E' così paradossale da non credersi, eppure, all'apertura generale della caccia, dopo le preaperture in quasi tutte le regioni - uno studio firmato da Enpa-Ente nazionale protezione animali indica come, allo stato attuale, l'attività venatoria sia illegittima in buona parte d'Italia. Così, con una lettera aperta rivolta al premier Matteo Renzi e ai ministri di Agricoltura e Ambiente, Maurizio Martina e Gian Luca Galletti, la stessa associazione, cui si uniscono Lac-Lega per l'abolizione della caccia e Lav, chiede che si rientri nell'obbedienza alla legge.
Stando al dossier, infatti, si rivelano numerose le amministrazioni in grave difetto riguardo il Pfvr-Piano faunistico venatorio regionale, di cui la legge quadro nazionale 157/92 su fauna selvatica e caccia impone il rinnovo ogni cinque anni. Il senso è valutare a intervalli regolari lo stato di salute della biodiversità e del territorio, minato da stravolgimenti climatici, incendi, cementificazione, veleni, e dalla stessa caccia, soggetto dunque a cambiamenti drastici, in modo da stabilire quali e quante specie sacrificare all'hobby dei seicentomila cacciatori nostrani. Senza, dice chiaramente la normativa, non si può sparare.
Ma, a quanto si apprende dall'indagine delle associazioni, l'ultimo Pfvr del Lazio risale al 1998. Sardegna e Molise si ritrovano nella medesima condizione, il secondo persino sordo alla sollecitazione di qualche sua provincia. I tre Pfvr del Piemonte, invece, datati 1998, 2010 e 2012, sarebbero rimasti solo atti della Giunta regionale, mai stati sottoposti al voto del Consiglio né di conseguenza formalizzati, così da non avere alcuna valenza giuridica. La Lombardia fa di meglio: non ha mai avuto un Pfvr. "Da quanto abbiamo appreso, nel 2003 fu preparata una proposta, portata in Consiglio - che, secondo la legislazione regionale, deve approvarla -, ma si arenò", racconta Annamaria Procacci, consigliere nazionale Enpa, che fu tra i legislatori della 157/92.
Neppure il Friuli aveva mai avuto un Pfvr, e ha approvato il primo nel luglio scorso, in ritardo di quasi vent'anni: "Entrerà in vigore solo nella stagione venatoria 2016-2017" dice Alessandro Sperotto, avvocato e responsabile Lac per il Friuli Venezia Giulia: "l'approvazione è avvenuta in pendenza di un ricorso delle associazioni con cui se ne rilevava l'incredibile mancanza. Anche quest'anno, quindi, in Friuli si caccerà illegittimamente. Sarebbe tra l'altro bene informare i cittadini italiani che senza la debita pianificazione può decadere l'articolo 842 del Codice Civile, quello che consente ai cacciatori di entrare e sparare nei fondi privati non recintati".
La lista è ancora lunga: in Veneto, regione particolarmente provata da opere pubbliche, siccità e alluvioni, l'ultimo Pfvr risale al 2007, prorogato al 2016 benché nel 2014 la Giunta proponesse un nuovo Piano 2014-2019. Ancora, fra le regioni che presentano ritardi rispetto ai precetti legislativi, figura la Calabria, mentre risale addirittura al 1997 il Pfvr della Basilicata: "Non è facile ricavare tutte le informazioni per una mappatura nazionale completa e approfondita. Ci appelliamo quindi al Governo reclamando trasparenza e informazione, oltre all'imprescindibile rispetto della legge" dicono le associazioni.
L'art.10 comma 1 della legge n.157/92 recita: "Tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico venatoria finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio" e proseguendo " c.2 Le regioni e le province... realizzano la pianificazione di cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio".
"Tale destinazione differenziata del territorio consiste, per ogni regione, in una quota dal 20 al30% destinata a protezione della fauna selvatica (con eccezione della zona Alpi,10-20%). Una percentuale massima globale del 15% è destinata a caccia riservata a gestione privata; sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale le regioni 'promuovono forme di gestione programmata della caccia secondo le modalità previste dall'art.14', vale a dire gli Atc-Ambiti Territoriali di Caccia" spiega la Procacci. "Dunque, tutta l'attività venatoria deve rientrare, seguendo regole chiare e precise e senza eccezioni, nella pianificazione, ovvero nei Pfvr, che sono in primo luogo strumenti di conservazione faunistica. La regione delega le province a predisporli, e ciascuno deve rappresentare una rete coerente e non può costituire semplicemente la sommatoria dei piani provinciali. La regione ha infatti il compito di coordinarli, non di prenderne banalmente atto".
