Il petrolio accompagna la storia dell'uomo da secoli: la parola greca naphtha fu utilizzata inizialmente per indicare il fiammeggiare tipico delle emanazioni petrolifere. I popoli dell'antichità conoscevano i giacimenti di petrolio superficiali, che utilizzavano per produrre medicinali (con funzioni lenitive e lassative) e bitume o per alimentare le lampade.
Non mancarono anche gli usi bellici del petrolio. Già nell'Iliade, Omero narra di un "fuoco perenne" lanciato contro le navi greche. Il "fuoco greco" dei bizantini era un'arma preparata con petrolio, una miscela di olio, zolfo, resina e salnitro, che non poteva essere spenta dall'acqua; questa miscela era cosparsa sulle frecce o lanciata verso le navi nemiche per incendiarle.
Il petrolio venne introdotto in Occidente soprattutto come medicinale, in seguito all'espansionismo arabo. Le sue doti terapeutiche si diffusero con grande rapidità e alcune fonti d'olio a cielo aperto, come l'antica Blufi (santuario della "Madonna dell'olio") e Petralia in Sicilia, divennero noti centri termali dell'antichità.
Il termine "petrolio" venne adottato per la prima volta nel 1556 in un trattato del mineralogista tedesco Georg Bauer.
L'industria petrolifera nacque negli anni 1850 negli Stati Uniti (nei pressi di Titusville, Pennsylvania), per l'iniziativa di Edwin Drake. Il 27 agosto 1859 venne aperto il primo pozzo petrolifero redditizio del mondo. L'industria crebbe lentamente durante il 1800 e non diventò di interesse nazionale (USA) fino agli inizi del ventesimo secolo; l'introduzione del motore a combustione interna fornì la domanda che ha poi largamente sostenuto questa industria. I primi piccoli giacimenti "locali" in Pennsylvania e in Ontario sono stati velocemente esauriti, portando ai " boom petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Altre nazioni avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro possedimenti coloniali, e incominciarono ad utilizzarli a livello industriale.
Sebbene negli anni cinquanta il carbone fosse ancora il combustibile più usato nel mondo, il petrolio cominciò a soppiantarlo. Agli inizi del ventunesimo secolo circa il 90% del fabbisogno di combustibile è coperto dal petrolio. In conseguenza della crisi energetica del 1973 e della crisi energetica del 1979 si è sollevato l'interesse nella pubblica opinione sui livelli delle scorte di petrolio, portando alla luce la preoccupazione che essendo il petrolio una risorsa limitata essa sia destinata ad esaurirsi (almeno come risorsa economicamente sfruttabile).
Il prezzo di un barile di petrolio è aumentato, dagli 11 dollari del 1998 a circa 147, per poi ripiegare (a causa della recessione globale, ma anche delle "prese di beneficio" degli speculatori), fino a 45 nel dicembre 2008. In seguito le quotazioni del greggio hanno ripreso a crescere per installarsi solidamente al di sopra dei 100 dollari nel marzo 2011. Data l'elevata volatilità del prezzo di un barile, l'OPEC ha preso in valutazione di tagliare la produzione per far aumentare i costi dell'oro nero (per fare un esempio: se un barile aumenta di un dollaro, negli Emirati Arabi Uniti arrivano oltre 100 milioni di dollari di guadagni). Tuttavia il re dell'Arabia Saudita ʿAbd Allāh si è detto disponibile ad aumentare l'estrazione di petrolio per riportarlo ad un prezzo ragionevole.
Il valore del petrolio come fonte di energia trasportabile e facilmente utilizzabile, usata dalla maggioranza dei veicoli (automobili, camion, treni, navi, aeroplani) e come base di molti prodotti chimici industriali, lo rende dall'inizio del XX secolo una delle materie prime più importanti del mondo. L'accesso al petrolio è stato uno dei principali fattori scatenanti di molti conflitti militari, compresi la Seconda guerra mondiale e la guerra del Golfo. La maggior parte delle riserve facilmente accessibili è collocata nel Medio Oriente, una regione politicamente instabile.
Esistono e sono continuamente allo studio fonti alternative e rinnovabili di energia, sebbene la misura in cui queste possano rimpiazzare il petrolio e i loro eventuali effetti negativi sull'ambiente sono attualmente oggetto di dibattito.
I pozzi di petrolio e di gas in Italia sono modesti, molto frammentati e spesso situati a grandi profondità oppure offshore, e questo ha reso difficile sia la loro localizzazione che il loro sfruttamento. L'Italia è il 49° produttore di petrolio nel mondo.
