Quando si esce a pesca al largo delle coste australiane è possibile incontrare diverse specie animali, compresi grossi cetacei. E' quello che è successo a un gruppo di giovani, che nelle acque di Sydney hanno avuto un incontro ravvicinato con una balena. L'esemplare si è avvicinato alla barca chiedendo aiuto ai pescatori, a causa di un fastidioso sacchetto di plastica finito nella sua bocca.
La balena si è così affidata agli occupanti della barca, avvicinandosi e quasi toccando lo scafo. Capito il problema, i ragazzi sono riusciti a estrarre la busta e alcune lenze dalla bocca dell'animale, scattandosi anche alcuni selfie. Prima di riprendere il largo, il gigantesco esemplare ha anche ringraziato gli uomini sbattendo la pinna in acqua."E' stato surreale, non potevamo credere ai nostri occhi", hanno spiegato ancora un po' scossi i 17enni tramite social network.
I Balenidi sono una famiglia di Cetacei composta da due generi con quattro specie. Essi sono detti comunemente anche "balene franche" o “balene vere”. Il primo nome deriva dal fatto che i balenieri le consideravano la preda "giusta" da cacciare, per la grande quantità di grasso che se ne ricavava e per la facilità con la quale questi cetacei si lasciavano catturare.
La lunghezza può giungere a 18 metri e il peso a 100 tonnellate.
I Balenidi si distinguono dalle altre famiglie del sottordine dei Misticeti per la maggiore lunghezza dei fanoni, la forma arcuata dei mascellari (che ha valso loro il nome inglese di bowhead whales, cioè balene dalla testa ad arco), l'esofago molto sottile e non dilatabile e, soprattutto, la fusione completa delle 7 vertebre cervicali in un unico elemento osseo rigido.
I Balenidi si cibano essenzialmente di krill e possono consumarne 2 o 3 tonnellate al giorno. Diffusi negli oceani Pacifico, Atlantico e Artico, non sono presenti nel Mediterraneo se non eccezionalmente.
Gli antichi balenieri battezzarono gli esponenti di questa famiglia "Right Whales" (balene "giuste") perché dopo la morte galleggiavano rendendo facili le operazioni di recupero e di traghettamento della carcassa, a differenza delle balenottere o "balene false" che, dato l'enorme volume della bocca che dopo la morte si apriva, colavano a picco, appesantite dalla massa d'acqua che penetrava nelle fauci.
Dopo molti anni di ipotesi discordanti sul numero delle specie di Balenidi, recenti prove genetiche indicano che ne esistono quattro specie distinte. Queste specie sono state tradizionalmente suddivise in due generi.
La balena della Groenlandia viene attualmente considerata una specie individuale ed è stata classificata in un genere monotipico fin dagli studi di Gray nel 1821. Le tre specie rimanenti vengono classificate insieme in un genere separato. A supporto di questa suddivisione in due generi vi sono, però, poche differenze genetiche. Infatti, gli scienziati individuano maggiori differenze tra le specie di Balaenoptera che tra la balena della Groenlandia e le balene franche. Tuttavia sembra probabile che tra pochi anni, dopo ulteriori ricerche, tutte e quattro le specie verranno classificate in un solo genere.
Come mai così tanti cetacei ogni anno si spiaggiano? Come comunicano tra loro? Ecco come l'uomo influisce sul fenomeno dello spiaggiamento.
Capita di assistere al triste spettacolo dello spiaggiamento di alcuni cetacei cui corpi rimangono agonizzanti sulle rive delle spiagge e che difficilmente riescono ad essere salvati. L'ultimo, in ordine di tempo, in Italia è avvenuto lo scorso settembre in Toscana dove ben sei delfini sono stati ritrovati morti tra la spiaggia di Tre Ponti, in provincia di Livorno, e a Tirrenia, in provincia di Pisa. Raramente si tratta di un unico individuo, spesso sono anche gruppi interi che, una volta raggiunte le acque più basse, non riescono a tornare a largo.
