Come sicuramente tutti sappiamo, la mela è diventata il simbolo, dal punto di vista iconografico, più utilizzato per raffigurare il senso del frutto proibito; questa posizione è stata avallata persino dalla linguistica che ha interpretato la parola malum, che significa mela, con l’altro suo significato che è “male”; questo ha portato, nel corso del Medioevo, a unificare i significati e a fornire alla mela questo ruolo peraltro non sempre comodo. Teniamo in debito conto che il nostro tanto amato testo biblico non precisa quale sia esattamente il frutto del peccato ed infatti, inizialmente, gli artisti prendevano in considerazione i frutti che erano presenti nelle loro terre di origine… come nel mediterraneo dove i fichi e le arance erano i più presenti e i più riconosciuti. Voci di corridoio, inoltre, hanno ritenuto di far derivare il fatto che l’albero della conoscenza e quindi del peccato, fosse un fico, partendo dalla considerazione che, una volta consapevolizzate le nudità dei primi esseri umani, fu semplice utilizzare le foglie di fico come primo segno vestiario, proprio perché albero più raggiungibile. Per continuare a denigrare “il fico”, chi ha letto la storia di Giuda dovrebbe ricordare che Giuda stesso, e la leggenda lo rimarca, dopo aver venduto Gesù per pochi danari, decise di impiccarsi ad un fico.
Il frutto proibito poi, nel suo concetto generale, con il tempo, si è arricchito più che di sapore, di significati, superando il simbolismo legato all’uomo e al suo atto di estrema disobbedienza, diventando sinonimo e sostituto del peccato e, nello specifico, della LUSSURIA, identificata come oggettivazione del corpo e spersonalizzazione della persona.
In alcune nature morte, sono spesso in bella mostra all’interno della tavola imbandita di gozzoviglianti meraviglie, mele in “cattiva salute” che sembrano, spiritosamente, fare allusioni al ricordo del peccato originale.
Ma la mela, indiscussa regina del peccato è, almeno nella mitologia, quella che fu contesa tra Venere, Giunone e Minerva, mela “lanciata” dalla Dea della Discordia e che vide vincitrice Venere che seppe convincere il giudice Paride con il regalo migliore ma foriero di futura guerra.
Il più famoso e discusso brano della Bibbia è certamente quello della Genesi (cap. 2 e 3), relativo ad Adamo ed Eva e alla loro espulsione dal Paradiso Terrestre.
L’interpretazione corrente della Bibbia ci narra dell’episodio della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre come conseguenza di un peccato dei protagonisti perché non hanno rispettato un obbligo di Dio che vietava di mangiare frutti di un determinato albero. Questo peccato ha determinato la loro rovina, ma anche quella di tutti i discendenti.
La Bibbia è stata scritta alcune migliaia di anni fa, trascritta e tradotta molte volte nel corso dei secoli. Dovremmo considerare che il testo originale potrebbe essere stato volutamente o involontariamente alterato, inoltre la terminologia era adatta per il popolo dell’epoca.
L’episodio della Genesi non corrisponde ad un fatto realmente accaduto, ma un mito, un’allegoria, una storia che aveva il compito di spiegare, alla gente dell’epoca, i motivi di certe situazioni nel mondo.
Secondo alcune confessioni del cristianesimo il peccato originale è il peccato che Adamo ed Eva, i progenitori dell'umanità nella tradizione biblica, avrebbero commesso contro Dio, così come descritto nel libro della Genesi. Conseguenza di questo peccato sarebbe stata la caduta dell'uomo: il peccato originale viene descritto come ciò che ha diviso l'uomo da Dio e che, secondo un buon numero di teologi, avrebbe reso l'uomo mortale.
Al peccato originale sono stati attribuiti vari significati simbolici a seconda delle interpretazioni che sono state date al brano biblico; in generale, comunque, esso sembra rappresentare la disobbedienza verso Dio da parte dell'uomo, che vorrebbe decidere da solo che cosa sia bene e che cosa sia male.
Il termine “peccato originale” non è presente nel testo biblico, né nell’Antico Testamento né nel Nuovo.
Il testo che tradizionalmente descriverebbe questo peccato è il capitolo 3 del libro della Genesi. L’esegesi biblica codificata nella ipotesi documentale ricondurrebbe questo testo alla cosiddetta tradizione jahvista, alcuni nuclei della quale potrebbero risalire addirittura all’XI-X secolo a.C.
