Ritrovamenti archeologici europei indicano che l'avorio delle zanne di mammuth fosse utilizzato in tempi preistorici come materiale per creare piccoli oggetti scolpiti, raffiguranti animali e talvolta figure umane, in particolare famose sono alcune veneri paleolitiche rinvenute in scavi in grotte.
Tra gli oggetti del passato, rinvenuti per lo più nel corso di scavi archeologici operati nel bacino del Mediterraneo, sono da considerare i più antichi finora conosciuti alcuni bracciali appartenenti ad un gruppo di reperti presumibilmente risalenti al 4000 a.C.
Ritrovati a Mostagedda, in una tomba dell'Egitto predinastico, i bracciali, piuttosto piccoli, potrebbero essere stati ornamento di donne o bambini, forse come oggetti di distinzione sociale o tribale.
In India, sono stati rintracciati reperti di lavorazioni con avorio a Taxila, risalenti già al II secolo a.C.
Fiorente fu l'arte cretese dell'avorio come testimoniato dalle statuine rinvenute nel Palazzo di Cnosso, e da qui si trasferì sul continente.
Documenti scritti testimoniano l'uso dell'avorio in Grecia dove lo scultore Fidia realizzò magnifiche ed enormi statue delle divinità, tra cui quella di Zeus, statua composita da elementi in oro ed avorio, dette crisoelefantina, che non sono giunte sino a noi ma di cui l'antichità era a conoscenza. Le donne greche e romane usavano collane, bracciali, pettini, spille, fermacapelli in avorio, materiale usato anche nelle decorazioni degli interni delle case e anche delle navi da parata. Una spilla per capelli, ritrovata nella Britannia romana testimonia della diffusione dell'avorio sino ai margini del mondo mediterraneo.
Anche in Etruria non mancarono esempi di produzioni di statuette e tavolette in stile fenicio e nel mondo romano si diffuse ampiamente l'arte eburaria, che raggiunse il suo massimo splendore durante la sua epoca finale, confermata dai dittici come quello di Probiano e di Stilicone.
L'Africa che poteva godere direttamente dell'uso di questo materiale, ne faceva pur sempre oggetti di pregio che avevano spesso funzione religiosa e sociale. Di questo tipo erano certamente alcuni bracciali del Benin in cui, tra quelli più recenti, appare il tentativo di riproporre forme mutuate dai gioielli di stile europeo. Essi sono ornati con figure in altorilievo e propongono immagini di soldati con la corazza. Risalgono al XVI secolo, quando il Benin, un impero dalla struttura complessa, il cui sovrano era ritenuto di origini divine, allargò il suo dominio sui territori circostanti. Le figure militari fanno ritenere di uso virile i due bracciali.
In Europa, alla fine del primo millennio, l'avorio era sfruttato per creare oggetti non solo ornamentali ma anche liturgici e raggiunse una ricca e pregevole produzione nel mondo bizantino. In età romanica divennero usuali soprattutto i pastorali e i reliquiari architettonici, mentre nell'Età gotica la Francia assunse il primato di queste attività artistiche.
In Sicilia e Spagna gli Arabi, che vi si erano insediati, facevano un grande uso dell'avorio che trattavano in maniera particolare, riuscendo a tagliare circolarmente le zanne degli elefanti in fogli sottili con cui poi ricoprivano cofanetti in legno che istoriavano e su cui incidevano le sure del Corano o scrivevano testi sacri. La Chiesa richiedeva lavori particolari, come reliquiari, pastorali, immagini della Madonna e dei Santi, crocifissi, acquasantiere. Principi e re collezionavano oggetti d'ogni genere tra cui straordinari avori preziosamente incisi. A tal proposito, capolavoro assoluto è il ciclo degli Avori Salernitani del XII secolo e frutto di varie maestranze, nonché unica opera giunta quasi nella sua interezza fino ai giorni nostri, e raffigurante scene bibliche.
L'avorio venne utilizzato anche per costruire i pezzi del gioco degli scacchi.
