lunedì 13 aprile 2015

IL LATTE

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I nostri progenitori impararono ben presto ad apprezzare e sfruttare le qualità dei Ruminanti e sicuramente il primo sodalizio si stabilì tra l'Uomo preistorico e le specie Ovina e Caprina: l'attitudine nomade di quell'epoca ben si adattava ad una civiltà pastorizia, in cui pecore e capre giocavano un ruolo fondamentale nel convertire pascoli magri e stentati in materie preziose per la sopravvivenza umana: latte, carne, lana. La notevole facilità di deterioramento del latte e sicuramente una casualità tanto fortuita quanto fortunata portarono alla sua trasformazione in formaggio; tuttavia, a questo punto della sua evoluzione, l'uomo si trovò a desiderare una collocazione stabile all'interno di un territorio ed una disponibilità continua nel corso dell'anno di latte per sé e la sua prole, condizione questa impossibile da attuare con pecore e capre, in quanto specie a riproduzione stagionale: ecco l'origine della "civiltà del bovino" che favorì il passaggio da una vita nomade ad un'agricola, con il nascere di un primo concetto di territorialità fissa. Certo molti secoli dovevano ancora trascorrere prima che l'uomo imparasse a trarre un reddito economico dall'allevamento del bovino, ma ormai le basi di questo rapporto erano gettate, destinate a consolidarsi e durare nel corso della storia sino ai nostri giorni.
Molto probabilmente Bovini, Ovini e Caprini d'origine Asiatica giunsero nel Vecchio Continente dove furono addomesticati circa 9000 anni fa. Come si è detto l'uomo non ci mise molto a scoprire gli indubbi vantaggi nell'allevare queste specie che, oltre a fornire latte, carne e lana, avevano il merito d'essere formidabili trasformatori d'alimenti praticamente inutilizzabili dall'uomo stesso: il ruminante infatti è in grado grazie ai suoi 4 stomaci di riciclare ed assimilare anche cibi che non sarebbero d'alcuna utilità nutritiva se non venissero rielaborati in quel naturale laboratorio di fermentazione che è il rumine.
Tale particolarità alimentare ci fornisce un'ulteriore giustificazione del concetto di reddito economico legato all'allevamento di queste specie, fatto del resto già noto agli antichi Romani, che designavano il denaro con la parola "pecunia" derivata da "pecus", cioè bestiame, e stimavano la ricchezza di una persona in base al capitale cioè al numero di capi (càpita = teste) di bestiame posseduto. L'origine del nome della nostra nazione: Italia deriva con tutta probabilità da " Vitalia", cioè "Terra dei vitelli".

Il suo scopo è dare nutrimento ai cuccioli durante le prime fasi della loro vita. Dal punto di vista chimico, il latte rientra nella famiglia dei colloidi, un'emulsione per l'esattezza, poiché contiene al suo interno macromolecole, ovvero composti aventi grandezza superiore ai 500 nm come, ad esempio, proteine e acidi nucleici. Le femmine dei mammiferi, compresi gli umani, sono provviste di ghiandole mammarie che servono per produrre il latte con il quale si alimenteranno i cuccioli appena nati. Nei mammiferi superiori queste ghiandole sono organizzate a formare la mammella. A seguito del parto, dunque, il corpo della genitrice distribuirà col latte riserve di nutrimento accumulate in gestazione per coprire il periodo di sviluppo della capacità edule propria del piccolo. Il piccolo di mammifero ha in genere un istinto prevalentemente ormonal-olfattivo, che lo indirizza al capezzolo, se presente nella specie, dove potrà suggere il prezioso alimento.

Il primo liquido prodotto dalle mammelle, dopo ciascun parto, è detto colostro, una soluzione simile al siero plasmatico contenente in diversa misura a seconda della posizione tassonomica dell'animale, anticorpi (immunoglobuline A che vanno a sostituire IgG e IgM nel corso dell'evento), linfociti e altre cellule modulatrici della risposta immunitaria, prostaglandine e altri componenti lipidici, zuccheri, vitamine principalmente della frazione liposolubile, aminoacidi e ioni. Principalmente utile al trasferimento della risposta immunitaria al neonato, all'induzione della peristalsi intestinale e all'espulsione del meconio.

Dopo un certo periodo dal parto, proporzionale nella maggior parte dei mammiferi, il colostro è sostituito dal latte vero e proprio, successivamente alla montata lattea. Esso ha le proprietà nutritive necessarie allo sviluppo del piccolo, ma ridotte funzioni a livello immunitario, data la capacità dell'apparato digerente in via di sviluppo, di digerire le immunoglobuline (ormai prevalentemente IgA) presenti. La resistenza batterica del latte stesso viene affidata al lisozima. La funzione immunitaria è basilare nelle specie a placenta di tipo sindesmocoriale, impermeabile al trasferimento anticorpale madre-figlio, e varia considerevolmente nell'ambito delle famiglie della classe. Dopo la mungitura, per azione residua delle citate sostanze, per qualche ora (3-4) si registra una certa azione batteriostatica (non battericida), che poi va scemando rapidamente fino a scomparire.

