I loro antenati, che circa 30 milioni di anni fa vivevano nell'emisfero settentrionale, si spostarono dall'habitat terrestre a quello marino. Molto probabilmente sono discesi addirittura da due specie diverse, una forma simile alla lontra e una simile al cane.
La prima si è evoluta nelle foche propriamente dette, mentre la seconda nelle otarie. In passato, quindi, le foche hanno attraversato l'equatore e hanno colonizzato il continente antartico.
Allora il clima era molto più temperato rispetto ad oggi e, quando iniziarono a scendere la temperatura e a formarsi la calotta di ghiaccio, le foche rimasero, acclimatandosi alla temperatura polare.
Le specie come l'elefante marino, che non erano particolarmente adattate al freddo, dovettero restare nelle zone meno rigide più a settentrione e nell'area subantartica.Le foche hanno sviluppato speciali meccanismi di adattamento al gelido ambiente acquatico.
Come nelle balene, sia gli arti anteriori sia quelli posteriori si sono trasformati in pinne.
Le aperture nasali, simili ad una fessura, si sono chiuse automaticamente grazie a pareti elastiche e si aprono solo per respirare. Poichè nell'acqua la dispersione del calore corporeo è molto maggiore, è stato necessario un isolamento termico addizionale, a cui hanno provveduto sia una fitta pelliccia sia uno spesso strato di grasso sottocutaneo.
Le foche dell'Antartide appartengono a due famiglie: i FOCIDI e gli OTARIDI. La prima comprende le cosiddette "vere" foche, quelle prive di padiglione auricolare esterno, anche se provviste di udito ben sviluppato.
Vi appartengono cinque specie: la foca di WEDDELL, la foca di ROSS, la foca CANCRIVORA, la foca LEOPARDO e l'ELEFANTE MARINO.
La seconda famiglia include due specie di otarie, ben riconoscibili per il piccolo padiglione auricolare: l'arctocefalo antartico e l'arctocefalo delle Kerguelen, detti anche foche da pelliccia o LUPI di MARE.
Le "vere" foche si possono distinguere facilmente dalle otarie sulla terraferma o sul ghiaccio. Le prime sono goffe e, non essendo capaci di camminare sulle pinne posteriori molte più piccole degli arti anteriori, sono costrette a trascinarsi strisciando. Le otarie, invece, sono molto più agili: sono in grado di portare gli arti posteriori sotto l'addome e di muoverli insieme a quelli anteriori in avanti. Sono quindi capaci di camminare sui quattro arti, persino di correre o galoppare e di arrampicarsi con sicurezza su terreni assai ripidi. In acqua, comunque, sia le une sia le altre sono eccellenti nuotatori.
Le foche sono mammiferi adattati alla vita acquatica, con un corpo allungato, irregolarmente cilindrico, rivestito da uno spesso strato adiposo ricoperto da un fitto pelo corto, vellutato, impermeabile all'acqua. Hanno la testa piccola e leggermente appiattita ed orecchie prive di padiglione auricolare esterno. Il muso è provvisto di alcuni baffi lunghi e robusti detti vibrisse. Gli arti anteriori sono trasformati in pinne mentre quelli posteriori costituiscono un'unica pinna posteriore.
La gestazione dura circa undici mesi, al termine dei quali viene partorito un unico cucciolo. Per allattare i piccoli, le mamme escono dall'acqua.
Il 2 giugno la foca monaca è stata di nuovo avvistata da un pescatore su uno scoglio dello Scalo Maestro: così i locali chiamano un’incantevole insenatura a nord-est di Marettimo, che con Favignana e Levanzo forma le isole Egadi. L’animale, forse impaurito, in un baleno si è tuffato nelle acque cristalline facendo perdere le sue tracce, ma dopo la foto scattata con una «trappola buona» in una grotta nel 2012, veterinari e biologi sono convinti che la foca monaca (solo 400 esemplari che vivono nel Mediterraneo tra le coste di Grecia, Turchia, Croazia, arcipelago di Madera, Marocco e Mauritania) stia lentamente trovando anche qui il suo habitat ideale. Già, perché nella più grande area marina protetta d’Europa, a 7 chilometri dalle coste siciliane, tra Trapani e Marsala, da qualche anno si sta lavorando sodo per conciliare il rispetto per la natura, a cominciare dalla tutela di specie a rischio estinzione, proprio come la foca monaca, col turismo e la pesca sostenibile.
