lunedì 27 luglio 2015

LA CALCE

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Già i Romani ed i Fenici prima avevano imparato ad usare la calce come materiale da costruzione, mescolata con la sabbia a formare la malta. Vitruvio, nella sua opera De architectura ne descrive la produzione a partire da pietre bianche, cotte in appositi forni (le calcare) dove perdono peso (oggi sappiamo in conseguenza della liberazione di anidride carbonica). Il materiale ottenuto, la calce viva, era poi spenta gettandola in apposite vasche piene di acqua.

Inizialmente adoperata nella forma di calce aerea (che indurisce solo se a contatto con aria) venne successivamente mischiata con pezzi di argilla cotta (vasellame, mattoni ecc.) oppure a pozzolana, una sabbia ricca di silice, che ne alterano le caratteristiche di resistenza, impermeabilità e soprattutto ne consentono la presa anche in ambienti non a contatto con aria (tipicamente sott'acqua). Nascevano così le malte idrauliche, sebbene a base di calce aerea.

In tempi moderni, gli ingegneri francesi della scuola di Ponts et Chaussées nel 1750 iniziavano a costruire le fondazioni dei ponti mescolando al cemento quella stessa calce idraulica che sarà studiata dall'inglese John Smeaton. Alcune marne calcaree contengono al loro interno impurità argillose o silicee; da questi minerali si può ottenere la calce idraulica naturale in quanto contiene già le caratteristiche di idraulicità senza l'aggiunta di parti esterne.

È il prodotto di cottura della pietra da calce, che è un calcare costituito di carbonato di calcio allo stato di discreta purezza; è uno dei cementati, e tra di essi è il solo che dà il fenomeno dello spegnimento quando è messo in contatto dell'acqua. Si distingue la calce aerea dalla calce idraulica; la prima fa presa solo all'aria, la seconda fa presa all'aria e sott'acqua.
Quanto è antica l'arte del costruire con pietre naturali od artificiali, altrettanto antica è l'industria della preparazione della calce, mediante la cottura del calcare, e la sua applicazione a preparare quelle malte (miscele di calce, sabbia ed acqua) che nelle costruzioni servono ad ottenere, a causa del fenomeno di presa, l'adesione dei materiali adoperati. Così si possono ottenere grandi strutture quasi monolitiche partendo da materiale di piccola dimensione, come i mattoni.
Nella cottura del calcare (prescindendo per ora dalle impurità che esso può contenere e che possono superare anche il 10 e il 15%) avviene la reazione: CaCO3 ? CaO + CO2. Si ha cioè eliminazione di anidride carbonica con perdita del 44% circa in peso, il calcare si contrae da 1/10 fino ad 1/5 del proprio volume, e resta l'ossido di calcio chiamato calce viva. Siccome la tensione di dissociazione del carbonato di calcio raggiunge 760 mm. solo ad 812°, è conveniente per la rapidità dell'operazione eseguire la cottura a temperature intorno agli 800°; e siccome la reazione provocata dalla cottura è una dissociazione, bisogna che nei forni impiegati non stagni l'anidride carbonica; ne deriva la pratica, applicata da qualche fornaciaio, di bagnare la pietra da calce con acqua, giacché lo svolgimento del vapore aiuta lo spostamento dell'anidride carbonica. L'uso di temperature superiori agli 800° accelererebbe la cottura; però la calce viva ottenuta a temperatura molto elevata reagisce con qualche difficoltà con l'acqua (si spegne male); economicamente poi l'operazione non sarebbe conveniente.

Diversissimi sono i forni adoperati per la cottura del calcare. Dai più antichi che consistevano in una semplice cavità praticata nel terreno, nella quale si disponeva la pietra da cuocere e sotto di essa si bruciava del combustibile, si, arriva ai forni moderni che si possono distinguere in intermittenti e in continui; questi ultimi possono essere stazionari (o verticali), e rotativi, simili a quelli usati per la cottura del cemento, quantunque di dimensioni più modeste essendo inferiore la temperatura richiesta per la cottura. Si noti che i forni stazionari forniscono un materiale in grossi blocchi (zolle), come appunto si usa in Italia mettere in commercio la calce, mentre i forni rotativi dànno un materiale piuttosto minuto. Vario è il consumo di combustibile nei diversi tipi di forni: come media si ritiene che esso sia del 10 al 15% della calce, se si tratta di carbon fossile, e del 30 al 35% se si ratta di legna.