Il fenomeno di cui stiamo parlando, ancora attualmente sotto attenti studi, caratterizza per lo più i cetacei odontoceti, detti anche cetacei dentati poiché, come è facile intuire, a differenza dei misticeti, si distinguono per la loro dentatura. A questo sottordine di cetacei appartengono i delfini, i capodogli e le orche e si tratta di veri e propri cacciatori che si nutrono di pesci, di cefalopodi o di mammiferi marini.
Gli odontoceti comunicano tra loro grazie alle vocalizzazioni emesse che servono anche all’ecolocalizazzione. Questo significa che attraverso l’emissione di suoni gli odontoceti riescono a comprendere le distanze tra loro e le loro prede. Secondo quanto scoperto da uno studio effettuato dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr, i delfini per esempio parlerebbero tra loro attraverso un ‘dialetto’, una serie di segnali riconoscibili dal gruppo di appartenenza, che si differenziano tra suoni, con frequenza 20kHz detti vocalizzazioni, e ultrasuoni, con frequenza variabile tra i 20 e i 200 kHz, detti segnali sonar o ecolocalizzazione.
È proprio l'ecolocalizzazione, secondo alcuni studiosi, ad essere una delle principali cause che porta i cetacei a spiaggiarsi. Si tratta di un vero e proprio sonar biologico che alcuni odontoceti utilizzano per stimare le distanze. Come? Grazie alla matematica. Calcolando il tempo trascorso tra l’emissione del suono e il ritorno degli echi dall’ambiente. Negli odontoceti il suono emesso utile al calcolo è un click ad alta frequenza. ‘Alla fin fine, l'ecolocalizzazione è ciò che permette a questi cetacei di nutrirsi e vivere. Per loro è essenziale non solo localizzare i pesci, ma anche individuarli e scegliere tra un tipo di pesce e l'altro. È una continua danza sottomarina tra preda e predatore. È naturale che ci sia bisogno di un qualche tipo di focalizzazione’, con queste parole la zoologa Kloepper, dell’Università delle Hawaii di Honululu spiega i risultati ottenuti da uno studio effettuato su una pseudorca addestrata di nome Kina che ha dato prove scientifiche delle capacità comunicative degli odontoceti. Ecco perché c’è chi sostiene che le vibrazioni emesse dai nostri sonar siano la causa degli spiaggiamenti, o comunque di molti di essi. Secondo alcune ipotesi i sonar sarebbero in grado di causare la morte delle balene per emorragie alle orecchie, altri studi dimostrerebbero che gli impulsi emessi sarebbero in grado di lacerare i tessuti intorno alle orecchie e al cervello dei cetacei. Questi danni fisici sono stati riscontrati solo in casi di spiaggiamenti successivi ad esercitazioni navali. L’emissione di frequenze simili a quelle prodotte da questi mammiferi sarebbe anche in grado di modificare il comportamento di alcuni soggetti che potrebbero scambiare i suoni dei sonar per predatori o per messaggi di altri membri del gruppo.
Non tutti gli spiaggiamenti sono però causati dai sonar. Spesso infatti alcuni singoli cetacei arrivano a riva perché malati o feriti, non più in grado di vivere in mare aperto, altre volte le cause sono ambientali, come il mal tempo, ma anche l’anzianità o la caccia. Trattandosi di predatori, un’ipotesi attribuirebbe alla forte motivazione predatoria la causa della perdita dell’orientamento poiché presi dal tentativo di raggiungere un pesce, i cetacei non si accorgerebbero di aver raggiunto le coste, non essendo poi capaci di tornare indietro, finirebbero per morire.
Lo spiaggiamento di cetacei è un evento che accade quando un cetaceo o un gruppo di cetacei si smarrisce per varie cause, arenandosi sulla spiaggia: spesso muore per disidratazione, per l’impossibilità di sopportare il proprio peso oppure perché l'alta marea copre lo sfiatatoio.
