mercoledì 10 febbraio 2016

ABBIGLIAMENTO VEGANO

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Già dagli inizi del XX secolo l'abitudine al consumo di prodotti lattiero-caseari era stata oggetto di forti dibattiti all'interno del movimento vegetariano. Nell'agosto del 1944 Elsie Shrigley e Donald Watson, due membri della Vegetarian Society, pensarono che fosse necessario formare un coordinamento di "vegetariani non consumatori di latticini", nonostante l'opposizione di eminenti vegetariani che rifiutavano l'idea di un vegetarianismo completamente privo di prodotti animali. Nel novembre dello stesso anno Watson organizzò a Londra una riunione di sei "vegetariani non consumatori di latticini", in cui venne deciso di costituire una nuova società, la Vegan Society, di cui Watson stesso fu eletto presidente, e di adottare come definizione il termine vegan, come contrazione di vegetarian.

Il termine indica una filosofia di vita basata sul rifiuto di ogni forma di sfruttamento degli animali (per alimentazione, abbigliamento, spettacolo e ogni altro scopo). La sola pratica alimentare di una dieta a base vegetale con l'esclusione di tutti i cibi di origine animale, separata dall'aspetto etico, è definita vegetalismo. Il vegetalismo può avere all'origine motivazioni etiche (se tale pratica alimentare viene adottata all'interno del veganismo), ma può anche essere dettata da ragioni di altra natura (quando tale pratica alimentare fa parte di una più ampia concezione di vita salutistica, ecologistica o religiosa). Il vegetalismo, oltre alla dieta vegana classica, comunemente adottata nel veganismo, comprende anche altre diete più restrittive che non implicano l'uso di ingredienti di origine animale, come la crudista vegana, la fruttariana o la dieta senza muco. Colui che adotta il veganismo come filosofia di vita viene definito vegano (o, con prestito dalla lingua inglese, vegan).

Il veganismo è dettato da principi etici di rispetto per la vita animale e basato sul pensiero antispecista e su una visione non-violenta della vita, come esemplificato nella posizione di Gary L. Francione e altri filosofi. Il veganismo può essere considerato la prassi della teoria antispecista e, nella pratica quotidiana, si traduce nel rifiuto di acquistare, usare e consumare, per quanto possibile e praticabile, prodotti derivanti da sfruttamento e uccisione degli animali, nonché il rifiuto di dedicarsi, partecipare e sostenere attività che implicano un uso dell'animale o la sua uccisione.

Fine della pratica vegana non è dunque quello di evitare l'uccisione di ogni forma di vita animale, un obiettivo che sarebbe, oltre che poco utile, impossibile da realizzare, in quanto anche un'esistenza limitata all'essenziale per la sopravvivenza comporta l'uccisione, diretta e indiretta, di numerosi animali (si pensi ad esempio al semplice atto del camminare, causa di morte di una moltitudine di insetti). Scopo del veganismo è invece quello di non partecipare allo sfruttamento e all'uccisione sistematica, intenzionale e non necessaria degli animali, evitando il sostegno ad attività quali l'allevamento degli animali per l'alimentazione umana, la sperimentazione sugli animali, la caccia e così via. Un vegano etico pertanto rifiuta l'idea che l'uomo abbia il diritto di disporre della vita degli altri animali come meglio crede, ma realisticamente riconosce che la semplice esistenza di un essere umano implica la morte accidentale e non intenzionale di altri animali.

Evitare tutti i prodotti in pelle. Le scarpe, in primis, ma anche le borse, i giubbotti, e le varie guarnizioni degli abiti, i divani. Basta solo fare attenzione a quel che si compra, per abiti e giubbotti, leggendo le etichette, e preferire le alternative in alcantara o "finta pelle". Per quanto riguarda le scarpe, in molti negozi ci sono alternative non in pelle, oppure si può optare per i negozi on-line che offrono una vastissima scelta di scarpe vegan, di svariati modelli e fasce di prezzo.