La calce viva si presenta con colore variante dal bianco al giallastro; essa oltreché nella preparazione delle malte è usata in moltissime industrie, si può dire ovunque occorre un alcali attivo e a buon mercato. Se ne consumano quantità notevoli nella preparazione della soda, della soda caustica, della potassa caustica, dei saponi, dell'ammoniaca, del cloruro di calce (polvere imbiancante), nella depurazione del gas luce, in metallurgia, nell'industria degli zuccheri, in alcune operazioni di tintoria, nella preparazione del vetro e di materiali rarefatti; ha applicazioni come correttivo di terreni e come disinfettante.

Caratteristico per la calce viva è il fenomeno dello spegnimento quando la si tratta con acqua. Spruzzata con acqua, o immersa per mezzo di un cestello per qualche minuto nell'acqua, essa comincia a riscaldarsi, la temperatura può in qualche caso elevarsi sino a 300°: parte dell'acqua viene eliminata come vapore, il materiale si sgretola e finisce col polverizzarsi, aumentando notevolmente di volume. Si ottiene la calce spenta rispondente alla composizione Ca (OH)2 se l'acqua impiegata è in quantità sufficiente. Aggiungendo acqua alla calce spenta si ottiene prima una pasta densa, untuosa, il grassello, che per nuova aggiunta d'acqua si converte in una poltiglia più o meno consistente, il latte di calce, e finalmente in un liquido limpido, soluzione di idrossido di calcio, l'acqua di calce. Il grassello lasciato all'aria essicca e si fessura.

Il fenomeno dello spegnimento serve a classificare le calci quando si tenga conto della rapidità con la quale si effettua, della temperatura che produce e dell'aumento di volume del grassello rispetto alla calce viva. Si chiama rendimento di una calce il rapporto del volume del grassello (misurato ad incipiente fessurazione) al volume della calce viva. Le calci sotto questo riguardo si dividono in:  Calci grasse sono quelle che si spengono più rapidamente, dànno maggiore elevazione di temperatura; il grassello è consistente ed untuoso, il rendimento varia tra 2 e 3; 2. Calci magre sono quelle che si spengono lentamente; il grassello è poco legante, l'acqua assorbita è minore, il rendimento è inferiore a 2.

Dalla cottura di calcari sufficientemente puri si hanno calci grasse, da quella di calcari non puri le magre; ottime le prime, scadenti le seconde quando le impurità del calcare non siano costituite da argilla.

Adoperando la calce per costruzioni bisogna anzitutto preparare il grassello, e questa operazione deve essere fatta qualche giorno prima della messa in opera per essere sicuri che tutto l'ossido si sia idratato e non siano rimasti noduli di calce viva, che spegnendosi dopo la messa in opera produrrebbero con il loro rigonfiamento degli scrostamenti, specialmente negli intonachi. Il grassello si conserva in fosse sotto acqua ed ivi lo si tiene per due o tre mesi quando deve servire per pitture a fresco (pare che così restino eliminati sali solubili dannosi). Per la messa in opera bisogna fare una malta con grassello, sabbia ed acqua; la malta interposta fra le pietre serve a legarle. È necessaria l'aggiunta di sabbia; l'uso del solo grassello non produrrebbe legamento, giacché il grassello per essiccamento si contrae e si fessura, se invece è mescolato con sabbia la sua contrazione non è tanto sentita avvenendo sulle piccole porzioni che restano fra i grani di sabbia che costituiscono una specie di scheletro. Non bisogna però eccedere nella quantità di sabbia, perché si ridurrebbe il potere collegante; buona norma è preparare la malta in proporzioni tali che, avvenuta la presa, non si abbia materiale troppo prezioso. Si capisce che la sabbia non deve essere costituita da minerali facilmente friabili; la migliore sarebbe la silicea; non conviene l'uso di sabbie argillose, le sabbie marine si usa alcune volte lavarle con acqua dolce per liberarle dai sali solubili che potrebbero provocare macchie di umidità nella costruzione.