I giacimenti di petrolio più importanti in Italia si trovano in Sicilia e nel suo immediato offshore, in particolare il giacimento di Ragusa (1500 metri di profondità) o quello di Gela (scoperto nel 1956, ha caratteristiche simili a quello di Ragusa e si trova a 3500 metri di profondità) e quello di Gagliano Castelferrato (scoperto nel 1960, produce gas ed è situato a circa 2000 metri di profondità). Oltre a questi vi sono anche altri giacimenti nella parte orientale dell'isola come in quella occidentale. Vi sono poi, tra i più importanti, quelli dalla Val d'Agri, in Basilicata, e quello di Porto Orsini nell'Adriatico ravennate.
La ricerca petrolifera prosegue ancora oggi, con una produzione petrolifera attorno ai 80.000 barili al giorno, mentre quella gassifera è di circa 15 miliardi di metri cubi. Il picco di produzione petrolifera in Italia è stato raggiunto nel 1997, e la velocità di esaurimento corrente è del 3,1%.
La produzione nazionale rappresenta circa il 7% del nostro consumo totale di petrolio, il rimanente 93% è pertanto importato dall'estero; la produzione italiana, infine, corrisponde all'1% dellla produzione mondiale, con le riserve rimanenti, circa 1 miliardo di barili, che rappresentano lo 0.1% delle riserve mondiali di greggio.
Il greggio è un liquido viscoso di colore variabile dal giallo chiaro al marrone scuro o verdastro, e nella sua quasi totalità la sua densità relativa è inferiore a 1, cioè ha un peso specifico minore dell'acqua.
Il colore risulta essere più scuro nei greggi che contengono idrocarburi con peso molecolare medio più elevato. Al peso molecolare medio dei componenti sono legate anche la sua densità e la sua viscosità, in quanto più elevato risulta il peso molecolare medio più il greggio risulta denso e viscoso.
Dal punto di vista chimico, il greggio è un'emulsione di idrocarburi (cioè composti chimici le cui molecole sono formate da idrogeno e carbonio) con acqua ed altre impurità.
È costituito principalmente da idrocarburi appartenenti alle classi degli alcani (lineari e ramificati), cicloalcani e in quantità minore idrocarburi aromatici (mono-, bi- e poli- ciclici). Il rapporto tra queste tre tipologie di idrocarburi varia a seconda del giacimento petrolifero da cui viene estratto il petrolio: considerando una media a livello mondiale, un petrolio tipico contiene il 30% di paraffine, il 40% di nafteni, il 25% di idrocarburi aromatici, mentre il restante 5% è rappresentato da altre sostanze; nel caso di petroli ad elevato contenuto di alcani si parla di "petroli paraffinici", mentre i petroli ad elevato contenuto di cicloalcani vengono detti "petroli naftenici". I petroli paraffinici sono più abbondanti nelle zone più profonde del sottosuolo, mentre i petroli naftenici sono più abbondanti nelle zone più vicine alla superficie.
Sono presenti inoltre composti solforati (solfuri e disolfuri), azotati (chinoline) e ossigenati (acidi naftenici, terpeni e fenoli), in percentuale variabile anche se la loro percentuale in massa, complessivamente, difficilmente supera il 7%.
Data l'elevata complessità di tale miscela, per definire la composizione di un particolare petrolio, anziché indicare le sostanze che lo costituiscono, spesso si preferisce indicarne la composizione elementare, che è rappresentata principalmente da carbonio e idrogeno, essendo il petrolio una miscela costituita prevalentemente da idrocarburi.
In percentuale, è composto all'85% circa da carbonio, 13% circa da idrogeno e per il restante 2% circa da altri elementi.
Esistono centinaia di petroli diversi. Essi si differenziano per i differenti rendimenti, il tenore in zolfo, in metalli pesanti ed in funzione della loro acidità. Frequentemente (ma questa non è una regola) i grezzi più pesanti sono anche quelli che hanno un tenore in zolfo più elevato. È invece sistematico che per un determinato petrolio le frazioni alto-bollenti hanno un tenore in zolfo più elevato delle frazioni basso-bollenti.
Da un punto di vista generale (anche se esistono delle eccezioni) i petroli che contengono una quantità più elevata di frazioni leggere sono più costosi. Un altro parametro che influenza il valore del petrolio grezzo è il contenuto in zolfo. Quest'ultimo infatti deve essere allontanato durante l'operazione di raffinazione e questa operazione di purificazione è tanto più onerosa quanto più alto è il tenore in zolfo.
