Dopo aver bevuto la cicuta - racconta Platone - Socrate rimproverò i suoi allievi, che non riuscivano a frenare il pianto: «Che stranezza è mai questa, amici? Si dice che sia bene morire fra serene parole di augurio». E serenamente spirò. Così nel «Fedone». Ma che la cicuta (koneion) desse una morte indolore è tutt’ altro che certo. Platone, probabilmente, voleva idealizzare gli ultimi momenti del maestro ma altri resoconti, più realistici, descrivono la morte di chi aveva ingerito il veleno in modo molto diverso: la mente oscurata, la vista deformata, gli occhi che selvaggiamente roteavano, la gola attanagliata, le estremità paralizzate. La cicuta, infatti, non venne introdotta per alleviare le sofferenze dei condannati a morte. Venne introdotta per calcolo politico dai Trenta Tiranni (V secolo a.C.), che per liberarsi senza troppo rumore degli oppositori mandavano loro in carcere una porzione del veleno: per ovvie ragioni, queste esecuzioni dovevano avvenire senza suscitare scalpore.
La cicuta è una pianta della famiglia Apiaceae. È una pianta erbacea a ciclo biennale che si può trovare fino a 1800 metri di altitudine.
Comunemente nota come cicuta o cicuta maggiore, è originaria dell'Europa ed è passata alla storia quale bevanda che diede la morte al filosofo Socrate, che venne condannato alla pena capitale e la bevve sotto forma di infuso. Tuttavia, con tutta probabilità (dati i sintomi descritti nel Fedone di Platone), Socrate utilizzò una mistura di veleni (cicuta da Conium, oppio e datura).
Conium maculatum è una pianta erbacea con radice carnosa di colore bianco. Presenta un odore sgradevole e nauseabondo, simile all'urina di gatto, soprattutto quando viene spezzata. Cresce spontanea nelle campagne italiane, dove preferisce i luoghi ben freschi (ai bordi delle siepi, nei pressi dei rigagnoli...).
Il fusto, che può raggiungere 1-2 metri di altezza, è cavo, glabro, tipicamente arrossato verso il basso e presenta per tutta la lunghezza delle macchie rosso-vino.
Le foglie possono raggiungere i 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza, assumono una forma grosso modo triangolare e sono suddivise al loro interno in un gran numero di foglioline a bordi dentati (foglia composta pennatosetta).
I fiori appaiono generalmente al secondo anno di vita e sono portati in infiorescenze ad ombrella di colore bianco. La pianta fiorisce tra aprile ed agosto.
Tutta la pianta è notevolmente velenosa e può portare alla morte. Ciò è dovuto alla presenza di almeno cinque diversi alcaloidi: la coniina, la conidrina, la pseudoconidrina, la metilconicina e la coniceina. La coniina — una neurotossina — è l'alcaloide più attivo ed agisce a livello delle sinapsi neuromuscolari.
Si ritiene che la dose mortale per un essere umano sia di qualche grammo di frutti verdi. Nell'uomo l'ingestione della cicuta provoca problemi digestivi, cefalee ed in seguito parestesia, diminuzione della forza muscolare, e infine una paralisi ascendente.
La pianta è tossica sia per il bestiame che per l'uomo, e per questo motivo viene ignorata dagli erbivori. La dose letale per un cavallo è di circa 2 chilogrammi di foglie, mentre poco più di mezzo chilogrammo è sufficiente per una vacca. La dose letale per una pecora si aggira intorno ai 2 etti. I volatili in genere invece ne sono immuni. Il veleno agisce anche indirettamente, cioè può portare ad avvelenamento anche in seguito ad ingestione di un animale che se ne era cibato in precedenza.
Con il nome comune di cicuta vengono però comunemente indicate anche altre due specie, ciascuna appartenenti a generi differenti:
La cicuta minore (Aethusa cynapium L.), annuale o bienne a seconda delle sottospecie, è detta anche falso prezzemolo. La sua somiglianza con questa pianta aromatica ha portato a fenomeni di avvelenamento per la confusione tra le due.
La cicuta acquatica (Cicuta virosa L.) è una pianta perenne, che cresce in prossimità di acquitrini. È la più velenosa delle tre ma in Italia è rara anche per la bonifica delle zone paludose in cui cresce.
I libri sulle erbe raccontano di bambini fortemente intossicati perchè giocavano con il suo fusto cavo usandolo come cerbottana.
Nell'antichità la usavano a piccolissime dosi anche come medicina ma, lo sconsigliamo fortemente. Aggiungendo qualche goccia di acido solforico alla tintura alcolica si ottiene un precipitato di coniina pura in grossi cristalli.
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