Si chiama presa l'insieme dei fenomeni presentati dalla malta dopo la messa in opera, e che originano il collegamento tra le varie pietre. Dapprima si ha l'essiccamento, cioè la malta perde l'acqua d'impasto; dopo segue il periodo di carbonatazione: la calce spenta Ca(OH)2 si converte in carbonato di calcio CaCO3 combinandosi con l'anidride carbonica contenuta nell'aria; infine la cristallizzazione del carbonato di calcio consolida il tutto. Il fenomeno della carbonatazione è molto più lento dell'essiccamento dovendo l'anidride carbonica, che viene fornita solo dall'aria, reagire con tutta la calce che trova sul suo cammino prima di penetrare attraverso fori capillari nell'interno dei muri. In demolizioni di vecchie murature di fortezze, molto spesse, si trovò all'interno calce non carbonatata.

Analisi di malte vecchie hanno fatto invocare anche un altro fenomeno come determinante della presa, la silicatizzazione, cioè la combinazione della calce con la silice della sabbia. Si potrebbe prestar fede alle analisi se esse si potessero ripetere sulle calci prima della messa in opera; certo è che la calce reagisce con la silice, nelle condizioni in cui ordinariamente avviene la presa; la reazione è però talmente lenta da rendere sensibile la sua azione solo dopo qualche decina d'anni, quando cioè la costruzione si è completamente assodata.

Calce idraulica fa presa sott'acqua ed è una calce magra derivante dalla cottura di calcari impuri per argilla. La questione dei cementanti che fanno presa sott'acqua ha sempre attirato l'attenzione dei costruttori, specialmente per opere marine. I Romani adoperavano malte pozzolaniche, cioè impasti di buona calce, pozzolana e sabbia; tale sistema fu seguito per tutto il Medioevo e nei primi secoli dell'era moderna. I materiali pozzolanicí non sono però molto diffusi; il disagio derivante dai trasporti e soprattutto lo sviluppo sempre crescente delle costruzioni a mare spinsero alla ricerca di cementanti che non richiedessero pozzolane. Nel sec. XVIII furono trovati alcuni calcari che per cottura davano calce idraulica; allora in ogni località fu sperimentato un gran numero di calcari e per quelli che producevano calci idrauliche si studiò qual era la sostanza che contribuiva a determinare l'idraulicità. Disparatissime e alcune volte anche strane furono le ipotesi emesse da eminenti chimici e costruttori per spiegare l'idraulicità La questione fu definitivamente chiarita dall'ing. Vicat; egli, in base a lunghi studi, nel primo quarto del sec. XIX enunciò che si potevano avere calci idrauliche cuocendo calcari contenenti argilla intimamente mescolata al carbonato di calcio; in base a questo fondò uno stabilimento per calci idrauliche, fabbricando artificialmente una miscela di calcare puro e di argilla; stabilimento fallito perché il costo della calce non compensava le spese della lavorazione. La produzione pertanto delle calci idrauliche si fa oggi solo cuocendo calcari argillosi naturali.

Nei forni per cottura di calci idrauliche la temperatura deve essere superiore a quella adottata per le calci aeree, deve superare i 900°. Durante la cottura gli ossidi costituenti l'argilla (SiO2, Al2O3, Fe2 O3) si combinano parzialmente con l'ossido di calcio generato dal carbonato di calcio originando dei composti di calcio (silicati, alluminati, ferriti) che per idrolisi con l'acqua generano il fenomeno della presa senza l'intervento dell'anidride carbonica dell'aria.

La calce idraulica è messa in commercio in zolle o in polvere. Nulla di speciale vi è da osservare per le zolle; la calce viene inviata ai cantieri quale esce dai forni. Invece bisogna avere speciali avvertenze quando la calce idraulica è messa in commercio in polvere. La polvere non si prepara per macinazione, ma con un processo di parziale spegnimento. La calce viene distesa in strati di uno spessore di 40 a 50 cm., la si innaffia con acqua, cioè si provoca il fenomeno dello spegnimento avendo cura di non eccedere nella quantità di acqua, in guisa da arrivare ad una polvere secca, non ad una pasta; si aiuta l'operazione rimescolando lo strato. La pratica insegna a dosare l'acqua; teoricamente si dovrebbe adoperarla in quantità appena sufficiente a convertire in idrato, Ca(OH)2, con la calce viva, CaO, ancora contenuta nel prodotto cotto e non combinata con gli elementi dell'argilla, cioè la calce libera; l'idratazione dei silicati, alluminati, ferriti, produrrebbe i fenomeni determinanti la presa prima della messa in opera della calce. La calce sfiorita, dopo raffreddamento, viene passata ai buratti che la dividono in una polvere fina, fior di calce o calce idraulica leggera, e in noduli di diversissime grandezze chiamati grappiers. La calce idraulica leggera viene posta in sacchi o in barili e messa in commercio.

