giovedì 23 aprile 2015

LA STORIA DELLA CHIESA




Il cristianesimo fu fondato nel primo secolo da persone convinte che Gesù di Nazaret fosse il Cristo (Messia) e che lo avevano conosciuto, come gli apostoli, o che non lo avevano mai incontrato ma erano stati influenzati dai suoi insegnamenti, come gli evangelisti Marco e Luca, o che affermarono di aver avuto rivelazioni mistiche della sua natura divina, come Paolo di Tarso, che favorì la fondazione di comunità cristiane, o "chiese", dopo la sua conversione.

Il cristianesimo si diffuse inizialmente, da Gerusalemme, in tutto il Vicino Oriente. Nel quarto secolo fu adottato come religione di Stato dall'Armenia nel 301, in Etiopia nel 325 e in Georgia nel 337, e infine dall'Impero Romano nel 380. Si diffuse in tutta Europa nel Medioevo e continuò ad espandersi nel mondo con le grandi scoperte dal Rinascimento in poi diventando la maggiore religione al mondo. Durante la sua storia, il cristianesimo ha attraversato persecuzioni, scismi e dispute teologiche che hanno sancito la nascita di diverse chiese distinte. Le maggiori divisioni principali del cristianesimo sono il cattolicesimo, l'ortodossia orientale e il protestantesimo.

Gli Atti degli Apostoli ci informano sugli inizi della fede. La Chiesa, che al momento dell'Ascensione  superava appena le cinquecento persone, il giorno di Pentecoste, giorno della sua nascita vera e propria, vide ben tre mila persone farsi battezzare; fra costoro, molti erano abitanti di Gerusalemme, una città che allora contava appena 50.000 abitanti. Poco dopo, la comunità cri­stiana contava 5.000 uomini,  cioè fra le dieci e le quindici mila persone. Alla fine del I° se­colo si calcola che i cristiani fossero mezzo milione, diffusi in Palestina,  Asia minore, Italia meridionale  centrale e insulare, area costiera Nord-africana. Nel II° sec. erano saliti a 2 milioni;  zona di espansione, Spagna, Gallia, isole  britanniche.  Nel III° sec. i cristiani erano saliti a cinque milioni, mentre la popolazione dell'impero romano era stimata sui cinquanta milioni.  Nel IV° secolo -quando la Chiesa ottenne la libertà di esistenza pubblica con l'imperatore Costantino-  il numero dei cristiani in tutto l'impero si ritiene che sia stato di circa dieci milioni.

La diffusione del cristianesimo avvenne mediante la predicazione orale e, in misura ridotta, attraverso la propaganda degli scritti. Soprattutto il cristianesimo a differenza dell'ebraismo è missionario, portate l’annuncio di Cristo risorto, di questo siete testimoni fino agli estremi confini del mondo, questo è un atteggiamento che nell’ebraismo non esiste. L’ebraismo non è di per se una religione proselitita, nessun ebreo dice: «devi fare discepoli fino ai confini del mondo». La logica ebraica è un’altra: noi siamo il popolo eletto e possiamo diventare strumento di salvezza anche per i pagani, ma a questo ci penserà Dio, se vuole. L’importante è che noi conserviamo la fedeltà alle tradizioni tramandate dai nostri padri. Il cristianesimo, invece, ha uno slancio missionario sin dalle origini. Molta di questa evangelizzazione fu fatta da Paolo, l’apostolo delle genti. Cosa vuol dire "apostolo delle genti"? Genti (ebraico: goyîm) = i non ebrei. Il mondo, nella prospettiva ebraica si divideva in due parti: noi, cioè gli ebrei, il popolo eletto; e poi le genti: il resto del mondo, i pagani. San Paolo riconosce di essere stato mandato ad annunciare il cristianesimo ai pagani e diffonde il cristianesimo in Turchia, in Grecia e poi a Roma. In Italia la propagazione della fede procedette per irradiazione da alcuni centri principali seguendo il corso delle vie militari e commerciali. A spingere alla conversione il fervore della fede dei primi cristiani, il loro amore fraterno, l'eroismo dei martiri. Dapprima gli apostoli guidarono la comunità tutti insieme. Solo in un secondo momento compaiono le giurisdizioni locali.
Nel 70 avviene la distruzione del Tempio perciò una parte della religione che si fondava sulla legge, le prescrizioni, i rituali del Tempio, i pellegrinaggi, viene cancellata. Il giudaismo dopo la distruzione del Tempio si deve riorganizzare. L'ebraismo è oggi molto diverso, da questa data l'ebraismo ha dovuto rinunciare così ai riti del Tempio e reimpostare in modo diverso tutta la sua religiosità. I primi cristiani andavano spontaneamente in sinagoga perché erano tutti ebrei e si sentivano ebrei, andavano al tempio (quando Pietro guarisce uno storpio alla porta del tempio, vuol dire che lui ci andava) anche se gradualmente alcune pratiche dell’ebraismo sono state considerate meno importanti e poi abbandonate, e proprio questo ha creato lo scontro. Nel 70 la separazione è ormai netta, gli ebrei non sopportano più questa che considerano una setta, e cominciano a scagliare degli anatemi, delle vere maledizioni nei confronti dei cristiani, che non rispondono proprio porgendo l'altra guancia, infatti anche loro rispondono con anatemi, d'altronde l'astio è ben visibile nei vangeli dove le parole di Gesù contro i farisei sono sempre molto dure. C'è sicuramente una base storica, ma c'è anche una comunità che racconta che vive un contrasto molto forte con i farisei, gli unici a resistere alla fine del Tempio.
Di certo, viventi gli apostoli, esisteva una doppia gerarchia, una universale e una locale. La giurisdizione universale veniva esercitata dagli apostoli in comune (concilio apostolico),  o singolarmente  (Giovanni e Pietro che si recano in Samaria; Paolo che fonda una serie di chiese nell'Asia minore), oppure per mezzo di collaboratori autorizzati al servizio di un apostolo (Barnaba viene inviato ad Antiochia in qualità di plenipotenziario). La giurisdizione locale veniva esercitata, viventi gli apostoli, in loro luogo, da sovrintendenti locali,  messi dagli apostoli  stessi a capo delle singole  comunità. Con la morte dell'ultimo  apostolo si estingue la gerarchia universale e i sovrintendenti locali diventano automaticamente dei veri vescovi diocesani.
Il primato di Pietro è un'istituzione  di diritto divino. Compito dell'ufficio  di Pietro, che continua nei suoi successori, è la communio fra le chiese, inizialmente  costituite  da comunità piccolissime, ma dappertutto con un vertice gerarchico. Numerose le testimonianze esplicite del primato romano (Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione, Cipriano di Cartagine).  Dal III° sec. si sviluppa anche una dottrina sul primato, ma è nel IV sec. che si evidenzia in maniera chiara l'autorità del vescovo di Roma. A lui si fa ricorso in grandi controversie in quanto è riconosciuto  come suprema istanza di giudizio  (vescovi e si­nodi dell'Asia minore, Spagna, Nord Africa). Egli partecipa, tramite delegati, ai concili  convocati dall'imperatore.
Le prime comunità cristiane vennero fondate nelle città e si chiamavano parrocchie (paroixhìai),  cioè comunità di forestieri (Ebr. 11, 13-16). Loro capi erano i vescovi. Nelle città maggiori ben presto le comunità si divisero in più chiese. Case private divennero abitazioni dei presbiteri e centri di attività pastorali.

