubinetto che gocciola produce 90 gocce al minuto e spreca 4.000 litri di acqua all’anno.

Gli italiani sono sempre piu’ attenti al consumo dell’acqua, l’oro blu che non è detto che duri per sempre in abbondanza. Nonostante la maggiore consapevolezza dell’importanza dell’acqua, come risorsa, però,  a volte basta poco perché, per disattenzione nostra, vadano perduti litri e litri di acqua.



Goccia dopo goccia, in un anno una perdita d'acqua può arrivare a far sprecare centinaia di litri preziosi. Mentre aspettate di riparare i rubinetti difettosi, mettete una tazza vuota nel lavandino e raccogliete l'acqua che perde.


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mercoledì 16 settembre 2015

LA LAVANDA

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La lavanda è una pianta particolarmente apprezzata per il profumo dei suoi fiori, che vengono utilizzati a scopo decorativo, a livello erboristico e per alcune ricette di cucina. E' tipica del'area mediterranea e ama gli ambienti soleggiati e il clima piuttosto secco. La lavanda potrà sopportare condizioni climatiche diverse, ma preferisce la stagione calda.

La fioritura delle piante di lavanda avviene tra giugno e luglio. 

La Lavandula angustifolia della varietà Nana Alba è considerata particolarmente adatta per la coltivazione in vaso.

I responsabili del caratteristico profumo della lavanda sono gli oli essenziali di lavanda prodotti da ghiandole, localizzate in tutte le parti verdi della pianta (fiori, foglie e gambi) ma particolarmente concentrati nei fiori.

Questi componenti sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula ma quello più profumato si ottiene dalle specie Lavandula angustifolia e Lavandula stoechas.

I fiori di lavanda si raccolgono in epoche diverse a seconda del loro utilizzo: per uso erboristico si raccolgono all'inizio della fioritura mentre per l'industria cosmetica e per la profumeria nel periodo di massima fioritura.

Dopo la raccolta che deve essere fatta raccogliendo l'infiorescenza con tutto il fusto, si fanno seccare in mazzi appesi a testa in giù, in luoghi ventilati ed ombrosi in quanto il sole scolorirebbe i fiori. Quando sono secchi si separa la spiga dal gambo e si conservano i fiori o in sacchetti di tela o in ciotole per profumare la casa.

I fiori della lavanda mantengono a lungo il loro profumo tanto che vengono normalmente conservati in sacchetti di mussola o tela per profumare la biancheria.

I fiori freschi vengono invece utilizzati per estrarre gli oli essenziali.

Normalmente la lavanda è poco usata per scopi alimentari. Viene però usata per aromatizzare il vino bianco e l'aceto, per preparare gelatine, per aromatizzare i dolci.

Molto particolare e profumato è il miele di lavanda molto adatto per curare le affezioni broncopolmonari.

La lavanda è stata ed è l'elemento base per la preparazione dei pot-pourri per profumare la casa fin dal lontano 1700.
Nell'antichità la lavanda era usata non solo per il suo profumo e per l'igiene personale ma anche come disinfettante: nel Medioevo e fino al 1700 si cospargevano e si strofinavano i pavimenti utilizzando la lavanda come disinfettante.

La spiga è considerata un amuleto contro le disgrazie ed i demoni e si dice che sia anche un talismano per portare prosperità e fecondità. La lavanda è l'essenza astrale del segno zodiacale dell'Ariete.

Nel linguaggio dei fiori la Lavanda può avere due significati distinti e contradditori tra loro.

Il primo significato si rifà ad un'antica tradizione che racconta che la lavanda venisse usata nell'antichità contro i morsi dei serpenti e raccomandavano di strofinarla sulle ferite dopo averla lasciata macerare in acqua. Era quindi considerata un antidoto ma si diceva anche che all'interno dei suoi cespugli i serpenti vi facessero il nido, soprattutto gli aspidi, quindi i popoli antichi si avvicinavano ad essi con grande cautela. Da questa credenza è derivato il suo significato nel linguaggio dei fiori vale a dire "diffidenza".