Attenzione a una cosa: non è vero che la pelle si può tranquillamente usare "perché tanto l'animale non viene ucciso apposta" e una volta morto per finire nelle pance altrui tanto vale usare il suo cadavere... no. In primis, perché non lo fareste mai con la pelle del vostro gatto, giusto? In secondo luogo, perché gli allevatori guadagnano tanti bei soldini con questo commercio, e non vorrete mica dar loro dei soldi, dopo che hanno ucciso l'animale?! A volte il guadagno che fornisce la pelle può fare la differenza tra andare in perdita o essere in attivo... Inoltre, la pelle più a buon mercato, quella che proviene dall'India, è ottenuta uccidendo l'animale appositamente per la pelle, non per la sua carne. Ben lungi dall'essere un sottoprodotto, dunque, la pelle è un prodotto a tutti gli effetti. Un prodotto che si può ottenere solo uccidendo animali. Per questo, va evitata, sempre.

Oltretutto, l'industria conciaria è una della più inquinanti, e quindi, rinunciando alla pelle si grava meno sull'ambiente.

Nei normali negozi spesso si possono trovare scarpe non in pelle, basta chiedere ai commessi.

Per riconoscere le scarpe acquistabili nei negozi "normali" occorre esaminare l'etichetta che contiene le informazioni sulla composizione delle 3 parti della calzatura, infatti ha 3 simboli: il primo indica il materiale della tomaia (la parte esterna della scarpa), il secondo si riferisce al rivestimento interno, il terzo specifica di cosa è fatta la suola.

Se uno dei 3 simboli è quello del cuoio, cioè il disegno stilizzato di una pelle di animale distesa, rimettiamo giù la scarpa e tanti saluti. Una specie di griglia a trattini indica le materie tessili e sintetiche. Un rombo indica la gomma o altri materiali comunque non animali. Se tutti e 3 i simboli sono rombo o griglia, possiamo comprare la scarpa, verificando solo che non vi siano parti in lana (la lana è considerato un tessuto, quindi ha come simbolo la griglia).

Bisogna sempre esaminare l'etichetta, perché a volte i commessi danno informazioni a caso, dicono che una scarpa non è di pelle anche quando invece lo è (salvo poi rispondere candidamente quando glielo fai notare: "Ma non è pelle, è cuoio!". Eh già, allora cambia tutto...).

Rimane comunque un problema, perché le informazioni devono riguardare l'80% del materiale mentre per il restante 20% non è necessario specificare il materiale usato. Quindi, in alcuni casi ci possono essere parti in pelle non visibili e non dichiarate.

Un altro "ingrediente" problematico dell'abbigliamento è la lana: molti pensano che la lana sia prodotta in maniera naturale e non cruenta. La realtà è molto diversa. Poche settimane dopo la nascita, alle pecore viene tagliata la coda senza anestesia, mentre per gli agnelli si procede alla castrazione. La tosatura viene praticata senza nessuna cura per gli animali, spesso con mezzi meccanici che provocano dolore e ferite; molte pecore soffrono il freddo e si ammalano perché esposte alle intemperie dopo le tosature eseguite in pieno inverno.

Quando le pecore iniziano a produrre meno lana sono mandate al macello e sostituite con animali più giovani e redditizi. Non esiste produzione di lana senza uccisione di animali: è bene ricordare che ogni volta che esiste allevamento, la conseguenza è sempre il macello. NESSUN animale allevato si salva, qualsiasi sia "l'uso" cui esso è destinato. La fine è sempre e comunque il macello. Non esistono dunque prodotti ottenuti da animali che possano essere "senza crudeltà".

Pensare di rinunciare alla lana sembra un cosa un po' strana, ma in realtà vi sono molti materiali che si possono usare al suo posto e che sono anche molto migliori, perché non infeltriscono, non pizzicano la pelle, sono meno costosi: il velluto, che è fatto di cotone o materiali sintetici; la ciniglia di cotone; la calda flanella di cotone; il pile, caldo, morbido e leggerissimo; il caldo-cotone. Ne esiste anche in forma di filato, per cui si possono realizzare maglioni a ferri, proprio come si fa per la lana. E lo stesso vale per la ciniglia. Con l'acrilico e il modal si realizzano maglioncini molto morbidi e caldi, che si trovano facilmente in ogni negozio.