La capacità di suzione dei neonati è innata. La capacità produttiva delle mammelle è diversa da specie a specie e da esemplare a esemplare di ciascuna specie, ma può esserne opportunamente aumentata la sua estensione temporale. Negli animali da reddito ciò ottimizza le "prestazioni" dei capi da latte; nella donna dà origine al baliaggio, cioè l'attività della balia, che fornisce latte a piccoli non suoi con una produzione pressappoco ininterrotta nel corso dell'età fertile.

Nella specie umana la capacità di suzione, presente come riflesso immediatamente dopo il parto, viene persa a circa 4 mesi di vita. I meccanismi di suzione adeguata (corretto attaccamento, allattamento a richiesta e rispetto dei tempi della diade madre-neonato) contribuiscono alla preparazione del seno alla montata lattea. L'allattamento, che di solito tende a ridursi gradualmente in fase di svezzamento, eccezionalmente, in alcuni ambiti culturali può durare fino a 7 anni. In genere, dopo il 6º mese compiuto può avvenire lo svezzamento del piccolo.

A seconda della specie animale, il latte ha diverse componenti di cui la quantità varia considerevolmente. Ciò è particolarmente vero nel caso della percentuale di grassi che raggiunge valori altissimi nei mammiferi marini in genere: per esempio nelle foche e nei cetacei si raggiungono valori superiori al 50%. Anche artiodattili di climi freddi, come yak, alci e renne, producono comunque latte a elevatissimo potere calorico.

La casoxina è un antioppiode, mentre caseomorfine e lattorfine, contenuti nel latte di tipo A1 e assorbiti nell'intestino, hanno un'azione oppiode-simile: narcotica, analgesica, calmante sui sistemi respiratori, cardiovascolare, nervoso centrale e periferico; rallenta il transito nel lume intestinale e favorisce il riassorbimento di acqua ed elettroliti, in caso di sindromi diarroiche. Le caseoplatine, derivate dal κ-caseinoglicomacropeptide (che si forma durante la caseificazione), hanno una sequenza dove sono presenti alcuni residui aminoacidici (Ile-108, Lys-112, Asp-115) che si trovano anche nella catena γ del fibrinogeno e si ipotizza che competano con questo nel legarsi alle piastrine.

L'introduzione del latte extraspecie nell'alimentazione umana è un fatto cronologicamente piuttosto recente. Dalle origini della nostra specie, datata a circa 200 000 anni fa, la capacità di digerire da adulti il lattosio contenuto nel latte è da riferirsi a una mutazione genetica occorsa nell'uomo in un periodo non posteriore agli ultimi 7 000 anni. Detta mutazione concerne la sintesi e la persistenza in età adulta dell'enzima lattasi, indispensabile per la digestione (idrolisi) del disaccaride in zuccheri semplici e quindi per l'utilizzo dello zucchero del latte o lattosio da parte del nostro organismo. La distribuzione tra la popolazione umana di questa mutazione non è omogenea ma varia considerevolmente per individuo ed etnia.

La rivoluzione negli usi e nella cultura del neolitico ha poi favorito la selezione naturale umana, amplificando la presenza di individui così mutati nelle civiltà a cultura dedita all'allevamento e alla pastorizia, prima in vicino e medio oriente e successivamente nel resto di Europa e Africa, con prevalenza del nord.

La produzione e commercializzazione attuale del latte per scopi alimentari umani si basa sull'allevamento di animali come per esempio la vacca, la bufala, la pecora, la capra, l'asina. Quando si parla di "latte", in Italia per legge s'intende quello vaccino, mentre la specificazione risulta obbligatoria per le altre varianti: latte bufalino, latte pecorino, latte caprino, latte di asina.

Nel corso del XX secolo si è assistito a un enorme progresso della zootecnica e dell'industria di trasformazione, centrato sulla qualità e sulla digeribilità del prodotto.

Questi tipi di latte di origine animale sono chiamati a sostituire quello materno dopo lo svezzamento. Nelle società occidentali e medio orientali, che storicamente o culturalmente hanno ereditato usi e conoscenze di secoli di allevamento, con il metodo più efficiente di trasformare i prati incolti del loro ambiente in sostentamento, il latte e i suoi derivati occupano una posizione importante. Nella tradizione culturale italiana, che eredita tutto il peculiare universo della civiltà contadina, il latte ha una sua particolare posizione che attiene agli usi, al lavoro e all'economia delle popolazioni che appunto provengono da una strutturazione sociale agro-pastorale.