La tendenza al collezionismo si fece più frequente dal XVI secolo in poi, anche per il desiderio di acquisire raccolte di naturalia e artificialia, ovvero di oggetti strani prodotti spontaneamente dalla natura e di oggetti originali creati dalle mani dell'uomo che vanno a confluire nelle cosiddette Wunderkammer, ossia le Camere delle meraviglie, che ospitavano mostri di natura e opere d'arte ricercate, perle, coralli, zanne di elefante al naturale e oggetti d'avorio abilmente lavorati.
Dal 1600 in poi, almeno per quattro generazioni, alla corte dei re di Danimarca non solo fu collezionata una quantità incredibile di oggetti acquistata o ricevuta in dono dai sovrani ma essi stessi si dilettarono a lavorare l'avorio servendosi del tornio, cosa che anche le dame di corte consideravano un passatempo prediletto. Il castello di Rosenborg, presso Copenaghen, custodisce ancora il banco da tornitore appartenuto a Sofia Maddalena moglie di Cristiano V.
Dalla Germania e dalle Fiandre giunse, nei secoli di cui parliamo, sino in Sicilia una copiosa produzione di oggetti in avorio acquisita sia dai privati sia dalla Chiesa.
Dal XII al XVII secolo vengono creati oggetti di varia destinazione, come per esempio degli agorai, che erano considerati indispensabili componenti dei corredi delle fanciulle nobili. Di grandezza variabile dai 14 ai 40 centimetri, erano tutti minuziosamente intagliati e istoriati con immagini della vita dei Santi e con gli stemmi della famiglia a cui apparteneva la damigella proprietaria dell'oggetto. La parte superiore dell'agoraio recava i buchi per gli aghi che vi dovevano essere conservati.
Nella produzione tedesca talvolta ai motivi sacri si sostituivano quelli profani, tratti dal mondo classico, come la scultura, opera di un anonimo maestro del XVII secolo, che riproduce il cavaliere romano Marco Curzio nell'atto di immolarsi agli Dei per salvare Roma. La scultura, come altre di pregevole fattura, è ospitata nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, a Firenze.
Altre opere di carattere devozionale furono create in Sicilia tra il XVII e il XVIII secolo: sculture riproducenti l'immagine della Madonna, soggetti ispirati ad argomenti o personaggi delle Sacre scritture, presepi o parti di essi.
Sebbene di tali opere non si conoscano i nomi degli autori, per molti riferimenti è possibile attribuirle a maestranze trapanesi abituate a lavorare anche il corallo.
Molte di esse, pervenute sino al XX secolo come tanti altri oggetti da wunderkammer, si trovavano nel Museo di San Martino delle Scale presso Palermo, il cui contenuto è ora stato suddiviso tra la Galleria Regionale della Sicilia e il Museo Nazionale di Palermo.
Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo l'interesse per la lavorazione dell'avorio andava diminuendo.
L'unico filone lavorativo che resisteva era quello riferibile ad oggetti di interessi femminili.
Agorai di limitate dimensioni, oggetti posti in vendita come souvenirs, collane, braccialetti, orecchini, monili di poco prezzo avevano ancora un certo mercato, come crocifissi, rosari, cornici.
Dalla fine del secolo XX in Europa la maggior parte di questi oggetti è andata in disuso: l'avorio è ricercato solo se di esso si trova qualche pezzo realizzato nel passato e che perciò rientra nel mercato dell'antiquariato. La domanda odierna è comunque notevole in Asia e in Africa e il prezzo si mantiene ovunque piuttosto alto per l'impossibilità di reperire la materia prima, vincolata dai divieti di raccolta e commercio delle zanne imposti per legge.
Al British Museum a Londra vi è esposto il paio di zanne più pesanti al mondo lunghe 3,5 metri, con un diametro di 47 cm, con un peso di 97 e 102 kg e provenienti dal Kenya.
Un intarsio in avorio risalente al XIX secolo è esposto al Lizzardo Museum of Lapidary Art di Elmhurt negli Stati Uniti.