Dio, dopo aver creato Adamo ed Eva (il primo nome ebraico è collegato con la parola che significa "terra", poiché il suo corpo sarebbe stato modellato con la creta; il nome di Eva - chavvàh - ha la stessa radice del verbo "vivere" - lachavvot -, e infatti nel testo essa sarà definita in seguito "la madre di ogni vivente", - em kol chay), li mette a vivere nel giardino dell'Eden, comandando loro di nutrirsi liberamente dei frutti di tutti gli alberi presenti, tranne che dei frutti del cosiddetto albero della conoscenza del bene e del male.
Ma i due, tentati dal serpente, mangeranno il frutto dell'albero proibito. Il personaggio del serpente denota forse una polemica "anti-ofiolatrica", contro i miti cananaici e di altri popoli della Mezzaluna Fertile: il serpente, nella religiosità dei Cananei, rappresentava il dio supremo, Baal, signore della fertilità.
Si dice che il serpente è "astuto", ma la sua furbizia è messa a servizio di un fine cattivo. Il suo è un vero e proprio disegno malefico, che si oppone subito al desiderio divino. Nel dialogo con la donna il serpente arriva per gradi al suo obiettivo: rivela il suo disegno di opposizione a Dio già nella domanda che rivolge alla donna, con il gioco di parole per il quale la proibizione di mangiare i frutti di "un albero" viene estesa ad "ogni albero". Il serpente porta così la donna a dubitare che il divieto di Dio possa essere stato legittimo. La donna si lascia trascinare dal gioco del serpente e cade nella trappola della esagerazione: afferma, falsamente, che Dio ha proibito persino di toccare l'albero in questione.
Il serpente prospetta come conseguenza del mangiare i frutti dell'albero l'"apertura degli occhi" e il diventare "come Dio" (o "come divinità"), conoscitori del bene e del male.
Allettati da questa tentazione,i due mangiano questo frutto (la donna lo offre all’uomo: l’immagine della donna tentatrice è tipica di molte letterature sapienziali soprattutto nel mondo antico). Subito si rendono conto di essere nudi. La loro nudità esprime l’indegnità, l’insuccesso.
Spesso il "frutto proibito" viene rappresentato come una mela. Nel testo della Bibbia si parla di "frutto", senza ulteriori specificazioni. In latino la mela viene chiamata malum, parola che ha anche lo stesso suono di quella che significa "male". Per questo motivo nel medioevo si sarebbe cominciato a rappresentarla come una mela.
Al peccato fa seguito una specie di istruttoria condotta da Dio, che ripercorre i gradini opposti a quelli del peccato: prima l’uomo, poi la donna, poi il serpente. L’uomo, che sperimenta la paura e la vergogna, scarica la sua responsabilità su altri (Adamo sulla donna, e la donna sul serpente).
Dio condanna prima di tutto il serpente; la punizione della donna la tocca nella sua duplice qualità di madre e di moglie. Anche l’uomo è condannato, anzitutto nel suo rapporto con la terra, alla quale è legato come a una moglie e dalla quale attende i frutti: ora la terra diventa una nemica. Comunque né l’uomo né la donna vengono "maledetti" da Dio, che riserva parole di maledizione soltanto al serpente e alla terra (o al cosmo). La più aspra conseguenza del peccato è la morte: il peccato produce una rottura del rapporto con Dio, e la morte fisica sancisce definitivamente questa rottura.
Nonostante tutto, Dio dà agli uomini un vestito: è già un gesto salvifico di Dio, che soccorre l’uomo ridandogli dignità.
Il problema che emerge in sede di interpretazione è se davvero, nelle intenzioni degli autori del testo e nell'ambiente vitale in cui il testo stesso venne scritto, si pensava davvero ad un peccato "originale", un peccato - cioè - che fosse all'origine di una definitiva corruzione del genere umano o addirittura di tutto il cosmo (alcuni teologi, come Karl Rahner usano l’espressione peccato originale originante per distinguerlo dal peccato originale che ogni uomo porterebbe in sé – peccato originale originato).
Più che ad un peccato originale, il testo biblico sembra far riferimento, attraverso il racconto simbolico, a quel peccato che "originava" le forme storiche e sociali di peccabilità del popolo d'Israele, cioè l'idolatria. Il serpente, infatti, nel brano biblico non è il diavolo - questa è una interpretazione molto tarda - ma potrebbe rappresentare il culto cananeo della fertilità, verso cui il popolo d'Israele fu costantemente attratto.