Al tempo di papa Cornelio, mandato in esilio a Centumcellae (Civitavecchia),  dove morì nel 255, Roma contava “46 preti, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti,  52 esorcisti, lettori e portinai, più di 1500 vedove e indigenti che la grazia e la filantropia del Signore nutrono tutti” (Eusebio, Hist. Ecccl., VI, 43, 11). Una rigida gerarchia con in testa il vescovo che era amministratore e pastore della comunità, coadiuvato dai preti incaricati della cura animarum. Seguivano i diaconi, collegio dove generalmente si sceglieva il vescovo eletto da tutto il popolo cristiano; quindi venivano i sette gradi del chiericato, chiudendo la lista le vedove le quali, al pari degli altri ordini, ricevevano dal vescovo l’imposizione delle mani. All’epoca il numero dei fedeli, secondo stime molto incerte, si aggirava fra 3-5 mila, mentre la città poteva contare fra i settecento mila- un milione di abitanti.

Sempre ai tempi di Cornelio, nell’Italia suburbicaria  esistevano una sessantina di vescovi -quanti ne ricorda Eusebio in un concilio romano, senza tuttavia riferirci le rispettive sedi (Eusebio, Hist. eccl., VI, 43, 2), mentre nell’Italia settentrionale probabilmente  erano sedi di diocesi, Milano,  Aquileia, Ravenna, Verona o Brescia. Verso il 300 le chiese, dette titolari (titulus, la tavoletta che indicava il nome del proprietario di casa), erano salite a una ventina.

Come i fedeli di una città formavano una parrocchia, così diverse parrocchie costituivano una provincia (éparchìai) ecclesiastica i cui confini, di norma, coincidevano con quelli delle provincie dell'impero romano. A capo di queste eparchie si trovavono vescovi di capoluoghi di provincia che, dal IV secolo, presero il nome di metropoliti.

Sin dal II secolo i vescovi di una provincia erano soliti riunirsi in sinodi dove, sul modello politico delle diete provinciali (coinòn, conventus), rinsaldavano l'unità delle chiese e vigilavano sull'ortodossia dei fedeli.

Al di sopra dell'organizzazione provinciale, il concilio di Nicea del 325 (can. 6) sancì l'ordinamento patriarcale, già in atto da tempo. Tre i patriarcati allora riconosciuti:  Roma, Alessandria d'Egitto (con le provincie limitrofe, un centinaio di vescovi) e Antiochia, definita da s. Girolamo “metropoli di tutto l'Oriente”, con giurisdizione   sulle  diocesi dell'Asia.
Con la fondazione di Bisanzio-Costantinopoli, la sede  episcopale  di Costantinopoli, in forza dell'autorità che le veniva dal fatto che la città era la Nuova Roma, acquistò il grado corrispondente alla posizione raggiunta e divenne così patriarcato. Con Costantinopoli fu elevata di grado anche la sede di Gerusalemme, definita da s. Girolamo “madre di tutte le chiese” e fino ad allora soggetta al metropolita di Cesarea, in Palestina. I vescovi di alcune sedi esercitarono poi una specie di potere primaziale o patriarcale su un vasto territorio: così la chiesa di Cartagine nell'Africa Nord-orientale; quella di Milano dell'Italia settentrionale; quella di Arles nella Gallia meridionale  e quella di Tessalonica nell'Illiria orientale. In seguito alla controversia dei Tre Capitoli sorsero in Occidente altri due patriarcati titolari, quello di Grado che poi si riconciliò con Roma e quello della vecchia Aquileia che, per significare la sua indipendenza, prese il nome di patriarca. Nel 1451 il patriarcato di Grado venne trasferito a Venezia, mentre l'altro, dopo la distruzione di Aquileia (terremoto 1348), fu trasferito a Udine finché, nel 1751, venne soppresso.

Le Chiese d'Oriente godettero però, fin dall'inizio,  di una forte autonomia, a motivo della loro origine  apostolica. La crescita, in direzioni differenti, fra le due chiese si accentuò a motivo della concorrenza politica fra la Nuova Roma e l'Antica Roma. E tuttavia l'indipendenza  ecclesiastica  delle  Chiese d'Oriente fu limitata dall'imperatore, riconosciuto come sacerdote-re, secondo il modello di Melchisedec, unico rappresentante di Dio che esercita l'autorità anche sulla Chiesa, per quanto gli affari interni rimasero riservati alla gerarchia.
Obbedendo al comando del Salvatore (Mt 28, 18-20) gli Apostoli si fecero missionari,  annunciando il Vangelo di salvezza, in ambito giudaico, prima e poi anche tra i pagani. Due di loro, Pietro, "fondamento della Chiesa" e Paolo, "apostolo dei Gentili", giunsero a Roma, all'epoca, caput Mundi.
I primi contatti dell'apostolo Paolo con i cristiani di Roma ci sono noti, grazie alla Lettera loro inviata, circa l'anno 56/57, con la quale comunicava la sua intenzione di recarsi presso di loro (Rom 1, 10-12). Per sopravvenute difficoltà,  Paolo pote' giungere a Roma solo nella primavera del 61, non più da libero, ma da prigioniero per esservi giudicato. Era appena sbarcato in Italia, a Pozzuoli, e l'Apostolo già pote' ricevere il saluto di alcuni fratelli di fede, che là risiedevano (Att 28, 14). Pozzuoli era uno dei porti secondari dove facevano capo le rotte provenienti dall'Oriente, con destinazione  Roma e la presenza quivi di cristiani è una delle prove che l'attività missionaria  aveva seguito le vie commerciali, per terra e per mare; ma, fino a tutto il II° secolo, fatta eccezione per Roma, scarne sono le notizie sull'iniziale   diffusione  del cristianesimo  in Italia.
Pietro giunse a Roma poco dopo l'arrivo della Lettera di s. Paolo ai Romani , forse nel 41 (Eusebio, Historia ecclesiastica);  ma nulla sappiamo sulla convivenza dei due apostoli a Roma. Di certo erano ambedue in questa città nell'anno 64 quando, nelle vicinanze del Circo Massimo, il 19 luglio, scoppiò un grande incendio che si estese poi al resto della città, allora suddivisa in quattordici regioni: tre furono completamente distrutte, sette gravemente danneggiate e solo quattro rimasero illese. Ne fu accusato Nerone (54-68) il quale ritorse le accuse sui cristiani qualificati come razza di gente di superstizione nuova e perversa “genus hominum superstitionis  novae et maleficae”, Svetonio); accesi d’odio contro il genere umano (“Odio humani generisi”, Tacito, Annales  XV, 44).