Altri parametri che influenzano il valore del grezzo sono la sua acidità ed il tenore in metalli pesanti, quali il vanadio. La conoscenza di questi due ultimi parametri è di grande importanza allorché si progettano impianti per la raffinazione del greggio; infatti petroli acidi o con contenuti di Vanadio elevati richiedono impianti particolarmente resistenti alla corrosione e dunque costruiti con acciai speciali.
Va inoltre ricordato che a livello commerciale le varie partite di petrolio non hanno lo stesso valore commerciale. I seguenti criteri forniscono una linea guida su come distinguere un petrolio pregiato da uno scadente:
tenore di zolfo: maggiore è la presenza di zolfo o di altri eteroatomici, più spinta sarà la relativa lavorazione con maggiori costi di esercizio d'impianto. Infatti la presenza di zolfo va limitata sia per motivazioni ambientali, sia per la salvaguardia delle parti più delicate dell'impianto;
percentuale di benzine: a livello commerciale la benzina è il taglio più costoso e quindi più remunerativo per una azienda petrolifera; non a caso molti processi di lavorazione puntano all'aumento delle quantità e qualità delle benzine, alleggerendo i tagli pesanti (cracking) o appesantendo quelli leggeri; da questo punto di vista un petrolio ricco di benzina presenta un valore commerciale maggiore;
densità: un petrolio più denso contiene un maggior numero di molecole condensate, ovvero i costituenti del residuo della colonna da topping; quindi sono necessarie lavorazioni più gravose in termini di temperatura (come il visbreaking), per cercare di rompere le molecole condensate e convertirle in tagli leggeri.
Secondo le teorie comunemente accettate dalla comunità scientifica il petrolio deriva dalla trasformazione di materiale biologico in decomposizione. Il primo a sostenere tale teoria fu lo scienziato russo Lomonosov nel XVIII secolo. La sua teoria fu confermata nel 1877 da Mendeleev. Ulteriore conferma a tale ipotesi fu fornita da Alfred E. Treibs, che evidenziò l'analogia strutturale tra una molecola di metalloporfirina che aveva rintracciato nel petrolio nel 1930 e la molecola della clorofilla (che è invece associata a processi biologici).
Secondo tale teoria, il materiale biologico dal quale deriva il petrolio è costituito da organismi unicellulari marini vegetali e animali (fitoplancton e zooplancton) rimasti sepolti nel sottosuolo centinaia di milioni di anni fa, in particolare durante il paleozoico, quando tale materia organica era abbondante nei mari.
In un primo stadio, tale materia organica viene trasformata in cherogene attraverso una serie di processi biologici e chimici; in particolare la decomposizione della materia organica ad opera di batteri anaerobi (cioè che operano in assenza di ossigeno) porta alla produzione di ingenti quantità di metano.
Successivamente, a causa della continua crescita dei sedimenti, si ha un innalzamento della temperatura (fino a 65-150 °C) che porta allo sviluppo di processi chimici di degradazione termica e cracking, che trasformano il cherogene in petrolio. Tale processo di trasformazione del cherogene in petrolio avviene alla sua massima velocità quando il deposito ha raggiunto profondità intorno a 2.000-2.900 metri.
Una volta generati, gli idrocarburi migrano verso l'alto attraverso i pori della roccia in virtù della loro bassa densità. Se nulla blocca la migrazione, questi idrocarburi affiorano in superficie. A questo punto le frazioni più volatili evaporano e resta un accumulo di bitume, che è pressoché solido a pressione e temperatura atmosferica. Storicamente gli accumuli naturali di bitume sono usati per usi civili (impermeabilizzare il legno) o militari (come il fuoco greco). Tuttavia nel percorso di migrazione, gli idrocarburi possono accumularsi in rocce porose (dette "rocce madri") e restare bloccati da uno strato di roccia impermeabile. In questo caso si può creare una zona di accumulo, detta "trappola petrolifera" (o reservoir). Perché le rocce porose possano costituire un reservoir, è necessario che queste rocce siano al di sotto di rocce meno permeabili (normalmente argille o evaporiti), in maniera tale che gli idrocarburi non abbiano la possibilità di risalire sino alla superficie terrestre.
Una conformazione geologica che costituisce un caso tipico di trappola petrolifera è la piega anticlinale. Questo tipo di configurazione costituisce di gran lunga il caso più frequente di "trappola petrolifera", anche se può accadere che il petrolio si accumuli in corrispondenza di fratture tettoniche o attorno a dei giacimenti di sale. All'interno del reservoir si viene quindi a trovare una miscela di idrocarburi liquidi e gassosi (in proporzioni variabili). Gli idrocarburi gassosi costituiscono gas naturale (metano ed etano) e riempiono le porosità superiori. Quelli liquidi (nelle condizioni di pressione esistenti nel giacimento, cioè svariate centinaia di atmosfere) occupano le zone inferiori del reservoir. In virtù della provenienza marina della materia organica all'origine del petrolio, quasi inevitabilmente gli idrocarburi sono associati ad acqua; è frequente la situazione per la quale all'interno della roccia madre si trovino tre strati: uno superiore di gas naturale, uno intermedio costituito da idrocarburi liquidi ed uno inferiore di acqua salata. Nelle operazioni di messa in produzione di un giacimento si presta notevole attenzione alla profondità alla quale si situa lo strato di acqua perché questa informazione è necessaria per calcolare il rendimento teorico del giacimento.