In questi ambiti il latte è, quanto il pane e più caratteristicamente di questo, e in assenza di intolleranze, alimento utile, per tutte le età, dall'infante all'anziano che per vari motivi si trova privo di alternative per alimentarsi, passando per tutte le fasi nelle quali se ne assumono gli importantissimi contenuti di calcio e proteine, vitamine, zuccheri e lipidi.

In culture non dedite all'allevamento, invece, l'importanza del latte è marginale o assente, e le percentuali di intolleranza al latte sono comprese tra l'80% e il 100%.

Nel II secolo a.C. comincia in Cina la produzione del latte di soia, in alternativa al latte di specie animali d'allevamento. Ben più recente è invece la produzione di latte artificiale.

Le caseine oltre a essere la classe proteica più rappresentata nel latte rappresentano, insieme alla β-lattoglobulina, i principali antigeni, causa di allergie, più frequente nei primi anni di vita ma che spesso tendono poi a scomparire con l'età, anche se talvolta causa di gravi shock anafilattici. L'ubiquità di questi composti negli alimenti tende a complicare il controllo della patologia.

La stragrande maggioranza delle intolleranze al latte, e non delle vere allergie, è invece da imputarsi a un'intolleranza al lattosio, spesso sopravveniente progressivamente in età adulta, o a seguito di stati patologici. Nell'ambito del precedentemente descritto processo d'idrolisi del lattosio interviene un deficit di produzione da parte delle cellule intestinali del duodeno dell'enzima lattasi. La permanenza del lattosio indigerito ne determina la fermentazione da parte della flora intestinale con produzione di gas e acidi organici, e richiamo nel colon per osmosi di acqua con conseguente flatulenza, meteorismo, crampi addominali, diarrea e in assenza di provvedimenti, dimagrimento. La deficienza di lattasi nell'intestino, a parte casi estremi di drastici interventi chirurgici, non è mai totale, e non viene ritenuta necessaria una idrolisi totale del lattosio nei latti "delattosati", il cui uso continuato potrebbe invece ingenerare una riduzione dell'enzima naturalmente prodotto e contenuto nel tratto intestinale a livello dei microvilli.

Infine esiste una limitata casistica di intolleranza alle proteine del latte, non di tipo allergico, nota con l'acronimo inglese MPI.

Si è a lungo sostenuto che un elevato consumo di latte non prevenga l'osteoporosi, né aiuti i soggetti affetti da questa patologia, inclusi quelli più a rischio per motivi fisiologici, come le donne in menopausa. Infatti, come afferma l'Harvard Nurses' Health Study, che ha seguito clinicamente oltre 75.000 donne per dodici anni, ha mostrato che l'aumentato consumo di latte non avrebbe alcun effetto protettivo sul rischio di fratture. C'è chi sostiene che l'aumentata introduzione di calcio attraverso latte e latticini sia associato ad un rischio di fratture più elevato, dato che le proteine contenute nel latte avrebbero un alto grado di acidità, e ciò significa che, per quanto il latte possa fornire calcio e vitamina D, provocherà anche delle reazioni fisiologiche volte a tamponare l'acidità provocata dall'assorbimento delle suddette proteine con conseguente impoverimento dei depositi di calcio contenuti nelle ossa; questo meccanismo, tuttavia non sembra essere convalidato da studi validi poiché il tamponamento di acidità da parte del sangue non dovrebbe riguardare l'assorbimento di calcio.Altri studi non hanno evidenziato alcun effetto protettivo sull'osso da parte del calcio proveniente dai derivati del latte. Occorre tuttavia precisare che nonostante questi studi hanno avuto come soggetti d'indagine soprattutto donne bianche di età superiore ai 34-60 anni; per questo motivo non è possibile generalizzare i risultati ottenuti nelle categorie escluse quali giovani donne, individui di sesso maschile o rappresentanti di altre etnie.

Al contrario, molti studi recenti hanno confermato l’esatto opposto. Ovvero che latte, formaggi e yogurt sono i migliori alimenti per la prevenzione dell’osteoporosi. Questi studi dimostrano che alimenti ricchi di ossalati come gli spinaci, cavoli, asparagi e pomodori sembrano ridurre l’assorbimento di calcio da tali alimenti, così come anche gli alimenti ricchi in fitati come i legumi, la soia e i cereali integrali. Per tale motivo, nonostante i benefici per la salute, questi alimenti non sembrano essere una buona fonte di calcio. Il latte e derivati sono considerati tra tutti gli alimenti le principali fonti di calcio. Anche il ministero della salute sostiene che l’apporto di calcio e vitamina D siano indispensabili per la prevenzione dell’osteoporosi e che il latte sia fondamentale sia in età giovanile, per il raggiungimento di un picco di massa ossea elevato, sia in età avanzata per evitare fratture ossee. Inoltre si è evidenziato come una minore densità ossea è stata osservata in soggetti intolleranti al lattosio. Soggetti carenti dell'enzima lattasi sembrano essere più inclini a osteoporosi e fratture ossee. Si ritiene che per la prevenzione sia importante per le donne un adeguato supporto di calcio durante tutta la vita e non solo quando l'osteoporosi è già emersa. Inoltre solo il calcio non basta, è necessaria anche un'adeguata attività fisica, integrare un'adeguata quantità di vitamina D, ed evitare fumo e alcol.