La riflessione condotta in questo capitolo della Genesi prende in considerazione il male già presente nell'umanità, e ne cerca la causa. La risposta che viene data è che la causa di questo male è il peccato dell’uomo. Viene così proiettata sull'intera umanità la visione particolare che il popolo di Israele aveva della propria storia: alleanza offerta gratuitamente da Dio, rottura dell’alleanza da parte degli uomini, punizione e riconciliazione.
Paolo apostolo, nei suoi scritti e in particolare nel capitolo 5 della Lettera ai Romani, ha presente il racconto della Genesi e ne sottolinea l’aspetto della solidarietà (nel male) che tutti gli esseri umani sperimentano. Questa categoria della solidarietà permette a Paolo di formulare l’annuncio evangelico: Gesù Cristo è il centro della storia, il male originato da Adamo è vinto da Cristo, e per chi è solidale con Cristo il male può essere vinto.
La visione del peccato della prima coppia umana, così come è proposta dalla religione ebraica, è priva della componente di ereditarietà della colpa che invece viene evidenziata nell'interpretazione cattolica e protestante.
Per il giudaismo il peccato dei progenitori assumerebbe una duplice valenza: da una parte rappresenterebbe un errore, causa della caduta e mortalità umane e testimonianza della debolezza e della fallibilità dell'uomo, dall'altra rappresenterebbe il libero arbitrio dell'uomo, in grado di poter liberamente scegliere fra il bene (la volontà divina) o il male (la tentazione). Un Midrash del Libro del Pentateuco Bereshit, Genesi, indica metaforicamente il peccato di Adamo come un furto. Poiché un peccato porta ad un altro peccato, quando Dio rimproverò Adamo ed Eva per il peccato commesso essi commisero subito maldicenza accusando il serpente e colpevolizzando l'uno l'altra.
La Torah insegna che dopo il peccato di Adamo bene e male furono mischiati l'uno con l'altro e che solo nell'era messianica con il Messia il male non sarà più; come conseguenza immediata del primo peccato venne slegata la connessione tra l'Albero della Vita e quello del frutto della conoscenza del bene e del male il cui archetipo e la cui origine in principio sono il vero ed il falso.
Nell'alleanza perpetua ed eterna tra Dio e gli Ebrei, stipulata sin da Avraham e mantenuta con i patriarchi ebrei successivi nonché con i capostipiti delle dodici tribù e per sempre anche nell'osservanza della Torah e delle sue leggi, ognuno secondo la natura della propria anima, gli Ebrei sono liberi dalla conseguenze del primo peccato, origine ed archetipo di tutti i peccati esistenti, accettando così definitivamente e sottomettendosi completamente alla volontà divina unitaria: con il patto tra gli Ebrei e Dio gli Ebrei non sono coinvolti nella radice del peccato e le sue conseguenze ed alcuni tra gli eletti del popolo d'Israele hanno il compito di correggerle spiritualmente in tutto il Mondo; l'osservanza della Torah permette infatti all'Ebreo di distinguere tra merito e peccato, tra puro ed impuro, tra santo e non santo.
Lo studio della Torah permette agli Ebrei di separare il bene dal male; lo stesso studio permette ancora metaforicamente di assaporare il frutto dell'albero della vita.
Con il dono della Torah sul monte Sinai tutto il mondo fu momentaneamente libero dalle conseguenze del peccato dei progenitori (Sefer haZohar) sino a quando vi fu il peccato del vitello d'oro in cui alcuni Ebrei furono indirettamente coinvolti spinti da una mancanza di fiducia in Dio ed in Mosè che a loro sembrava stesse attardando a tornare dal monte Sinai dove stava ricevendo la parola divina; tra essi, colpevoli per non essere intervenuti al fine di evitarlo, ve ne furono anche influenzati nell'episodio del peccato suddetto dalla moltitudine di alcuni non ebrei, non solo egiziani, che vollero seguire gli Ebrei usciti dall'Egitto per i miracoli visti e quindi per la vittoria degli Ebrei senza però una sincera fede in Dio e senza un legame stretto con Dio mancando così di aderire alla totalità dei sette precetti dei figli di Noah.
