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giovedì 19 maggio 2016

YLANG- YLANG

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La Cananga odorata, comunemente conosciuta come ilang-ilang o ylang-ylang, è un albero della famiglia delle Annonaceae dai cui fiori si ricava l'omonima essenza usata in profumeria.

È un albero a crescita rapida che raggiunge un'altezza media di 12 metri. Le foglie, lucide e scure, sono lunghe e hanno forma lanceolata con margini ondulati. I numerosi e profumatissimi fiori crescono, solitari o riuniti in piccoli grappoli, in autunno e primavera. Sono giallo-verdastri (raramente rosa) e hanno 3-5 petali allungati e arricciati.

Il nome ilang-ilang (o ylang-ylang), di origine tagalog, potrebbe derivare dalla parola ilang, che significa regione selvaggia, o da ilang-ilan, ossia non comune, riferibile all'aroma molto particolare.

La pianta è nativa delle Filippine e dell'Indonesia e cresce comunemente nelle isole della Polinesia, Melanesia e Micronesia.
Cresce in condizioni di pieno sole o semiombreggiatura e preferisce i suoli acidi tipici delle foreste pluviali, suo habitat naturale.

La moltiplicazione avviene per seme o per talea. La facile germinazione dei semi ha contribuito ad una vasta diffusione di questa pianta che in alcune zone viene ritenuta un albero infestante.

Calmante se inalato svolge un'azione rilassante sul sistema nervoso, attenua disturbi come l'ansia, depressione, irritabilità, nervosismo e insonnia. L’olio essenziale di ylang ylang crea armonia in caso di contrasti, collera, rancore e frustrazione, perché favorisce la comprensione e il perdono, dissolve le delusioni e le offese, ripristina il desiderio di amare.
Ipotensivo, l’essenza è in grado di abbassare la pressione arteriosa e di attenuare i disturbi provocati sul sistema cardio-circolatorio dallo stress, come palpitazioni e tachicardia.



Afrodisiaco è un olio essenziale erotico, utile per risvegliare i sensi, in caso di frigidità, impotenza, e per chi non riesce a lasciarsi andare; allontana il dubbio, le insicurezze e i sentimenti bloccati. È di grande aiuto nella femminilità repressa perché libera la gioia, la sensualità, l'euforia e la sicurezza interna.

Tonificante e astringente per la pelle è indicato in caso di acne e produzione eccessiva di sebo: se diluite qualche goccia nel detergente per il viso, il derma recupera tono e luminosità. Se versato in piccole dosi, in olio di cocco o burro di Karitè, è un ottimo nutriente e protettivo per i capelli, soggetti a salsedine, vento e sole.

L'olio essenziale di Ylang Ylang ha un profumo dolce, floreale e femminile; è ascrivibile alla Nota di cuore, in quanto estratto dai fiori, è legato all'Elemento Acqua ed ai Segni Zodiacali Toro e Scorpione.
Si estrae per distillazione dei grossi fiori gialli della pianta tropicale; per 1 litro di olio essenziale occorrono dai 40 ai 60 kg di fiori.

Ci sono almeno quattro diverse qualità principali di questo olio; le prime tre si riferiscono alle prime tre frazioni di distillazione. La qualità "Completo" definisce la distillazione totale, quella più valida in terapia, mentre in cosmetica si usano le altre qualità in quanto più facili da miscelare.


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sabato 7 novembre 2015

L'INCENSO

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Incenso deriva dal latino incedere, bruciare, risplendere. L’incenso è da sempre associato alla divinità alla quale viene bruciata la resina dai fumi profumati, per favorire i legami tra uomo e Dio. Nei funerali cattolici è una pratica che viene effettuata al termine del rito.

Gli Egizi avevano introdotto l’incenso nelle loro pratiche di fumigazione e per uso cosmetico: maschere di ringiovanimento e per la preparazione del kohl, una sorta di kajal per il trucco degli occhi.

Gli Ebrei lo conobbero durante la loro permanenza lungo le coste del Mar Rosso e lo inserirono nelle loro pratiche religiose: collegato alla nascita di Gesù, portatogli in dono dai Re Magi.

Anche tra i popoli Arabi l’incenso veniva largamente impiegato e ne costituiva ricchezza di scambio. Veniva chiamato anche Olibano (bianco). La varietà più pregiata è infatti rappresentata da chicchi bianchi.

Fin dall'antichità, la forte domanda dei vari tipi di incenso e la loro elevata utilità marginale determinarono il sorgere di un importantissimo circuito commerciale in grado di determinare la nascita e il declino di numerose culture umane. L'incenso, nelle sue numerose varianti, è stato infatti usato tanto a scopi medicinali quanto a fini devozionali, sia nell'area del bacino del Mediterraneo, sia nelle regioni delle terre basse mesopotamiche, sia nell'altopiano iranico.

Le culture yemenite che dal II millennio a.C. in poi si sono succedute nell'organizzazione dei traffici legati a tali sostanze e nella loro commercializzazione, furono i regni di Saba, dei Minei, del Qataban, di Awsan e del Hadramawt. Non infrequentemente i regni etiopici, come quello di Axum, hanno invaso le aree sud-arabiche proprio per controllare in prima persona detta commercializzazione e avvantaggiarsene. Un'ipotesi ancor oggi ampiamente accreditata (malgrado alcune critiche più recenti) lega il sorgere economico e spirituale della cittadina higiazena di Mecca al traffico dell'incenso lungo la dorsale carovaniera araba (la via dell'incenso) che metteva in collegamento la regione yemenita di Najran con le coste del Mediterraneo gravitanti sulla città palestinese di Ghaza.

L'uso liturgico dell'incenso è attestato fin dalle epoche più antiche in ordine al convincimento che agli dèi potessero essere graditi gli aromi non solo degli olocausti prodotti dalle carni delle vittime sacrificali ma anche di prodotti vegetali. Ancor oggi numerose religioni usano disporre stabilmente di questo prodotto per glorificare simbolicamente la divinità, mentre nei paesi arabi l'incenso conserva un ben preciso posto nella farmacopea popolare (ad esempio come espettorante, antisettico per mezzo di fumigazioni e inalazioni sfruttanti la gommoresina estratta dai rami e dalle foglie).

In Occidente, viene utilizzato l'olio aromatico estratto dalla resina gommosa. Nell'aromaterapia gli vengono attribuite proprietà rilassanti per la mente e per il corpo, oltre a quelle antisettiche, astringenti e antinfiammatorie. Viene consigliato nella cura dell'asma, del raffreddore, contro le rughe, l'ansia, la depressione.

Nel Vangelo secondo Matteo fu uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù. Secondo la tradizione simboleggia la divinità di Cristo. Secondo la Bibbia l'offerta di incenso è un sacrificio di soave fragranza il cui buon odore giunge fino alle narici di Dio (Genesi 8, 21). L'alzarsi della nuvola d'incenso diventa simbolo della preghiera che si innalza fino a Dio (salmo 140, 2; Apocalisse di Giovanni 8, 3-5).



Attualmente il consumo di incenso è in forte contrazione; il periodo di più larga diffusione si ebbe negli anni '30 e '40 del secolo scorso. Una parte importante dell'incenso proveniva dalla Migiurtinia, territorio della Somalia Italiana e veniva commercializzato sul mercato di Aden.

L’incenso è un prodotto derivato da diverse piante, che si trovano soprattutto nel Corno d’Africa e nella penisola arabica. Per ricavare questa famosa resina gialla, occorre incidere la corteccia degli alberi: molto utilizzata è, in special modo, la resina estratta dall’albero del Boswellia, ma esistono anche altre varietà. La resina estrapolata viene selezionata in base a diversi fattori, come il colore, la purezza e l’ambiente in cui crescono le piante, ad esempio.

E’ una pianta che può raggiungere i 6 metri di altezza, con fronde ricche di fogliame. I suoi fiori sono bianchi o rosa. E’ caratterizzato dalla produzione di una resina gommosa che viene raccolta praticando dei tagli nella corteccia. La Boswellia cresce in Somalia e lungo le coste del Mar Rosso.

L'olio essenziale di incenso è ricavato dalla Boswellia carterii, una pianta della famiglia delle Burseracee. Conosciuto per le sue numerose proprietà, è un antisettico e antireumatico, utile anche in caso di tosse, raffreddore e per riequilibrare il sistema nervoso.

Antisettico, purifica l’aria, l’ambiente in cui viene diffuso. Utile in caso di disturbi di natura batterica, esplica la sua azione antimicrobica.

Astringente, diluito e applicato sulla pelle è un ottimo rimedio per la dilatazione dei pori e la lassità epidermica.

Anticatarrale, espettorante, per liberare le vie respiratorie in caso di tosse e raffreddori.

Antireumatico, applicato diluito per frizioni e massaggi questo olio caldo e balsamico penetra in profondità, riscalda la parte e riossigena i tessuti togliendo il dolore.

Tonico e riequilibrante del sistema nervoso centrale, seda forme ansiose, agitazioni da stress, pensieri ossessivi, paure. Predispone infatti alla calma, alla meditazione e alla preghiera.

Per maschere purificanti: aggiungere 2 gocce di olio essenziale d’incenso a un cucchiaio di olio di mandorle dolci da aggiungere a dell’argilla ventilata già stemperata in acqua. Il potere astringente si somma a purificare la pelle del viso e del collo.

Creme antinvecchiamento: aggiungere 2-3 gocce di olio essenziale di incenso nel vasetto della crema idratante o rassodante che normalmente si utilizza per potenziarne l’effetto

Massaggio antireumatico: 3 gocce di olio essenziale di incenso in due cucchiai di olio di sesamo, da frizionare sulla parte da trattare. Coprire con un panno caldo e lasciare assorbire.