Il latte non ha gusto costante, perché il suo sapore dipende fondamentalmente dall'alimentazione dell'animale che lo produce. Questo è il motivo della distinzione qualitativamente avvertibile da chiunque sorseggi latte d'alpeggio e di animali a pascolo libero. Oggigiorno le stalle moderne per produzione industriale attuano un'alimentazione costante tutto l'anno, col cosiddetto unifeed o tecnica del piatto unico, mangime miscelato e contenente tutti i nutrienti, non tutti necessariamente da foraggi, ma a seconda dei periodi dell'anno e della legislazione vigente, che ne regolamenta vietandone o permettendone l'uso, additivati di fibre, derivati industriali che residuano dall’estrazione della frazione oleosa per via meccanica o mediante solventi di semi (farine di estrazione e panelli), grassi di diversa origine, per lo più oli di semi, farine di pesce, sangue e altro. A tutto il 2008 in Europa è temporaneamente vietato, per la questione relativa all'eradicazione delle encefalopatie spongiformi trasmissibili, l'uso di farine di carne e di ossa provenienti da mammiferi.

Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente organolettici, si può dire che più intensivo è il trattamento termico (sia di refrigerazione che di riscaldamento) per la conservazione, minore è il contenuto aromatico proprio del latte. Mentre l'omogeneizzazione dei grassi incide solo sugli aspetti tattili, la scrematura invece ha effetto sul gusto.

Spesso confusi, il latte fresco e il latte crudo sono due prodotti diversi, non solo dal punto di vista organolettico e nutrizionale, ma anche legale a causa del differente processo produttivo e distributivo.

Viene definito latte fresco pastorizzato (introdotto in Italia con la legge n. 169/89) il latte che perviene crudo allo stabilimento di confezionamento e che, ivi sottoposto a un solo trattamento termico entro 48 ore dalla mungitura, presenti al consumo definite caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche che il produttore deve garantire ad ogni lotto". Le condizioni igieniche di trattamento fino alla vendita devono soddisfare i criteri HACCP stabiliti dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) relativi alla garanzia di gestione dei rischi sanitari. Le confezioni sono in genere da 1 litro o 1/2 litro. Ha un prezzo al consumo mediamente più elevato, legato al processo di pastorizzazione (in sintesi: 72 °C per 15 secondi), di confezionamento e di trasporto da distanze maggiori alla centrale. Si può peraltro reperire a un prezzo minimo più basso.

Da notare che latte pastorizzato e latte fresco pastorizzato sono, per legge, due cose diverse: il primo non ha il requisito del conferimento crudo entro 48 ore nonché l'obbligo di un maggior contenuto di proteine integre che ha invece il latte fresco. C'è anche da dire che il latte pastorizzato, realizzato con una pastorizzazione bassa e lenta, è scarsamente commercializzato a differenza del latte fresco pastorizzato.

Il latte crudo (anch'esso definito dalla legge sopraccitata) non è trattato termicamente ed è prodotto nel rispetto delle norme igieniche alla stalla; presenta naturalmente una flora batterica in ragione delle condizioni igieniche di mungitura e della gestione del raffreddamento nonché dello stato igienico degli impianti e della loro gestione. È quindi uno specchio della flora batterica dell'allevamento e delle pratiche di mungitura. Enzimi come la fosfatasi, lisozima e proteine attive termolabili non sono denaturate, e i sali inorganici di calcio e fosforo sono in forma leggermente più solubile. Altre proteine come la caseina risultano leggermente più digeribili, mentre i grassi meno finemente dispersi lo sono meno. Le vitamine termolabili, pur in quantità non molto importante, salvo la D che è scarsa, sono presenti in toto. Il latte è solamente filtrato con eliminazione di impurità grossolane. Viene munto in giornata. Quello venduto direttamente al consumatore ha una "filiera produttiva corta" in quanto non passa dalla centrale per i trattamenti di risanamento. La quantità acquistabile non è vincolata dalla confezione, ma regolata dalle norme metrologiche relative al sistema di distribuzione: in pratica equiparata al prodotto pastorizzato, ha un prezzo medio più basso in ragione dell'assenza dei trattamenti di risanamento presso la centrale e dei relativi costi di approvvigionamento e distribuzione.

