sabato 19 marzo 2016

LA PELLICOLA

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In cucina la pellicola trasparente in materiale plastico si affianca ad altri tipi di materiale a rotolo ad uso domestico come la carta da forno e la pellicola di alluminio per confezionamento. Viene utilizzata sia per avvolgere porzioni di cibo che per sigillare contenitori, eventualmente anche in vista del loro congelamento.

Le prime pellicole per alimenti vennero prodotte utilizzando il cellophane, un materiale plastico trasparente la cui sintesi fu scoperta all'inizio del XX secolo. Nei decenni successivi ad esso vennero affiancati, per la produzione di pellicole alimentari, vari altri polimeri organici come il polietilene. A partire dagli anni Trenta del Novecento si cominciò a produrre il PVC, che nella restante parte del XX secolo ebbe il predominio tra i materiali utilizzati allo scopo grazie alla sua economicità e alla facilità d'uso.

Anche a causa della riconosciuta pericolosità degli additivi usati nella produzione del film in PVC negli ultimi anni è notevolmente aumentata la quota di pellicole per alimenti prodotti con altre materie plastiche tra le quali, in particolare, il polietilene.

Da vari anni è noto che l'uso di alcune tipologie di pellicole plastiche può causare la contaminazione degli alimenti conservati con sostanze nocive alla salute. Sotto accusa sono in particolare gli ftalati, una classe di sostanze che viene addizionata al PVC per migliorarne la flessibilità e la modellabilità. Il rischio di contaminazione è maggiore negli alimenti che contengono una notevole quantità di lipidi, nei quali gli ftalati sono più facilmente solubili. La percentuale di ftalati che può essere contenuta nelle pellicole è stata molto limitata dalla legislazione vigente, e varie ditte commercializzano film a base di polietilene nei quali il PVC è del tutto assente.
A leggere i risultati di numerose ricerche sono responsabili di alterazioni ormonali, riduzione della fertilità maschile, malformazioni a livello fetale e bioaccumulo ai danni di fegato e reni. Ci sono addirittura dati che risalgono già al lontano 1971: i laboratori dell'Istituto oncologico di Bologna avviarono un progetto a lungo termine per conoscere approfonditamente gli effetti di questa sostanza. Dopo anni la conclusione: il monocloruro di vinile è un cancerogeno multipotenziale, cioè capace di colpire organi diversi e di sviluppare una varietà di tumori.
I test per verificare se i materiali usati per i contenitori cedono molecole nocive ai cibi che ricoprono non sono effettuate direttamente su formaggi o yogurt ma ricorrendo a "solventi" che simulano il loro comportamento chimico. I solventi sono messi a contatto con il contenitore incriminato alla temperatura stabilita e per un periodo che è al massimo di dieci giorni. A questo punto, ricorrendo a diverse tecniche, si misura la quantità totale di molecole che dal contenitore passano al solvente. E letti i risultati non c'e da stare allegri.



È buona norma evitare di coprire l'alimento quando esso sia ancora caldo anche in modo da impedire la formazione di condensa all'interno della pellicola; è inoltre del tutto sconsigliato utilizzare le pellicole nel forno a microonde.

Oltre che nella conservazione domestica degli alimenti le pellicole alimentari sono massicciamente usate nel commercio e in particolare nella GDO per proteggere vari tipi di alimenti freschi destinati alla vendita quali carni, formaggi, verdure e frutta. Anche nel campo del catering e della ristorazione essa viene usata per proteggere cibi quali piatti pronti o panini.

Pellicole per alimenti, sacchetti di biscotti, bottiglie dell'acqua, vaschette delle yogurt... La lista dei film plastici che la famiglia tipo porta ogni giorno in casa dopo aver fatto la spesa.
E se andiamo a tirare due conti si vedrà che 100 euro di acquisti equivalgono a due chilogrammi di plastica. Se, poi, tracciamo il bilancio di fine mese l'imballaggio arriverà a toccare quota dodici chilogrammi. E se moltiplichiamo per milioni di famiglie le cifre salgono vertiginosamente, indicando che occorre iniziare a preoccuparsi seriamente del fenomeno.
Prima di tutto per l'inquinamento ambientale e le difficoltà di riciclo, poi per il fatto che alcune componenti, come il Pvc, possono scatenare non poche patologie a carico degli ignari consumatori.

"Il trionfo della plastica, a partire dal primo dopoguerra - puntualizza Andrea Masullo, responsabile rifiuti del Wwf - sta ad indicare che l'aspetto ambientale del problema è stato assurdamente sottovalutato. Basti pensare che di plastica ce ne sono addirittura 50 tipi e che il recupero ha successo solo se si è in grado di separare le diverse tipologie e se dalla plastica usa e getta si passa a quella riciclabile".

In genere gli imballaggi sono suddivisi in tre categorie. I primari cioè quelli destinati alla vendita al dettaglio di quei prodotti che dall'originaria funzione protettiva sono diventati autentici oggetti di moda. I secondari impiegati durante la distribuzione delle merci, per raggruppare più unità di prodotto (ad esempio la pellicola che veste le bottiglie di plastica).
I terziari, che entrano poco a contatto con il consumatore, sono invece destinati al trasporto di notevoli quantità di merce.
Nel mondo la produzione complessiva è valutata intorno agli 863 miliardi di euro con gli Stati Uniti leader indiscussi (30%) del settore e l'Europa occidentale al posto d'onore (19%).

Dare la preferenza a prodotti non rivestiti di plastica: ad esempio è importante per le bevande, i grassi e gli oli in genere. Tanto più per frutta e verdura.
Per migliorare la conservazione degli ortaggi in frigorifero, il tradizionale film di plastica può essere sostituito con efficacia da un canovaccio appena inumidito.
Lo stesso si può fare per i formaggi. In questo modo si evita la disidratazione degli alimenti allontanando allo stesso tempo ogni rischio di contaminazione.
Inoltre, vale la pena ricordare di non lasciare al sole o in prossimità di fonti di calore bottiglie e simili: la plastica risente della temperatura e più è alta più quest'ultima cede molecole.
Infine sarebbe consigliabile verificare quanto tempo è passato dal momento in cui è stato confezionato il prodotto. Quello che è un semplicissimo accorgimento non è però sempre attuabile perché spesso sulle etichette non c'è la data di confezionamento accanto a quella di scadenza.



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