Suffumigi: 1 o 2 gocce in acqua bollente da respirare e da diffondere nell’ambiente in cui si vive.

Per irrigazioni locali: in caso di cistite, aggiungere 5 gocce in 250 ml di acqua bollita, da utilizzare quotidianamente per applicazioni locali.

Non sono segnalate controindicazioni particolari, fatta eccezione per l’uso interno, come per tutti gli olii essenziali che devono essere adoperati con cautela e sempre veicolati, per esempio il miele è un ottimo vettore di oli essenziali. Una curiosità invece legata all’aroma dell’incenso: pare che smorzi il desiderio sessuale, forse incompatibile con la sua forte valenza spirituale.




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mercoledì 16 settembre 2015

LA LAVANDA

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La lavanda è una pianta particolarmente apprezzata per il profumo dei suoi fiori, che vengono utilizzati a scopo decorativo, a livello erboristico e per alcune ricette di cucina. E' tipica del'area mediterranea e ama gli ambienti soleggiati e il clima piuttosto secco. La lavanda potrà sopportare condizioni climatiche diverse, ma preferisce la stagione calda.

La fioritura delle piante di lavanda avviene tra giugno e luglio. 

La Lavandula angustifolia della varietà Nana Alba è considerata particolarmente adatta per la coltivazione in vaso.

I responsabili del caratteristico profumo della lavanda sono gli oli essenziali di lavanda prodotti da ghiandole, localizzate in tutte le parti verdi della pianta (fiori, foglie e gambi) ma particolarmente concentrati nei fiori.

Questi componenti sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula ma quello più profumato si ottiene dalle specie Lavandula angustifolia e Lavandula stoechas.

I fiori di lavanda si raccolgono in epoche diverse a seconda del loro utilizzo: per uso erboristico si raccolgono all'inizio della fioritura mentre per l'industria cosmetica e per la profumeria nel periodo di massima fioritura.

Dopo la raccolta che deve essere fatta raccogliendo l'infiorescenza con tutto il fusto, si fanno seccare in mazzi appesi a testa in giù, in luoghi ventilati ed ombrosi in quanto il sole scolorirebbe i fiori. Quando sono secchi si separa la spiga dal gambo e si conservano i fiori o in sacchetti di tela o in ciotole per profumare la casa.

I fiori della lavanda mantengono a lungo il loro profumo tanto che vengono normalmente conservati in sacchetti di mussola o tela per profumare la biancheria.

I fiori freschi vengono invece utilizzati per estrarre gli oli essenziali.

Normalmente la lavanda è poco usata per scopi alimentari. Viene però usata per aromatizzare il vino bianco e l'aceto, per preparare gelatine, per aromatizzare i dolci.

Molto particolare e profumato è il miele di lavanda molto adatto per curare le affezioni broncopolmonari.

La lavanda è stata ed è l'elemento base per la preparazione dei pot-pourri per profumare la casa fin dal lontano 1700.
Nell'antichità la lavanda era usata non solo per il suo profumo e per l'igiene personale ma anche come disinfettante: nel Medioevo e fino al 1700 si cospargevano e si strofinavano i pavimenti utilizzando la lavanda come disinfettante.

La spiga è considerata un amuleto contro le disgrazie ed i demoni e si dice che sia anche un talismano per portare prosperità e fecondità. La lavanda è l'essenza astrale del segno zodiacale dell'Ariete.

Nel linguaggio dei fiori la Lavanda può avere due significati distinti e contradditori tra loro.

Il primo significato si rifà ad un'antica tradizione che racconta che la lavanda venisse usata nell'antichità contro i morsi dei serpenti e raccomandavano di strofinarla sulle ferite dopo averla lasciata macerare in acqua. Era quindi considerata un antidoto ma si diceva anche che all'interno dei suoi cespugli i serpenti vi facessero il nido, soprattutto gli aspidi, quindi i popoli antichi si avvicinavano ad essi con grande cautela. Da questa credenza è derivato il suo significato nel linguaggio dei fiori vale a dire "diffidenza".

Il secondo significato della Lavanda è legato invece a sentimenti più miti e regalare della lavanda vorrebbe dire "il tuo ricordo è la mia unica felicità".

Il genere lavanda appartiene alla famiglia delle Labiateae e comprende una trentina di specie originarie dei Paesi del Mediterraneo. 

La lavanda è una pianta molto rustica  e la ritroviamo nei terreni aridi e sassosi a formare dei bellissimi cespugli. Sono piante perenni, sempreverdi di piccole dimensioni raggiungendo infatti al massimo un'altezza di un metro.

Le foglie sono lineri, lanceolate, strette, di un caratteristico colore verde-grigio. Le infiorescenze, portate da lunghi steli, sono delle spighe. Ciascuna spiga contiene un numero variabile di fiori molto profumati e con aroma variabiale a seconda della specie. Il frutto è un achenio che contiene al suo interno un solo seme.

Gli oli essenziali sono presenti in maniera variabile nelle diverse specie di Lavandula e conferiscono quindi aromi differenti. L'olio essenziale più profumato è quello che si ottiene dalle specie Lavanda angustifolia, Lavandula Stoechas e Lavandula officinalis.



La lavanda è conosciuta fin dalle epoche passate. Pare che il suo nome derivi dal suo utilizzo per detergere il corpo, che la vedeva in particolare impiegata per profumare l'acqua in cui gli antichi romani si immergevano per il bagno. I documenti dell'epoca testimoniano come la lavanda venisse impiegata per la realizzazione di un medicinale adatto a combattere nausea, singhiozzo e dolori intestinali.

L'olio essenziale di lavanda è da secoli altrettanto noto per le sue proprietà curative in caso di scottature ed infiammazioni della pelle. Poche gocce, ancora meglio se diluite in un olio vegetale di base, come del semplice olio extravergine d'oliva, possono essere impiegate per strofinarle sulla pelle in caso di prurito causato dalle punture di zanzara al fine di ottenere un immediato beneficio.

Esso è inoltre considerato come l'olio essenziale rilassante per eccellenza. Ecco perché viene ampiamente utilizzato per effettuare massaggi al fine di decontrarre i muscoli e come aggiunta ai sali da bagno da utilizzare per un pediluvio serale, affinché la sensazione di stanchezza e pesantezza avvertita agli arti inferiori possa essere alleviata il prima possibile. L'olio essenziale di lavanda è portentoso in caso di mal di testa provocato da stress e tensione. E' sufficiente strofinarne una o due gocce sulle tempie per ottenere i primi benefici.

L'olio essenziale di lavanda può essere inoltre utile per la cura del raffreddore. Esso può essere aggiunto al bicarbonato versato in acqua bollente per i classici suffumigi al fine di potenziare gli effetti di questo trattamento, che costituisce uno dei più utili rimedi della nonna contro le malattie da raffreddamento. Un altro olio essenziale particolarmente indicato in proposito viene estratto dall'eucalipto.

In aromaterapia la lavanda viene utilizzata per profumare e rinfrescare gli ambienti della casa, ma anche in caso di insonnia. E' possibile vaporizzare dell'acqua floreale alla lavanda nella propria stanza o sul cuscino, prima di andare a dormire. Può essere altrettanto utile spruzzarne un pochino su di un fazzoletto di stoffa da tenere vicino al cuscino o sul comodino durante le ore notturne.

L'acqua floreale di lavanda e l'olio essenziale di lavanda vengono spesso consigliati in caso di dolori reumatici. Essi devono essere utilizzati per effettuare delicati massaggi sulle aree maggiormente interessate dal fenomeno. L'efficacia degli estratti di lavanda sui dolori reumatici è legata alle sue proprietà antireumatiche e antinfiammatorie.

Per quanto riguarda i fiori di lavanda, essi possono essere raccolti e lasciati essiccare dopo averli riuniti in mazzetti. Saranno utilissimi per comporre dei sacchetti fai-da-te per profumare armadi e cassetti. Gli stessi rametti di lavanda essiccati possono essere impiegati per comporre dei piccoli fasci da abbellire con nastri colorati e da utilizzare per profumare la biancheria o semplicemente per decorare la casa.

I fiori di lavanda essiccati possono inoltre diventare uno degli ingredienti aggiuntivi per la preparazione di saponette naturali o di candele vegetali fatte in casa. Una volta raccolti ed essiccati, affinché mantengano il proprio aroma, i fiori di lavanda possono essere conservati in scatole di latta o di cartone ben chiuse e collocate preferibilmente all'ombra e lontano da fonti di calore.

I fiori essiccati possono essere utilizzati per la preparazione di oleoliti, lasciandoli macerare per alcune settimane in un olio vegetale di base. Dagli stessi fiori essiccati e possibile ottenere infusi e decotti curativi, che vengono impiegati per uso esterno per il lavaggio di ulcere e ferite, per i pediluvi o per la cura della leucorrea.

L'infuso di lavanda può essere inoltre assunto come bevanda dalle proprietà calmanti e rilassanti. In questo caso i fiori secchi di lavanda possono essere abbinati a melissa, tiglio e camomilla, per ottenere un infuso dal sapore gradevole. L'infuso preparato con sola lavanda presenta spiccate proprietà diuretiche. Per ottenere gli effetti desiderati, è necessario conteggiare un cucchiaino di fiori secchi di lavanda ogni tazza da 250 ml di acqua bollente, da consumare tre volte al giorno.









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domenica 23 agosto 2015

IL MANDORLO

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Il mandorlo selvatico cresce nel Mediterraneo orientale e nel Levante; i mandorli sono stati coltivati inizialmente proprio in questa regione. Venne introdotto in Sicilia dai Fenici dalla Grecia (i romani lo chiamavano "noce greca"), dopodiché si diffuse in Francia, Spagna e quasi tutti i paesi del Mediterraneo. Il frutto del mandorlo selvatico contiene glucoside amigdalina, che si trasforma nel mortale acido cianidrico in seguito a danni al seme. Dopo la coltivazione e l'addomesticamento, le mandorle divennero commestibili: senza dubbio venivano arrostite per eliminarne la tossicità.