Esistono sentenze della magistratura che sanciscono l'illegittimità dell'attività venatoria in assenza di Pfvr aggiornato, e a maggior ragione, in tale panorama, si confermano illegittime anche le preaperture della caccia. Circa la possibilità di anticipare al 1 settembre la persecuzione a determinate specie selvatiche, oltre al parere Infs (oggi Ispra) l'art.18 comma 2 della 157/92 prevede: "L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico venatori".
Dice ancora la Procacci: "L'assenza di Pfvr aggiornato comporta, tra l'altro, la lesione dei diritti dei cittadini. L'art.15 della 157/92, relativo all'utilizzazione dei fondi ai fini della gestione programmata della caccia, al comma 3 afferma: 'Il proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo stesso l'esercizio dell'attività venatoria deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico venatorio, al presidente della giunta regionale richiesta motivata, che, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n.241, dalla stessa è esaminata entro sessanta giorni'. Se il Pfvr non c'è, oppure è vecchio di 10-20 anni, chi ripagherà dell'attesa e del suo diritto il proprietario del fondo?"
"Questa situazione conferma l'insostenibilità della caccia in Italia" commenta Andrea Brutti, responsabile fauna selvatica per l'Enpa "intanto che l'UE ha promosso al riguardo una nuova procedura pilot, anticamera della procedura d'infrazione, indagando su ulteriori e diffuse irregolarità".
La caccia è un'attività che ha radici preistoriche, precedenti alla nascita della specie Homo sapiens. I progenitori della specie umana più remoti erano onnivori, come gli attuali scimpanzé; sono stati ritrovati reperti, risalenti a 1,8 milioni di anni fa, che provano come gli ominidi già in quest'epoca si procacciassero grandi animali per il sostentamento; non è tuttavia completamente chiaro se fossero prevalentemente cacciatori attivi o raccoglitori di carogne o entrambi.
Una delle prime tecniche di caccia utilizzate è stata probabilmente la caccia per sfinimento praticata nel paleolitico. Nel periodo precedente all'invenzione delle armi da lancio, quali lance e archi, uno dei modi per cacciare una preda consisteva nell'inseguirla per lunghe distanze fino a quando la preda, esausta, poteva essere avvicinata e abbattuta. Questa attività potrebbe spiegare il passaggio degli ominidi alla posizione bipede: la postura eretta riduce infatti la velocità di corsa e quindi le probabilità di catturare una preda dopo un inseguimento breve, ma permette una maggiore durata che può favorire la caccia per sfinimento. Anche lo sviluppo delle ghiandole sudoripare e la mancanza di pelo degli umani può aver favorito questo tipo di caccia permettendo di mantenere la temperatura corporea abbastanza bassa durante una lunga corsa nel calore del giorno. Altre tecniche potevano essere l'agguato, e l'azione di gruppo nel circondare le prede.
Con l'avvento delle prime società di cacciatori-raccoglitori, la caccia ha incominciato a ricoprire un ruolo più consistente nel sostentamento quotidiano. Prove fossili dell'utilizzo di lance per la caccia, la cui datazione risale a circa 16 200 anni fa, sono state rinvenute in Asia. Oltre a lance (a volte attrezzate con un propulsore, o atlatl), le prime armi da lancio consistevano in sassi, archi e frecce. Secondo alcuni storici l'avvento della caccia potrebbe aver contribuito al rimpiazzo della megafauna dell'olocene con gli erbivori più piccoli delle epoche successive.
In seguito, nonostante la nascita dell'agricoltura e dell'allevamento, la caccia continuò ad essere un'attività importante per la sopravvivenza delle comunità, in quanto fonte di proteine aggiuntive e materiali utili quali ossa, tendini, pelo o penne e pelli utilizzate per la produzione di abiti e la costruzione di ripari.
Con l'avvento del linguaggio e della cultura la caccia diventò un tema ricorrente di storie e miti, ma anche di proverbi, metafore e aforismi molti dei quali sono diffusi ancora oggi.