Racconta Tacito che l'imperatore presentò i cristiani “come rei e li punì con pene orribili coperti con pelli di belve furono dati a sbranare ai cani; molti furono crocifissi o arsi; altri ancora, dopo il tramonto, furono bruciati come fiaccole notturne. Per tale spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini  del Vaticano, dove era solito dare giochi da circo, mescolandosi  in abito da auriga con la plebe, o girando su di un carro" (Ann. XV, 44).

Va tuttavia precisato che quella di Nerone non fu la prima persecuzione.  Riferisce Svetonio che “impulsore Chresto”, o meglio su istigazione dei seguaci di un certo Chrestos, nel 49 dell’era cristiana, c’erano stati scontri tra ebrei e cristiani; ci fu allora un intervento dell'imperatore  Claudio  (41-54)  contro i giudei responsabili  di diffondere idee di una nuova setta, causando disordini  (Vita di Claudio, XXV, 4). Vittime illustri,  Aquila e Priscilla che, allontanati  da Roma, si recarono a Corinto, dove incontrarono l'apostolo  Paolo (Act 18, 2). Questa però fu una persecuzione  incruenta,  a differenza di quella decretata nel 64 dall'imperatore  Nerone. Qualche tempo dopo la comunità cristiana di Roma tornò ad essere numerosa se, verso il 58, s. Paolo le inviò la celebre Lettera con cui prometteva di recarsi da loro, cosa che finora gli era stata impedita (Rom 1, 8). Lo avrebbe fatto nel suo viaggio di ritorno dalla Spagna.

I supplizi,  disposti da Nerone ed estesi anche alle donne cristiane, cominciati nell'estate  del 64, si diffusero poi fuori Roma, fino in Asia. Tra le vittime di questa persecuzione: Pietro, crocifisso nel territorio Vaticano e ivi seppellito,  a fianco ad altri sepolcri  (forse nel 64). Mentre S. Paolo, quale cittadino romano, fu decollato sulla Via Ostiense (nel 67). Da allora, con uno speciale constitutum, riferito da Tertulliano, fu vietato la professione del cristianesimo:  "Iure definitis  dicendo: non licet esse vos (christianos)" (Apolog., III).

Il semplice nome di cristiano era dunque un crimine. Disposero così persecuzioni, nello stesso secolo I: Domiziano (81-98);  nel secolo successivo, Marco Aurelio, l'imperatore filosofo (161-180);  quindi, nel terzo secolo, Decio (250-251) e Valeriano (254-259); nel IV se­colo seguì la grande persecuzione,  ordinata da Diocleziano (284-305)  con tre editti. Nel primo, emanato a Nicomedia il 24 febbraio 303, fu decretato che le chiese fossero rase al suolo e le Sacre Scritture bruciate; mentre coloro che erano costituiti in dignità dovevano essere privati della libertà qualora avessero perseverato nella fede cri­stiana (Eusebio, VIII, 2, 4). Con un secondo editto si comandò che "tutti i capi delle chiese fossero, prima di tutto, messi in carcere e poi, con ogni mezzo, costretti a sacrificare". Un terzo editto dispose  che "coloro i quali erano chiusi in carcere, fossero messi in libertà se avessero sacrificato; mentre quelli che rimanevano saldi dovevano essere torturati con infiniti  tormenti" (Eusebio, VIII, 6, 10). Da quel momento la persecuzione  imperversò nel resto dell'impero e durò fino al 305.

Tre secoli designati come l'epoca delle persecuzioni . Quali le cause del conflitto dei cristiani con lo Stato, tollerante con tutte le religioni,  e persino con gli ebrei che erano monoteisti? Come mai lo Stato passa dalla tolleranza alla persecuzione? Fatta eccezione per l’institutum neroniamum, riferito da Tertulliano, mancano editti degli imperatori contro i cristiani; mentre le notizie pervenuteci sono un’autodifesa dei cristiani che accusano lo Stato. La prassi degli imperatori fu quella inaugurata da Traiano (98-117): procedere solo nei confronti di coloro che erano stati denunciati come cristiani e che non intendevano recedere; mentre era vietata la ricerca dei cristiani per iniziativa dell’autorità. Si spiega perché dal II secolo in poi ai cristiani fu lecito acquistare fondi, erigere chiese e persino aprire scuole, come fece Giustino. Così che il periodo delle  catacombe fu un’eccezione.

Causa delle  persecuzioni  fu la radicale opposizione  tra la nuova religione  straniera e il paganesimo incarnato nello Stato romano. Ma fino alla persecuzione  di Decio (250-251)  l’atteggiamento degli imperatori fu oscillante.  I cristiani non erano rivoluzionari,  anzi erano fedeli allo Stato, pagavano le tasse e pregavano pure per il bene dell’imperatore;  potevano tuttavia essere perseguitati per delitti di ateismo e di lesa maestà: e ciò in base all’institutum neronianum. Così si comportarono alcuni imperatori pur di offrire capi espiatori alla plebaglia.

Quando i cristiani furono perseguitati  si riservarono loro i tormenti più atroci, come la condanna all’arena, torture di vario genere, fino a far arrostire il martire su una sedia metallica. Sul comportamento dei martiri e sui supplizi loro inflitti possediamo  descrizioni  dettagliate  e autentiche. Tali il Martirio di s. Policarpo, vescovo di Smirne (156/167)  e  la Lettera delle  Chiese di Vienne e di Lione (177/178)  ai cristiani dell’Asia Minore. C’era nei martiri la comune coscienza che, con il loro martirio, avrebbero liberato i pagani dal loro ingiusto pregiudizio. Affrontando la morte, spesso dopo sanguinose torture, i martiri divennero i testimoni più significativi del Cristo, della sua dottrina e della sua vittoria sull’avversario. La passione del martire divenne la continuazione  della Passione di Cristo.