Duplice può essere l'origine dei grappiers. Essi non si formerebbero se il calcare cotto fosse omogeneo se la cottura riuscisse uniforme; trattandosi però di materiale naturale è facile trovare in esso punti di irregolare composizione ed è pure facile avere temperature non uniformi in tutti i punti del forno; si capisce che in tali punti l'ossido di calcio si sarà combinato in diversa proporzione coi costituenti dell'argilla producendo composti che con l'acqua più non si spengono (cementi). I grappiers vengono essiccati, macinati, e la polvere è messa in commercio come cemento di grappiers, ben diverso dal cemento Portland. Alcuni mescolano la polvere dei grappiers al fior di calce; in commercio tale prodotto prende nome di calce idraulica pesante.

Le calci limiti fanno presa rapidamente e prontamente induriscono; presentano l'inconveniente di rammollirsi col tempo, quindi il loro uso dev'essere molto controllato. Data poi la composizione chimica dei calcari che portano alle calci limiti, è preferibile cuocerli a temperature più elevate e preparare dei cementi, prodotti di valore ben più alto.
La calce viva (calcium oxydatum) fu adoperata come caustico, associata per lo più alla potassa (pasta caustica di Vienna) e per disinfezione. Per quest'ultimo scopo serve anche il latte di calce che si prepara spegnendo in poca acqua 100 parti di calce viva e diluendo poi con acqua fino al volume di mille parti. L'acqua di calce è la soluzione acquosa satura, a temperatura ordinaria, d'idrato di calce; si unisce spesso al latte di vacca che rende più digeribile, perché facilita la formazione nello stomaco di fini coaguli di caseina.

La calce viva è il più importante tra i correttivi dell'acidità del terreno agrario e presenta anche il vantaggio di essere facilmente trasportabile e perciò utilizzabile in posti lontani da quello di fabbricazione. Disposta sui campi da calcitare in grandi mucchi, essa subisce l'azione dell'umidità e dell'aria e si idrata lentamente, trasformandosi in idrato di calcio o calce sfiorita. L'idrato può essere ottenuto da un conveniente annacquamento; è però sempre opportuno limitare la quantità di acqua perché l'idrato risulti polveroso e asciutto, in condizioni cioè da poter essere uniformemente sparso e incorporato nel terreno. È pertanto opportuno coprire con uno strato di terreno i mucchi esposti all'idratazione, in maniera da proteggerli da eventuali precipitazioni atmosferiche.

Nel terreno l'idrato si va poi trasformando in carbonato, cioè nel prodotto di origine, perché la calce viva si ottiene dalla calcinazione del calcare o carbonato di calcio.

È superfluo aggiungere che il carbonato così ottenuto presenta su quello originario il vantaggio di un'estrema sottigliezza e quindi di una rapida attaccabilità da parte degli acidi, laddove il calcare destinato alla preparazione della calce viva, anche se finemente polverizzato, può presentare una grande resistenza agli acidi del terreno e in qualche caso riuscire del tutto inattivo. Il maggior costo della calce viva rispetto al calcare è però compensato dalla rapidità di azione del carbonato di cahio estremamente suddiviso al quale si perviene.

Si usava in passato fabbricare calci idrauliche artificiali secondo i processi: 1. di doppia cottura, consistente nel mescolare argilla con calce spenta, formare dei blocchetti e cuocerli; 2. di semplice cottura, consistente nel mescolare argilla con carbonato di calcio e cuocere tutta la massa.