Invece le mandorle domestiche non sono tossiche; Jared Diamond ritiene che una mutazione genetica ha determinato la scomparsa del glucoside amigdalina; questi esemplari mutanti sono stati coltivati da antichi agricoltori. Secondo alcuni studiosi, le mandorle furono uno dei primi alberi da frutto a essere coltivati grazie "all'abilità dei frutticoltori a selezionare i frutti. Così a dispetto del fatto che questa pianta non si presta alla propagazione tramite pollone o tramite talea, esso doveva essere stato addomesticato perfino prima dell'invenzione dell'innesto." I mandorli domestici appaiono nella prima parte dell'Età del bronzo (3000-2000 a.C.). Un esempio archeologico di mandorlo sono i frutti trovati nella tomba di Tutankamon in Egitto (circa 1325 a.C.), probabilmente importate dal Levante.

Il mandorlo è riverito in molte culture ed è citato molte volte nella Bibbia: tra l'altro il mandorlo è presente in Siria e Israele. Il nome Ebreo, "agitato", "scosso" , significa laborioso o vigilante, dato che il mandorlo è uno dei primi alberi a fiorire in Israele, di solito all'inizio di Febbraio, in coincidenza con il Tu BiShvat (ט״ו בשבט ṭū bišḇāṭ), una festività ebraica anche chiamata Capodanno degli alberi.

Fin dall'antichità, il mandorlo è stato un simbolo di promessa per la sua precoce fioritura, che simboleggia l'improvvisa e rapida redenzione di Dio per il Suo popolo dopo un periodo in cui sembrava lo avesse abbandonato; si veda ad esempio Geremia 1,11-12. Nella Bibbia il mandorlo è citato dieci volte, a cominciare da Genesi 43,11, dove le mandorle sono menzionate come uno dei "prodotti più scelti del paese".

Il Mandorlo (Amygdalus communis L. = Prunus amygdalus Batsch; Prunus dulcis Miller) e' una pianta originaria dell'Asia centro occidentale e, marginalmente, della Cina.
Venne introdotto in Sicilia dai Fenici, proveniente dalla Grecia, tanto che i Romani lo chiamavano "noce greca". In seguito si diffuse anche in Francia e Spagna e in tutti i Paesi del Mediterraneo. In America giunse nel XVI secolo.
Appartiene alla Famiglia delle Rosaceae, sottofamiglia Prunoideae.
Alla specie Amygdalus communis appartengono tre sottospecie di interesse frutticolo: sativa (con seme dolce ed endocarpo duro; comprende la maggior parte delle specie coltivate), amara (ha seme amaro per la presenza di amigdalina) e fragilis (con seme dolce ed endocarpo fragile).
Pianta a medio sviluppo, alta 8-10 m, molto longeva.
L'apparato radicale è molto espanso. I rami, di colore grigiastro o marrone, portano gemme a legno e a fiore; le gemme possono essere isolate o a gruppi di 2-3 e diversamente combinate.
Le foglie sono lanceolate, seghettate, piu' strette e piu' chiare di quelle del pesco, portanti delle ghiandole alla base del lembo e lungamente peduncolate.
I fiori, ermafroditi, sono bianchi o leggermente rosati nell'Amygdalus communis L. ssp. amara, costituiti da 5 petali, 5 sepali e da 20-40 stami. L'ovario presenta 2 sacchi embrionali contenenti, ognuno, 1-2 ovuli. Il frutto e' una drupa che presenta esocarpo carnoso, di colore verde, a volte con sfumature rossastre, piu' spesso peloso ma anche glabro, ed endocarpo legnoso contenente il seme o mandorla; questo e' ricoperto da un tegumento (episperma) liscio o rugoso, di colore variabile dal marrone all'ocra. In alcune cultivar e' possibile riscontrare con una discreta frequenza la presenza, all'interno dell'endocarpo, di due semi (Fenomeno dannoso ai fini commerciali). Il mandorlo e' caratterizzato da una fecondazione entomofila, per cui nel mandorleto si rende necessaria la presenza di un certo numero di arnie durante la fioritura. La maggior parte delle cultivar e' autosterile, ed inoltre sussistono casi di eteroincompatibilita'; cio' risulta estremamente importante ai fini della scelta delle cultivar. L'epoca di fioritura, pur variando fra i diversi ambienti (da gennaio a marzo) e' alquanto precoce. Negli ultimi decenni la mandorlicoltura è complessivamente mutata sia per quanto riguarda il comparto produttivo che quello commerciale. Pur essendo molto diffuso nel bacino del Mediterraneo, il mandorlo ha avuto in questo ambiente periodi di stasi, se non di regressione, a causa dell’inadeguatezza degli impianti, spesso obsoleti e con tecniche di coltivazione tradizionali. Viceversa negli USA si è verificato un deciso sviluppo grazie alle nuove piantagioni specializzate eseguite con portinnesti capaci di adattarsi alle condizioni pedologiche e con buona affinità d’innesto e all'introduzione di moderni sistemi di raccolta meccanizzata.
Le migliori condizioni pedoclimatiche per la coltivazione del mandorlo sono le aree temperate dove meno frequenti sono le brinate tardive.



La raccolta si attua tra la fine di agosto e la fine di settembre, in relazione alla cultivar. Tradizionalmente i frutti caduti sono raccattati da terra o mediante raccattatura diretta o dopo caduta entro le reti. La raccolta meccanica, gia' attuata negli Stati Uniti, non e' ancora entrata nell'uso corrente in Italia. Dopo la raccolta i frutti vengono fatti asciugare all'aria e successivamente viene praticata la smallatura, operazione attuata meccanicamente.
I frutti smallati devono essere successivamente essiccati. Ultimata tale operazione, prima di predisporre i frutti per la conservazione, e' possibile effettuare l'imbianchimento con anidride solforosa per migliorare l'aspetto esteriore; e' possibile anche effettuare una disinfezione e disinfestazione contro alcuni parassiti particolarmente dannosi durante la conservazione. I frutti vengono utilizzati per la maggior parte dall'industria dolciaria (confetti, torroni, ecc.) e in piccola parte consumati come frutta secca.
Le mandorle vengono utilizzate soprattutto in pasticceria, dove sono un ingrediente ed un ornamento importante di vari tipi di dolci (torroni, torte, budini, mandorlati e confetti).
Il latte di mandorla è una bevanda densa, profumata e molto salutare. Si produce diluendo con acqua la poltiglia ottenuta frullando le mandorle. Prima dell'uso il latte di mandorla va agitato poiché, a causa dell'elevato contenuto lipidico, tende a separarsi in due fasi distinte. Inoltre inacidisce rapidamente e deve per questo essere conservato in frigo.
L'olio di mandorla si ottiene dalla spremitura dei semi di mandorle dolci e trova applicazione soprattutto in campo cosmetico, dove viene usato per le sue proprietà lenitive ed emollienti (protegge la cute, la ammorbidisce e la rassoda, prevenendo le smagliature). Se assunto come alimento ha discrete proprietà lassative.
Le mandorle vengono generalmente consumate secche, dolci o salate. In quest'ultimo caso il sale potrebbe essere utilizzato per coprire il sapore rancido di un seme di qualità scadente.
Le mandorle sono un frutto ricco di trigliceridi, con fortissima presenza di acidi grassi monoinsaturi. All'interno dei semi del mandorlo abbondano anche alcune vitamine (soprattutto la riboflavina e la vit. E), insieme a numerosi sali minerali (manganese, magnesio, calcio, rame e fosforo). Anche l'elevato apporto proteico contribuisce a rendere la mandorla un alimento di prim'ordine, digeribile e molto energetico.
A causa del loro elevato apporto calorico (quasi 600 calorie per 100 grammi), le mandorle devono essere consumate con una certa moderazione (non più di 10-15 al giorno), soprattutto da chi è ancora lontano dal raggiungere il proprio peso forma.
Le mandorle amare non sono adatte all'alimentazione umana in quanto contengono un glucoside tossico (amigdalina) che viene inattivato con la cottura prolungata. Più una mandorla è amara e tanto maggiore è il suo potere venefico. Gli estratti di questi semi vengono utilizzati a piccole ed innocue dosi nella preparazione di specialità dolciarie come gli amaretti.
Le mandorle con guscio, se riposte in un luogo fresco ed asciutto, si conservano facilmente per qualche mese. Se private del loro involucro legnoso deperiscono velocemente e vanno pertanto conservate in luogo fresco e asciutto dentro un vaso ben chiuso.


LEGGI ANCHE : http://marzurro.blogspot.it/2015/08/la-riserva-dello-zingaro.html






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martedì 7 luglio 2015

IL PINO CEMBRO



Il Pino cembro o Cirmolo è originario delle montagne dell'Europa centrale (Alpi, Carpazi, Tatra). In Italia si trovano boschi di Cirmolo in Trentino-Alto Adige e in alcune zone delle Alpi Occidentali. Tollera bene i climi freddi e ventosi delle alte quote.

Alto circa 20 metri, ha una chioma compatta di colore verde scuro un po' glauco.
Tronco robusto, contorto negli alberi vecchi, con corteccia grigio-brunastra, screpolata.
Foglie aghiformi inserite a gruppi di 5 sui brachiblasti, lunghe 7-9 cm, di sezione triangolare.
In estate, sui rami dell'anno nella parte superiore della chioma, compaiono i coni: i maschili gialli, i femminili rosso-violacei. Due anni dopo la fioritura maturano le pigne che cadono intere, ancora con i semi, nella primavera del terzo anno. Raggiunge i 500 anni di età.

