Il fenomeno non è recente, ma solo da qualche anno è stato riconosciuto e diventato oggetto di studi. La dipendenza da “soap opera” o da “telenovela” è qualcosa di diverso dalla semplice dipendenza televisiva, agendo profondamente sull’inconscio di chi ne resta vittima, con conseguenze che possono rivelarsi gravi, soprattutto sul piano relazionale e sfociando talvolta in patologie.
A differenza di altri prodotti televisivi, come i telefilm o le cosiddette “situation comedy”, le soap operas portano in se elementi che agiscono a livello inconscio nello spettatore, favorendo una dipendenza dalla quale non è facile liberarsi, anche perché raramente riconosciuta e più spesso mantenuta nascosta (o sottodimensionata) dal “dipendente”.
Il termine “soap opera” significa letteralmente “opera saponetta” , con riferimento alla tipologia delle sponsorizzazioni che ne hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo. La prima soap opera della storia andò in onda su una emittente radiofonica americana nel gennaio 1931: “Clara, Lu’n Em” era una storia a puntate incentrata sulla vita quotidiana di tre donne, Clara, Lu ed Emma ed era sponsorizzata da una azienda, la Colgate-Palmolive-Peet specializzata in prodotti per la casa e per l’igiene personale. La principale azienda impegnata nella diffusione del genere fu però la Procter & Gamble, il cui dirigente Neil McElroy (diventato in seguito segretario alla Difesa del governo statunitense) viene considerato l’inventore della soap opera nella sua forma televisiva, un serial pensato espressamente per essere interrotto frequentemente da pubblicità, quasi sempre di detersivi, anche in considerazione del target di riferimento, che per molti anni è stato costituito in larga parte da casalinghe. La Procter & Gamble, azienda leader nel campo della comunicazione commerciale e pubblicitaria, sponsorizzò tra gli altri la trasmissione radiofonica “The Guiding Light” che iniziata nel 1937 sarebbe migrata in televisione nel 1952 e qui sopravvissuta fino ai giorni nostri (in Italia viene trasmessa con il titolo “Sentieri”), guadagnandosi il primato della serie più longeva di tutti i tempi. Non fu, tuttavia la prima soap opera ad andare in onda in televisione, primato che spetta alla serie “Faraway Hill” (1946), a cadenza settimanale e a “These Are My Children” (1949), la prima ad andare in onda tutti i giorni, per quindici minuti. Tra il 1940 e il 1970, le soap operas hanno trovato un pubblico sempre più numeroso e fedele fino al vero e proprio “boom” degli anni ’80 durante i quali la popolarità raggiunta da alcuni personaggi della serie – e di conseguenza delle situazioni che li vedevano protagonisti – ha permesso ad una soap opera come “General Hospital” (trasmessa anche in Italia) di raggiungere punte di oltre 30 milioni di telespettatori. Dopo gli anni ’80 il fenomeno, dal punto di vista produttivo, si è notevolmente ridimensionato in virtù dell’emancipazione femminile e della necessità da parte della donna di contribuire all’economia familiare, trascorrendo così sempre meno tempo in casa. Già dalla metà degli anni ‘70, però, le soap opera venivano esportate con successo fuori dagli Stati Uniti ove, come in Italia, iniziavano a trasmettere le emittenti televisive commerciali, introducendo la pratica dell’interruzione pubblicitaria, linfa vitale delle soap operas dal punto di vista produttivo. Nello stesso periodo, facevano la loro apparizione in Italia le telenovelas di produzione sudamericana, anch’esse di origine radiofonica (“radionovelas”) e prodotte fin dal 1951 in Paesi come Cuba, Messico e Brasile, anche qui sponsorizzate da ditte di prodotti per la pulizia e l’igiene personale ma destinate, al contrario di quelle statunitensi, alla fascia oraria del “prime time”, godendo quindi di un pubblico molto più eterogeneo che non le casalinghe. Benché in seguito prodotte e realizzate in quasi tutti i Paesi dell’America Latina, le “telenovele” che avrebbero conosciuto maggiore diffusione fuori dai confini patri sono quella brasiliane, che facendo leva sulle sensibilità comuni e affrancandosi da riferimenti troppo marcati alle situazioni socioculturali del Paese di appartenenza hanno finito per essere le più esportate del mondo, in particolare in Africa e in Europa.
Entrambi i prodotti – soap operas e telenovelas – sono riconducibili, dal punto narrativo, al genere del melodramma e la differenza tra loro, a parte le ambientazioni, sono da ricercare nelle finalità nell’uso dei sentimenti umani. Nelle soap operas, infatti, le traversie sentimentali dei personaggi (elemento basilare di entrambe le tipologie) hanno il solo scopo di movimentare la storia dal punto di vista spettacolare, in un contesto in cui agiscono fortemente altri elementi, come il dramma familiare, la competizione professionale ecc. Nelle telenovelas i sentimenti si pongono al centro delle vicende, condizionando le azioni dei personaggi caratterizzati per la loro perenne infelicità ed incapacità di realizzarsi sentimentalmente. Esse, inoltre, sono spesso ambientate in epoche lontane, in gran parte nell’Ottocento mentre le soap opera sono quasi esclusivamente di ambientazione moderna.