D'altro canto, in quasi tutte le regioni esistono giacimenti di calcari adatti alla fabbricazione delle calci idrauliche naturali. Frequentissimi sono tali giacimenti nel Giurassico e nel Cretacico inferiore.

I dati fondamentali di ogni progetto di fabbrica di calce idraulica naturale sono quelli che riguardano il giacimento di calcare, così dal punto di vista della qualità come dal punto di vista della quantità; quindi, per evitare sorprese, bisogna procedere alla presa di numerosi campioni del calcare studiato. Va poi risolta la questione dei trasporti facendo sporgere gl'impianti in località raccordate alla ferrovia; o, meglio ancora, in prossimità di vie d'acqua.

Secondo la natura del giacimento, l'estrazione è fatta a cielo aperto o in galleria. La natura della roccia consiglia diverse pezzature: un calcare compatto cuoce meno facilmente di un calcare tenero e perciò nel primo caso occorrono frammenti più piccoli che non nel secondo. Inoltre la polvere e i frammenti troppo piccoli riducono fortemente il tiraggio dei forni. Se poi il calcare caricato nel forno è leggermente umido, cresce il tiraggio del forno, sicché sovente si inumidisce il calcare da caricarsi. Con qualunque metodo di cottura, i prodotti migliori si hanno cuocendo un calcare di un solo tipo, non già una miscela di calcari differenti, poiché la temperatura di cottura differisce alquanto dall'uno all'altro tipo di calcare.
Se la roccia impiegata è costituita da carbonato di calcio e silice pura il prodotto sarà bianco, se invece il carbonato contiene ossido di ferro e di manganese il prodotto assumerà colori differenti secondo la natura dei composti formatisi durante la cottura.
Mentre nelle condizioni ordinarie di cottura un calcare diminuisce di peso in seguito alla sua decomposizione, se si esamina una roccia in cui gli elementi si trovano in proporzioni di dare del cemento, si osserva che il peso specifico della materia prima è di 2,50 sale a 2,60 quando tutta l'anidride carbonica è stata scacciata, mentre raggiunge il valore di 3,15 in seguito alle combinazioni chimiche che possono effettuarsi durante la cottura. La densità delle calci idrauliche è intermedia tra quella della calce aerea (2,20) e quella del cemento (3,15) e si avvicina in genere a 2,90.
Le esperienze eseguite sulla decomposizione del carbonato di calcio hanno portato a concludere che la decomposizione è nulla a 350°, si inizia a 440°, è notevole a 860° e che infine la tensione di decomposizione raggiunge la pressione atmosferica attorno ai 925° (Le Châtelier).

Una corrente d'aria (Birnham e Mahon) o di vapor d'acqua (GayLussac) consente di abbassare la temperatura di decomposizione perché in tal modo si allontana continuamente l'anidride carbonica, uno dei prodotti della decomposizione del calcare.

I forni generalmente si caricano, per la cottura, calcare e combustibile in strati sovrapposti.

La schematizzazione del processo di cottura è la seguente: nella parte bassa del forno avviene il raffreddamento della massa cotta, nella parte mediana la cottura, nella parte alta il preriscaldamento del calcare; l'aria necessaria alla combustione è riscaldata dal calcare cotto, che va così raffreddandosi; i prodotti della combustione riscaldano invece la parte superiore. Teoricamente la pietra dovrebbe uscire fiedda dal forno ed i prodotti della combustione alla temperatura più bassa possibile; la parte calda del forno dovrebbe essere soltanto quella centrale. Raramente, però, si può regolare il fuoco in questo modo; è invece frequente il caso in cui i prodotti della combustione sfuggano assai caldi dal camino e con notevole contenuto in ossido di carbonio.

Allo scopo di ottenere un più regolare andamento della combustione si sono progettati ed anche messi in esercizio dei forni con focolari indipendenti posti lateralmente ai forni e dei forni a gas; i primi vennero abbandonati perché risultavano di scarsissimo rendimento termico; i secondi, di costruzione assai difficile e notevolmente costosa, presentano buoni rendimenti, ma non sono largamente adottati perché si confida che la soluzione del problema della cottura dei calcari stia nella costruzione di un forno rotativo ben adattato.