Specie montana, l'areale è disgiunto, con areale principale in Siberia centrale e disgiunzioni sull'arco alpino più due zone nei Balcani e in Europa centrale. Cresce a partire dai 1200 metri di quota fino al limite superiore dei boschi di conifere subalpini, trovando condizioni ottimali tra i 1600 e i 2100 m di altitudine, predilige suoli a reazione acida, ma può vivere anche su substrati calcarei acidificati o dilavati in superficie dall'azione delle acque meteoriche. Il pino cembro può formare boschi misti con l'abete rosso e meno frequentemente con il larice o anche boschi puri, particolarmente pregiati, come il famoso Bosco dell'Alevè della Valle Varaita, nelle Alpi Cozie. In Piemonte è presente sulle Alpi Cozie e Marittime (nelle valli Varaita, Gesso, Maira, Stura, Susa, Chisone, Pesio) mentre è rara in Val Sesia e Ossola. Forma cembrete pure (1.500 ettari) e miste al larice (3.500 ettari) o con abete rosso; in passato è stata eliminata per far spazio al lariceto pascolato, oggi è in lenta ripresa. In Lombardia è molto diffuso nel Bormiese e nel Livignasco, dove forma sia boschi misti con il larice sia boschi puri, come la cembreta di Valfurva, mentre è presente solo in boschi misti nell'alta Val Chiavenna, Val Malenco, alta Val Camonica e Adamello, raro sulle Orobie. In Trentino è diffuso perlopiù in boschi misti in alta Val di Pejo, Val di Fumo, alta Val di Fassa e Val Travignolo. In Alto Adige è presente in tutta la provincia, ma forma boschi puri soprattutto sulle Dolomiti in Val Gardena, Val Badia e alta Pusteria. Nel Veneto non forma mai boschi puri ma partecipa a formazioni miste con il larice e l'abete rosso, spingendosi a est fino alla conca di Misurina. Manca nei boschi del Friuli, grazie al clima umido delle Alpi Carniche e Giulie.

Legno tenero e di facile lavorazione utilizzato per la costruzione di mobili e per i lavori di intarsio (Val Gardena). In passato i semi rappresentavano una importante risorsa alimentare per le popolazioni di montagna.
L'olio essenziale di pino cembro è espettorante, disinfettante e germicida; ha un effetto calmante e balsamico sulle vie respiratore. Il suo profumo è molto simile a quello del pino mugo: rispetto a quest'ultimo risulta leggermente più delicato e dolce.

Con la sua innata capacità di proteggersi dal freddo estremo, dalle tempeste, dall’aridità e dai forti raggi solari, ci dimostra proprio come le piante di montagna sono in grado di sopravvivere nelle più difficili condizioni climatiche. La sua tranquillità di fronte a fattori estremi e a particolari forze contrarie, rendono il cembro un potente strumento di benessere anche per l’uomo. Per migliorare il sonno, per ottimizzare la regolazione vegetativa, per equilibrare l’armonia e il clima della stanza.
Il legno di pino cembro, conosciuto e stimato già da secoli, ha effetti assolutamente benevoli sul sonno e sulla circolazione sanguigna. Esso stimola anche la nostra regolazione vegetativa, permettendo di risparmiare circa 3500 battiti al giorno (un’intera ora notturna di attività cardiaca).
Questo migliora notevolmente il riposo: nei letti di pino cembro, questo dicono le ultime scoperte scientifiche, non si avvertono i cambiamenti climatici e meteorologici. Il legno ha un’azione antibatterica, contrasta l’azione delle tarme e impedisce la formazione di muffe. Un prodotto quindi assolutamente pregiato che cresce in montagna.

Il nome del genere è forse connesso col sanscrito "pitu" = "resinoso"; secondo altra fonte potrebbe derivare dal celtico "pen" o "pin" = "testa", per la forma della chioma. L'appellativo specifico è di incerta derivazione, ma potrebbe rifarsi al termine germanico "zimbar" = "legno da costruzione".


In passato il legno, che non viene attaccato dai tarli, veniva anche impiegato, come rivestimento, nell'arredo di interni rustici e nella costruzione di armadi, cassettoni e serramenti. La caratteristica fragranza che esso emana è dovuta all'oleoresina denominata "balsamo dei Carpazi", contenuta nei numerosi canali resiniferi del fusto.
I semi di cembro, detti "pinocchini", sono eduli, come quelli del pino domestico e contengono un ottimo, pur se poco durevole, olio aromatico.
L'olio essenziale può essere ricavato anche distillando rametti, gemme ed aghi ed ha proprietà simili a quelle del mugolio (del pino mugo): balsamiche, anticatarrali, antisettiche. Per il particolare profumo viene spesso usato nei diffusori e nelle saune. Interessante è anche l'impiego di gemme, giovani getti e strobili per aromatizzare la grappa.

Uno dei fattori determinanti per l'attecchimento e l'affermazione di giovani piantine di cirmolo si dimostra essere la durata del periodo d'innevamento. Una prolungata copertura nevosa può infatti contrarre eccessivamente il già breve periodo vegetativo della specie e favorire l'attività di agenti parassitari molto nocivi, tra i quali i discomiceti Phacidium infestans Karst. e Lophodermium pinastri (Schrad.) Chov., entrambi facilitati nel loro ciclo vitale dalla presenza della coltre nevosa.
Ambedue si manifestano con un colore più pallido degli aghi sulle piante attaccate allo scioglimento della neve, colore che presto vira verso il rosso-bruno. Gli attacchi del primo sono più pericolosi e possono portare al rapido deperimento dei soggetti più giovani, mentre i più grandi riescono a resistere fino alla regressione del parassita; quelli del secondo sono più blandi, ma causano rallentamento della crescita e perdita d'incremento legnoso.


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sabato 4 luglio 2015

L'ABETE ROSSO



L'Abete rosso o Peccio è originario delle zone di clima boreale dell'Europa, dalle Alpi Marittime attraverso l'Europa centro-settentrionale fino agli Urali. In Italia si incontrano bellissime peccete lungo tutto l'arco alpino.

Alto fino a 60 metri, con tronco diritto e chioma conica relativamente stretta. Il portamento può comunque differenziarsi in base all'altitudine, essendo questa una specie caratterizzata da un certo polimorfismo: la chioma, infatti, può assumere una forma più espansa alle quote alpine più basse, mentre tende a divenire più stretta a quote maggiori (per contenere i danni provocati dalla neve).

La corteccia è sottile e rossastra (da quest'ultima caratteristica deriva il nome comune dell'albero); con l'età diviene bruno-grigiastra e si divide in placche rotondeggianti o quasi rettangolari (di circa 1–2 cm).

Le foglie sono costituite da aghi appuntiti, a sezione quadrangolare, lunghi fino a circa 2,5 cm, inseriti su cuscinetti in rilievo posti tutto intorno al rametto, con tendenza a disporsi su un piano orizzontale.

I fiori, meglio indicati come sporofilli, maturano in aprile-maggio.

Macrosporofilli: formano coni sessili nella parte apicale dei rami, riuniti in genere in 3-4, appaiono dapprima eretti poi penduli. Sono i fiori femminili, che dopo l'impollinazione danno origine agli strobili, detti comunemente pigne.
Microsporofilli: formano coni lunghi 1 cm all'estremità dei rami dell'anno precedente, nella parte superiore della chioma. Sono i fiori maschili, generalmente si sviluppano alla base dei coni femminili.
Gli strobili, comunemente detti "pigne", sono cilindrici, penduli, lunghi 10–20 cm e larghi 2–4 cm, dapprima di color verde o rossiccio, poi marroni (in autunno). Cadono interi a maturità. La fruttificazione è tardiva (20-50 anni).

Utilizzatissimo per impieghi silvicolturali e come albero ornamentale. In Italia è presente allo stato spontaneo sulle Alpi dalla Liguria (con un nucleo relitto in alta Val Tanarello) alle Alpi Giulie, ne sono conosciuti anche alcuni popolamenti relitti nell'Appennino Tosco-Emiliano (valle del Sestaione presso il Passo dell'Abetone), altrove il peccio è stato diffusamente coltivato per rimboschimenti. Nell'arco alpino l'abete rosso forma boschi di notevole estensione solo a partire dalla sezione nord-occidentale delle Alpi Marittime (Vallone del Boréon), ma fino alla Valle d'Aosta è spesso subordinato all'abete bianco nell'orizzonte montano e al larice in quello subalpino. Le peccete si estendono maggiormente nelle Alpi centrali ed orientali, dove questa specie approfitta di condizioni climatiche per essa ideali, soprattutto estive (caldo moderato e precipitazioni regolari nel trimestre estivo), fattori climatici che nei settori alpini orientali appaiono maggiormente distribuiti.

Sulle Alpi è specie tipica dell'orizzonte montano medio e superiore e di quello subalpino inferiore, trovando condizioni climatiche ottimali tra i 1200 e i 1800 m di altitudine, anche se in condizioni particolari può scendere fino a soli 600–800 m di altitudine, come nel Tarvisiano, oppure risalire fino a 2100–2200 m, come in alcune località dell'Alta Valtellina (Bormio).