Fra le altre opere letterarie, nate in occidente, va ricordata la Lettera di Clemente vescovo di Roma ai Corinti, dove accanto ad influssi di cultura greca si notano echi di  insegnamento rabbinico. Considerata dalla Chiesa di Corinto alla stregua delle  altre scritture, veniva letta nelle  assemblee delle  domeniche (Eusebio, Hist. Eccl., IV, 23, 11). Egualmente tributario della tradizione giudaica è il Pastore di Erma, composto a Roma prima del 140: splendida l’immagine  di una chiesa edificata da pietre, tutte necessarie alla costruzione: gli apostoli, i vescovi, i dottori e i diaconi da una parte, i martiri dall’altra;  poi il popolo dei fedeli e, per finire, i neofiti, che sono il segno più eloquente della crescita della comunità. E’ la testimonianza di una Chiesa giovane, missionaria, in piena crescita, ma anche piena di misericordia: “ve lo ripeto, io, l’angelo della penitenza, se vi convertirete al Signore con tutto il vostro cuore, se praticherete la giustizia  per tutto il resto della vostra vita, Egli vi salverà dai peccati passati” (Precetti, XII, 6, 2). Posteriore di una decina d’anni, l’Apologia di Giustino,  che è una lettera indirizzata all’imperatore Antonino Pio, a suo figlio,  “al santo senato e a tutto il popolo romano a favore degli uomini di ogni razza che sono ingiustamente  odiati”.  Nell’Apologia, questo filosofo ellenista,  che aveva aperto a Roma una scuola, difende e celebra la nuova religione, presentando la vita rigorosamente morale dei cristiani, confutando le malevoli dicerie correnti. Giustino è il primo a parlarci della diffusione  del cristianesimo fuori città: “il giorno che chiamano giorno del Sole, tutti, che abitino in città o in campagna, si riuniscono in uno stesso luogo” (Apologia, I, 67).
La pietà cristiana si affrettò a prestare culto pubblico ai martiri. Le tombe dei martiri, le catacombe (sepolture  scavate nelle arenarie), dopo la liberazione,  cioè dal IV secolo, divennero meta di pellegrinaggi e sulla loro area si eressero chiese, o mausolei, per la celebrazione eucaristica che si faceva il giorno dell’anniversario  del martirio (dies natalis) e si concludeva con il racconto della morte e un pasto funebre (il refrigerium).  Il sacrificio del martire viene così intimamente legato al sacrificio del Signore rappresentato e celebrato nell’eucarestia. Ecco perché Ignazio di Antiochia (inizi  II sec.) vuole essere frumento per i denti delle bestie, per unirsi così al suo maestro e farsi eucarestia con lui.

Il culto dei martiri è una delle radici che hanno fatto poi fiorire il culto dei confessori, dei monaci e delle monache. Finita l’epoca delle persecuzioni,  i monaci furono infatti coloro che proseguirono la tradizione dei combattenti della fede, instaurata col martirio.
Una lapide, ora ai Musei Vaticani, fatta incidere alla fine del II° secolo da Albercio, vescovo di Hierapolis, nell'Asia Minore, recita: "Gesù, il Pastore dei Pastori, mi insegnò  la vera dottrina e mi inviò a Roma a contemplare la maestà sovrana e a vedere una regina abbigliata e calzata d'oro. Vidi là un popolo che porta un sigillo  splendente".  E anche in seguito  fu fondamentale per il cristiano il fatto che Roma è il luogo del martirio degli apostoli  Pietro e Paolo, sulle  cui tombe furono erette le rispettive basiliche.

Sotto Costantino, non solo le tombe dei due apostoli, ma anche quelle degli altri martiri divennero centri di culto e di pellegrinaggio: sopra di loro, o nelle immediate vicinanze, si eressero basiliche;  le catacombe, che racchiudono i corpi dei santi martiri o confessori, vennero munite di scale e vie di accesso; si decorarono le cripte più venerate e si compilarono calendari con i nomi dei santi. Estremamente significativo poi, come hanno dimostrato gli scavi eseguiti tra il 1940 e il 1949, sotto la basilica di s. Pietro -edificata da Costantino in modo tale da far insistere l'altare maggiore sulla tomba del Santo- è il fatto che la scelta dei luoghi, dove i monumenti sacri di Roma sono sorti, non fu casuale e neppure condizionata dall'ambiente, ma è in stretto rapporto con l'evento di cui si fa memoria. I santuari romani sono, a tutti gli effetti, i luoghi della memoria.

Taluni di questi luoghi sono rimasti, nel loro originario impianto architettonico pressoché  immutati, come il Colosseo; il Carcere Mamertino (vi fu imprigionato s. Pietro il quale con l'acqua della sorgente fatta sgorgare miracolosamente battezzò i suoi carcerieri); Castel Sant'Angelo, ecc. Altri sono stati trasformati in basiliche, come Ss. Giovanni e Paolo (sorta sulla casa dei due ufficiali  della Corte costantiniana, martirizzati nel 362 da Giuliano l'Apostata);  S. Pudenziana (eretta sulla casa del senatore Pudente il quale diede ospitalità all'apostolo Pietro); S. Agnese fuori le mura (eretta nel 324 sulla tomba della martire); S. Saba (in onore del monaco della Cappadocia; quivi si era ritirata S. Silvia, madre di Gregorio Magno).

L'interesse dei fedeli per i luoghi della memoria, specie per quelli che custodivano i corpi dei santi, era strettamente connesso ai miracoli e in particolare  alle guarigioni che attendevano dai servitori di Dio. Da qui anche il bisogno di un contatto fisico, per beneficiare del potere taumaturgico che si sprigiona da quei corpi santi, pratica che ha come referente evangelico l'episodio dell'emorroissa -"si  tetigero tantum ve­stimentum eius, salva ero" (se riesco anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita, Mt, 9, 21), inoltre Mc, 5, 28; Lc, 8, 44 "et tetigit fimbriam vestimenti eius: et contestim stetit fluxus sanguinis eius" (arrivò a toccare l'orlo del suo vestito, e subito la perdita di sangue si fermò)-  nella convinzione, di matrice però vetero testamentaria, che il male fisico, come il peccato, è opera del diavolo e la guarigione miracolosa può venire unicamente da Dio o dalla corte celeste.