I combustibili variano a seconda delle regioni: si usano di solito carboni magri ed antracite, soli o mescolati. Secondo il tipo del forno, la natura del calcare e quella del combustibile il consumo di combustibile oscilla tra i 120-250 kg. per tonnellata di calce prodotta. I forni antichi erano a funzionamento intermittente; essi sono talvolta ancora usati nella cottura delle calci grasse.

Per aumentare la produzione di ciascuna unità e per avere forni a funzionamento continuo si arrivò a forni del diametro massimo di 4 metri e un'altezza di 15 metri; non è detto però che tale forma sia la più razionale, soprattutto per il forte restringimento nella parte bassa, che rende difficoltosa la discesa delle pietre.

Sono ora adottati forni con camera cilindrica o quasi; l'aria entra da quattro aperture dalle quali è pure possibile estrarre la pietra cotta: l'altezza del forno è limitata a circa 10-15 metri per evitare di dover impiegare un ventilatore che assicuri il tiraggio.

Nei grandi impianti recentemente costruiti la pietra cotta cade direttamente in trasportatori posti sotto i forni e lungo l'asse longitudinale; la carica si fa rovesciando i vagonetti che scorrono su di una passerella che collega i vari fori. Un forno della capacità di 80 mc. produce in media circa 18-20 tonnellate di calce cotta.

Per avere prodotto buono e prodotto uniforme è necessario che il forno funzioni con la massima regolarità; occorre sorvegliare attentamente la combustione in modo che i prodotti di essa si scarichino a temperatura relativamente bassa e praticamente esenti di ossido di carbonio.

Ammettendo di cuocere un calcare che contenga l'80% di carbonato di calcio e il 20% di argilla e che richieda per la sua cottura il 10% di carbone (che contenga a sua volta il 10% di ceneri) rispetto alla calce prodotta, se l'eccesso d'aria fosse nullo, il fumo dovrebbe essere costituito da 40%, di CO2 e da 60% di N2 in volume ed essere esente da ossigeno e ossido di carbonio. Naturalmente questo è un dato teorico e in pratica si hanno risultati diversi.

Per ottenere un buon prodotto, la pietra cotta dev'essere assoggettata ad un'accurata cernita, scartando gli elementi non cotti e quelli sovracotti. Naturalmente la cernita diventa poco importante quando i forni funzionino regolarmente; in questi casi si usano trasportatori che consentono l'effettuazione della cernita.
Per rendere più regolare l'estinzione e per abbreviare il soggiorno nei silos è opportuno procedere alla frantumazione della pietra cotta, che dai forni viene direttamente trasportata agli apparecchi di alimentazione di frantoi a mascelle.
Prima di essere impiegata nella confezione delle malte, la calce deve essere spenta.

Se si versa dell'acqua su un frammento di calce viva, l'acqua è immediatamente assorbita; dopo un po' di tempo l'intera massa si riscalda fortemente per effetto della reazione Ca O2H2O ? Ca(OH)2; una parte dell'acqua pertanto evapora, la massa si fessura, crepita e si polverizza.

La quantità di acqua teorica sarebbe quella deducibile dalla soprascritta reazione; la quantità d'acqua impiegata è sempre superiore; si può avere così calce in polvere, calce in pasta e infine latte di calce. La sola calce in polvere interessa la fabbricazione della calce idraulica.

Si può spegnere la calce sia lasciandola all'aria aperta (si ha allora una miscela di carbonato e di idrato), sia immergendo per qualche secondo la massa nell'acqua, sia per aspersione. L'aspersione è l'unico mezzo per spegnere le calci idrauliche. In genere la calce trattiene il 6-8% d'acqua; se la calce è idraulica la quantità d'acqua trattenuta aumenta. Bisogna però impiegare un quantitativo d'acqua una volta e mezzo superiore a quella trattenuta.

Quando la natura altimetrica del terreno lo consenta, è opportuno costruire un'officina a parecchi piani; allora le sale di estinzione sono situate in basso; sotto di esse è bene siano poste le fosse per il silotaggio il cui volume deve essere tale che la calce vi possa soggiornare non meno di 20-30 giorni. In generale quanto meglio la calce idraulica è cotta, tanto maggiore è il tempo necessario per l'estinzione; se essa termina in tre giorni circa, vuol dire che la calce è poco idraulica o troppo poco cotta; cioè, o per composizione chimica del calcare o per scarsa cottura, la massa è esclusivamente formata di ossido di calcio, non combinato con la silice e l'allumina, quindi il tempo di estinzione è particolarmente limitato.