I peccati possono poi essere cancellati attraverso la Teshuvah che, pentimento come ritorno spirituale a Dio che permette di aderire al Mondo futuro, l''Olam Ha-Ba, qui in vita in questo mondo, è il modo attraverso cui si torna ad essere mondi: la Teshuvah è uno tra i fondamenti divini presenti prima della Creazione, anteriori al Creato.
Secondo l'osservanza della Torah e dei precetti morali, etici e pratici iscritti nell'anima di ciascun ebreo, ascoltando e studiando la parola ed il comando divini nell'accettazione del giogo della Torah e del Regno celeste, vi è il tentativo di arrivare allo stato di rettifica che sancirà il completamento dell'era messianica: la Qabbalah ebraica insegna che alcuni rabbini mistici del passato cercarono di rettificare il peccato di Adamo ed Eva risalendo alle origini spirituali del Gan Eden nell'esperienza mistica conosciuta come "l'ascesa (o paradossalmente discesa) al Pardes"; in ogni epoca grandi personalità spirituali ebraiche sono responsabili del tiqqun: per tiqqun si intende la rettificazione spirituale dell'origine dei guasti causati dall'uomo sin dal primo peccato di Adamo ed Eva, rettificazione spirituale che verrà completata con l'avvento dell'era messianica.
Il tiqqun iniziò con Avraham assieme alla propria sposa Sarah e poi continuato da Isacco e Rebecca. Anche Giacobbe rappresenta la rettificazione di Adamo.
Secondo l'Arizal quindi Avraham fu il Ghilgul del Nefesh di Adamo e, per aver distrutto tutti gli idoli del padre riconoscendo così l'Unico e solo Dio Creatore del Mondo, rettificò il peccato di idolatria racchiuso nel primo peccato per aver negato un ordine di Dio e quindi Dio stesso; Isacco fu quello del suo Ruach e, per essersi offerto nella prova del sacrificio, rettificò il peccato di omicidio racchiuso nel primo peccato perché Adamo portò la morte di tutti gli individui dopo di lui; infine Giacobbe fu il Ghilgul della sua Neshamah e rettificò il peccato della licenziosità sessuale, in cui invece cadde Adamo nei 130 anni lontano da Eva.
L'Arizal afferma che i due figli di Aronne Nadab e Abiu ebbero il compito di rettificare il peccato di Adamo ma non vi riuscirono cadendo nello stesso errore: l'egocentrismo per il fuoco estraneo offerto a Dio e per essersi a Lui presentati ubriachi proprio come il succo e la feccia dell'uva, frutto della conoscenza del bene e del male.
Il Kohen Gadol ed il Tempio di Gerusalemme corrispondono distintamente al livello di Adamo e del Mondo senza il peccato di Adamo, anzi ne sono il corrispettivo rettificato: il Kohen Gadol corrisponde infatti all'Adam Qadmon, l'uomo superno, mentre il Tempio ed il Tabernacolo sono un microcosmo nel reame della santità.
Il territorio del Tempio non subì la maledizione sulla terra, causata dal peccato sino alla nascita di Noè, inoltre anche le sue acque non divennero "di lacrime" e "pianto".
Secondo lo Zohar, uno tra i più importanti testi della Qabbalah ebraica, l'angelo della Merkavah Metatron rappresenta il bene del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male mentre l'angelo Samael viene associato al male della conoscenza del succitato frutto.
Pochi gli individui che non riportano le conseguenze del veleno iniettato in Eva dal serpente: tra essi si ricordano certamente Mosè, senza esso fin dalla nascita, ed Aronne che dovette essere reso mondo.
A causa della perdita dell'innocenza dal momento dell'episodio del primo peccato dell'umanità la sessualità venne considerata con vergogna con l'eccezione dei Patriarchi ebrei che vissero tale relazione come Mizvah in Qedushah come sarà soltanto nell'era messianica.
Molte chiese, pur riconoscendo l'allegoricità del racconto, riconoscono ad esso una verità spirituale almeno per quanto attiene alla sfera della fede e del destino umano ultraterreno.
Il peccato originale, come questione teologica, riguarda tre aspetti sostanziali: l'universalità, l'ereditarietà e l'originalità della colpa.
Relativamente alla discussione sull'ereditarietà degli effetti del peccato originale nella stirpe umana, esistono differenti opinioni fra le diverse religioni abramitiche e spesso anche fra singole correnti di pensiero all'interno di uno stesso indirizzo religioso.