Il latte fresco pastorizzato ha una bassissima carica batterica banale e l'assoluta garanzia di assenza di patogeni verificata ogni giorno e ad ogni ciclo produttivo. Le sieroproteine sono per il 20% circa delle proteine totali. Alcuni enzimi come la fosfatasi sono in ogni caso inattivati, il che serve anche come indice (facile da rilevare) dell'avvenuta pastorizzazione e quindi dell'inattivazione dei germi patogeni. Le vitamine termolabili (C, B), pur presenti in quantità non significativa per il fabbisogno umano (il latte non è un alimento importante per l'apporto vitaminico e negli USA vige l'obbligo di integrazione per il latte di consumo, almeno con Vit. D) possono in certo grado essere degradate (circa 10%) dal trattamento di pastorizzazione. Il latte è omogeneizzato, quindi i grassi sono più facilmente dispersi e digeribili. La distanza temporale dal momento della mungitura deve essere non superiore alle 48 ore.

Il latte crudo è stato, nelle popolazioni occidentali e medio orientali, un alimento quotidiano tradizionale. In Italia, come in tutti i paesi del mondo, dai primi anni del Novecento, per importanti problemi sanitari legati alla probabile presenza di germi patogeni derivanti dalla zona e arnesi di mungitura, fu imposta la pastorizzazione del latte (dal premio Nobel Louis Pasteur).

Oggi è permessa nuovamente la vendita di "latte crudo" entro una zona definita rispetto alla localizzazione del produttore, distinto dal "latte fresco" pastorizzato, solo se l'allevamento di provenienza ha condizioni igienico sanitarie adeguate; prima il latte poteva essere venduto crudo solo alla stalla; per questo stanno diffondendosi i distributori di latte crudo gestiti direttamente dagli allevatori, le cui mandrie sono sottoposte a definiti controlli igienico-sanitari due volte al mese. Pur in presenza, ormai, di standard di processo estremamente sicuri, per evitare qualsiasi rischio di contaminazione patogena, è stato prescritto (5 gennaio 2012) dal Ministero della Salute (confermando precedenti ordinanze) l'obbligo di avvertire in modo evidente il consumatore sulla necessità della "bollitura casalinga prima del consumo". I produttori di latte che vendono latte crudo tramite lattodistributori sono mappati sul territorio da associazioni e consorzi.

Il latte fresco di alta qualità (D.M. 185/91) è un latte fresco che ha un tenore di sieroproteine di almeno il 15,5% (a differenza del 14% del latte fresco). Pertanto, è un latte fresco maggiormente nutriente. Deve rispettare anche altri requisiti in ordine a: controlli delle vacche, delle stalle e degli impianti, numero di cellule somatiche e carica batterica, modalità di refrigerazione e consegna dalla stalla all'impianto, trattamento di pastorizzazione.

Il latte fresco di alta qualità può essere commercializzato nella sola versione intero.

Il latte pastorizzato è molto diverso dal latte UHT o a lunga conservazione (3 mesi data confezionamento) per non parlare del latte sterilizzato (6 mesi data confezionamento): in questo caso, le differenze organolettiche e nutrizionali sono assai rilevanti.

Il latte sterilizzato (segue sempre la dicitura standard "a lunga conservazione"), a parte lo sgradevole aroma di "cotto", ha veramente poco di nutritivo. Rispetto al latte UHT il cui trattamento è sul prodotto prima del confezionamento, il latte sterilizzato subisce successivamente un ulteriore risanamento termico ad alta temperatura (120 °C circa) e per un intervallo di 20 minuti eseguito sul contenitore. Nei paesi occidentali la commercializzazione di latte sterilizzato è, tuttavia, rara.

Nel latte UHT, invece, gran parte dei nutrienti vengono conservati mentre non vi è presenza della flora batterica probiotica o di quella patogena.

Il latte, per la sua composizione (presenza di nutrienti, in particolare proteine, alto contenuto di acqua), è un substrato ideale per la crescita dei microrganismi. Inoltre essendo un prodotto di origine animale, può facilmente albergare agenti infettivi ed essere quindi veicolo di malattie trasmissibili dagli animali all'uomo (zoonosi). Tra le zoonosi più rilevanti ci sono brucellosi, listeriosi, salmonellosi, e tubercolosi.

Il latte, essendo un'emulsione di grassi in una soluzione acquosa, può essere contaminato da numerose sostanze sia lipo- che idrosolubili.

Tali contaminazioni possono avere origine ambientale (ad esempio residui di fitofarmaci, tossine di origine fungina che l'animale ingerisce con l'alimentazione), oppure derivare da contaminazioni durante il processo di trasformazione e conservazione (ad esempio contaminazione da Itx derivante dei processi di stampa delle confezioni, ora vietato) oppure essere il risultato di sofisticazioni (come avvenuto nel caso dell'aggiunta fraudolenta alla produzione o durante i trasporti, di sostanze azotate come (urea) melammina in Cina, atta a elevare apparentemente il contenuto proteico del latte), o semplicemente sale, atto a mascherare l'aggiunta di acqua.

Il latte crudo può essere sottoposto ad alcuni trattamenti preliminari prima delle procedure di sterilizzazione.