Il legno di questo peccio ha ottime proprietà di amplificazione del suono e, per questa ragione, viene utilizzato nella costruzione delle tavole armoniche degli strumenti a corda.
Il riferimento generico all'abete rosso va specificato, facendo riferimento preferibilmente all'abete rosso "di risonanza", così chiamato per le sue caratteristiche acustiche, che risultano ottimali per detti strumenti. Esso è un particolare tipo di abete rosso (spesso designato, commercialmente e in liuteria, col termine "abete maschio"), il cui legno presenta anomalie di accrescimento degli anelli annuali (cosiddette "maschiature") e da secoli viene ricercato dai liutai e costruttori per realizzare la tavola armonica di svariati strumenti musicali a corda, tra i quali strumenti ad arco (violini, viole, violoncelli...) nonché clavicembali, pianoforti, chitarre classiche. La distribuzione di questo "albero che canta" è limitata a poche zone europee.
Si ritiene che numerosi strumenti musicali, anche di illustri liutai dei secoli scorsi, siano stati costruiti con il legname di risonanza della Val di Fiemme e della foresta di Paneveggio in provincia di Trento, nonché della Val Canale e del Tarvisiano in provincia di Udine. Antonio Stradivari, per i suoi straordinari violini, si riforniva presso la Magnifica Comunità di Fiemme. Attualmente, famose case costruttrici di pianoforti da concerto di alta gamma (quali, ad esempio, Bechstein, Blüthner, Fazioli) utilizzano per i loro strumenti tavole armoniche realizzate con abete di risonanza della Val di Fiemme.
Questo albero è, inoltre, riscontrabile solo in alcuni distretti alpini della Germania, mentre è assente in Austria. Recentemente la suddescritta caratteristica negli abeti rossi è stata scoperta anche in Valle di Ledro, sul monte Tremalzo, dove è in atto uno studio più approfondito.

Il Corpo Forestale dello Stato ha condotto un censimento sugli alberi monumentali d'Italia, nel quale viene segnalato un grande abete rosso a Bagni di Mezzo di San Pancrazio: è alto 45 m e ha una circonferenza di 4,8 m.

L'abete rosso, a differenza del larice, è una specie simbionte del fungo porcino (Boletus edulis).

Dalla distillazione della resina dell'abete rosso si ricava la trementina (acquaragia). La stessa resina si usa anche per produrre il nerofumo. Dalla corteccia si estraggono tannini, usati per la concia delle pelli.

Inoltre, l'abete rosso è una delle piante più longeve al mondo. In particolare, un esemplare clonale scoperto in Svezia nel 2004 e datato al carbonio da Leif Kullman, botanico all'università di Umeå in Svezia, avrebbe ben 9550 anni, risultando così l'organismo vivente clonale più anziano del pianeta. È stato battezzato Old Tjikko.

E' un'essenza di grande impiego forestale e tecnico. Il suo legno di ottima qualità, bianco-giallastro, tenero, viene utilizzato soprattutto nel settore edilizio.
Dalla resina si ricava la trementina impiegata nell'industria di vernici e in cosmetica.

E' una specie preziosa per i rimboschimenti, è facilmente coltivabile in vivaio ed attecchisce egregiamente in bosco. Svolge una sensibile azione di regimazione delle precipitazioni, grazie all'acqua intercettata dalla chioma. E' utile, quando piantato a gruppi, per interrompere la continuità del manto nevoso e scongiurare il rischio di valanghe. Viene però travolto facilmente una volta che la massa di neve si è staccata. Vista la produttività media tutt'altro che trascurabile, 500 - 600mc ad ettaro, altezze medie di 30 - 35m, anche dal punto di vista produttivo questa specie riveste un ruolo importante. Per cercare di favorire la rinnovazione naturale, si applicano diversi metodi di taglio. Tuttavia spesso occorrono integrazioni artificiali di piante coltivate in vivaio.
Il taglio a strisce è tipico dell'Austria e del Sud Tirolo, si effettua lungo le linee di massima pendenza, per una larghezza di 40m e lunghezza 80 - 110m, andando ad asportare un'area totale di 0,20 - 0.30 ha.
Nel taglio raso a buche si praticano tagliate dal diametro di 1,5 - 2 volte l'altezza degli alberi.
Il taglio a Fratte è un taglio raso di 1 - 3 ettari di forma rettangolare. Dopo alcuni anni viene effettuata la rinnovazione artificiale. E' stato il metodo tradizionale della Val di Fiemme, oggi non più praticato per motivi estetici, può essere effettua ancora oggi in luoghi di minima rilevanza paesaggistica.

La fondamentale proprietà di questa pianta è quella di alleviare i disturbi delle vie respiratorie. È efficace come anticatarrale e disinfettante delle vie urinarie. Per l'uso esterno si sfruttano le proprietà antisettiche e rubefacenti: le prime ne fanno un efficace deodorante ed antisettico cutaneo; le seconde un ottimo stimolante della circolazione sanguigna valido nei reumatismi.

Per uso interno la medicina popolare utilizzava le gemme in decotto per disturbi respiratori, i rametti e le foglie,sempre in decotto, per disturbi alle vie urinarie e contro i reumatismi.
Le gemme, i rametti e le foglie in decotto,per uso esterno,per attivare la circolazione cutanea, disinfettare e deodorare.

L'olio essenziale è utilizzato per massaggi esterni, contro i dolori reumatici, e per massaggi toracici nelle forme catarrali croniche dell'apparato respiratorio (proprietà secretolitiche ed antisettiche). Il gemmoderivato di Abete bianco è indicato nei ritardi e nei deficit del consolidamento osseo (in caso di rachitismo, fratture ossee e ritardi del loro consolidamento, disturbi della dentizione, carie, paradontosi, osteoporosi giovanile e dell'anziano, carenze alimentari di calcio degli adulti e casi di decalcificazione).
Associazioni e rimedi complementari

Affezioni catarrali dell'apparato respiratorio: associazione di abete con rosa canina nelle rinofaringiti, tracheobronchiti, sinusiti, tonsilliti, adenoidi, otiti  e nei ritardi staturo-ponderali.
Affezioni a livello osseo: con Betulla nei casi di ritardi staturo-ponderali, fratture, osteocondriti giovanili, rachitismo; con Betulla e quercia nei casi di carie dentaria.

L'olio essenziale di abete può essere responsabile di irritazioni cutanee e di bronscospasmo. Possibili reazioni irritative o allergiche locali o sistemiche. Si sconsiglia l'uso per via orale. L'abete risulta controindicato in caso di asma bronchiale e pertosse.

L'unguento di abete rosso completamente naturale contiene vera resina di abete rosso sotto forma di unguento naturale, olio d'oliva estratto a freddo, olio di palma, cera d'api, oli essenziali di eucalipto naturali e un'aggiunta di vitamina E. L'unguento non contiene aromi artificiali, coloranti, conservanti e paraffina.
I preparati a base di resina d'abete rosso vengono usati già da molti anni nella medicina popolare tradizionale per trattare una varietà di lesioni cutanee (ferite), infiammazioni e dolori muscolari e articolari. È scientificamente provato che la resina di abete rosso è dotata di proprietà antibatteriche.
L'unguento è di colore marrone con un odore caratteristico di resina. L'unguento di abete rosso è un prodotto naturale, senza aggiunta di conservanti, coloranti. L'unguento di abete rosso contiene principi attivi con proprietà antinfiammatorie e antibatteriche. Inoltre facilita la riparazione dei tessuti e la guarigione delle ferite.



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domenica 12 aprile 2015

IL CEDRO



Il cedro è una specie appartenente al genere Citrus, nella famiglia delle rutacee. È ritenuta una delle tre specie di agrumi da cui derivano tutti i membri del genere oggi conosciuti, assieme al pomelo ed al mandarino. Il nome cedro, derivato dalla volgarizzazione dal latino citrus, è però ambiguo, in quanto coincide con la traduzione di cedrus, nome dato alla conifera (i famosi cedri del Libano che fornirono il legno per tante imbarcazioni nel mondo antico). Ecco perché in alcuni testi per l'agrume viene usato anche il termine citro.

La pianta è un arbusto che può raggiungere i 4 metri di altezza. I rametti giovani sono rossastri o violetti, con foglie lunghe fino a 20 cm. I fiori crescono in gruppi da tre a dodici e sono molto profumati; i boccioli sono rossastri, ma il fiore aperto è bianco. Il frutto è grande 20-30 cm, giallino, ovale o quasi rotondo, talvolta con una leggera protuberanza al peduncolo e un po' appuntito dalla parte opposta. La buccia è molto ruvida ed eccezionalmente spessa. Costituisce fino al 70% del frutto, per cui – tolti pure i semi e la pellicola tra gli spicchi – solo un 25-30% del cedro è normalmente utilizzabile, anche se c'è chi mangia il frutto compreso di buccia. Va detto però che comunque questo frutto si consuma fresco assai di rado; la caratteristica peculiare del cedro è infatti quella di produrre frutti completamente dolci o completamente agri.

Come gli altri agrumi, il cedro ha le sue origini nell'Asia sudorientale, più precisamente all'incirca nell'area oggi amministrata dal Bhutan, ma è giunto in Europa in tempi remoti, come indicato dall'origine dei termini in Greco antico (kedros) e Latino (citrus) per indicare il cedro, entrambi derivanti dalla stessa radice appartenente alle "lingue Mediterranee" ovvero pre-Indoeuropee.

In Italia la conoscenza del cedro è molto antica. Fu classificato già da Plinio il vecchio nella Naturalis Historia col nome di "mela assira". A quei tempi ancora non si usava il frutto come alimento; il suo utilizzo a tale scopo si sarebbe diffuso solo due secoli più tardi. Era invece usato come repellente per gli insetti nocivi come le zanzare, in maniera analoga alla citronella. Oggi il cedro è principalmente coltivato e lavorato in Calabria, nella fascia costiera dell'alto Tirreno cosentino che va da Belvedere Marittimo a Tortora, denominata Riviera dei Cedri con al centro Santa Maria del Cedro.

Attualmente questo frutto è coltivato soprattutto nell'area mediterranea, in Medio Oriente, India ed Indonesia, ma anche in Australia, Brasile e negli USA. In molte località indiane cresce pure spontaneamente.