È frequente la situazione per la quale il giacimento di idrocarburi contiene unicamente metano ed etano. In questo caso si parlerà di giacimento di gas naturale. Se gli idrocarburi liquidi più pesanti presenti nel giacimento non superano i dodici-quindici atomi di carbonio (C12 - C15), si parlerà di giacimento di condensato, sovente associato a gas naturale. Se negli idrocarburi liquidi presenti sono rappresentate molecole più lunghe si è in presenza di un giacimento di petrolio propriamente detto.
Talvolta, giacimenti di gas naturale e petrolio ritenuti in fase di esaurimento, si riempono di nuovo; questo processo può essere alimentato solo da depositi profondi, percorrendo la sequenza di fenomeni che portò alla formazione iniziale. La teoria abiotica sostiene che tutti gli idrocarburi naturali siano di origine abiotica, ad eccezione del metano biogenico (spesso chiamato gas di palude), che è prodotto in prossimità della superficie terrestre attraverso la degradazione batterica di materia organica sedimentata.
Una teoria dell'origine abiotica del petrolio ritiene che al momento della formazione della Terra si siano formati dei significativi depositi di carbonio, ora preservati solo nel mantello superiore. Questi depositi, trovandosi in condizioni di elevata temperatura e pressione, catalizzerebbero la polimerizzazione di molecole di metano, fino a formare lunghe catene idrocarburiche.
La presenza dell'industria petrolifera ha significativi impatti sociali e ambientali derivati da incidenti e da attività di routine come l'esplorazione sismica, perforazioni e scarti inquinanti.
L'estrazione del petrolio ha un elevatissimo impatto ambientale legato sia all'attività normale di estrazione, che prevede esplorazioni sismiche, perforazioni e soprattutto scarti altamente inquinanti, sia agli inevitabili e purtroppo frequenti incidenti.
L'estrazione petrolifera è un'operazione molto costosa che ha ripercussioni negative per l'ambiente: ricerche offshore che disturbano l'ambiente marino e dragaggi che danneggiano i fondali ricchi di alghe fondamentali nella catena alimentare marina hanno un impatto ambientale grave.
Per questo è importante che ognuno di noi scelga prodotti realizzati senza l'uso del petrolio (vetro, juta, alluminio anziché plastica) e adotti comportamenti virtuosi nella mobilità (GPL, metano, elettrico).
Attualmente si stima che la produzione globale di petrolio ammonti a 87 milioni di barili di petrolio al giorno (valore corrispondente all'incirca al consumo, dal momento che, con il petrolio a più di 120$ a barile, soltanto pochi paesi come la Cina, l'Iran e gli USA stanno accumulando riserve importanti)
In Italia, dal momento che esistono molte raffinerie di petrolio che lo processano per produrre benzina per l'autoconsumo ed esportazione all'estero, la grande disponibilità di residui, sotto forma di olio combustibile, adatto ai motori marini ed all'essere bruciati per generare elettricità, diede luogo ad una persistenza nella generazione di elettricità dal petrolio.
Ammettendo che il tasso ed il tipo di consumi energetici possa rimanere costante, alcuni studiosi affermano che il petrolio (da fonti convenzionali) verrà esaurito in 35 anni e il carbone in 200 anni. Nella pratica nessuna delle risorse arriverà ad esaurirsi del tutto, perché via a via che si esauriscono, come afferma la teoria del picco di Hubbert, lo squilibrio tra l'eccesso di domanda e la scarsa offerta e l'inaffidabilità della risorsa petrolifera causerà un'impennata dei prezzi, con diversificazione e crollo dei consumi e dunque della produzione, che diminuirà fino ad un punto dove le risorse petrolifere saranno destinate ad un mercato residuale (petrolchimica: fertilizzanti, pesticidi, plastiche, vernici; benzina e diesel per macchine storiche; asfalto per le strade, ecc.) che non potrà essere sostituito con altre fonti, e che forse sparirà improvvisamente per la non convenienza di mantenere impianti di raffinazione e distributori.
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