Con la centrifugazione le particelle più pesanti (materiale grossolano e parte delle cellule somatiche) sedimentano sul fondo e vengono allontanate, mentre le parti più leggere vengono separate (scrematura) e poi rimiscelate al latte per ottenere una determinata percentuale di grasso (per determinarne la percentuale uno dei primi sistemi usati fu nel 1892 il metodo Gerber).

La scrematura si effettua a una temperatura di circa 55 °C, ottenendo la completa separazione della parte grassa (la panna). Più è lunga e intensa la centrifugazione, migliore è la separazione. Il latte magro che si ottiene ha un residuo grasso dello 0,1-0,5%. Per rimiscelazione in linea della panna si ottengono i titoli di grasso desiderati (valori imposti dalla legge per il latte alimentare):

0,3% al massimo per il latte scremato;
tra 1,5 e 1,8% per il latte parzialmente scremato;
3,5% almeno per il latte intero.
È definito come "latte" tal quale il latte che non ha subito trattamenti di scrematura né trattamenti termici.

Durante il processo di pastorizzazione o sterilizzazione, il latte può essere omogeneizzato. L'omogenizzazione è un procedimento quasi universalmente utilizzato dalle centrali di trattamento in particolare per evitare l'affioramento del grasso del latte alimentare. Il latte viene fatto passare sotto alta pressione attraverso una particolare valvola (omogeneizzatrice) in grado di ridurre tutti i globuli di grasso in particelle di diametro quasi uniforme 20 volte minore che nel latte crudo, costituendo così un'emulsione stabile, ed evitando problemi di affioramento nel tempo di conservazione. Il prodotto diventa più facilmente digeribile per il consumatore, al quale è garantita uguale percentuale di grasso nel periodo di consumo.

Il primo trattamento avviene nella sala mungitura. Qui il latte, che esce dalle mammelle delle mucche con una temperatura di 37 °C circa, viene convogliato in tank latte chiuse dove è raffreddato entro tempi fra 20 e 460 minuti, e conservato a 4-6 °C. Con questa temperatura i batteri che hanno inquinato il latte dall'uscita della mammella in poi, si riproducono più lentamente che d'ordinario (37 °C della vacca e c.a 20-25 °C dell'ambiente). Poi il latte viene trasferito sulle autobotti isoterme (coibentate), che lo trasportano ai caseifici per la trasformazione in prodotto finito.

Grazie alle scoperte del chimico francese Louis Pasteur, riguardanti l'uccisione delle brucelle col calore, si suole oggi pastorizzare ovvero riscaldare il latte a temperature capaci di uccidere i microbi patogeni e gran parte della microflora saprofita (banale). Il trattamento riduce notevolmente la carica batterica, causando minime variazioni organolettiche e nutrizionali, compensate largamente dalle condizioni di sicurezza igienica.

Tutti i trattamenti si concludono con il raffreddamento a 4 °C: a questa temperatura il latte fresco si conserva per 6 giorni, attraverso la catena del freddo (camion frigoriferi per la distribuzione in città, banco frigorifero del lattaio, e finalmente il frigorifero di casa).
La pastorizzazione bassa si applica oggi solo in presenza di latte a minimo rischio di contaminazione, che viene portato a 63 °C per un periodo di 30 minuti. L'evoluzione genetica di taluni batteri però rende comunque assai poco efficace il trattamento per usi di alimentazione diretta.

Pastorizzazione rapida HTST (High Temperature Short Time): il latte, a seguito di preriscaldamento, è portato velocemente a una temperatura minima di 72 °C per almeno 15 secondi. Tale pastorizzazione è resa possibile tramite una riduzione in strato sottile del latte che viene fatto passare tra piastre riscaldate (stassanizzazione). La stassanizzazione sfrutta altresì il fenomeno che vede le cellule batteriche attratte verso la superficie della piastra di scambio termico: ciò provoca un moto turbolento del liquido che garantisce uno scambio termico efficiente e uniforme. Questa temperatura uccide circa il 96% dei batteri (di primaria importanza è l'abbattimento della carica batterica rappresentata dalle forme vegetative dei micobatteri della tubercolosi e batteri della brucellosi, oltre ad altri patogeni importanti), mentre resta un 5% costituito dalle spore, cioè da batteri che si sono trasformati in una forma molto resistente al calore. Per rallentare la crescita dei batteri rimasti, il latte viene subito raffreddato a 4 °C. Il latte pastorizzato può essere conservato a 4 °C per sei giorni. Il latte che ha subito tale trattamento può definirsi "fresco" e deve risultare "fosfatasi negativo" e "perossidasi positivo", a dimostrazione oggettiva che il trattamento termico è stato fatto a una temperatura non inferiore a 72 °C e non superiore a 78 °C per 15 secondi (sopra il livello di distruzione dei patogeni e non surriscaldato).