Il secondo significato della Lavanda è legato invece a sentimenti più miti e regalare della lavanda vorrebbe dire "il tuo ricordo è la mia unica felicità".

Il genere lavanda appartiene alla famiglia delle Labiateae e comprende una trentina di specie originarie dei Paesi del Mediterraneo. 

La lavanda è una pianta molto rustica  e la ritroviamo nei terreni aridi e sassosi a formare dei bellissimi cespugli. Sono piante perenni, sempreverdi di piccole dimensioni raggiungendo infatti al massimo un'altezza di un metro.

Le foglie sono lineri, lanceolate, strette, di un caratteristico colore verde-grigio. Le infiorescenze, portate da lunghi steli, sono delle spighe. Ciascuna spiga contiene un numero variabile di fiori molto profumati e con aroma variabiale a seconda della specie. Il frutto è un achenio che contiene al suo interno un solo seme.

Gli oli essenziali sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula e conferiscono quindi aromi differenti. L'olio essenziale più profumato è quello che si ottiene dalle specie Lavanda angustifolia, Lavandula Stoechas e Lavandula officinalis.



La lavanda è conosciuta fin dalle epoche passate. Pare che il suo nome derivi dal suo utilizzo per detergere il corpo, che la vedeva in particolare impiegata per profumare l'acqua in cui gli antichi romani si immergevano per il bagno. I documenti dell'epoca testimoniano come la lavanda venisse impiegata per la realizzazione di un medicinale adatto a combattere nausea, singhiozzo e dolori intestinali.

L'olio essenziale di lavanda è da secoli altrettanto noto per le sue proprietà curative in caso di scottature ed infiammazioni della pelle. Poche gocce, ancora meglio se diluite in un olio vegetale di base, come del semplice olio extravergine d'oliva, possono essere impiegate per strofinarle sulla pelle in caso di prurito causato dalle punture di zanzara al fine di ottenere un immediato beneficio.

Esso è inoltre considerato come l'olio essenziale rilassante per eccellenza. Ecco perché viene ampiamente utilizzato per effettuare massaggi al fine di decontrarre i muscoli e come aggiunta ai sali da bagno da utilizzare per un pediluvio serale, affinché la sensazione di stanchezza e pesantezza avvertita agli arti inferiori possa essere alleviata il prima possibile. L'olio essenziale di lavanda è portentoso in caso di mal di testa provocato da stress e tensione. E' sufficiente strofinarne una o due gocce sulle tempie per ottenere i primi benefici.

L'olio essenziale di lavanda può essere inoltre utile per la cura del raffreddore. Esso può essere aggiunto al bicarbonato versato in acqua bollente per i classici suffumigi al fine di potenziare gli effetti di questo trattamento, che costituisce uno dei più utili rimedi della nonna contro le malattie da raffreddamento. Un altro olio essenziale particolarmente indicato in proposito viene estratto dall'eucalipto.

In aromaterapia la lavanda viene utilizzata per profumare e rinfrescare gli ambienti della casa, ma anche in caso di insonnia. E' possibile vaporizzare dell'acqua floreale alla lavanda nella propria stanza o sul cuscino, prima di andare a dormire. Può essere altrettanto utile spruzzarne un pochino su di un fazzoletto di stoffa da tenere vicino al cuscino o sul comodino durante le ore notturne.

L'acqua floreale di lavanda e l'olio essenziale di lavanda vengono spesso consigliati in caso di dolori reumatici. Essi devono essere utilizzati per effettuare delicati massaggi sulle aree maggiormente interessate dal fenomeno. L'efficacia degli estratti di lavanda sui dolori reumatici è legata alle sue proprietà antireumatiche e antinfiammatorie.