Roma, oltre ad essere il luogo memoriale di tanti testimoni della fede, è anche la Sede di Pietro, di colui che ha il potere delle chiavi e dei suoi successori (Io ti darò le chiavi del regno di Dio: tutto ciò che tu sulla terra dichiarerai proibito, sarà proibito anche in cielo; tutto ciò che tu permetterai sulla terra, sarà permesso anche in cielo, Mt 16, 19). Da qui il pellegrinaggio ai limina apostolorum e alla cathedra Petri.

Nel frattempo, fin dal II secolo, erano iniziati  i pellegrinaggi  in Palestina. I primi pellegrini furono vescovi; tra questi va ricordato Melitone di Sardi, autore di una Apologia diretta all’imperatore Marco Aurelio. Vi si recò anche Origene, ma più per scopi scientifici,  che devozionali.  Indubbiamente  però la prima celebre pellegrina fu Elena, madre di Costantino e sposa di Costanzo Cloro. Quando nel 293 Costanzo divenne Cesare, Elena, per ragioni di Stato, si ritirò nell’ombra, fino al 306, anno in cui Costantino succedette al padre: il figlio allora la richiamò a corte e le diede il titolo di Augusta. Il che le permise di attingere liberamente al tesoro imperiale. Elena se ne servì per fare il bene. Nel suo viaggio in Oriente passò dappertutto, con regale sollecitudine e provvidenza, donò ai poveri vesti e denaro, liberò prigionieri o condannati alle miniere. Nel 326, ormai anziana, intraprese un pellegrinaggio in Palestina per visitare i luoghi santificati dalla vita terrena del Redentore e il 14 settembre di quello stesso anno avrebbe miracolosamente scoperto la s. Croce.

Di certo sappiamo che, nel 135, quando Adriano imperatore (117-138)  fece costruire la colonia Aelia Capitulina, ordinò pure che il Santo Spolcro fosse coperto di detridi e che, due secoli dopo, Costantino incaricò Macario, vescovo di Gerusalemme, di intraprendere una campagna di scavi per ritrovare il Santo Sepolcro. Rinvenuto,  fu costruita l’Anastasis e lo stesso imperatore si adoperò per la costruzione della basilica della Natività a Betlem, dell’Ascensione sul Monte degli Olivi, basiliche  che dotò e poi ornò di ori e di gemme. Mentre una tradizione, che rimonta al IV secolo e già conosciuta da s. Ambrogio, riferisce che,  giunta s. Elena ad Aelia Capitolium (la Gerusalemme del II secolo), fece scavare sul Golgota per purificare quel luogo da edifici pagani e così ritrovò la S. Croce, su cui fu inchiodato Gesù e, insieme, altri strumenti della passione. Da qui la costruzione  dell’Anastasis.  Di ciò non fa cenno però Eusebio di Cesarea, mentre s. Cirillo  di Gerusalemme (313-387), oriundo del luogo, attesta sì che le reliquie  della  s. Croce erano sparse per tutto il mondo, ma ignora che questa fosse stata rinvenuta da Elena. Mentre stando ad una pia tradizione, riferita da Rufino (+410), il continuatore  di Eusebio di Cesarea, Elena avrebbe riconosciuto la vera croce, rinvenuta insieme ad altre due, perché posta a giacere su una donna morente, questa fu miracolosamente guarita (è quanto fu rappresentato da Antoniazzo Romano sulla calotta dell’abside  di  S. Croce in Gerusalemme  a Roma, sulla fine del sec. XV).

La scoperta della s. Croce suscitò un grande entusiasmo e affluirono in massa  pellegrini. La croce fu posta nella basilica del Martiryon e chiusa in un reliquiario d’argento dorato, che veniva annualmente mostrato il 14 settembre (esaltazione  della  s. Croce).

Da allora il pellegrinaggio a  Gerusalemme divenne  la più alta aspirazione  dei cristiani. Possediamo racconti di viaggio:  tale quello di Paola che, nel 385, arrivò in Terra Santa con s. Girolamo. Più noto il racconto della monaca Egeria che, sulla fine di quel secolo partì dalla Galizia e dopo 13 mesi giunse in Terra Santa dove si fermò per tre anni.

La croce gemmata,  coniata dall’arte del IV secolo in Roma, con un sistema di simboli oro, gemme e perle meta principale del pellegrinaggio gerosolimitano dell’antichità, non rappresenta, come si è ritenuto, l’ex voto (croce con lamina d’oro ricoperta di perle) che Teodosio II avrebbe donato e fatto issare fra la basilica costantiniana e la Rotonda, ma è un segno, un simbolo di carattere religioso che rimanda alla Gerusalemme messianica di Ap. 21: un segno con significato esoterico, simbolo della visione del regno di Dio instaurato con la prima venuta di Cristo. Questo segno salutis ispirò molte teofanie visioni, a partire dalla decorazione absidale della Basilica Vaticana,  già dedicata da Costantino a Cristo in memoria della vittoria del 312 fino all’opera di Sisto III (432-440), in S. Maria Maggiore. A lungo segno salutis, la croce gemmata ebbe il posto di onore nelle basiliche cristiane, finché il concilio ‘in Trullo’, tenuto a Costantinopoli nel 692, ripudiando l’arte simbolica, dispose di sostituire il segno dell’Agnello, che fino ad allora aveva  rappresentato il Cristo, con la raffigurazione del crocefisso del Cristo nostro Dio, sotto la forma umana.

Fino all’invasione  araba (VII secolo), giungevano in Palestina da tutta la cristianità per venerare la S. Croce. Le cose cambiarono già a partire dal 613, quando i Persiani si impadronirono della città e trasferirono nella loro capitale la s. Croce; la restituirono tuttavia nel 630, quando si arresero ai Bizantini: il 3 maggio di quell’anno  il Basileus Eraclio, con un solenne pellegrinaggio portò la reliquia da Tiberiade a Gerusalemme e la riconsegnò a Zaccaria, patriarca di Gerusalemme (se ne fa memoria nella liturgia sotto il titolo di Exaltatio S. Crucis poiché i latini avevano  identificato  il recupero della croce con l’exaltatio del 14 settembre).  Vi rimase però pochi anni poiché,  nel 638, Gerusalemme si arrese al Califfo Omar e la Palestina fu islamizzata.  Fu lo stesso patriarca Sofronio a consegnare ad Omar  la città di cui, per ben due anni ne aveva diretto la resistenza; lo fece però dopo aver prima assicurato la reliquia della croce che, nel 637, aveva  inviato a Costantinopoli per essere depositata  nel santuario delle Blacherne.