Una calce idraulica va macinata molto finemente; non si può sollevare residuo alcuno per staccio da 324 maglie e molto limitato dev'essere detto residuo su staccio da 900 maglie.

Poiché una calce idraulica non è che una miscela di calce aerea e di cemento, una calce sarà tanto più idraulica quanto più elevato sarà il suo contenuto in cemento. Ne viene di conseguenza che quanto più spinta è la macinazione di una calce idraulica, tanto migliori saranno le sue proprietà meccaniche.
La calce non viene quasi mai spedita alla rinfusa per l'eccessiva perdita che presenterebbe. Viene ordinariamente insaccata in sacchi di iuta o di carta, o in barili internamente foderati in carta.
La densità apparente varia entro limiti assai vasti e cioè tra 0,4 e 1 a seconda delle proprietà chimiche del prodotto e del grado di finezza della macinazione. Il peso specifico assoluto varia, invece, a seconda della composizione chimica tra z,20 e 2,98.

Naturalmente è pure assai variabile la quantità d'acqua necessaria per la presa, variando essa rispetto alla calce secca tra il 60 e il 38%. Questi due valori estremi diversissimi, allorquando si tratta di confezionare della malta, si traducono per effetto della sabbia aggiunta, in valori meno distanziati (tra il 13 e il 10%).

Il fenomeno della presa in una calce idraulica è molto delicato, soprattutto quando la presa è molto lenta. Data la costituzione della calce idraulica (miscela di calce aerea e cemento), si comprende come la resistenza offerta dalla malta di calce idraulica sia assai variabile. Però con un calcare di media idraulicità si può facilmente ottenere una calce idraulica che risponde alla richiesta dei capitolati delle grandi amministrazioni pubbliche.

Mentre per una buona calce si può soltanto richiedere che sia esente da materiali dannosi (espansioni), che si spenga bene e che sia bianca, altra cosa è per la calce idraulica.

La silice combinata non deve scendere al di sotto del 16%; la perdita al fuoco non deve superare il 12%; la presa deve iniziarsi non prima di 12 ore e terminare entro la 36ª ora; il residuo per staccio di 900 maglie non deve essere superiore al 5%, mentre su staccio da 4900 maglie il residuo non deve superare il 25%; l'espansività a 100° secondo Le Châtelier non deve superare il 10%; infine il carico di rottura per malte 1:3 deve essere almeno di 2,5 kg./cm. dopo 7 giorni, di 6,8 kg/cm. dopo 28 giorni.