Il cedro viene impiegato nell'industria alimentare per il consumo come frutta da tavola, per la preparazione di bibite analcoliche e frutta candita, ma la maggior parte ne viene consumata nell'industria farmaceutica per la produzione di olio essenziale. L'essenza ricavata dal cedro è però facilmente deteriorabile, per cui solitamente si usa corretta con l'essenza di cedrina. La cedrina (Citrus medica citrea gibocarpa) è una varietà usata esclusivamente per la produzione dell'essenza. Dato infatti che il cedro è scarsamente utilizzabile come frutto fresco, si è cercato di svilupparne delle varietà che potessero essere sfruttate industrialmente. Dalla cedrina si estrae un olio essenziale con forte odore di cedro; consistente perlopiù di limonene, citrale ed altri terpeni. Mentre l'essenza originale del cedro facilmente si intorbidisce e lascia dei residui resinosi, l'essenza di cedrina rimane limpida. È dunque un eccellente sostituto, tanto che vari agronomi propendono per un totale abbandono delle coltivazioni del cedro a favore di quelle della cedrina.
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Il cedro possiede proprietà germicide, disinfettanti, digestive e antitumorali, è un antipertensivo naturale e un ottimo alleato in caso di cistite e disturbi renali.

Particolarmente diffuso al sud Italia, specialmente in Calabria, Campania e Sicilia, il cedro è una vera e propria miniera di sostanze nutritive importanti per la salute e il benessere del nostro organismo. Ricco di vitamine e sali minerali, il cedro è in grado di svolgere un effetto benefico su apparato cardiovascolare, colon, intestino, stomaco, capelli e reni. È inoltre ricco di flavonoidi, potenti antiossidanti e possiede proprietà germicide, disinfettanti, digestive, lassative e antitumorali, soprattutto per quanto riguarda il colon. Senza contare che è anche un valido alleato per contrastare i gas addominali, un antipertensivo naturale . Il cedro è in grado di stimolare la crescita dei capelli. Il tutto a fronte di pochissime calorie: circa 11 per 100 grammi. L’importante è consumare il cedro quando fresco sotto forma di spremute o infusi o gustarne la polpa, dolce rispetto al succo e ricca di naringenina in grado di svolgere un’azione protettiva e ostacolare l’attacco da parte di alcuni virus. Ottimo anche l’olio essenziale che si ottiene dalla buccia.

Per assaporare il cedro e fare il pieno di tutte le sue proprietà nutritive potete ad esempio preparare una bevanda versando alcuni spicchi in una brocca d’acqua o miscelare insieme il succo del cedro con quello di due arance.
Il cedro è ricco di sali minerali e di tanta vitamina C e svolge un'azione disinfettante sia esterna che interna, sull' intestino in particolare: per questo risulta molto utile per chi soffre di colite, soprattutto se il disturbo è su base virale. La sua virtù più interessante è però il fatto che sia un naturale regolatore dell' ipertensione: infatti, se consumato al mattino (anche sotto forma di succo), il cedro aiuta a tenere sotto controllo la pressione e i relativi sbalzi. Ovviamente per sfruttare le virtù terapeutiche di questo agrume, l'ideale è utilizzare il frutto fresco, sotto forma di spremuta o di infuso, o impiegarne l' olio essenziale; sono invece da evitare gli sciroppi industriali a base di cedro, che spesso si usano per preparare bibite rinfrescanti: sono pieni di coloranti, zucchero e aromi chimici, che con il cedro "vero" hanno ben poco a che fare.

La mattina, prima di colazione, bevi mezzo bicchiere di acqua tiepida con il succo di un cedro: favorisci l'evacuazione e previeni anche gli sbalzi pressori causati dallo stress di fine anno.

L'olio essenziale del cedro si ottiene per spremitura della buccia, ed è molto ricco di limonene. Può essere utile nei casi di inestetismi dovuti a cellulite. Si utilizzano poche gocce in una boccetta di olio di mandorle per effettuare dei massaggi assai efficaci.

Lo stesso olio viene utilizzato anche per stimolare la crescita dei capelli frizionando due volte al giorno il cuoio capelluto con un cucchiaio di alcol e una goccia di olio essenziale.

Attenzione: l'olio di cedro non va usato né in gravidanza né sui bambini. Dopo averlo applicato sulla pelle, non esporsi ai raggi solari o a lampade abbronzanti.

L'essenza di cedro trova svariati impieghi: l'industria profumiera utilizza l'olio essenziale per arricchire acque profumate, bagno schiuma, creme per il corpo, profumi, ecc; l'essenza viene sfruttata anche per preparare profumatori d'ambiente o per la casa.
In ambito farmaceutico, la tintura di cedro e lo sciroppo di cedro sono impiegati come eccipienti corrigens. L'estratto ricavato dalla scorza del cedro è noto per le proprietà digestive, carminative, stimolanti ad uso interno, oltre alle qualità germicide e disinfettanti per uso topico.
L'olio di cedro viene impiegato anche come repellente per zanzare, per le proprietà paragonabili alla citronella.

Una menzione particolare va fatta del cedro giudaico o etrog (Citrus medica var. ethrog) che viene usata dai credenti ebrei nella Festività dei Tabernacoli. È una varietà coltivata in Grecia, Etiopia e soprattutto in Palestina, ma anche in Calabria nella Riviera dei cedri. A differenza di tutti gli altri agrumi, possiede un'albedo (la parte bianca della buccia) commestibile e molto succosa. Gli steroli contenuti nell'albedo sono un ottimo rimedio contro il colesterolo. Il frutto intero viene impiegato per la produzione di bibite analcoliche.

In arte, fino al XVII secolo il Citrus medica è stato spesso confuso col cedro del Libano, per cui è facile vedere dipinto un cedro (agrume) per indicare invece la conifera. Tra gli esempi noti, uno è Marco Palmezzano, pittore del XVI secolo, in cui il cedro, dipinto come agrume, ha sempre valore di simbolo religioso di origine biblica: nel dipinto dell'Immacolata (1510), ecco, in alto a destra, apparire un bel "cedro" pieno di frutti che sta al posto di un cedro del Libano.

Nella città di Forlì, la festa dedicata al Santo Servita Pellegrino Laziosi il 1º maggio, è caratterizzata dalla vendita di cedri. Anche a Bibbona (Livorno) nel giorno di Pasquetta si tiene la festa del cedro, in ricordo dell'antica usanza locale di servirsi di questo frutto come dazio.



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sabato 11 aprile 2015

IL MANDARINO

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Il mandarino è un albero da frutto appartenente al genere Citrus, e alla famiglia delle Rutaceae. Il nome comune mandarino si può riferire tanto alla pianta quanto al suo frutto. È uno dei tre agrumi originali del genere Citrus assieme al cedro ed al pompelmo. Da quando è stata accettata la teoria secondo la quale tutti gli agrumi derivano da queste tre sole specie, il mandarino ha certo acquistato importanza storica, in quanto si tratta dell'unico frutto dolce tra i tre originali.
Il mandarino è un arbusto poco più alto di due metri, in alcune varietà fino a quattro metri. Le foglie sono piccole e profumatissime. Il frutto è di forma sferoide, un po' appiattito all'attaccatura, e si lascia cogliere facilmente. La polpa è di colore arancio chiaro, costituita da spicchi facilmente divisibili, molto succosa e dolce, entro la quale vi sono immersi numerosi semi. La buccia è di colore arancione, sottile e profumata, con un'albedo molto rarefatta e granulosa che consente una facile pelatura del frutto. Spesso la buccia addirittura si distacca dalla polpa ancora prima che il frutto venga colto dal ramo, il che gli conferisce un aspetto "ammaccato". È particolarmente semplice rimuovere la buccia con le mani, proprio in quanto scarsamente attaccata alla polpa. Ha un profumo agrodolce e aromatico come la clementina; il gusto è molto dolce e buono.

I mandarini sono normalmente consumati come frutta fresca o lavorati nella produzione di marmellate e frutta candita. Dalla buccia si estrae un olio essenziale che è un liquido di colore giallo oro leggermente fluorescente. Chimicamente si tratta perlopiù di d-limonene che spesso viene sofisticato con l'olio ricavato dal frutto intero non maturo.
Un albero adulto può dare da 400 a 600 frutti all'anno.
Il mandarino generalmente viene consumato fresco ma è anche particolarmente apprezzato sotto forma di frutta candita o marmellata. Un albero adulto può fornire circa 600 frutti all’anno, considerati molto preziosi per la salute, specialmente nei mesi autunnali e invernali quando le difese immunitarie si abbassano e si è quindi più esposti ai “mali di stagione”. I mesi migliori per acquistarli sono da gennaio a marzo e a dicembre ma occorre dire che in quest’ultimo mese generalmente raggiungono il massimo della maturazione e quindi del gusto.
Per capire se un mandarino è buono basta “testare” il suo peso (che deve essere consistente rispetto al volume); inoltre la buccia deve essere tesa e molto “attaccata” alla polpa. Il frutto va consumato dopo aver tolto la buccia, facendo molta attenzione a non intaccare la polpa interna. Va conservato in luogo fresco e asciutto per una settimana al massimo. La “dose” giusta per una persona è rappresentata da due frutti. Le sue proprietà benefiche sono innumerevoli, per questo vale la pena di consumarlo con regolarità.