Per quanto riguarda i fiori di lavanda, essi possono essere raccolti e lasciati essiccare dopo averli riuniti in mazzetti. Saranno utilissimi per comporre dei sacchetti fai-da-te per profumare armadi e cassetti. Gli stessi rametti di lavanda essiccati possono essere impiegati per comporre dei piccoli fasci da abbellire con nastri colorati e da utilizzare per profumare la biancheria o semplicemente per decorare la casa.

I fiori di lavanda essiccati possono inoltre diventare uno degli ingredienti aggiuntivi per la preparazione di saponette naturali o di candele vegetali fatte in casa. Una volta raccolti ed essiccati, affinché mantengano il proprio aroma, i fiori di lavanda possono essere conservati in scatole di latta o di cartone ben chiuse e collocate preferibilmente all'ombra e lontano da fonti di calore.

I fiori essiccati possono essere utilizzati per la preparazione di oleoliti, lasciandoli macerare per alcune settimane in un olio vegetale di base. Dagli stessi fiori essiccati e possibile ottenere infusi e decotti curativi, che vengono impiegati per uso esterno per il lavaggio di ulcere e ferite, per i pediluvi o per la cura della leucorrea.

L'infuso di lavanda può essere inoltre assunto come bevanda dalle proprietà calmanti e rilassanti. In questo caso i fiori secchi di lavanda possono essere abbinati a melissa, tiglio e camomilla, per ottenere un infuso dal sapore gradevole. L'infuso preparato con sola lavanda presenta spiccate proprietà diuretiche. Per ottenere gli effetti desiderati, è necessario conteggiare un cucchiaino di fiori secchi di lavanda ogni tazza da 250 ml di acqua bollente, da consumare tre volte al giorno.









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lunedì 10 agosto 2015

I MULINI AD ACQUA

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I primi documenti riguardanti i mulini ed il loro funzionamento vi sono quelli di Vitruvio, nel trattato De Architettura (25 a.C.), che descrisse un mulino che lavorava con una ruota verticale nell'ultimo secolo a.C., ma egli conosceva anche le ruote orizzontali. Ci sono poi gli scritti del poeta greco Antipatro di Tessalonica, contemporaneo di Vitruvio, dove nell'Antologia Greca descrive il funzionamento di un mulino a ruota verticale.

La diffusione della ruota ad acqua per le attività pre-industriali si estese molto lentamente, con periodi di regressione dovuti alle invasioni barbariche del V e del IX secolo.
Fu però solamente a partire dall'XI secolo che la stabilità politica, la relativa prosperità economica e la notevole crescita demografica, posero le condizioni per un rapido imporsi delle attività artigianali e la crescita prepotente della produttività, con conseguente necessità di forza motrice per i primi, rudimentali ma efficaci, macchinari.

Questo fattore portò a ripercussioni politiche di non poco conto. Nell'economia feudale, il signore era proprietario dei terreni e di tutto quello che sopra di essi poggiava, intendendo con questo non solo tutti i manufatti produttivi, ma anche gli animali e gli stessi uomini, nonché l'uso di tutte le risorse naturali. Quindi anche l'acqua.

E' con l'economia comunale che prese corpo il concetto di uso pubblico delle risorse e divenne attività artigianale il lavoro che un addetto, nel nostro caso parlando di mulini il 'mugnaio', svolgeva da libero professionista svincolato dalla proprietà del feudo.
Conseguenza di questo fu il maturare l'idea che l'acqua fosse materia strumentale al lavoro. Ecco quindi che per forza di cose dovesse essere rigidamente regolamentata e il suo uso soggetto a tassazione in quanto, dal suo utilizzo, se ne poteva ricavare un guadagno. Concetto che verrà sempre più esteso e rafforzato, fino ad arrivare alle estreme conseguenze ancora oggi in vigore. Si pensi, ad esempio, al monopolio idrico per la produzione idroelettrica o i rigidissimi vincoli per l'installazione anche di una semplice ruota ad acqua per far girare una giostrina improduttiva.