Leggete attentamente la composizione delle trapunte per il letto e dei giacconi imbottiti: evitate quelli col "ripieno" di piume! Le piume vengono strappate alle oche senza alcun riguardo, e soprattutto senza anestesia. Lo spiumaggio inizia quando il pulcino ha otto settimane e viene ripetuto ogni due mesi fino a quando la qualità delle piume comincia a risentirne. A questo punto le oche sono uccise per la loro carne, o sottoposte a un altro tormento: per settimane vengono iperalimentate forzatamente, con un imbuto infilato nel becco, affinché il loro fegato si ammali per eccesso di grasso, e poi vengono uccise per la produzione del "paté de foie gras", vale a dire "paté di fegato grasso". Le piume d'oca possono oggi essere facilmente sostituite con imbottitura sintetica, sia nei giacconi che nei piumoni da letto.

Anche la seta nasconde morte: i piccoli bachi vengono bolliti vivi per estrarre la seta dei loro bozzoli! Al posto della seta si possono usare alternative vegetali o sintetiche come la viscosa e il rayon.

Tutti ormai han sentito parlare di cosmetici e detersivi "non testati su animali". Ma cosa significa esattamente? Fino al marzo 2013 era obbligatorio per legge eseguire dei test sugli animali per gli ingredienti dei prodotti cosmetici e per l'igiene della persona, prima di mettere in commercio un prodotto. A partire da quella data, in Europa è entrato in vigore il divieto totale per i test su animali degli ingredienti realizzati per i prodotti cosmetici.

Tuttavia, vi sono alcuni casi non coperti e comunque il divieto non vale per i detersivi. Rimane dunque ancora in vigore lo Standard Internazionale "senza crudeltà", secondo il quale una ditta deve:

Non testare su animali il prodotto finito, né commissionare questi test a terzi.
Non testare i singoli ingredienti, né commissionare i test a terzi.
Dichiarare che i test svolti dai suoi fornitori sulle materie prime sono avvenuti prima di un certo anno a sua scelta (per esempio, 1995). Il che significa non usare più alcun ingrediente nuovo, ma solo ingredienti completamente vegetali o di sintesi già in commercio prima dell'anno scelto. Così facendo, non si incrementa di fatto la sperimentazione su animali.
Le etichette che si trovano sui cosmetici e detergenti non danno alcuna indicazione sull'adesione o meno a questo Standard, quindi non hanno alcun valore circa la "non crudeltà" del prodotto.

Inoltre, quando gli ingredienti derivano da sfruttamento e/o uccisione di animali, anche se non testati, non sono comunque vegan. Si tratta di: grassi animali, oli animali, gelatina animale, acido stearico, glicerina, collagene, placenta, ambra grigia, muschio di origine animale, zibetto, latte, panna, siero di latte, uova, lanolina, miele, cera d'api.

Come fare dunque a sapere quali prodotti comprare e quali evitare? Si deve sempre e comunque far riferimento a una lista di aziende "positive", che però è in continua evoluzione... quindi, sia per la lista che per i dovuti approfondimenti, rimandiamo al sito VIVO - Consumo Consapevole. Possiamo dire in generale che quasi nessuno dei prodotti che si trovano al supermercato vanno bene, mentre molti di quelli che si trovano in erboristeria sono adatti.

Pelliccia: non ci sarà forse bisogno di ribadirlo, ma gli indumenti in pelliccia sono i responsabili di una delle più grandi sofferenze animali. Furetti, volpi, ermellini, conigli e altri mammiferi vengono uccisi in modo barbarico – non è raro che subiscano scosse elettriche ad alto voltaggio, affinché il manto rimanga ritto e lucido – e può capitare che siano addirittura scuoiati vivi;

Perle: secondo gli ambienti più rigorosi dell’universo veg, anche le perle sarebbero da rifiutare. Sebbene il mollusco non venga ucciso e pare che il processo sia indolore, si tratta pur sempre di sfruttamento di un essere vivente;
Riproduzioni sintetiche: in ambiente vegano, non sono gradite nemmeno le riproduzioni sintetiche di materiali di origine animale: pelle ecologica, pelliccia finta e falsi monili sarebbero da allontanare dall’armadio perché comunque collegati all’immaginario collettivo della sofferenza animale.



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