Negli antichi altorilievi, in particolare in Mesopotamia, i re venivano spesso rappresentati come cacciatori impegnati con bestie di grandi dimensioni come i leoni, solitamente su un carro da guerra, considerato simbolo virile. L'archetipo è probabilmente il leggendario re biblico Nimrod.
L'importanza psicologica e culturale della caccia nelle società antiche è testimoniata dalle divinità associate, quali il dio cornuto Cernunnos o la dea greca Artemide e l'equivalente romana Diana. In queste società sorsero anche molti tabù relativi alla caccia. L'associazione mitologica di una certa preda con una divinità poteva riflettersi in restrizioni alla caccia come, ad esempio, il divieto di cacciare nelle vicinanze di un tempio; la storia di Artemide e Atteone, narrata da Euripide, può essere interpretata come un monito verso il disprezzo per le prede e il vanto.
Con la diffusione dell'agricoltura e dell'allevamento la caccia divenne un'attività secondaria e accessoria a queste, praticata per difendere gli animali domestici dai predatori della zona o per eliminare gli animali selvatici che concorrevano nell'utilizzo delle risorse naturali o agricole, quali acqua e foraggio. Da attività primaria per la sopravvivenza la caccia divenne un fenomeno sociale, svolta in forma di attività professionale con l'uso di equipaggiamenti e allenamenti specifici oppure come attività ludica, prerogativa delle classi sociali più elevate (nobiltà), come la caccia alla volpe.
Durante l'età del Medioevo la selvaggina rappresentava ancora una fonte importante di cibo e pelliccia, solitamente procacciata da cacciatori professionisti. In gran parte dell'Europa medievale le classi sociali più elevate (aristocrazia e clero) godevano del diritto esclusivo di cacciare (e a volte pescare) in zone esclusive del territorio feudale. La violazione di questo privilegio era considerata un'offesa criminale, come si narra ad esempio nella leggenda di Robin Hood, accusato di aver cacciato il cervo del re.
Con l'evoluzione della caccia in attività delle classi elevate, la sua pratica divenne codificata. La caccia, solitamente a cavallo, di animali pericolosi come leoni o cinghiali selvatici, si sostituì ai tornei medievali, diventando un passatempo onorevole e competitivo per l'aristocrazia e permettendo di provare la propria abilità di guerra in tempo di pace.
In gran parte del mondo moderno la caccia non rappresenta più un'attività indispensabile all'approvvigionamento del cibo, tuttavia in alcune società che vivono ancora in condizioni semi selvatiche e/o in condizioni di estrema povertà e/o in ambienti che non favoriscono l'agricoltura e l'allevamento la caccia ricopre ancora una funzione importante.
Tra gli Inuit la caccia, praticata con armi e trappole, rappresenta una risorsa primaria di cibo oltre che di pellame usato per la realizzazione di tende in grado di resistere alle basse temperature dell'Artico, mentre le pelli impermeabili dei mammiferi marini sono usate per la produzione di canoe, guanti, abiti e calzature.
La caccia per sfinimento viene ancora praticata dai cacciatori-raccoglitori del deserto del Kalahari dell'Africa meridionale. Nell'inseguimento di un'antilope del Kalahari centrale questa, benché riesca a portarsi fuori vista dal cacciatore, viene infine raggiunta prima che riesca a trovare il tempo per riposarsi e, quando troppo esausta per continuare a correre, viene colpita a breve distanza con una lancia. Questo tipo di caccia può durare anche cinque ore per un percorso totale tra i 25 e i 30 km, sotto temperature comprese tra i 40 e i 42 °C.
Nei paesi industrializzati invece la caccia viene praticata principalmente come attività ricreativa oppure finalizzata allo scopo di commerciare il ricavato della cattura o dell'abbattimento degli animali. Solitamente i cacciatori ritengono che passare del tempo all'aria aperta, in ambienti relativamente selvaggi e lontano dai sentieri più frequentati, sia una parte essenziale dell'attività venatoria. Essi ritengono inoltre che la carne degli animali selvatici sia più saporita e abbia un gusto diverso rispetto alla carne degli animali d'allevamento. Il cacciatore moderno può essere anche motivato dalla collezione di trofei di caccia. Normalmente le leggi stabiliscono il compimento della maggiore età per la pratica dell'attività venatoria, anche se in alcuni paesi, come negli Stati Uniti e in Canada, è sufficiente aver raggiunto i 16 anni.