Il trattamento UHT (Ultra High Temperature) è una particolare tecnica di sterilizzazione che consiste nel trattare il latte omogeneizzato e preriscaldato ad almeno 135 °C attraverso l'impiego di vapore acqueo surriscaldato per non meno di un secondo. Si parla di UHT a sistema "indiretto" quando la sterilizzazione del latte avviene tramite scambiatori di calore (piastre o tubi), mentre viene detto UHT "diretto" (Uperizzazione TM°) quando la sterilizzazione del latte avviene in contatto diretto con il fluido riscaldante cioè il vapore acqueo, che viene rievaporato nella successiva fase di raffreddamento flash sotto vuoto. In genere il trattamento diretto (circa 140 °C per 2-4 secondi) dà luogo a un prodotto organoletticamente migliore del trattamento indiretto per un minore "effetto termico". Successivamente si raffredda il latte a 15-20 °C e si procede entro impianti sterili chiusi, in flusso continuo, al confezionamento asettico del latte in contenitori sterilizzati in linea (brik, bottiglie in HDPE o PET) che vengono chiusi ermeticamente. La condizione di ermeticità del contenitore è condizione essenziale della lunga conservazione.

Anche il trattamento UHT non garantisce la distruzione delle spore più resistenti: la sterilità commerciale viene definita come "assenza di microorganismi capaci di riprodursi e recare danni al prodotto nelle usuali condizioni di conservazione a temperatura ambiente" (stabilità microbiologica). Il latte UHT è considerato a "lunga conservazione" e si può conservare per circa 3-6 mesi a temperatura ambiente. Le confezioni dei vari tipi di latte sterilizzato UHT devono riportare il termine minimo di conservazione "da consumarsi preferibilmente entro..." (giorno, mese, anno). Ciò significa che anche dopo la data di scadenza, per un tempo ragionevole, il prodotto può essere consumato, nonostante le qualità organolettiche possono risultare alterate.

La sterilizzazione è il trattamento termico più energico, che assicura la completa eliminazione di tutti i batteri, anche delle spore. Il latte così sterilizzato ha una lunga conservazione a temperatura ambiente, anche oltre i 6 mesi. Il processo è costituito da un trattamento flash, seguito da riempimento e sigillazione del contenitore (vetro-lattina) con susseguente sterilizzazione in autoclave (continua o discontinua) del contenitore chiuso. Tuttavia, una volta che si è aperto un contenitore di latte sterilizzato (al pari dell'UHT) è necessario tenerlo in frigorifero e consumarlo entro pochi giorni; infatti potrebbe venire a contatto con i microrganismi presenti nell'ambiente, i quali all'interno dell'alimento non troverebbero alcuna competizione con altri batteri e sarebbero liberi di proliferare.

Il latte sterilizzato è rilevantemente più sicuro del latte UHT dal punto di vista batteriologico, ma ha subito un danno organolettico oggi non più accettato nella maggioranza dei casi, rispetto al latte UHT. Tale latte ha avuto il merito di rendere disponibile l'assunzione di un alimento così importante a fasce di popolazione vaste, allora poco raggiungibili dal "latte fresco". Dal punto di vista commerciale ha ormai una scarsa rilevanza poiché, oltre ai contenuti nutrizionali, anche il sapore risulta piuttosto alterato: è quindi principalmente destinato all'esportazione in paesi con condizioni sociali e climatiche difficili.

La microfiltrazione del latte è un trattamento puramente meccanico, con filtrazione molto sottile attraverso membrane ceramiche a maglie di 1-2,5 micron: questa filtrazione, in grado di separare fisicamente i microbi dal latte, viene praticata sulla sola frazione magra del latte senza interagire con le componenti nutritive in esso contenute.

Si separa la frazione lipidica del latte con la tradizionale centrifugazione a circa 50 °C. La frazione grassa (lipidica) non può essere sottoposta a microfiltrazione avendo i globuli di grasso dimensioni simili alle maglie della membrana filtrante. Il latte scremato, separato dalla panna, viene microfiltrato su membrana porosa eliminando la quasi totalità della flora microbica che ha inquinato il latte dopo l'uscita della mammella nell'ambiente di mungitura.

Le due frazioni, panna e latte magro microfiltrato, vengono poi miscelate in flusso continuo in rapporto tale da ottenere il titolo di grasso desiderato. Il latte titolato (intero, parzialmente scremato, scremato), a carica batterica estremamente ridotta, simile al momento di uscita dal capezzolo della mammella, viene pastorizzato a 72-75 °C per 15-20 secondi con il metodo di pastorizzazione classico HTST, che consente l'inattivazione di eventuali specie microbiche patogene residuali.

Si ottiene così un latte con caratteristiche microbiologiche eccellenti che ne consentono la conservazione in regime refrigerato per tempi lunghi, oltre 15 giorni dal trattamento, e con caratteristiche organolettiche ottimali, perfettamente sovrapponibili a un latte pastorizzato di qualità elevata.