In tutta la Bibbia non è menzionato un "peccato originale" con questa terminologia, propria della teologia posteriore.
Nelle lettere paoline, e in particolare nella Lettera ai Romani, viene dato rilievo principalmente alla responsabilità di ciascuno per le proprie azioni (cfr. Rm 2,6-11 e 3). In particolare in (3,19-26) è precisato che ogni essere umano in quanto tale è peccatore, e perciò "privo della gloria di Dio": solo per fede nel sacrificio di Gesù sulla croce può essere salvato. Anche nel quarto vangelo si ribadisce che qualsiasi uomo è peccatore ed è per questo che ha bisogno di una giustificazione che lo renda "accettato" dinanzi a Dio, eppure non viene evidenziata nessuna particolare relazione con Adamo o chiunque altro (Gv 3,16).
Sempre nella lettera ai Romani, tuttavia, emerge anche l'idea di una umanità profondamente lacerata sin dalle origini, e quindi di una sorta di corruzione posta sotto l'insegna del comune progenitore, Adamo (Rm 5,19).
Nonostante questa tensione tra responsabilità personale e solidarietà nel peccato, in molte teologie cristiane è presente la dottrina sul peccato originale, che presso alcune chiese è anche sancita da un vero e proprio dogma.
Agostino d'Ippona ritenne che l'uomo fosse stato creato simile a Dio, ma non in tutto, perché Dio conosce il male ma in quanto amore infinito non lo commette, mentre l'uomo conosce il male e può compierlo; l'essere umano è stato creato con il libero arbitrio di conoscere e fare sia il male sia il bene.
Inoltre, insegnare a fare il male è una colpa tanto quanto compierlo direttamente: perciò Dio non può avere insegnato il male, pur avendo lasciato la possibilità e la responsabilità all'uomo di conoscerlo.
Va evidenziato che l'insegnamento di Agostino, sebbene in continuità con la dottrina insegnata da Paolo e dai vangeli, e con la tradizione veterotestamentaria (si pensi ad alcune espressioni del salmo 51 che insistono su un uomo "nato malvagio", "concepito peccatore dalla propria madre"), risente nel suo vigore argomentativo dell'accesa polemica contro Pelagio. Quest'ultimo sosteneva che la salvezza è per l'uomo raggiungibile senza necessariamente la grazia divina: l'uomo può salvarsi anche solo con le sue forze, perché naturalmente portato al bene. Ciò era inconcepibile per Agostino: l'uomo non può salvarsi con le sue sole forze, perché si trova in una condizione corrotta, e causa di questa condizione è proprio il peccato originale, ereditato attraverso l'atto sessuale che è all'origine di ogni vita umana.
Per sostenere questa tesi Agostino assume anche posizioni tipiche del traducianesimo (sebbene si tratti di un traducianesimo spirituale, differente dal traducianesimo materialistico di Tertulliano).
Secondo la Chiesa cattolica per effetto del peccato originale, l'uomo eredita, anzitutto, una colpa che, se non viene estinta con il sacramento del battesimo, preclude la salvezza.
L'uomo eredita, inoltre, sempre per effetto del peccato originale, un'inclinazione verso il male, che il battesimo non può cancellare, e che è chiamata concupiscenza. Questa inclinazione, che accompagna l'uomo nel corso dell'intera sua vita non costituisce in sé un peccato, ma una debolezza di base dell'essere umano che è la causa dell'agire malvagio degli uomini nella storia dell'umanità. La trasmissione di questa inclinazione è un mistero che non può essere pienamente compreso. Una interpretazione è che Adamo ed Eva abbiano ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutta la natura umana, ed il peccato commesso abbia alterato la stessa natura umana. Il rimedio a questo stato "decaduto" consiste nella "storia della salvezza", che si sviluppa dagli antichi patriarchi fino alla redenzione.
Solo alla luce della dottrina cattolica è comprensibile il dogma cattolico dell'Immacolata Concezione di Maria madre di Gesù (proclamato nel 1854 da papa Pio IX), secondo il quale Maria fu concepita senza peccato originale in vista dei meriti di suo figlio, ossia "pre-redenta", redenta prima che la redenzione avvenisse storicamente.
Per il cristianesimo protestante, il peccato originale è caratterizzato dal concetto di ereditarietà della colpa evincibile dalle Sacre Scritture (salmo 51, vangeli), illustrato dall'apostolo Paolo e ripreso da Agostino nella sua aspra polemica contro Pelagio.