Presso Heidelberg è stato aperto un museo dedicato all'avorio con materiali prevalentemente compresi in un periodo compreso tra il XVI ed il XVIII secolo.
In Italia vi sono famose opere d'arte storiche in avorio: la cattedra vescovile di Massimiano a Ravenna; il trittico degli Embriachi nella Certosa di Pavia; il dittico di Stilicone, il dittico di Claudiano e il dittico di re Davide e san Gregorio a Monza; gli Avori Salernitani a Salerno; gli Avori di Grado a Grado.
L'avorio è un materiale che si ricava dalle zanne degli elefanti e che veniva lavorato per farne oggetti di vario uso quali gioielli, suppellettili e oggettistica per la casa.
Si parla impropriamente di avorio anche quando ci si riferisce al materiale di cui sono composti i denti di altri animali, come l'ippopotamo e il cinghiale, o di cui sono fatti i corni del rinoceronte anche se erroneamente in quanto questi sono composti da cheratina la stessa sostanza di cui sono fatte le unghie umane. Anche alcuni mammiferi marini, come il capodoglio, il narvalo o il tricheco - con i suoi denti simili a zanne - venivano uccisi per sottrarre i loro i denti che forniscono una sostanza simile all'avorio. È fatta di polvere di avorio la cosiddetta "avorina".
Non si è trovato alcun materiale che fosse pari per bellezza ed elasticità all'avorio fornito dagli elefanti, neanche quello che si trova nel sottosuolo della Russia e dell'Alaska e che apparteneva ai grandi mammut vissuti in quelle zone quarantamila anni or sono ed ora fossilizzati. Di questo tipo d'avorio si fa oggi un uso abbastanza copioso ma esso, dopo tanti millenni di fossilizzazione, ha sviluppato una sostanza, la vivianite, assente nell'avorio nuovo, che sottoposta ai raggi ultravioletti diventa rossa, alterando il colore dell'avorio antico di mammuth, il quale per altro si trova già di rado di colore chiaro, perché col tempo è diventato verde, nero, blu o rossastro.
Conosciuto e adoperato sin dall'antichità dagli egizi, dai greci, dagli indiani, dai cinesi e dai giapponesi, ha avuto una considerevole diffusione nei tre continenti del mondo antico. Il suo uso tuttavia ha comportato una continua e sempre più ingente soppressione degli elefanti, dei quali oggi rimane un numero limitato tanto che ne è stato vietato l'abbattimento se non in rarissimi casi. Ciò ha determinato sul mercato una diminuzione dell'offerta a fronte di un aumento crescente della domanda che ormai interessa quasi solamente l'Asia e l'Africa.
Fra tutti i materiali con cui si è tentato di sostituire l'avorio originale si annoverano l'avoriolina, l'ivorina, la plastica, ma anche porcellana, vetro e il cosiddetto avorio vegetale, ossia un materiale ricavato dai durissimi semi di due tipi di palma, il corozo e la dum, che in ogni modo possono servire solo per imitare i chicchi delle collane o per realizzare piccoli oggetti. Tuttavia il colore, la grana, la lucidità dell'avorio originale non sono facilmente riproducibili con comuni imitazioni.
Esistono diversi tipi di avorio artificiale, fabbricati già dall'Ottocento. I falsi avori spesso non presentano macchie, sono perfettamente bianchi sulla superficie, troppo per essere credibili.
Nell'Ottocento fu prodotta avoriolina, un materiale ottenuto da amalgame di cellulosa opportunamente inumidita ed ossa polverizzate o scarti d'avorio e resine polimeriche, colate in stampi.
Plastiche a base di caseina (sostanza chimica derivata dal latte) furono prodotte invece agli inizi del Novecento. La caseina oltre ad essere più leggera dell'avorio, ha una superficie priva di grana che al tatto risulta simile alla cera.
La celluloide, inventata da John Wesley Hyatt negli anni Sessanta dell'Ottocento, è stata utilizzata anch'essa come avorio artificiale. Si può distinguere dall'avorio dal minore peso specifico, dalla maggiore fragilità, dal contenuto in canfora (il cui odore viene liberato strofinando energicamente) o infine dall'osservazione delle venature, che tentano di imitare le "linee di Schreger" (le linee di accrescimento naturale) ma risultano nel caso della celluloide troppo regolari.