Il mandarino ha notevoli proprietà terapeutiche. Del frutto non si butta nulla: la sua buccia infatti è piena di limonane (principio antiossidante) che ha la caratteristica di ritardare l’invecchiamento della pelle e sempre dalla buccia si estrae un olio essenziale in grado di calmare l’ansia e combattere insonnia e ritenzione idrica. Molto ricco di vitamina C, essenziale per mantenere reattivo e vigile il cervello, il mandarino è anche ricco di fibre e carotene e possiede anche molte vitamine del gruppo B e vitamina A, oltre ad una consistente percentuale di ferro, magnesio e acido folico. In considerazione della notevole quantità di fibre in esso presenti, il mandarino risulta particolarmente indicato per il benessere dell’intestino e viene indicato nelle diete perché si presenta come un frutto nutriente e facilmente digestivo. A differenza di altri agrumi, i semi del mandarino, anche se masticati, non solo non fanno male ma apportano vitamine. La polpa del mandarino (ricca di vitamina C), è utile per prevenire il raffreddore e protegge mucose e capillari, la vitamina P, invece, combatte la ritenzione idrica e favorisce la diuresi; inoltre contiene calcio, potassio e fibre, indispensabili per le ossa e per l’intestino e regola la pressione arteriosa. Gli scienziati del National Institute of Fruit Tree Science e anche altri studi paralleli sostengono che il mandarino avrebbe proprietà antitumorali (sembra che bere un bicchiere di succo di mandarino al giorno riduce il rischio di sviluppare il tumore del fegato) e proteggerebbero il cuore. I ricercatori australiani sostengono, inoltre, che il consumo di arance e mandarini ridurrebbe del 50% le probabilità di cancro del tratto digestivo e del 20% di ictus.

Valori nutrizionali del mandarino per 100gr. di prodotto
Proteine: 0,9
Lipidi: 0,3
Glucidi: 17,6
Fibre: 1,7
Vitamine:A, B, C, PP
Minerali: Ferro Potassio, Calcio, Fosforo
Calorie: 72
I mandarini si conservano a temperatura ambiente per 2 o 3 giorni, ma se si vuole conservarli più a lungo, vanno riposti in un luogo fresco o nel frigorifero dove dureranno anche fino a 10 giorni.

Il mandarino ha sulla pelle un effetto depurativo e drenante ma non solo: l’olio di mandarino è utile anche per combattere la ritenzione idrica e gli inestetismi della cellulite. Infatti utilizzando la buccia del mandarino viene creato un olio con il quale si può effettuare un salutare massaggio sulle gambe che facilita il riassorbimento dei liquidi e riduce la cellulite. Sono anche note le sue proprietà emollienti, purificanti e stimolanti particolarmente importanti per il corretto funzionamento del metabolismo. L’olio di mandarino (biologico al 100%) è quindi molto efficace per i massaggi corporei; a fine trattamento viene completamente riassorbito lasciando la pelle vellutata ed idratata.



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IL BERGAMOTTO

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Il bergamotto è un agrume del genere Citrus. Il nome deriva dal turco beg armudi: "pero del signore".

Non si conosce l'esatta genesi di questo agrume; il colore giallo indicherebbe una derivazione per mutazione genetica a partire da preesistenti specie agrumarie, quali limone, arancia amara o limetta.

Anche la sua collocazione sistematica ha generato molte controversie tra i botanici: alcuni lo classificano come specie a sé stante (Risso e Poiteau), mentre altri lo indicano come sottospecie dell'arancio amaro (Swingle). Alcune leggende fanno derivare il bergamotto dalle isole Canarie, dalle quali sarebbe stato importato ad opera di Cristoforo Colombo; altre fonti propendono per Cina, Grecia, o dalla città di Berga in Spagna; mentre si narra la storia del moro di Spagna, che per 18 scudi ne vendette un ramo ai signori Valentino di Reggio (in Calabria), i quali lo innestarono su un arancio amaro in un loro possedimento nella contrada Santa Caterina (quartiere di Reggio Calabria). È anche probabile che la pianta sia autoctona della Calabria, perché già nel XIV secolo risultano tracce di un agrume esclusivo del sud della Calabria, Limon pusillus calaber. L'etimologia più verosimile è Begarmundi, cioè pero del signore in turco, per la sua similarità con la forma della pera bergamotta.

La prima piantagione intensiva di alberi di bergamotto (bergamotteto) fu opera, nel 1750, del proprietario Nicola Parisi lungo la costa reggina, nel fondo di Rada dei Giunchi, situato di fronte l'area dove oggi si trova, nel cuore della città, il Lido comunale Zerbi. Originariamente l'essenza veniva estratta dalla scorza per pressione manuale e fatta assorbire da spugne naturali (procedimento detto "a spugna"), collocate in recipienti appositi (detti concoline).

Nel 1844, si documenta la prima vera industrializzazione del processo di estrazione dell'olio essenziale dalla buccia grazie a una macchina di invenzione del reggino Nicola Barillà, denominata macchina calabrese, che garantiva una resa elevata in tempi brevi, ma anche un'essenza di ottima qualità se paragonata a quella estratta a spugna.

È un albero alto tra i tre e i quattro metri, con una corona tra i tre e i quattro metri.

I fiori sono bianchi, molto profumati. Le foglie sono lucide e carnose come quelle dell'arancio e non cadono mai nemmeno in inverno.

La fioritura e le nuove foglie spuntano appena finita la stagione delle piogge, all'inizio di marzo.

Il frutto è grande poco più di un'arancia e poco meno di un pompelmo; ha un colore giallo intenso più del pompelmo e meno del limone, esternamente ha la pelle liscia e sottile come un pompelmo, è meno rotondo del pompelmo in quanto è schiacciato ai poli.

La superficie oggi coltivata a bergamotto è di circa 1.500 ettari, con una produzione media di 100.000 kg di essenza. Per ottenere un kg di essenza occorrono 200 kg di frutti. Gli addetti del settore sono stimati in ca. 4.000 unità. Il primo bergamotteto di cui si ha notizia venne impiantato nelle vicinanze di Reggio (attuale Reggio di Calabria) da Nicola Parisi, nel fondo denominato "Giunchi" nell'anno 1750.

Le piante coltivate si ricavano tramite innesto di tre rami di bergamotto su un porta-innesto di arancio amaro di un anno. Rimane in vaso per un anno e viene interrato a due anni. L'innesto e il trapianto nell'anno successivo avvengono preferibilmente a febbraio o a settembre. Ha una vita produttiva di 25 anni, comincia la sua produzione da tre anni, arriva al massimo della produttività a 8 anni e può arrivare fino a un quintale per pianta se potato (vengono tagliate le cime in modo che il frutto cresca in basso al riparo dal forte sole estivo e dal forte vento).

La produttività è fortemente influenzata dalle temperature e dalle piogge: è un albero che non sopporta gli sbalzi in basso della temperatura e l'eccessiva o scarsa piovosità, mentre ben sopporta il caldo.

Si pianta un albero ogni quattro metri, si ripara il terreno con dei filari di pini di elevata altezza e fitti, nel lato del terreno in direzione del mare per riparare la coltivazione dal forte vento che spira dal mare dallo stretto di Messina tutto l'anno.

La sua zona di produzione è prevalentemente limitata alla zona ionica costiera nella provincia di Reggio a tal punto da diventarne un simbolo dell'intera zona e della città. L'area coltivata a bergamotto è costituita dalla fascia costiera Calabra, molto pianeggiante e riparata dal forte vento dello stretto di Messina, grazie alle colline circostanti, per un'estensione di circa 150 chilometri e situata dal mare a circa due chilometri di distanza.

Molto nota è l'area di coltivazione della zona di Melito di Porto Salvo (RC) e in particolare le frazioni di Prunella e Caredia (Lacco), la quale ogni anno, nel periodo tra novembre e gennaio, contribuiscono con le proprie piantagioni, al maggior raccolto del frutto del bergamotto.

Dal punto di vista climatico l'area è caratterizzata da un microclima che nelle mappe climatiche viene classificato come area "tropicale temperata umida" caratterizzata da venti medio/forti che soffiano per quasi tutto l'anno, estati calde senza pioggia, inizio primavera e fine autunno molto piovosi e inverni con temperature giornaliere quasi sempre superiori ai dieci gradi. I giorni di sole sono mediamente 300 l'anno.

Predilige i terreni argilloso-calcarei e alluvionali.

Viene coltivato in tre cultivar: femminello, castagnaro e fantastico. Si distinguono in particolare per i frutti: il femminello è più produttivo, ma presenta frutti più piccoli delle altre cultivar e lisci, il castagnaro è vigoroso con frutti più grossi e rugosi, il fantastico è simile al femminello ma con frutti piriformi.

I prodotti del bergamotto sono: i frutti, l'olio essenziale, il succo e la polpa.

Il frutto intero normalmente non è messo in vendita al dettaglio ma utilizzato solo per la trasformazione in essenza, si trova solo dai contadini da novembre a marzo; è possibile ottenere delle spremute come si fa con gli altri agrumi (per es. arancio), si può tagliare a spicchi per farne delle insalate o, come per il limone, metterlo nel tè (la buccia è aromatica come quella del limone). Il suo succo è molto amaro per la presenza di naringina e sembra essere attivo, grazie al contenuto in polifenoli, nell'abbassare il tasso di colesterolo, in particolare l'effetto sarebbe da imputare alla presenza di due flavonoidi statin-like (con attività simile a quella delle statine), denominati brutieridina e melitidina.

Il contenuto di acido citrico è pari a 66 g/l, tale alta quantità ha determinato negli anni passati l'utilizzo del succo come fonte di acido citrico naturale.

Il suo utilizzo riguarda soprattutto gli oli essenziali derivati dalla buccia dei frutti nonché dai fiori, dalle foglie e dai giovani rametti. L'olio essenziale di bergamotto è esportato in tutto il mondo per le sue proprietà di donare una nota estremamente fresca alle composizioni di profumeria. È componente essenziale dell'acqua di colonia e delle acque di toilette, primi prodotti grazie al quale il bergamotto ha avuto un uso diffuso in tutto il mondo. Modernamente l'essenza si estrae sempre meccanicamente con macchine dette "pelatrici", tali macchine "raspano" l'esterno del frutto in corrente d'acqua ottenendo un'emulsione convogliata in centrifughe che separano per differenza di peso specifico (la densità relativa d20/4 e di circa 0,88) l'essenza dall'acqua.