La dottrina del peccato originale venne ripresa e reinterpretata da Martin Lutero, il principale fautore della Riforma protestante, in opposizione alla Chiesa cattolica. Secondo Lutero il peccato originale avrebbe corrotto moralmente l'anima umana a tal punto da privarla della possibilità di volgersi da sola verso il bene: l'uomo sarebbe quindi privo del libero arbitrio che lo avrebbe caratterizzato prima del peccato originale e che gli permetterebbe di scegliere fra il bene e il male. Il suo sarebbe un servo arbitrio, servo del male.
Solo Dio decide, ancor prima della nascita dell'uomo, di salvarlo: la salvezza è dovuta solo a Dio, le azioni che un individuo compie durante la sua esistenza non hanno alcuna influenza sul suo destino umano.
Nel calvinismo questa riflessione sulla predestinazione dell'essere umano è ulteriormente sviluppata: tutti gli uomini sarebbero meritevoli di dannazione, ma Dio ne ha predestinati alcuni (il cui numero e la cui identità sono sconosciute agli uomini), per suo imperscrutabile volere, ad essere eletti e salvati malgrado le loro colpe, grazie al sacrificio espiatorio di Gesù, che si è sostituto a loro nella meritata punizione.
A differenza delle interpretazioni cattolica e protestante, per l'Ortodossia cristiana il peccato di Adamo ha avuto delle conseguenze per l'uomo, ma non si tratterebbe di conseguenze morali in grado di “macchiare” con una colpa l'anima di ogni individuo. Piuttosto il peccato originale avrebbe introdotto la corruttibilità fisica dell'essere umano, e in particolare la morte. Le uniche conseguenze del gesto di Adamo sono dunque, secondo la visione ortodossa, la corruzione e la mortalità, considerate da un punto di vista fisico, non morale. Tuttavia, la morte comporta un desiderio innato degli esseri umani di "ridurre" il dolore per la certezza della fine della vita terrena: da ciò scaturisce il peccato come palliativo di fronte alla mortalità.
Nella religione islamica è assente il concetto di eredità della colpa, perché ognuno è responsabile del proprio peccato. Secondo l'Islam il peccato originale sarebbe solo un errore commesso da Adamo ed Eva, ma essi si sarebbero pentiti e quindi perdonati da Dio, senza che il loro sbaglio si ripercuotesse sul genere umano.
Secondo una tesi sostenuta nel libro Il vero significato dei sogni la perdita del paradiso terrestre raccontata nella Genesi corrisponderebbe alla perdita della consapevolezza del momento presente e ciò sarebbe dovuto allo svilupparsi del pensiero, attività che ci proietta costantemente nel futuro quando non ci fa rivivere il passato, ma lo stesso significato trasparirebbe anche da due dei dipinti che affrescano la volta della Cappella Sistina, opera di Michelangelo.
Il dipinto del Peccato originale descrive la condizione di perenne giovinezza di cui l'uomo poteva godere quando non conosceva il pensiero che crea il tempo, infatti è possibile notare come Adamo ed Eva appaiano giovani prima di avere compiuto il peccato e con dei corpi già invecchiati mentre vengono cacciati dall'angelo.
L'intento di Michelangelo si completa in quello che è forse il suo dipinto più famoso e cioè la Creazione di Adamo. Dall'osservazione di questo affresco appare evidente come l'artista voglia in realtà raffigurare il pensiero che crea la mente umana (prospettiva sostanzialista o essenzialista della mente), infatti notiamo che nel drappo con le figure angeliche che fanno da sfondo alla figura divina si cela una sezione del cervello umano.
Anche nel libro già citato si sostiene che l'attività mentale non è connaturata all'essere umano, infatti secondo il suo autore i sogni derivano dall'attività depurativa del sonno che vede l'organismo impegnato nell'eliminazione delle tossine psichiche che abbiamo prodotto durante la giornata. Tutti i drammi vissuti nel sogno non sarebbero che manifestazioni dell'angoscia della nostra anima (individuabile nell'intelligenza e volontà di vita che è alla base dello svolgersi delle funzioni autonome del corpo e che si estende oltre di esso formando l'aura che lo circonda), per l'eccessiva produzione di energia mentale, la quale, non potendo essere depurata dal sonno andrebbe ad inquinare l'anima/aura per la differente qualità vibrazionale.