In Africa subsahariana l’avorio è diventato una merce preziosa contrabbandata da terroristi, bande criminali e contadini alla disperata ricerca di una fonte di sostentamento.
A farne le spese sono gli elefanti africani, abbattuti per le loro zanne al ritmo di 30 mila esemplari ogni anno e ormai sull’orlo dell’estinzione.
Lanciando l’allarme sulle dimensioni assunte dal fenomeno, il New York Times ha pubblicato un lungo reportage dalla Cina, che per via della forte domanda interna rappresenta la principale destinazione dell’avorio illegale.
«I cinesi hanno in mano il futuro agli elefanti» – ha dichiarato Iain Douglas-Hamilton, fondatore dell’organizzazione Save the Elephants – «perché se non cambieranno le loro abitudini riguardo all’avorio, molti paesi africani potrebbero veder presto scomparire questa specie».
Se il 70% delle zanne trafugate finisce sul mercato cinese, il motivo è soprattutto culturale. La Cina ha alle spalle una lunga tradizione nella lavorazione dell’avorio, che viene trasformato in sculture, suppellettili, anelli, spille, tazze, pettini eccetera.
Un business divenuto irresistibile per gli estremisti islamici di al-Shabaab, come per le milizie Janjaweed del Sudan e per i guerriglieri ugandesi del Lord’s resistance army (Lra). Sono loro che, per soddisfare la richiesta asiatica, si stanno imponendo a suon di mitragliatrice come i principali protagonisti del commercio illecito, provocando un’ecatombe di elefanti mai vista da quando negli anni Ottanta venne introdotto il divieto internazionale sul commercio di avorio.
La situazione appare talmente disperata da far nascere una semplice quanto inquietante domanda: fino a quando la Cina sarà disposta a rimanere legata a una tradizione che, sterminando gli elefanti, finanzia indirettamente il terrorismo?
Se lo chiamano “oro bianco” ci sarà un perché. Il prezzo di un chilo di avorio sul mercato nero può raggiungere i 3 mila dollari. Significa che il valore di una sola zanna d’elefante equivale a circa 10 volte il salario medio percepito dai cittadini di molti paesi africani. Sono dati di fatto che hanno portato a risultati impietosi: nel solo 2011 sono state sequestrate in tutto il mondo quasi 40 tonnellate di avorio, che certificano l’uccisione di almeno 4 mila elefanti per mano di bande armate che agiscono impunemente in molte riserve africane.
Questi numeri non rivelano che la parte emersa di questo grave problema. Il mercato sommerso dell’avorio è infatti infinitamente più grande e il suo sviluppo non mette in pericolo solo la fauna africana.
La sicurezza globale è infatti legata a doppio filo all’andamento di questo commercio illegale, più che raddoppiato dal 2007 a oggi. Al-Shabaab, Janjaweed e Lra si contendono il controllo del contrabbando tra Africa e Asia, sfruttando la corruzione dilagante dei funzionari pubblici. Come per la droga, per spostare da un continente all’altro centinaia di chili di zanne, i trafficanti utilizzano navi mercantili in partenza soprattutto dai porti di Mombasa, in Kenya, e Dar es Salaam, in Tanzania.
«Cambiano costantemente le rotte e il modo in cui muovono la merce per beffare la legge» ha spiegato al New York Times Tom Milliken, direttore dell’Elephant Trade Information System, un progetto nato per monitorare il commercio mondiale di avorio. I professionisti del terrore sembrano aver capito che è più redditizio dare la caccia agli elefanti piuttosto che ad altri uomini armati.
L’avorio è perfetto per finanziare il terrorismo, perché per averlo c’è chi è disposto a pagare molti soldi, ma all’occorrenza può essere anche utilizzato come merce di scambio per ottenere armamenti e viveri. Così terroristi e guerriglieri sfoderano sempre più spesso i mitra nella savana e nelle riserve, dove le poche guardie, mal pagate e mal armate, non possono arginare il loro strapotere.