Quando non lavorata per l'estrazione dell'essenza, è possibile utilizzarne la buccia, riversa ed essiccata, per la realizzazione di piccoli contenitori. Tradizionalmente essi sono destinati all'uso come tabacchiere.

In passato, gli psoraleni contenuti nell'estratto di olio di bergamotto sono stati usati negli acceleratori d'abbronzatura e nei filtri solari. Gli psoraleni penetrano nella pelle, dove aumentano la quantità di danno al DNA. Questo danno è possibile nelle scottature solari ed è compresente con una maggiore produzione di melanina. Può anche portare a fitofotodermatosi, uno scurimento della pelle a causa di una reazione chimica che rende la pelle più sensibile alla luce UV.

Queste sostanze sono note essere fotocancerogene dal 1959, ma sono state bandite dai filtri solari dopo il 1995 (negli USA). Questi fotocancerogeni sono stati banditi in molti stati anni dopo aver causato molti casi di melanomi maligni e conseguenti morti. Gli psoraleni vengono ora usati solo nel trattamento di alcune patologie, come nella terapia PUVA

Attraverso il processo di "defurocumarinizzazione" è possibile ridurre notevolmente il Bergaptene (5-MOP), una furocumarina fototossica e fotomutagena che per esposizione al sole può provocare ustioni anche agli strati cutanei più profondi.

È preferibile acquistare in farmacia o in erboristeria l'essenza defurocumarinizzata o contattare il consorzio del bergamotto.

I frutti non sono gradevoli da mangiare senza prima esser stati lavorati. Unico utilizzo del frutto quasi maturo o maturo, se si vuole un sapore non fastidioso (l'essenza, se assaggiata, ricorda un po' la nafta), è in spicchi, che sostituiscono il limone a spicchi nel tè. Dai semi nasce il bergamotto selvatico, usato a volte come porta innesto in luogo dell'arancio amaro. Il frutto intero può essere candito; la polpa e gli scarti della buccia, che vengono chiamati "pastazzo", sono usati come alimento concentrato per gli animali d'allevamento, come suini o bovini da carne e latte. La buccia intera è usata al posto della carta da dolci, o per alcuni prodotti artigianali per realizzare souvenir (le famose tabacchiere); oppure, messa a macerare in alcool etilico, costituisce la base del liquore denominato bergamino o bergamello. Il succo ricavato dal bergamotto maturo (giallo) è usato, a volte e in piccole quantità, dall'industria dei succhi di frutta per la sua nota amara.

Il Bergamotto è ampiamente sfruttato nell'industria farmaceutica e profumiera grazie ai principi attivi presenti.
L'estratto puro di bergamotto (essenza) si utilizza per uso esterno o aromaterapia per azioni antidepressive e antistress, tuttavia a piccole dosi, può essere assunto nei termini di di 1 -2 gocce al giorno, lontano dai pasti, diluita in acqua o in un cucchiaino di miele, come balsamico delle vie respiratorie.

Il frutto, si può consumare crudo o in spremuta per usi terapeutici, in cucina ottimo per preparare carne, pesce, dolci, gelati ed ogni altro alimento che la fantasia suggerisce.

Il succo di bergamotto"Bergasterol" 100% puro succo di bergamotto. riduce i livelli nel sangue di trigliceridi, colesterolo e glucosio nei pazienti trattati … Secondo un ennesimo e recente studio dell'Università di Cosenza, contiene un principio attivo che inibisce la produzione del colesterolo nel sangue.
Una parentesi per coloro che hanno avuto benefici assumendo frutto fresco o il Bergasterol, per il mantenimento della dieta, quindi per mantenere basso il livello di colesterolo, il tè al succo di bergamotto, a ridotta percentuale di bergamotto, da non confondere con il tè aromatizzato al bergamotto.
Il succo di bergamotto svolge numerose funzioni: stimolante dell'appetito e delle funzioni epato-pancreatiche; contrasta colecistiti, tachicardia e ipertensione arteriosa; è utile nelle stomatiti, gengiviti e faringotonsilliti; è antiparassitario intestinale oltre che disinfettante ed astringente.

Le proprietà curative del bergamotto sono molte sia per quanto riguarda la salute del cuore che nel contrastare alcune fastidiose patologie cutanee. Il suo impiego è ad esempio indicato per tenere sotto controllo il colesterolo alto, così da offrire un’attività preventiva nei confronti di malattie cardiovascolari come ictus, arteriosclerosi e infarto.
L’aroma di bergamotto è inoltre particolarmente indicato nel trattamento di stati ansiosi e come antidepressivo, come indicato da alcune pratiche di aroma terapia. Effettuare suffumigi con alcune gocce di olio essenziale di bergamotto può inoltre garantire, oltre all’azione calmante sopra citata, un aiuto per il benessere delle vie respiratorie.
Le vie respiratorie potranno in particolare trarre beneficio dall’attività antibatterica e antinfiammatoria offerta dall’olio essenziale di bergamotto, utilizzabile inoltre come disinfettante e antivirale.
L’essenza di bergamotto contiene un elevato numero di antiossidanti, in grado di rallentare l’invecchiamento e combattere i radicali liberi. Il suo utilizzo è infine indicato anche per uso esterno.

Applicato sulla pelle può aiutare nella riparazione di piccole ferite grazie alla sua azione cicatrizzante, mentre si rivela molto utile anche nel combattere micosi alle unghie e candida in virtù delle sue proprietà antimicotiche.

L’utilizzo esterno di olio essenziale di bergamotto è possibile senza particolari controindicazioni oltre a quelle sopracitate. Va però specificato come esistano sostanze in esso contenute che potrebbe creare problemi alla pelle e che sono conosciute come bergapteni.
I bergapteni si ritiene possano esercitare un effetto altamente nocivo sulla pelle, in termini sia di azione fotosensibilizzante (causando macchie alla pelle ed eritemi) che cancerogena. È bene quindi procedere con l’acquisto, possibile in erboristeria, di olio essenziale di bergamotto privo di queste sostanze.

Secondo Gildemeister e Hoffmann, nel loro libro "Gli oli eterici" (Die etherischen Öle), il bergamotto venne introdotto fra il 1672 e il 1708. Nei registri commerciali dedicati all'Eau de Cologne della ditta profumiera Johann Maria Farina gegenüber dem Jülichs-Platz (ovvero "Giovanni Maria Farina di fronte alla piazza di Jülich"), altrimenti detta Farina Gegenüber, si trovano testimonianze dell'acquisto di bergamotti a partire dal 1714.

A partire dal momento in cui il bergamotto viene nominato, precisamente nel 1750 quando venne piantato da un certo Nicolo Parisi, l'olio di bergamotto è divenuto una componente essenziale per l'industria profumiera e, in particolare, dona all'Acqua di Colonia la sua fragranza tipica.

La raccolta del bergamotto ha come fine quasi esclusivo la produzione dell'essenza. L'olio eterico di bergamotto viene ricavato dalla buccia del piccolo frutto giallo-arancio. Originariamente i frutti venivano pressati a mano (sfumatura), successivamente con presse di legno, mentre oggigiorno il processo è stato meccanizzato. Per produrre un litro d'olio sono necessari 200 chili di bergamotti.

Il Bergamino (15% di frutto intero e fino al 40% di alcool), che ha ottenuto la qualifica di prodotto agroalimentare tradizionale.
L'amaro al bergamotto, con erbe aromatiche e ad elevata percentuale alcolica.
L'elisir digestivo al bergamotto, detto anche Amarotto, a bassa percentuale alcolica.
La crema di bergamotto, ottenuta da un infuso di scorze di bergamotto e crema di latte.
La grappa aromatizzata al bergamotto.
Il suo uso nell'alimentazione risale almeno all'aprile del 1536, come risulta dal «menu di magro» offerto all'imperatore Carlo V, di passaggio per Roma, dal cardinale Lorenzo Campeggi.

La scorza di bergamotto, se opportunamente trattata, ad esempio messa in salamoia e poi unita al succo, può essere utilizzata per aromatizzare primi e secondi piatti, ma anche dolci come la celebre Torta Nosside. Altri prodotti dolciari ricavati dal bergamotto sono le caramelle e le scorzette candite.

L'aroma dell'olio di bergamotto è utilizzato per aromatizzare il tè, nella variante denominata Earl Grey, o per ricavarne un profumato e raffinato sorbetto.

L'odore dell'olio essenziale di bergamotto è persistente e penetrante e annulla l'odore degli altri profumi; si usa mettere un bergamotto intero nel frigorifero, raschiandone la buccia con una forchetta periodicamente ogni due settimane, per eliminare i cattivi odori; basta qualche goccia di essenza nella vaschetta dei caloriferi o nella bacinella del liquido per lavare i pavimenti per aromatizzare per alcuni giorni gli ambienti.

L'olio essenziale di bergamotto è particolarmente soggetto a contraffazioni essendo una essenza pregiata prodotta in quantità relativamente piccole. Generalmente la contraffazione consiste nel "tagliare" l'essenza, ovvero nell'aggiungere distillati di essenze di scarsa qualità e basso costo, ad esempio di arancia amara e di menta bergamotto e/o miscele di terpeni naturali o sintetici, o nel "ricostruire" l'essenza a partire da prodotti chimici di sintesi, colorandola con clorofille. A livello mondiale ogni anno si commercializzano circa tremila tonnellate di essenza dichiarata di bergamotto, mentre l'essenza genuina di bergamotto prodotta annualmente ammonta a non più di cento tonnellate.

L'utilizzo dell'analisi gascromatografica con colonne aventi una fase stazionaria chirale consente di analizzare miscele di enantiomeri. L'analisi della distribuzione enantiomerica di vari composti, quali acetato di linalile e linalolo, permette la caratterizzazione dell'essenza di bergamotto.



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