Lo stesso significato sarebbe riscontrabile in un altro racconto biblico, cioè in quello del crollo della Torre di Babele che si riferirebbe alla perduta capacità di comunicare attraverso un unico linguaggio che non poteva essere verbale e ciò sarebbe appunto dovuto alla nascita del pensiero, che è alla base della verbalizzazione.
Il linguaggio primordiale sarebbe stato energetico in quanto formato da onde vibrazionali che venivano emanate provando dei sentimenti di consapevolezza che facevano fremere il cuore e che venivano elaborate e comprese dalla particolare intelligenza di cui il cuore sarebbe dotato. Tale modo di comunicare permetteva ad ognuno, oltre che di interagire comprendendo i sentimenti del prossimo, anche di provvedere a se stesso con estrema naturalezza facendo manifestare nella realtà ciò di cui necessitava attraendola dal non creato, cioè dalla coscienza universale di cui l'universo è composto, il cui doppio movimento di espansione e di riassorbimento è uguale alle sistole e diastole del movimento cardiaco e che manifestò il creato provando il sentimento della consapevolezza di se stessa, un sentimento che se sapessimo provare ci permetterebbe di vivere in un vero e proprio Paradiso Terrestre.
Una lettura storico-critica della bibbia ha colto forti analogie tra il peccato originale e i miti delle origini e di un'età dell'oro perduta, presenti presso altri popoli.
Esiste, inoltre, almeno una terza possibile interpretazione dell'origine del male legata direttamente all'intenzionalità divina orientata in premessa a sacrificare i progenitori nell'ambito di un processo, si direbbe oggi, privo di garanzie giuridiche. Questa tesi attribuisce ad Adamo ed Eva un'incapacità assoluta di violare coscientemente la prescrizione divina che proibiva loro l'accesso all'Albero della conoscenza del bene e del male. I progenitori, infatti, prima di accedere al Frutto, non sarebbero stati in grado di percepire la differenza fra bene e male a causa della loro radicale "amoralità". Tant'è che per acquisire una coscienza morale è stato necessario "peccare", attingendo il frutto prodotto dall'albero della conoscenza del Bene e del Male. In altri termini, il peccato non poteva essere realizzato da chi non aveva alcuna coscienza né percezione del valore della Normatività divina e delle conseguenze della violazione (per i progenitori, infatti, prima della conoscenza del Bene e del Male ci sarebbe dovuto essere come unico Male il mangiare il frutto). Secondo questa tesi, in definitiva, Adamo ed Eva erano incapaci di intendere e di volere in termini etici e morali, dunque non sarebbero stati punibili. Un preciso riferimento neotestamentario a questa tesi sarebbe reso esplicito in Luca 23,34.
Una ulteriore interpretazione intende il peccato originale - sulla base di notevoli evidenze antropologiche e etnologiche e in forte affinità con la moderna teoria evoluzionistica - come degenerazione psicocognitiva dovuta al passaggio da forme di religiosità di tipo deista a quella relativa alle religioni rivelate. Questa transizione si sarebbe verificata a partire dal 10/15.000 circa a.C. col passaggio da forme di vita stanziale ai primi sistemi classisti e teocratici della storia detti teoetotomie - dalle radici theòs (dio) ethos (costume di vita) e -tomia (cesura). A seguito di tale trasformazione culturale l'uomo sarebbe caduto in una rappresentazione del sacro capace di produrre forme psicopatologiche (a livello individuale e sociale) così come descritto - ad esempio - dalla teoria psicoanalitica. In particolare la persistenza di una autorità morale esterna riesce ad influenzare le dinamiche edipiche da cui deriva una sovrastrutturazione del super io, ai sensi delle ipotesi di Sigmund Freud. Un ulteriore contributo deriva dal lavoro sull'aggressività umana di Erich Fromm. Da questo derivano quelle forme di psicopatologie e disturbi della personalità (sindromi ossessivo compulsivo, dipendente, evitante etc.) note da tempo alla psicologia classica.
Un'ulteriore interpretazione suggerisce che la figura del serpente rappresenti la razionalità umana, come evidente dalla simbologia greca o araba nel caduceo o nel bastone di Asclepio, in cui simboleggia rispettivamente il commercio e le arti mediche. In una visione più ampia, il serpente rappresenta la natura stessa dell'uomo assetato di conoscenza.
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