Ogni anno circa 2.000 animali si arenano. Sebbene la maggioranza degli spiaggiamenti comporta la morte, tale fenomeno non costituisce una minaccia verso nessuna specie in particolare. Solo una decina di specie di cetacei manifestano più frequentemente di altre spiaggiamenti di massa: ne sono soggetti soprattutto gli odontoceti e non tanto i misticeti. Queste specie condividono delle caratteristiche che possono spiegare perché siano maggiormente soggette ad arenarsi. Solitamente, la dimensione corporea non influisce negli spiaggiamenti di massa, cosa su cui invece sembrano incidere sia l'habitat che l'organizzazione sociale di tali animali. Gli odontoceti che normalmente vivono in acque profonde in grandi branchi molto fitti ne sono maggiormente suscettibili: essi comprendono i capodogli, alcune specie di globicefali e orche, alcuni zifidi e alcuni delfinidi. Per contro, le specie solitarie non si arenano in massa al pari dei cetacei che trascorrono la maggior parte del loro tempo in acque costiere poco profonde.
Gli spiaggiamenti sono classificabili in diversi tipi: la distinzione più ovvia è tra spiaggiamenti singoli e di massa. È probabile che le carcasse dei cetacei a un certo punto galleggino: durante questa fase le correnti oceaniche o i venti possono trasportarle verso la costa. Poiché migliaia di cetacei muoiono ogni anno, molti si arenano dopo essere morti. Molte carcasse di balena non raggiungono mai la costa e sono divorati dai saprofagi o si decompongono depositandosi sul fondo dell'oceano, dove vanno a formare la base di un ecosistema locale unico. Spiaggiamenti singoli di balene viventi sono spesso il risultato di malattie o ferite, che quasi inevitabilmente, senza l’intervento dell'uomo, finiscono con la morte dell’animale.
Spiaggiamenti multipli in un singolo luogo sono rari e spesso attirano i mezzi di telecomunicazione oltre alle squadre di soccorso. Anche le morti multiple che avvengono al largo difficilmente portano a spiaggiamenti multipli a causa di correnti e venti variabili.
Un fattore primario sembra essere la grande coesione sociale degli odontoceti: se uno di essi si trova in difficoltà, la sua richiesta di aiuto può spingere il resto del branco a seguirlo finendo anch'esso con lo spiaggiarsi.
Molte, a volte controverse, teorie sono state avanzate per spiegare gli spiaggiamenti, ma la questione rimane irrisolta.
Le balene si sono arenate nel corso dei secoli, quindi molti spiaggiamenti sono da attribuire a cause naturali e a fattori ambientali, come il brutto tempo, la debolezza dovuta all'età avanzata o alle infezioni, la difficoltà nel parto, la caccia troppo in prossimità della costa e gli errori di navigazione.
Un singolo animale spiaggiato può spingere il branco a rispondere alla richiesta di aiuto, facendolo spiaggiare a sua volta.
Nel 2004, gli scienziati dell’Università della Tasmania hanno associato gli spiaggiamenti delle balene al tempo, ipotizzando che quando le fredde acque antartiche ricche di teutidi e di pesce fluiscono verso nord, le balene seguono le loro prede troppo vicino alla costa. In alcuni casi i predatori (come le orche) fanno andare nel panico le balene, spingendole verso la riva.
Il loro sistema di ecolocalizzazione può andare in crisi nel rilevare variazioni dolci nelle pendenze della costa. Questa teoria confermerebbe gli spiaggiamenti di massa in luoghi ben precisi come all'Ocean Beach, in Tasmania e a Geographe Bay, nell'Australia occidentale dove la pendenza è di soli 0,5°. Il gruppo di bioacustica dell’Università di Western Australia sostiene che la scarsa pendenza potrebbe attenuare il suono al punto da rendere l’eco non più percepibile dalle balene. Tale fenomeno potrebbe essere accentuato ulteriormente dal rimescolamento della sabbia e dalle micro bolle di lunga durata prodotte dalla pioggia.