Il pellegrinaggio  cristiano in Palestina,  pur in mezzo a molte difficoltà, sopravvisse per trasformarsi quindi dopo l’occupazione di Gerusalemme da parte dei Turchi selgiucidi  (sec. XI) in pellegrinaggio  armato (le crociate).

Si andava in Palestina, non solo per venerare la S. Croce, ma anche per conoscere i luoghi santi del’antico e del Nuovo Testamento, e inoltre per visitare i sepolcri dei martiri e incontrare i monaci, i santi viventi. Così ad esempio Egeria, pellegrina in Terra Santa fra il IV e il V secolo che ci ha lasciato un itinerartio dove descrive il suo viaggio in Terra Santa, ma anche la visita  agli insediamenti monastici della Tebaide. Ella incontrò monaci al Sinai, al Nebo e in Mesopotamia; e visitò anche il martyrion di S. Tecla, dove la diaconessa Martana dirigeva monasteri di apotattici (monaci) e parthene (monache).

La chiesa si espande alla svelta, il giorno di Pentecoste si fanno battezzare 3000 persone, si calcola che nel I secolo i cristiani erano mezzo milione. Nel II secolo erano 2 milioni e nel III secolo arrivarono ad essere 5 milioni, mentre la popolazione dell'impero romano era stimata in 50 milioni. Nel IV secolo arrivarono a 10 milioni i cristiani. Viventi gli apostoli esisteva una doppia gerarchia una generale e una locale. La giurisdizione universale veniva esercitata dagli apostoli in comune tramite i concili ad esempio e singolarmente; la giurisdizione locale è affidata invece a sovrintendenti locali. Con la morte dell'ultimo apostolo si estingue la gerarchia universale e i  sovraintendenti locali diventano automaticamente vescovi diocesani. Sin dal II secolo i vescovi di una provincia  erano soliti riunirsi in sinodi. Non si è sicuri sulle date dell'arrivo a Roma di Pietro e Paolo si è sicuri che però erano entrambi a Roma nel 64 quando scoppiò un grande incendio e Nerone accusò e iniziò a perseguitare i cristiani. Prima di questo c'erano state altre persecuzioni ma incruente, non come questa. I cristiani venivano coperti con le pelli di belve e dati da sbranare. San Paolo e San Pietro caddero anche loro martiri, piano piano si sviluppò il culto dei martiri, ma già da subito grande importanza ebbe Roma come la culla di molti martiri, tra cui Pietro e Paolo. Narra Eusebio di Cesarea come, durante la persecuzione di Decio (c. 250),  alcuni cristiani d'Egitto,  dinanzi alle minacce, fuggirono nel deserto della Tebaide. Passato il pericolo,  alcuni preferirono rimanervi e fu l'inizio della vita eremitica. Più tardi, dopo la pace costantiniana quando, con la conversione in massa del mondo pagano si abbassò il tono eroico dell'antica vita cristiana, molti fedeli di nuovo scelsero la via del deserto per mantenere altissimo il livello morale ereditato dall'era dei martiri. All'ideale del martirio cruento si sostituì così quello della vita ascetica.