Non sono questi, tuttavia, gli elementi che favoriscono la dipendenza dello spettatore. Il più importante è quello di essere dei prodotti seriali, strutturati cioè in brevi puntate che vanno in onda regolarmente, ogni giorno, alla stessa ora. Rispetto alla serialità, la differenza tra soap operas e telenovelas è che le seconde difficilmente durano più di una stagione, strutturate come sono in 200-250 puntate. Le “soap opera”, invece, non hanno una durata complessiva predeterminata e possono andare avanti anche per molti anni, cessando le trasmissioni solo a fronte di una significativa perdita di spettatori. La presenza di un’offerta elevata delle une e delle altre, fa sì che i suoi utenti (per lo più di sesso femminile, con un’alta percentuale di anziani) seguano anche più di una soap opera o “telenovela”,ma difficilmente potranno sviluppare forme di dipendenza nei confronti di un numero superiore a due prodotti.
Le trame delle “soap operas” e delle telenovelas sono concepite per attirare in tempi estremamente brevi l’affezione dello spettatore per il prodotto. In seguito, pur conservando caratteristiche di semplicità e immediatezza nello svolgimento, si svolgeranno in modo tale da mantenere sempre desta l’attenzione dello spettatore, soprattutto in prossimità delle interruzioni pubblicitarie, che non dovranno indurre a cambiare canale.
La dipendenza, dunque, viene sollecitata dalla regolarità con la quale si seguono le vicende delle soap operas, tanto che anche la perdita di un singolo episodio può provocare dei “sintomi di privazione”. I segnali più allarmanti di un’eventuale dipendenza, però, si rivelano in occasione dei fine settimana, durante i quali viene sospesa la loro programmazione. Se lo spettatore più “organizzato” potrà ricorrere al videoregistratore rivedendosi qualche puntata e mantenendo quindi il “contatto” con l’oggetto della sua dipendenza, gli altri dovranno fare i conti con fenomeni quali forti stati di ansia, agitazione e scollamento dalla vita reale. Le trame delle soap operas saranno sempre al centro dei loro pensieri, perché più semplici da gestire mentalmente che non i problemi della vita di tutti i giorni. L’empatia con i protagonisti, quindi, provocherà nel tempo uno stato confusionale per il quale lo spettatore non saprà più distinguere la finzione dalla realtà, arrivando a pensare che i personaggi delle soap operas vivano per davvero ciò che accade nel piccolo schermo. E finendo quindi per partecipare emozionalmente alle loro traversie, più di quanto sia lecito aspettarsi da uno spettatore comune, tanto più se un personaggio presenta elementi caratteriali che fanno scattare meccanismi di identificazione.
Più in generale, l’ossessione per una soap opera può provocare danni molto gravi sul piano relazionale, guastando irrimediabilmente i rapporti con amici, colleghi o familiari.
Il doppio lavoro con i suoi multipli ruoli, la nascita e la cura di uno o più figli; il conflitto con il partner con eventi o meno di violenza, separazione, perdita; il distacco dai figli; la perdita del lavoro del coniuge o il pensionamento, la cura degli anziani e dei malati (suoceri e genitori).
Questi eventi sono occasioni intorno alle quali si concretizzano i fattori di rischio tipici della vita di una donna:
-la presenza di un sovraccarico, ovvero l'eccesso di compiti e di fatica connessa;
-la dipendenza , ovvero l'impossibilità al cambiamento delle relazioni;
- il senso di fallimento di un progetto di realizzazione personale pensato intorno alla relazione con l'altro (partner, figli) accompagnato dal vissuto depressivo ( allora...non sono capace, non valgo, ecc).
Questi eventi tipici della vita della donna possono definire una serie di "sindromi della vita quotidiana femminile" che sono alla base della depressione:
sindrome risarcitoria e dipendenza dal partner: il fallimento della relazione di supporto e confidenza all'interno della coppia;
sindrome emancipazionistica e dipendenza dal lavoro familiare: il fallimento dell'armonizzazione dei ruoli familiari ed extra-familiari;
sindrome del focolare e dipendenza dal lavoro familiare: il fallimento della realizzazione di una soddisfazione personale nel progetto di una famiglia unita ed autarchica ;
sindrome dello svincolo e dipendenza dal partner dipendente: il fallimento di un progetto di autonomia dalla famiglia di origine del partner;
sindrome della maternità e dipendenza dal modello materno: il fallimento di un rapporto materno risarcitorio ed alternativo (compensativo e diverso da quello sperimentato nella propria storia infantile-adolescenziale).
sindrome del nido vuoto e dipendenza dai figli: il fallimento di un progetto di realizzazione personale attraverso i figli (la mancata realizzazione di un rapporto di prolungamento di sè nei figli).
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