Sarebbe sbagliato, però, pensare che l’ecosistema degradato possa avere allontanato questo mammifero pinnipede dall’Italia: a farla fuggire è stata la caccia selvaggia da parte di chi alle Egadi non aveva altri mezzi per sopravvivere nei rigidi inverni. Oggi, invece, il turismo e l’attenzione delle istituzioni hanno fatto alzare i livelli di sorveglianza e tutela di un angolo mozzafiato di atolli, tra spiagge bianche e un mare ricchissimo di fauna e flora, dove nuotano anche delfini, balene e tartarughe Caretta caretta.
Le caratteristiche somatiche della foca monaca sono analoghe a quelle delle altre Phocidae: corpo allungato, irregolarmente cilindrico, rivestito da uno spesso strato adiposo ricoperto da un fitto pelo corto, vellutato, impermeabile all'acqua. La pelliccia è di colore nero nel maschio o marrone o grigio scuro nella femmina, più chiara sul ventre che può essere fino a bianca nel maschio.
Gli arti anteriori sono trasformati in pinne mentre quelli posteriori costituiscono un'unica pinna posteriore.
Ha una lunghezza da 80 a 240 cm e può raggiungere i 320 kg di peso; le femmine sono un po' più piccole dei maschi.
Hanno la testa piccola e leggermente appiattita ed orecchie esterne prive di padiglione auricolare. Il muso è provvisto di alcuni baffi lunghi e robusti detti vibrisse.
La vita della foca monaca si svolge soprattutto in mare; durante il periodo riproduttivo predilige i tratti di mare vicini alle coste dove cerca spiagge isolate prevalentemente in grotte o piccoli anfratti accessibili solo dal mare, perché il parto e l'allattamento si svolgono esclusivamente sulla terra ferma.
Dorme in superficie in mare aperto o utilizzando piccoli anfratti sul fondale per poi risalire periodicamente a respirare. Si nutre di molluschi cefalopodi, patelle, crostacei e pesci, soprattutto bentonici, come murene, corvine, cernie, dentici e mostelle.
Anche durante le soste a terra la foca rimane vicinissima al mare, anche perché i suoi movimenti sono lenti ed impacciati.
Si spostano anche di alcune decine di chilometri al giorno alla ricerca del cibo, con immersioni continue; sono state registrate immersioni a 90 metri di profondità ma è probabile che possa superare facilmente alcune centinaia di metri di profondità durante immersioni effettuate per la ricerca di prede.
I maschi adulti sono fortemente territoriali e, nel periodo riproduttivo che coincide generalmente con i mesi autunnali, si scontrano frequentemente con altri maschi. Le femmine raggiungono la maturità sessuale a 5/6 anni, hanno un ciclo di riproduzione di circa 12 mesi e partoriscono, di solito tra settembre e ottobre; allattano, in grotte vicinissime al mare o in spiagge riparate, un cucciolo all'anno, lungo 88–103 cm e pesante 16–18 kg.
I giovani entrano in acqua già a pochi giorni dalla nascita. L'allattamento si protrae sino alla dodicesima settimana, ma la femmina lascia il suo cucciolo incustodito già dopo le prime settimane di vita, per tornare ad allattarlo periodicamente. I giovani tendono ad abbandonare il gruppo originario ed a disperdersi anche lontano dal luogo di nascita. Raggiungono la maturità sessuale intorno ai 4 anni. La foca monaca vive dai 20 ai 30 anni.
L'areale della foca monaca comprendeva una volta tutto il Mediterraneo, il Mar Nero, le coste atlantiche di Spagna e Portogallo, il Marocco, la Mauritania, Madera e le Isole Canarie; foche erano segnalate spesso anche nella costa sud della Francia.