Falcidiando i pachidermi con sventagliate di proiettili, fanno diventare lo sterminio una routine: gli AK-47 dei bracconieri-terroristi mirano agli animali più piccoli, ben sapendo che gli esemplari anziani, invece di scappare, non esiteranno a mettere a rischio la loro vita per cercare di proteggerli.
I mammiferi più imponenti crollano a terra solo dopo diversi colpi. Muoiono infine tra immense sofferenze, quando l’ultimo atto della barbarie sta per essere compiuto: la testa degli elefanti viene amputata con i machete per avere le zanne. In questo modo sono scomparsi centinaia di branchi di elefanti africani.
Al-Shabaab, il gruppo islamista somalo legato ad al Qaida divenuto tristemente noto per l’assalto al centro commerciale Westgate a Nairobi costato la vita a oltre 70 persone, si finanzia anche con il bracconaggio. Una stima fornita dall’Elephant action league (Eal) indica che l’uccisione degli elefanti assicura ad al-Shabaab «fino al 40% dei fondi necessari per la sua attività criminale». Il dato non può essere verificato. Tuttavia, secondo l’Eal, il reddito mensile della milizia islamista ottenuto dal contrabbando di avorio si aggirerebbe tra i 200 mila e i 600 mila dollari.
Una cosa è certa: la preoccupazione degli ambientalisti per i risvolti incontrollabili del bracconaggio è condivisa anche da Barack Obama, che ha recentemente firmato un ordine esecutivo che innalza il livello di attenzione sul commercio di fauna selvatica.
Il fenomeno è stato descritto dalla Casa Bianca come una «piaga internazionale che continua a crescere», che genera «miliardi di dollari di ricavi illeciti ogni anno, contribuendo all’economia illegale, alimentando l’instabilità e minando la sicurezza». Ottanta milioni di dollari sono stati stanziati dall’amministrazione Usa per combattere il bracconaggio e il traffico di avorio, visto ora come una minaccia diretta agli interessi degli Stati Uniti.
Nel suo complesso, il mercato nero delle specie selvatiche (elefanti, rinoceronti, grandi felini, scimmie e altri animali meno conosciuti) vale 19 miliardi di dollari all’anno. Sono stati proprio gli elefanti ad aver subito negli anni la più veloce e inesorabile decimazione.
L’associazione keniota David Sheldrick wildlife trust sostiene che ogni 15 minuti, in Africa, un elefante viene ucciso per le sue zanne. La Cina rimane senza dubbio il paese più affamato di avorio illegale, ma la smania di “oro bianco” ha contagiato anche la Thailandia, le Filippine e gli stessi Stati Uniti.
Ecco perché sono in molti a volersi spartire i guadagni di questo crudele commercio milionario. Oltre ai già citati gruppi criminali, sono impegnati nel bracconaggio vari soggetti che bramano questa insperata fonte di ricchezza, come alcune frange degli eserciti regolari ugandesi, congolesi e del Sud Sudan, che si convertono per soldi in cacciatori di frodo. E se in Tanzania anche molti semplici contadini diventano bracconieri attirando in trappola gli elefanti con delle zucche avvelenate, in Gabon la miseria trasforma i ragazzi del luogo in spietati cacciatori, assoldati al volere dei clan che speculano sull’avorio illegale.
Lo sterminio degli elefanti interessa ormai quasi tutto il continente. Sono stati 650 gli elefanti uccisi in Camerun nel 2012, mentre in una sola notte nel sud del Ciad sono stati uccisi lo scorso marzo ben 89 animali, tra cui 30 femmine in stato di gravidanza. In Kenia, nei primi 8 mesi del 2013, sono stati sterminati 190 pachidermi, che arrivano quasi a mille se si estende il calcolo agli anni compresi tra il 2009 e il 2013. Ne deriva che in meno di 30 anni la popolazione di elefanti che abita il paese è passata da 167 mila ad appena 35 mila esemplari.