I mulini, pur mantenendo caratteristiche tecnologiche comuni, erano strumenti studiati di volta in volta alla destinazione d'uso funzionale ai compiti che dovevano svolgere e perfettamente integrati all'ambiente da cui prelevavano la forza motrice.
In montagna si sfruttava il salto d'acqua, quindi la forza d'urto di una maggiore pressione ma con minore portata, privilegiando la spinta 'per di sotto' con ruote piccole, molto robuste e tecnologia rudimentale.

In pianura, non disponendo di adeguati dislivelli nel salto d'acqua, si optava giocoforza ancora per la tecnologia 'per di sotto', ma data la grande e costante portata d'acqua disponibile nel canale di alimentazione e la bassissima pressione e velocità, la ruota doveva essere molto grande, a volte anche gigantesca raggiungendo perfino i 10 metri, e la tecnologia molto sofisticata con le pale molto curate al fine di catturare la maggior spinta possibile.
Tipicamente vi erano due soluzioni strutturali. Una casetta fissa in muratura o in legno con le ruote poggianti su solide fondamenta, particolarmente adatta alle roggie di risorgiva con portate d'acqua costanti pressoché tutto l'anno. Una flottante, praticamente dei grandi barconi completamente in legno ancorati alla terraferma con cordame e ponticelli, tipica dei grandi fiumi di pianura dove vi era disponibilità di una grandissima massa d'acqua, ma a bassissima velocità e con il problema di una forte variazione stagionale del livello del fiume. Questo genere di mulini natanti era utilizzato esclusivamente per le macine di granaglie.

Un'altra soluzione prevede ruote con alimentazione 'dal di sopra', molto più efficente e performante delle soluzioni precedenti, ma richiede un dislivello nel salto d'acqua pari almeno al diametro della ruota stessa. E' la tecnologia più sofisticata in questo settore e necessita un accuratissimo sistema di alimentazione, ruota e pale costruite con molta precisione. Era diffusa soprattutto nelle aree collinari e pedemontane dove vi era una discreta e costante disponibilità d'acqua, anche se non con masse paragonabili a quelle ricavabili dai grandi fiumi di pianura.

L'energia ricavata e disponibile sull'albero rotante all'interno dell'officina, fu per molti secoli sfruttata esclusivamente per le macine da grano e frantoi, cioè la rotazione costante di una grossa mola. Fu solamente nel XII secolo che venne inventato l'albero a camme, sostanzialmente dei grossi cunei innestati nell'albero rotante (o albero motore), che permisero l'utilizzo di macchinari a movimento discontinuo o alternato.
Ecco comparire i magli, grossi martelloni con la testa in ferro e come manico una trave di legno, sollevati dal cuneo della camma e lasciati cadere. E poi meccanismi per azionare i mantici. Con questa tecnologia si diffusero enormemente le fucine e la lavorazione del ferro battuto.
Il moto alternato permise l'invenzione delle segherie, di pestelli usati anche per triturare panni e scarti di segheria per produrre la carta, di folli per le lane.

Per trovare delle significative innovazioni bisogna giungere già in epoca industriale, alla fine del XIX secolo. Per la molitura dei cereali venne inventata la mola a cilindri, mentre tutta una serie di accorgimenti tecnici modificò significativamente le strutture meccaniche: ruote, pale e ruote dentate fatte in ferro, cinghie per la trasmissione della forza motrice, turbine idrauliche ad altissimo rendimento collegate a generatori elettrici.
Con quest'ultima tecnologia, per la prima volta nella storia, fu possibile disgiungere il luogo di produzione dell'energia dal luogo di sfruttamento della forza motrice.



