“Donne, è arrivato l’arrotino. Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da prosciutto. Ripariamo cucine a gasse, abbiamo tutti i pezzi di ricambio per le cucine a gasse. Se avete perdite di gasse noi le aggiustiamo, se la vostra cucina fa fumo, noi togliamo il fumo dalla vostra cucina a gasse“.
Gli arrotini di una volta, quelli con il carretto ambulante o il furgoncino con l’altoparlante. Oggi non ci sono più nemmeno le cucine “a gasse”, i coltelli rotti si buttano, quelli da prosciutto e le forbici da seta ormai chi se li ricorda più.
Spinto dal bisogno economico, l'arrotino andava ampliando gradualmente il territorio del suo lavoro per la ricerca di nuovi mercati di lavoro. Camminando a piedi e spingendo contemporaneamente la carretta, l'arrotino svolgeva il proprio mestiere spostandosi con una sorta di biciclo-carretto dotato di una grossa ruota di legno, rivestita da un cerchione di ferro, oppure portando in spalla gli attrezzi del mestiere. Il carretto, una volta giunto sul luogo di lavoro, veniva letteralmente ribaltato su sé stesso e si trasformava nello strumento di lavoro. Alla ruota veniva agganciato un pedale con vari snodi, veniva fissata la cinghia di trasmissione del movimento alla mola e su una parte sporgente del carretto, fissava poi un secchiello con dell'acqua che sgocciolava sulla mola mediante un piccolo rubinetto dosatore, con funzioni di lubrificante. Col bello o col cattivo tempo era sempre in cammino da un paese all'altro in cerca di lavoro. Era faticoso farsi una clientela, difficile crearsi una zona di lavoro propria e difendere il proprio territorio dalla concorrenza di altri arrotini, per tali ragioni occorreva affinare il proprio mestiere e mantenere prezzi competitivi. Fino agli anni '60 l'esercizio di questo mestiere comportava molti sacrifici. L'arrotino mangiava di solito al sacco in una piazza, poche volte si rifocillava con un piatto caldo, ogni sera era alla ricerca di un alloggio per la notte, di solito un mucchio di fieno o di paglia infilati in un sacco di tela. Faceva le pulizie personali nell'acqua di una fontana o di un ruscello e tornava a casa poche volte all'anno, per Pasqua e Natale, per il taglio del fieno, per la nascita di un figlio o ... per la morte di un parente. Era triste per loro non avere una famiglia da ritrovare la sera. Dopo gli anni '60 per l'arrotino la situazione migliorò, la sola mola fu sostituita dalla bicicletta: sul davanti vi era applicata una ruota in pietra, collegata ai pedali con una cinghia; per arrotare un utensile, l'arrotino imprimeva alla ruota un movimento ben ritmato e continuo e con abili gesti delle mani lo passava sulla mola fino a che la lama non diventava tagliente. Poi la bicicletta fu sostituita a sua volta dalla moto (vespa o lambretta), successivamente dal furgoncino a tre ruote a motore, nel cui vano portabagagli vi erano una o più mole collegate all'albero di trasmissione e altre cose che potevano servire per il proprio lavoro. Questo aspetto permetteva agli arrotini di proporsi per rimettere a nuovo, oltre ai classici coltelli, praticamente ogni tipo di lama come forbici di grandi o piccole dimensioni o prodotti d'acciaio come le forbici da seta (molto più difficili da arrotare e per le quali serve una mola molto veloce e una smerigliatrice) o dal filo particolarmente sottile come i coltelli da prosciutto. Usufruiva di almeno un pasto caldo al giorno in mensa, individualmente oppure in comune con altre persone aveva un locale o due per la notte, qualcuno cominciò anche a portare la propria famiglia nella zona di lavoro. Successivamente aprì una bottega, cessando quasi completamente di fare l'ambulante e riunì la propria famiglia accasandosi sul posto di lavoro, diventando un vero commerciante con un luogo fisso di lavoro.
L’arrotino, si sa, ama le donne. Le predilige e le corteggia sin dalla prima frase. Viene subito al dunque, lui c’è, è arrivato ed è lì per te. “Donne, è arrivato l’arrotino” è più seducente ed accattivante di un banale “si avvisa la cittadinanza che è giunto l’arrotino”.
L’arrotino sa che, per le donne, le parole sono importanti. Dunque sa che non deve perdersi dietro ad inutili preamboli.
L’arrotino sa che il target è importante, ma sa anche che, per attirare l’attenzione delle donne, deve dichiarare subito quella che è la sua mission. Annunciare che, per qualsiasi problema, lui ha la soluzione. Perchè lui è la soluzione. E così, senza dilungarsi in perifrasi arzigogolate, promette solo ciò che è in grado di mantenere. Niente mari e monti, niente luna nel pozzo. Promette semplicemente di riparare ciò che è rotto. Solo quello. E, come pochi, mantiene sempre ciò che promette.