Nel 311 cambia la storia del cristianesimo, l'editto di tolleranza nei confronti dei cristiani, l'anno successivo Costantino sconfigge, a Ponte Milvio, Massenzio, l'editto del 313 invece sancì l'inizio di un'alleanza tra impero e Chiesa, questo editto prevedeva la restituzione di tutti i beni confiscati. L'imperatore Graziano successivamente sancì la suprema giurisdizione del vescovo di Roma, e un sinodo sotto papa Damaso ha affermato la superiorità della chiesa di Roma, che è valida non per mezzo conciliare nè per legge imperiale, ma per diritto divino. Nel 324 Licinio Augusto, cognato di Costantino, che aveva riniziato a perseguitare i cristiani fu sconfitto, e quindi ora tutto l'impero era sotto Costantino. E' il periodo delle eresie ma anche dei concili, i primi concili ecumenici, fino ad ora c'erano stati sinodi, ma prima del 325 a Nicea nessun concilio ecumenico, con l'universalità dell'impero e della chiesa ecco il primo concilio ecumenico, anche se gli occidentali sono solamente 5. Il concilio di Nicea nasce per combattere l'eresia di Ario che subordinava il Figlio al Padre, negando la divinità del Figlio, ma questa eresia permise alla chiesa di realizzare il suo atto di fede, di iniziare a sviluppare quel "credo" che noi ancora oggi proclamiamo, venne utilizzato il simbolo apostolico già usato per il battesimo e furono fatte delle aggiunte. I posti di onore al concilio furono riservati per i due legati papali. L'eresia ariana non fu sconfitta così facilmente, ci volle un secondo concilio, quello di Costantinopoli, in cui ribadire ancora la condanna agli ariani e condannare i macedoniani, che accettavano la divinità del Figlio, ma vedevano lo Spirito come un angelo. Il canone 3 del concilio dà al vescovo di Costantinopoli il primato dopo quello della chiesa di Roma, infatti Costantinopoli è la nuova Roma, prendendo così il posto di Alessandria. Il concilio di Efeso del 431 fu convocato per risolvere l'eresia di Nestorio, che vedeva in Maria non la madre di Dio, ma solamente la Madre di Cristo, in questo modo risultavano due Cristi. Nel 448 un sinodo condanno la dottrina di Eutiche, gli alessandrini avversari degli antiocheni per tenere unite le due nature finivano per confonderle così che una volta effettuata l'incarnazione si potrebbe parlare di una sola natura. Dottrina che comportò la condanna a Eutiche. Per questo nel 451 prese vita il quarto concilio ecumenico, quello di Calcedonia. Il Concilio Constantinopolitano II condannò Teodoro, Teodoreto e Iba, questa situazione creò uno scisma e ci furono vari ripensamenti anche da parte di Papa Vigilio, che poi alla fine si unì alla condanna e approvò il concilio. L'impero Romano d'Occidente piano piano si andava sfaldando nel mentre, i barbari ormai iniziano a entrare da più parti, così che arrivano anche fino a Roma, ed è il Papa a salvaguardare la popolazione romana.
Figura importante quella di Gregorio, durò poco il suo tempo da monaco, venne richiamato da Pelagio II e mandato a Costantinopoli, qui cerco tra l'altro di chiedere all'imperatore l'aiuto per la difesa di Roma circondata da Barbari. Nel 586 tornò a Roma e divenne consigliere di Pelagio II, alla sua morte gli successe come papa. Gregorio cercò di vedere più che avversari nei barbari, specialmente nei longobardi che erano più minacciosi, dei popoli da convertire, così cercò di fare questo. Mandò monaci presso le popolazioni germaniche non convertite al cattolicesimo e cercò di ristabilire lo Scisma dei Tre Capitoli, riuscendo a tirarne fuori qualche vescovo. Importante l'idea di Gregorio secondo cui si dovevano accettare gli usi differenti arricchendoli di cristianità. Il secolo successivo è dominato da Bonifacio e dalle sue conversioni, scese dal monastero d'Inghilterra e dopo un primo fallimento, si diresse verso Roma, voleva agganciare la sua missione solidamente su Roma. Fu importante nella riforma della Chiesa franca, si appoggiò al re franco, dando inizio ad una alleanza che in futuro sarà sempre più salda tra la Chiesa di Roma e i franchi. Divenne arcivescovo e ristabilì la chiesa franca con vari sinodi e concili, sempre strettamente collegato a Roma.
Il monofisismo non si spense con la condanna del concilio di Calcedonia, gli avversari della formula calcedonese riuscirono a impadronirsi dei patriarcati orientali e nella Siria e nell'Egitto il monofismo sposò la causa nazionalista: il che rappresentò un gravissimo pericolo per l'Impero. Il dogma di Calcedonia aveva condannato i nestoriani che in Cristo separavano le due nature, minacciando l'unità del Salvatore;  contestualmente i nestoriani avevano procurato la reazione degli alessandrini che in Cristo accentuavano la divinità, a scapito dell'umanità, fino a mescolare le due nature o ad assorbire la natura umana in quella divina. Costoro furono ugualmente condannati dal Concilio che professò un unico e identico Cristo, in due nature; unica persona, unica ipostasi. Il Patriarca Sergio ritenne di dover ammettere una sola energia, ritenendo che l'unità di energia non equivalesse all'unità di natura, dottrina monofisita che egli rigettava, bensì fosse la conseguenza dell'unità di persona nel Cristo. Lo stesso ragionamento fu applicato alla volontà di Cristo. Così affermò che in Cristo sussisteva  un'unica volontà, quella divino umana monotelismo conseguenza dell'unica  persona. L'imperatore Eraclio venne conquistato dalla dottrina di Sergio e mise a capo del patriarcato di Alessandria, Ciro, che celebrò un concilio ad Alessandria che ricompose la divisione tra la Chiesa d'Egitto e l'impero. Sergio mandò una lettera cercando l'approvazione del Papa finora lasciato all'oscuro di tutto, spiegandogli anche la raggiunta unità. Onorio I contrario a monoenergismo e monofisismo rispose invece, poco informato, aderendo genericamente a Sergio, suggerendogli di evitare l'uso di una o due energie, ma scrivendo questa formula infelice: "noi confessiamo una sola volontà di N. S. Gesù Cristo perché manifestamente la divinità ha assunto solo la nostra natura, ma non la nostra colpa". La decisione di papa Onorio I sarà esplicitamente anatemizzata dal VI concilio  ecumenico (Costantinopoli, 681, Concilio Trullano),  dove "Onorio, l'ex vescovo della vecchia Roma" fu ritenuto colpevole  di eresia. Eraclio pubblicò allora sotto suggerimento di Sergio l'Echtesis, in cui veniva lasciata da parte la dottrina meno preoccupante del monoergismo, mentre veniva affermata e imposta ai sudditi la dottrina più pericolosa del monotelismo,  cioè della doppia natura e dell’unica volontà di Cristo. Giovanni IV succeduto a Onorio I rifiutò l'editto e l'imperatore si scusò. Papa Teodoro I succeduto a Giovanni IV intimò a il Patriarca di Costantinopoli Paolo di rinnevare il monotelismo, il suo rifiuto provocò la sua deposizione. Costante II succeduto ad Eraclio credette di ristabilire la pace con Roma ritirando l'Ecthesis, ma contemporanea­mente, su consiglio di Paolo, patriarca di Costantinopoli, pubblicò nel 648 un nuovo editto dogmatico, chiamatoTypos, che non prendeva alcuna posizione  dottrinale, ma imponeva il silenzio sulla controversia minacciando severe pene a chi non avesse obbedito; il che fu altrettanto negativo per la pace. Martino I successo a Teodoro I, si preoccupò subito di aprile un concilio al Laterano, che rinsaldò la fede nei 5 concili ecumenici e si colpirono di scomunica Sergio, Pirro e Paolo di Costantinopoli e Ciro di Alessandria. L'imperatore indignato con il Papa per essersi fatto consacrare senza la sua approvazione fece imprigionare il papa. Eugenio I suo successore rifiutò ancora di accettare la dottrina monotelita. Costantino IV succeduto all'imperatore Costante II decise di aprire un concilio, il sesto concilio ecumenico per risolvere la questione. Qui si affermarono le due volontà in Cristo.