In genere, l'acqua viene deviata da un fiume o da un bacino e condotta alla turbina o alla ruota idraulica attraverso un canale o una tubazione. La forza del movimento dell'acqua, unità all'effetto delle pale di una ruota o turbina, determina la rotazione dell'asse che aziona gli altri macchinari del mulino. L'acqua, lasciando la ruota o la turbina, viene drenata attraverso un canale di coda che può fungere anche da canale di testa per un'altra turbina di un altro mulino. Il passaggio dell'acqua è controllato da paratoie che consentono la manutenzione ed una minima misura di controllo delle inondazioni; grandi complessi di mulini possono avere decine di chiuse di controllo e complicate canalizzazioni interconnesse che alimentano più edifici e processi industriali. In alcuni impianti l'acqua destinata al funzionamento degli stessi era trasportata da un canale e conservata in un serbatoio adiacente al mulino.

I mulini ad acqua possono essere suddivisi in tre tipi, uno con una ruota idraulica orizzontale, su un asse verticale, e l'altro con una ruota verticale su un asse orizzontale. I più antichi sono mulini orizzontali in cui la forza dell'acqua, colpendo una ruota a pale semplice posta orizzontalmente in linea con il flusso della corrente, faceva ruotare la pietra della macina che era collegata direttamente all'asse di rotazione attraverso un ingranaggio. Il problema con questo tipo di mulino nasce dall'impossibilità di regolare la velocità di rotazione, che dipende direttamente dalla velocità del flusso d'acqua.

Nella maggior parte dei casi la ruota idraulica è posta verticalmente, con l'asse di rotazione orizzontale:

In un mulino a filo d'acqua è la corrente del corso d'acqua che, passando sotto la ruota, ne provoca la rotazione.
Nel caso in cui l'acqua giunga alla ruota dalla sua parte superiore, la caduta verso il basso dovuta alla forza di gravità, ne provoca la rotazione, in seguito al passaggio attraverso le pale; l'uso di ruote a camere sagomate permette prestazioni superiori.
L'acqua può anche passare sotto la ruota, trasmettendo parte della sua energia cinetica.
A partire dalla rivoluzione industriale, e per tutto il XX secolo, alcuni mulini utilizzavano una ruota orizzontale, con asse verticale, noto come "turbina", in particolare nel caso dei frantoi, che erano di dimensioni più piccole. Il livello dell'acqua era mantenuto ad una quota sufficientemente elevata sopra il mulino da una piccola diga o da una briglia munita di una paratoia. Questo accorgimento tecnico permetteva ai pesci di passare in tutta sicurezza attraverso la ruota, senza correre il pericolo di essere feriti o uccisi. In tutti i casi una griglia proteggeva la ruota o la turbina da rami, tronchi o oggetti portati dalla corrente che potrebbero danneggiare queste parti meccaniche. Lo schermo doveva essere pulito regolarmente.

La maggior parte dei mulini ad acqua in Gran Bretagna e degli Stati Uniti aveva una ruota idraulica verticale. Il movimento della ruota attorno ad un asse orizzontale poteva essere utilizzato per sollevare martelli in una fucina, per la follatura e così via. La rotazione orizzontale poteva essere convertita in rotazione verticale per mezzo di ingranaggi. Di solito nei mulini da grano inglesi e americani la ruota idraulica attivava un asse orizzontale sul quale era montata una serie di ingranaggi che permettevano il trasferimento del moto a ruote più piccole, come un ingranaggio per lanterne.

I mulini ad acqua sono stati impiegati per molteplici usi prima dell'era industriale. Alcuni sono:

per la macinatura dei cereali, l'utilizzo più antico;
per il funzionamento delle segherie, nel settore forestale;
per azionare fulloni e telai, nell'industria tessile;
nella lavorazione dei metalli, per azionare macine, forge e martelli per forgiatura;
per azionare delle pompe idrauliche;
mulino per carta: dal XIII al XVIII secolo l'energia del mulino veniva utilizzata per sfibrare gli stracci e la pasta di legno con l'utilizzo di mazze e martelli dotati di punte.
per la produzione dell'elettricità con l'utilizzo di un generatore.


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