Ecco che l’arrotino diventa l’apoteosi del maschio, un capolavoro di virilità multitasking, il principe azzurro, il genio della lampada.
O forse, è solo un genio del marketing. Ma questo le donne lo sanno, le donne l’han sempre saputo…
Nostalgia di un tempo in cui si produceva, si consumava e si riparava quello che si era consumato. Oggi invece non si ripara più nulla, neanche al male che si è fatto, figuriamoci le cose che, per definizione, sono generiche, astratte. Cose, appunto.
Obsolescenza programmata, si chiama così. Cose progettate e concepite per non durare a lungo. Cose che perdono valore perchè non riescono a stare al passo con i tempi e presto diventano obsolete, superate, scadute.
Generazione usa e getta, ecco cosa siamo. Oggetti ancora nuovi ma ormai passati di moda, caduti in disuso. Rapporti superficiali, computerizzati, macchinosi, destinati ad essere cestinati quando ci hanno stufato. Sentimenti precari con la data di scadenza ben in vista, quasi fossero uno yogurt, un contratto a tempo determinato, uno squallido co.co.pro.
Quando le cose erano fatte per durare trasudavano rispetto per chi le aveva costruite, per chi le aveva maneggiate, per chi le aveva logorate. E se non duravano, le si aggiustava. Niente era costruito per essere buttato, ogni cosa era potenzialmente per sempre. Si lasciava che le cose invecchiassero, ora nulla diventa vecchio perchè nulla ha il tempo di rompersi o di smettere di funzionare. Oggetti senza storia, oggetti che non ci mancheranno una volta buttati. Perchè, quello stesso giorno, correremo a sostituirli con altri.
Voglia di cose fatte per durare, di sentimenti da riparare, di luoghi dove poter affilare pensieri, quasi fossero coltelli da affondare sottopelle.
Attualmente la figura dell'arrotino non è scomparsa, bensì si è specializzata in quanto, per eseguire un lavoro a regola d'arte, occorre possedere nozioni di metallurgia, conoscenza degli acciai e dei trattamenti termici, nozioni sui materiali abrasivi.
Di fatto, quella che una volta era vista come una figura quasi folkloristica, oggi è un'attività che richiede ottime conoscenze tecniche e capacità manuali.
In Italia ci sono 17 mila imprese che praticano antichi mestieri. L’arrotino è uno di questi, una professione che affonda le sue radici nel passato, ma che oggi sta tornando in auge.
Oggi questo mestiere è di nuovo richiesto: complice la crisi, la tendenza è quella di riparare, piuttosto che acquistare. Ed ecco che questi artigiani si fanno rivedere nelle nostre piazze: non è raro scorgerli fermi ai mercati di città o davanti alle macellerie, con furgoni moderni e super attrezzati. Perché con gli utensili sofisticati di oggi, è importante dotarsi di macchinari evoluti, a volte elaborati dall’artigiano stesso, per rendere gli attrezzi sempre più efficaci. Infatti è ben diverso affilare i coltelli da carne o quelli per sfilettare il pesce, le forbici o i rasoi da parrucchiere.
In Italia gli arrotini sono circa 500, ma il loro numero sta crescendo. Per offrire un riferimento a chi voglia intraprendere questa professione, è nata l’Associazione nazionali arrotini e coltellerie, un movimento che punta a creare coesione nella categoria, a far circolare le informazioni e alimentare la conoscenza. Come in molti settori, infatti, anche in questo il sapere è tutto: bisogna avere nozioni sui materiali e le paste abrasive, individuare i vari tipi di pietre per realizzare le mole e sapere come reagiscono le molecole al surriscaldamento e al freddo. Insomma, chi l’avrebbe mai detto? L’arrotino è un po’ anche geologo e chimico.
Ma soprattutto ha una vera abnegazione per il suo lavoro: la formazione, in questo ambiente, avviene davvero solo sul campo. Ci si affianca a un maestro esperto che voglia trasmettere il suo bagaglio di conoscenze e si macinano migliaia di chilometri all’anno. Ma con un buon portafoglio clienti (almeno 6, 7 al giorno) si riesce a guadagnare uno stipendio dignitoso.
Esistono due sculture che rappresentano l'arrotino intento nella propria attività. Si tratta de L'arrotino di Giovan Battista Piamontini, realizzato nel 1754 ed oggi conservato alla National Gallery of Ireland di Dublino, in Irlanda. Altra opera esposta agli Uffizi di Firenze è l'Arrotino, celebre scultura ellenistica che in origine componeva un gruppo statuario, rappresentante il mito di Apollo e Marsia; ritenuto nei secoli scorsi un originale greco, fu considerata una delle statue classiche più belle esistenti al mondo, ma oggi la critica l'ha riconosciuta come semplice copia del I secolo a.C. da un originale ellenistico.
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