La Tanzania ha perso in 3 anni la metà dei suoi elefanti. Oltre 2.500 esemplari sono finiti preda dei bracconieri in Mozambico negli ultimi 4 anni e altri mille sono stati trucidati nella Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Kinshasa ha riferito che gli elefanti rimasti allo stato selvatico nelle foreste del paese non sono più di 7 mila: erano 100 mila nel 1980. In Sierra Leone e Senegal le cose vanno anche peggio: l’avidità dei trafficanti di oro bianco ha già portato gli elefanti all’estinzione.
Una somma che va dai 50 ai 100 dollari al chilogrammo è la ricompensa che spetta ai cacciatori impegnati in prima linea. Tantissimo per la povertà in cui sono costretti a vivere molti individui in Africa, un’inezia se si pensa all’incremento di prezzo che l’avorio subisce man mano che si avvicina all’ultimo compratore.In Zimbabwe ad esempio, dove è avvenuto il peggior massacro di elefanti del 2013 (oltre 300 esemplari sterminati nel Hwange National Park), i clan di bracconieri sono in grado di vendere le zanne sottratte agli animali uccisi a 482 dollari al chilo.
A questo punto la via dell’avorio insanguinato porta in Sudafrica, dove secondo il tribunale che sta indagando sull’orribile episodio avvenuto nel Hwange Park, le stesse zanne possono essere rivendute per oltre mille e 600 dollari al chilo, prima di finire nuovamente sulla piazza in attesa di un compratore, solitamente asiatico, disposto a pagarle ancora di più.
Nell’ultimo anno, ben 150 cittadini cinesi sono finiti sotto accusa in vari paesi africani per aver acquistato dell’avorio frutto di contrabbando. Se la caveranno, così come i bracconieri sorpresi in flagranza di reato, con delle piccole multe o delle brevi pene detentive. Proprio come nel caso di Ghislain “Pepito” Ngondjo, boss dei cacciatori di elefanti congolesi, condannato per aver ucciso centinaia di animali ad appena 5 anni di reclusione.
L’avvenire degli elefanti africani è cupo. Le stime non concordano, ma confermano che la conservazione della specie è sempre più a rischio.
Tra gli ambientalisti c’è chi ritiene che questi mammiferi scompariranno dal loro ambiente naturale nel giro di 50 anni e chi afferma che la caccia illegale anticiperà la loro estinzione al 2025. La variabile che potrebbe anche raddoppiare o triplicare il tasso di mortalità degli elefanti è la mancanza di misure idonee per arginare la piaga del bracconaggio. Per John Scanlon, segretario generale della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, è necessario «trattare i crimini compiuti ai danni della fauna selvatica come dei reati gravi, al pari del traffico di stupefacenti e di armi».
Pene più severe fin da subito dunque. In alcune parti dell’Africa, dove quella ai trafficanti d’avorio è una guerra vera, c’è persino chi propone misure shock. La proposta di Khamis Kagasheki, ministro del governo della Tanzania, è quella di permettere alle guardie forestali di «sparare per uccidere» i bracconieri «sul posto». Tra chi appoggia l’iniziativa, vista come un deterrente necessario, e chi si oppone per timore di un inasprimento della violenza, emerge un altro lato del problema finora non considerato.
Il ministro ha spiegato che i provvedimenti da lui richiesti al governo Dar es Salaam non avrebbero come unico scopo quello di frenare la strage di elefanti, ma anche e soprattutto di proteggere l’incolumità degli agenti attivi contro i bracconieri. Nella sola Tanzania, infatti, sono morti nei conflitti a fuoco circa mille guardie forestali negli ultimi dieci anni.
Esseri umani ed elefanti, entrambi vittime della guerra per l’oro bianco.
Una mattanza forse purtroppo irreparabile per una specie già fortemente decimata dall'uomo. Il genocidio di questi ultimi anni assume proporzioni persino maggiori rispetto alle stragi degli anni ottanta che portarono alla messa al bando internazionale del commercio d'avorio.
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