La foca monaca veniva catturata per essere esibita in pubblico e, a differenza di quella comune, era molto più addomesticabile. Hermann descrisse la specie nel 1778 quando una truppa veneziana che esibiva in pubblico una foca catturata con le reti nell’autunno del 1777 nell’isola di Cherso giunse a Strasburgo. Il Buffon, naturalista famoso, trovò un'altra foca a Parigi, sempre proveniente da Cherso e ignorando la scoperta del Hermann la classificò per conto suo come Phoque a ventre blanc ovvero Phoca albiventer. Evidentemente Cherso divenne il locus classicus della specie grazie ad una ben orchestrata campagna di cattura veneziana.
Nel corso del '900 l’areale si è fortemente ridotto a causa delle persecuzioni dirette e la foca monaca sopravvive in poche isolate colonie in Grecia, isole della Croazia meridionale, Turchia, nell'arcipelago di Madera, in Marocco e Mauritania. Occasionalmente vengono avvistati individui in dispersione lungo le coste di quasi tutti i paesi mediterranei.
Anche dopo il 2000 comunque si sono avuti sporadici avvistamenti di animali isolati nel Canale di Piombino, a Montecristo, sulle coste della Provincia di Lecce a sud di Otranto, nella Liguria di Levante, nel breve tratto jonico della Basilicata e in Sicilia, ma con tutta probabilità si tratta di giovani in fase di dispersione. Le foche sono invece forse ancora presenti in Sardegna e un giovane esemplare, imbrigliato nella rete di un pescatore, fu regalato intorno agli anni '60 allo zoo di Roma. Nel 2013 viene riavvistata nell'arcipelago siciliano, in particolare nelle Isole Egadi.
Nel giugno 2009 la foca monaca è stata avvistata nelle acque antistanti la Torre del Campese, Isola del Giglio e del marzo 2010 a Capo Promontore in Istria. Nel settembre 2013 un altro avvistamento si è avuto in Istria nelle vicinanze di Pola.
Recentemente la foca monaca è tornata a farsi vedere anche nelle acque dell'isola di Marettimo, al largo della costa di Trapani. La prima segnalazione risale al 31 marzo 2010 da un pescatore locale che ha avvistato un esemplare in prossimità delle Grotta del Cammello, la 'casa' prediletta da questo mammifero 30/40 anni fa. Nei giorni successivi, secondo le testimonianze locali, l'avvistamento ha riguardato due esemplari adulti, presumibilmente maschio e femmina e un cucciolo. Uno studio dell'Ispra del 2013 conferma la presenza di esemplari di foche monache dell’area marina protetta delle isole Egadi.
Un ulteriore avvistamento è avvenuto a giugno 2010 nell'area marina protetta antistante il borgo di Portofino. Nell'agosto 2013 la foca monaca è avvistata e fotografata a Isolaverde, frazione di Chioggia. Alcuni ritrovamenti fossili effettuati in Toscana in argille del pliocene hanno contribuito a ipotizzare che la foca monaca discenda dalla Pliophoca etrusca che abitava il mare che circonda l'Arcipelago Toscano.
La fortissima diminuzione delle popolazioni, dovuta prevalentemente all'intervento umano, ha ridotto questi pinnipedi a piccoli gruppi familiari e individui isolati.
Secondo una stima dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura della foca monaca sopravvive una popolazione di appena 300-400 esemplari: circa 200 concentrati nell'Egeo e nel Mediterraneo sudorientale; 20-30 nel Mar Ionio; 10-20 nel Mare Adriatico; una decina nel Mediterraneo centrale; dai 10 ai 20 nel Mediterraneo occidentale; 134 in Atlantico. La specie è pertanto da considerarsi in rischio di estinzione.
La Società Zoologica di Londra, in base a criteri di unicità evolutiva e di esiguità della popolazione, considera Monachus monachus (anche nota come Foca Monaca) una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione.
La specie è inserita nella Appendice I della Convention on International Trade in Endangered Species (CITES).
Nel 1987 per salvaguardare la colonia di foche della grotta del Bue marino, nel golfo di Orosei, fu varato un decreto, firmato dal ministro dell'ambiente Mario Pavan che vietava la pesca e la navigazione con qualsiasi mezzo nel golfo stesso, decreto di fatto annullato dal successivo governo.
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