La caccia praticata come attività ricreativa o commerciale è oggi criticata dal movimento per i diritti animali il quale sostiene che tali attività violano il diritto fondamentale alla vita degli animali cacciati e siano fonte di inquinamento e del saturnismo a causa del piombo delle munizioni da caccia rilasciato nell'ambiente.
La caccia oggi può avere anche un ruolo nella gestione della fauna selvatica, ad esempio per mantenere la popolazione di una certa specie all'interno delle capacità di sostentamento dell'ambiente ecologico. In molti paesi occidentali, guardie forestali ed ecologi partecipano alla scrittura delle norme di regolamentazione della caccia in modo che il numero di animali da abbattere e i metodi permessi garantiscano la preservazione della fauna selvatica.
Tra gli animali usati dall'uomo per l'addestramento alla caccia, come falchi o furetti, i cani sono i più importanti e i più diffusi oggi. I moderni cani da caccia sono infatti il risultato di una lunga storia di selezione genetica.
L'utilizzo del cane nella caccia risale alle origini della civiltà umana, la parola stessa caccia deriva dal greco antico kynègia che a sua volta deriva da kynos, cioè cane. In seguito all'addomesticamento il cane si rivelò infatti per l'uomo un aiuto prezioso nella caccia. Nell'impero ottomano 33 o 34 delle 196 compagnie di giannizzeri erano Sekban, cioè custodi dei cani.
L'olfatto sensibile del cane permette ai cacciatori di scovare e catturare prede che, altrimenti, sarebbero molto difficili o pericolose da cacciare. Nel tempo i cani usati nella caccia sono stati classificati in razze diverse con specifiche abilità: segugi (usati per cercare la preda), cani da ferma (per fiutare e mostrare al cacciatore la preda), cani da tana (per cacciare animali nelle tane sotterranee), levrieri (per inseguire e uccidere la preda) e cani da riporto (per riportare piccole prede abbattute dal cacciatore). Attualmente vi sono numerosi tipi di caccia che si avvalgono dell'ausilio del cane, il quale viene comunemente definito nel linguaggio legislativo in materia di caccia, appunto, come ausiliare.
In Italia, la caccia ha un numero di cacciatori in diminuzione, infatti sono passati dai 1.701.853 del 1980 ai 791.848 del 2001, con un calo netto del 53.5%, mentre l’età media di chi pratica la caccia, sta aumentando. Tutto ciò è indice del fatto che ormai questa pratica è diffusa prevalentemente tra gli anziani e che riscuote uno scarso interesse tra i giovani.
L’attività venatoria è regolamentata dalla legge n. 157 del 17 febbraio 1992, anche se le regioni possono approvare delle deroghe a tale normativa.
Nel corso degli anni novanta sono stati proposti tre referendum, nessuno dei quali raggiunse il quorum, per inasprire le norme che regolano la caccia.
I referendum sul divieto di accesso ai cacciatori ai fondi privati furono proposti con l’intento di abrogare l’articolo 842 del codice civile. Secondo tale articolo, i cacciatori possono entrare (armati) nei fondi privati senza il consenso preventivo del proprietario, introducendo una discriminante, da alcuni giuristi valutata come incostituzionale, nei confronti dei cittadini non cacciatori che invece verrebbero puniti ai sensi dell’articolo 614 del codice penale per violazione di domicilio.
Un sondaggio SWG del 2001 ha evidenziato che l’87% degli italiani è contrario alla caccia dei piccoli uccelli, mentre solo l’8% è favorevole (il rimanente 5% del campione intervistato non si è espresso).
Un sondaggio Abacus del 2003 ha evidenziato che il 72% degli italiani è favorevole all’abolizione della caccia, mentre il 22% è contrario alla sua abolizione (il rimanente 6% del campione intervistato non si è espresso).
Un sondaggio Eurisko del 2005 ha evidenziato che il 74.1% degli italiani è contrario alla caccia, il 15.2% è favorevole e il 10.1% indifferente (il rimanente 0.6% del campione intervistato non si è espresso).
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