I vari prodotti denominati latti HD, alta digeribilità, e relativi differenti nomi commerciali, sono indicati ai soggetti che non possiedono l'enzima lattasi o ne sono temporaneamente deficitari per alterazioni intestinali, e non possono scindere il lattosio nei costituenti. Il lattosio, zucchero del latte, viene trasformato negli stabilimenti, in due zuccheri semplici che costituiscono il disaccaride: glucosio e galattosio, per azione dell'enzima lattasi.L'intolleranza al latte, è dovuta quindi alla mancata scissione in monosoccaridi del lattosio; quest'ultimo attraverso fenomeni osmotici richiama liquidi nell'intestino crasso determinando disagi intestinali quali meteorismo e scariche diarroiche.

Per latte art si intendono una serie di tecniche di caffetteria moderne atte a creare disegni e decorazioni sui cappuccini o sui caffè o su latte macchiato col solo aiuto del latte oppure con appositi topping e stuzzicandenti. Si possono disegnare cuori, foglie, spirali e tanto altro ancora. Questa tecnica professionale è oggetto di concorsi internazionali. In Italia le parole Latteart e Latte Art sono state depositate con l'ottenimento della registrazione da Luigi Lupi che e' considerato il padre di questa tecnica.

Dalla noce di cocco si estrae un liquido bianco comunemente chiamato "latte di cocco", da con confondere con l'acqua di cocco, la quale si trova naturalmente all'interno del frutto.

In Cina venne inventato, nel II secolo a.C., il latte di soia, talvolta chiamato anche "latte vegetale".

In alcune regioni del mezzogiorno d'Italia è diffusa una bevanda chiamata latte di mandorla. È un prodotto agroalimentare tradizionale della Puglia e della Sicilia. In Sicilia orientale il latte di mandorla viene utilizzato per la produzione di granite, tradizionalmente consumate a colazione nel periodo estivo e in tempi moderni consumato come pasto veloce (granita con brioche) a qualunque ora del giorno.

La composizione del latte è altrettanto complessa e può variare in funzione di diversi fattori.
FATTORI GENETICI: da sempre l'uomo ha selezionato gli animali ad alta produttività di latte, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo (per ottenere un alimento ricco di grassi e/o proteine); d'altra parte ha selezionato anche le specie più resistenti al lavoro e quelle più idonee a fornire carni di qualità. Tutti questi elementi spiegano le differenze compositive di latti provenienti da vacche di razza diversa.
STATO FISIOLOGICO DELL'ANIMALE: dipende innanzitutto dalla fase di lattazione. La vacca inizia a produrre latte dopo la nascita del vitello e continua per un tempo variabile, che dura in media 200-220 giorni; la quantità di latte prodotta, che può arrivare ai 7000 kg, supera nettamente le esigenze del vitello (stimate in circa 1000 kg) e per questo motivo può essere in buona parte utilizzata per l'alimentazione umana. Come succede per tutti i mammiferi, uomo compreso, il latte di vacca varia la sua composizione nelle diverse fasi di lattazione; nella prima settimana viene prodotto un latte ricco di immunoglobuline, anticorpi e proteine (chiamato colostro), che garantisce al vitello una rapida ripresa e crescita dopo la nascita. La composizione chimica del latte inizia poi a variare, fino a trasformarlo in latte maturo, più ricco in zuccheri e grassi, ed utilizzato per l'alimentazione umano.
STATO SANITARIO DELL'ANIMALE: variazioni significative nella composizione del latte si verificano in concomitanza di mastite; questa infezione della mammella determina una ridotta produzione del latte e di tutte le componenti che derivano dalla ghiandola mammaria, come acqua, zuccheri e proteine, mentre aumentano i fattori che permeano dal sangue, come il cloruro di sodio e gli anticorpi. Gli allevatori si accorgono che l'animale è mastitico perché il pH del latte è più elevato rispetto alla norma, quindi superiore a 6,8.
FATTORI AMBIENTALI: forti escursioni termiche e stress ambientali di diversa natura influenzano la produzione lattea dell'animale, sia in termini quantitativi che qualitativi.
ALIMENTAZIONE: in genere l'alimentazione della vacca si basa sul foraggio, spesso integrato con farine di soia e cereali per aumentare la quota proteica e lipidica del latte. Solo un'alimentazione corretta, equilibrata ed ottimale garantisce infatti la massima produttività in relazione al patrimonio genetico della vacca.
FATTORI TECNOLOGICI: durante la mungitura il latte cambia la propria composizione e si arricchisce di sostanze lipidiche mano a mano che essa giunge al termine (questo aspetto, comune anche al latte di donna, determina sazietà nel vitello). Le varie frazioni di mungitura devono quindi essere riunite e miscelate.


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