Durante l’epidemia di peste a Milano nel 1629-30, la calce era utilizzata per coprire le fosse comuni in cui erano gettati gli appestati allo scopo di arginare il contagio, poiché era radicata la credenza secondo la quale le epidemie erano causate da un miasma forse originato dai cadaveri o da altra materia che imputridiva sottoterra. Anche a Firenze, durante l’epidemia del 1656, i cadaveri erano gettati nelle fosse comuni “…..ricoperte di calce viva e cintate, per evitare che gli animali randagi disseppelliscano i morti…”. A Bergamo, nell’epidemia del 1630, gli appestati venivano gettati nei “fopponi” (grosse buche comuni scavate fuori dalle Mura venete) e coperti di calce. Per evitare il micidiale fetore che questi cadaveri emanavano, il Capitano Giovanni Antonio Zen dispose che le fosse venissero coperte da un grosso strato di calce viva e sopra di loro arse cataste di legna resinosa. Solo in seguito fu scoperto il potere causticante e battericida della calce viva, tanto che fu impiegata nella disinfestazione di abitazioni e stalle.
Un tempo i contadini usavano la calce mista a solfato di rame contro la peronospera della vite. Anche da noi molti ricordano le poche piante di ciliegio o altri frutti con il fusto imbiancato di calce per evitare l’infestazione degli afidi.
L’ossido di calcio, oltre che nell’edilizia, trova parecchie applicazioni in svariati campi, alcune recenti, altre invece piuttosto antiche e che si sono mantenute nel tempo, con le opportune modifiche. La calce spenta è essenziale nella produzione dello zucchero, sia di canna che di barbabietola, soprattutto nel processo di raffinazione. La calce viene aggiunta al succo grezzo di canna con basso pH che si ottiene trattando con acqua il raccolto  contenente impurità. La calce spenta viene aggiunta al succo per far alzare il pH e, reagendo con le impurità, forma composti organici di calcio insolubili e che possono essere facilmente rimossi. Per quest’operazione sono necessari dai 2,5 ai 5 kg di calce per ogni tonnellata di zucchero di canna prodotta. Lo stesso procedimento avviene anche per lo zucchero di barbabietola, salvo il fatto che è necessaria molta più calce rispetto allo zucchero di canna. Benché il passaggio dai processi acidi a quelli alcalini abbia ridotto il suo impiego, la calce è un prodotto importante per l’industria della cellulosa di carta. La maggior applicazione in questo settore è quella di agente caustificante negli impianti di solfato. In questo processo, la soluzione di scarico di carbonato di sodio viene recuperata e reagisce con la calce, ad elevato contenuto di calcio, per formare soda caustica da riutilizzare nel processo. Un’altra applicazione della calce si trova nel procedimento di sbiancatura della cellulosa, ottenuta attraverso l’interazione di calce e cloro. L’ipoclorito di calcio è il candeggiante più antico e più economico che ci sia, per questo è largamente usato nelle cartiere.
Nell’industria metallurgica la calce viva trova il suo maggior impiego come fondente nella purificazione dell’acciaio sia nei forni, ad ossigeno basico, che nei moderni forni ad arco elettrico. La calce è particolarmente efficace nella rimozione di alcune impurità come fosforo, zolfo e silicio. La calce viva è solitamente aggiunta alla miscela nel forno dopo l’inizio del “soffiaggio” dell’ossigeno, quando, reagendo con le impurità forma delle scorie che possono essere rimosse.
Molto importante è l’impiego della calce nel trattamento dell’acqua potabile e delle acque industriali, soprattutto nel processo d’addolcimento. La funzione della calce in questo processo è di rimuovere dall’acqua la durezza da “carbonato” (causata da bicarbonati e carbonati di calcio e magnesio).
La calce spenta è usata anche per regolare il pH dell’acqua e prepararla per altri processi. Nei trattamenti d’acque non potabili riduce la corrosione delle tubature, raccogliendo la quantità eccessiva d’anidride carbonica e neutralizzando l’acqua acida. Nei moderni impianti di trattamento delle acque di scarico, la precipitazione della calce è impiegata nei processi in cui il fosforo viene precipitato come fosfato di calcio con altri solidi sospesi o dissolti. Il trattamento con la calce, inoltre, controlla l’ambiente necessario per la crescita d’agenti patogeni nei rifiuti biosolidi e converte i fanghi in prodotto utilizzabile.
La calce è ampiamente impiegata in molti processi chimici per ottenere dei prodotti d’uso comune: ad esempio nel processo di purificazione dell’acido citrico è aggiunta calce spenta. Anche se sostituito da altri sistemi, la calce è ancora impiegata per la produzione della soda caustica. La fonte più antica di acetilene, il carburo di calcio, si forma mescolando calce viva e coke, scaldati ad una temperatura di 2000° C.  L’acetilene viene prodotto dal carburo a cui è aggiunta acqua, ottenendo gas e calce spenta di scarico. Oltre a questi esempi, la calce è impiegata per la produzione di molti altri prodotti chimici, organici ed inorganici e di prodotti farmaceutici. Usata in piccole quantità, la calce è impiegata nell’agricoltura per regolare il pH dei terreni agricoli o per altre numerose applicazioni agricole. Nell’industria casearia, oltre che come detergente negli ambienti di lavorazione del latte, è utilizzata per formare il lattato di calcio, prodotto commercializzato per scopi medicinali. Per mantenere fresche per lunghi periodi di tempo frutta e verdura, viene utilizzata la calce per assorbire l’anidride carbonica (CO²) emessa dai prodotti freschi in maturazione.
Da secoli la calce viene utilizzata come componente primario della malta per muratura e questo è certamente l’impiego più conosciuto dell’ossido di calcio.



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