Una controversa teoria, sostenuta da Jim Berkland, geologo che ha lavorato per l'U.S. Geological Survey, attribuisce gli spiaggiamenti a cambiamenti radicali nel campo magnetico terrestre poco prima di un terremoto e in genere nelle aree dove le scosse si manifestano con maggiore frequenza. Berkland sostiene che quando ciò si verifica, si viene ad interferire con la capacità di orientamento di mammiferi marini e uccelli migratori, cosa che spiegherebbe gli spiaggiamenti di massa. Egli sostiene inoltre che anche i cani e i gatti sono soggetti a tali sconvolgimenti, cosa che spiegherebbe l’alto tasso di animali randagi che si verifica 1-2 giorni prima dei terremoti. Le ricerche sul campo magnetico terrestre e sulle sue variazioni a seguito del movimento delle placche tettoniche e dei terremoti sono tuttora in corso.
Alcuni spiaggiamenti potrebbero verificarsi quando i cetacei più grandi seguono delfini e focene in acque poco profonde lungo la costa: in caso di condizioni avverse nei flussi di marea e nella topografia del fondale marino, le specie più grandi potrebbero rimanere intrappolate.
A volte seguire un delfino può aiutare una balena a scampare il pericolo. Un esempio si è avuto quando un delfino locale ha condotto verso il mare aperto due cogie di De Blainville che si erano smarrite dietro a una barriera di sabbia a Mahia Beach in Nuova Zelanda. In futuro potrebbe essere possibile addestrare i delfini perché conducano al largo le balene rimaste intrappolate.
Una osservazione interessante è che i branchi di orche, predatori di delfini e focene, raramente si spiaggiano. Gli animali più piccoli si dirigono verso le acque più basse per difendersi dai predatori e le orche hanno imparato che devono tenersi alla larga dalla costa: alcune di esse, però, hanno imparato come muoversi anche nelle acque basse, specialmente quando danno la caccia alle foche. È quanto si verifica nella Penisola Valdes in Argentina e nelle Crozet Islands nell’Oceano Indiano, dove le orche cacciano le foche fin sulle spiagge ghiaiose del litorale. Esse, durante la caccia, finiscono di tanto in tanto fuori acqua spinte dal loro stesso impeto e dalla risacca e devono aspettare l’onda successiva per essere riportate in mare.
Dopo che una balena muore, essa diventa fonte di malattie e inquinamento. A causa dell’alto isolamento termico del blubber, la temperatura interna della carcassa di una balena può rimanere sui 30 °C anche per tre giorni, rendendola un ambiente ideale per i microorganismi anaerobici.
Una carcassa così grande è difficile da rimuovere e tipicamente viene interrata con l'aiuto di mezzi pesanti oppure trascinata in alto mare e smembrata con l'esplosivo. In alcuni casi le carcasse sono state fatte esplodere sulla terraferma, con effetti spesso indesiderati. La carcassa può inoltre riempirsi di gas infiammabili prodotti dalla decomposizione stessa ed esplodere spontaneamente.
La carcassa di una balena spiaggiata non dovrebbe essere consumata. Nel 2002, 14 abitanti dell’Alaska mangiarono il blubber di una balena spiaggiata: 8 di loro svilupparono il botulismo e due di essi dovettero far ricorso alla ventilazione meccanica.
Nel corso del 2010 si sono verificati numerosi spiaggiamenti sulle coste italiane meridionali tra cui quello del 24 gennaio sul lungomare di Villagrazia di Carini a Palermo, del 30 aprile sulla spiaggia di Calamizzi a Reggio Calabria e del 18 agosto sulla spiaggia di Vaccarizzo a sud di Catania.
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