La lotta con l'occidente si riaprì quando salì al trono Leone III, questo imperatore aveva allontanato gli arabi, fece un editto che intimava di nascondere le immagini sacre, a parer suo ormai si dava più un adorazione alle immagini che una semplice venerazione. In difesa delle immagini si schierarono e si erano già schierati in passato molti, ricordiamo quando papa Gregorio Magno rimprovera il vescovo Sereno per la distruzione di tutte le statue sacre della città affermando l'importanza di queste per chi non sapendo leggere poteva imparare da queste. Immediata la reazione del popolo quando Leone III decise di di rimuovere l’immagine di Cristo, collocata sulla porta di bronzo del palazzo imperiale,  per porvi l’immagine “tre volte benedetta della croce, gloria dei credenti”. La reazione di Gregorio II fu violenta: pose infatti Roma fuori dell'autorità imperiale  e dichiarò di non riconoscere più Leone III come imperatore; non giunse però a nominare un altro imperatore, per non attirare l'esercito  bizantino  a Roma. San Giovanni Damasceno difese strenuamente le icone, la sua dottrina sarà ripresa al concilio di Nicea.  Il successore di Leone III, Costantino V, convocò un sinodo che ebbe luogo a Hieria, località presso Calcedonia, nel 754. Né Roma né gli altri patriarcati d'Oriente parteciparono. Per Costantino unica vera icona di Cristo è l'eucarestia, ogni altra rappresentazione va contro il dogma di calcedonia e porta o al nestorianesimo o al monofisismo, furono anatemizzati il patriarca Germano e Giovanni Damasceno. i patriarchi d'Oriente, Teodoro di Gerusalemme, Teodoro d'Antiochia e Cosma di Alessandria si rifiutarono di accettare le decisioni di Hieria. Nel 767 inviarono a Roma un memorandum a favore delle immagini e chiesero al papa di prendere l'iniziativa. Papa Stefano III convocò un sinodo al Laterano. Il sinodo anatematizzò quello di Hieria e affermò la propria adesione all'idea della rappresentazione del sacro. Leone IV succeduto a Costantino V lascia al figlio minore Costantino VI, gli affari dello Stato passarono nelle mani dell'imperatrice  Irene, iconodula  dichiarata. Questa mano mano cerco di facilitare gli iconofili, senza incorrere nelle ire degli iconoclasti. Quando si sentì abbastanza forte, fece nominare patriarca di Costantinopoli  l'iconofilo Tarasio . Questi, nella sua lettera di intronizzazione, sconfessa le decisioni di Hieria e chiede l'invio di rappresentanti per riunire un concilio ecumenico. Nello stesso tempo, I'imperatrice Irene indirizza una lettera al papa Adriano I,  chiedendogli di partecipare al prossimo concilio. Il concilio si dovette spostare a causa dell'esercito iconoclasta che non permise si tenesse, l'imperatrice sciolse l'esercito iconoclasta e per sicurezza sposto il concilio da Costantinopoli a Nicea: fu letto e rifutato l'Horos, o definizione  dogmatica, dell'assemblea eretica di Hieria e fu lanciato l'anatema contro i suoi autori. L'opposizione dei vescovi franchi, determinò un rallentamento nell'approvazione del concilio da parte del papa che avvenne nel 791. Nell'813 Leone V salì al trono con una  rivolta militare, depose il patriarca di Costantinopoli Niceforo, annullò le decisioni di Nicea e ripristino quelle di Hieria. L'imperatore Michele II Balbo, che aveva ucciso Leone V e salito al trono,  dapprima volle rimanere imparziale: annullò le decisioni del sinodo di Hieria, del sinodo dell'815, ma anche del concilio di Nicea e proibì qualsiasi discussione a proposito delle icone. Più tardi, però, favorì gli iconoclasti, e così fece anche il figlio e successore Teofilo, che addirittura perseguitò gli iconofili e fece chiudere gli studi di pittura delle icone. Ma l'iconoclasmo aveva perduto qualsiasi seguito tra il popolo. Sotto Michele III si tornò all'ortodossia.

Oriente e Occidente sono due mondi con regole diverse, le chiese in oriente godettero sin dall'inizio di una grande autonomia. In Occidente il rapporto tra Impero e Chiesa non è stato mai equilibrato, due ordini indipendenti che hanno cercato sempre di prevalersi l'un l'altro, in Oriente l'imperatore veniva visto come sacerdote re al modo di Melchisedec. Le diverse attitudini e le opposte tendenze della teologia ebbero il loro in­flusso anche nel campo liturgico. Le liturgie greche hanno un cerimoniale assai più ricco di quelle latine. In quelle greche predomina l'azione simbolica e la magnificenza retorica; quelle latine sono invece l'espressione del soggettivo desiderio di salvezza. Così la liturgia greca della messa pone in primo piano il mistero divino, la redenzione nella sua realtà oggettiva; quella latina guarda invece all’aspetto soggettivo e alla sua applicazione  ai singoli  dell'atto  della redenzione.

A mettere fine all'unità del mondo antico più che le invasioni germaniche furono quelle islamiche, completamente diverso il sistema di conquista, mentre i germani una volta entrati nell'impero si sono romanizzati, gli islamici islamizzavano ciò che conquistavano. Le invasioni islamiche tra l'altro favorirono l'allontanamento da Bisanzio, troppo lontano per difendere la Chiesa e l'avvicinamento ai franchi. L'Islam è una religione sincretica, un miscuglio di ebraismo, cristianesimo e religioni antiche arabe. Maometto nasce nel 574 alla Mecca, si dichiarò l'invitato dell'angelo Gabriele, e il Corano, base della religione islamica, raccoglie i suoi detti e suoi fatti. La Sunnah è invece la tradizione orale intorno a lui. Gli Sciiti, in opposizione ai Sunniti, ripudiano però la Sunna e ricono­scono come successori di Maometto solo il nipote e genero di Maometto, Alì che fu il IV califfo (656-661) e i suoi discendenti. Tre i dogmi fondamentali dell'Islam: la fede in un unico Dio invisibile,  Allah, creatore del mondo e signore assoluto degli uomini; fede in Maometto sommo profeta; e fede in un giudizio divino che premia con un paradiso di delizie o punisce secondo il merito. A Cristo, proposto da Maometto alla venerazione dei fedeli, in quanto profeta, viene però negata la divinità e la figliolanza  divina, perché per Maometto "Allah non generò e non fu generato". La serie dei profeti termina con Maometto, che si proclama profeta e legato di Dio per il popolo arabo. Gli successe Abu-Bakr nominato califfo (successore) da Maometto stesso. Nel 638 il califfo Omar entrò nella città santa, fino al 661 i califfi furono elettivi. Dopo una iniziale  tolleranza, suggerita dal Corano, dove i cristiani sono detti la Gente del libro, si passò alla proibizione e così l'invasione divenne, per la storia della Chiesa, una bufera annientatrice attraverso la quale la Chiesa perdette proprio le provincie cristiane più antiche e, dopo Roma, più autonome: Siria, Palestina, Egitto, Nord Africa. Gli arabi arriveranno ad assediare Costantinopoli, conquisteranno la Spagna e saranno fermati dagli europei guidati da Carlo Martello a Poitiers. Gli attacchi dei saraceni furono continui fino a che nell'846, giunsero a saccheggiare le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori le mura.

Il controllo di Bisanzio è sempre minore lo stato pontificio inizia ad avere la propria indipendenza. Dopo papa Gregorio Magno (sec. VII)  i patrimoni lontani da Roma iniziarono a scomparire, perché conquistati dai bar­bari, o confiscati dagli imperatori d'Oriente per rappresaglia con­tro i papi; mentre i patrimoni intorno a Roma si allargarono con il diminuire dell’autorità politica bizantina. I longobardi non erano riusciti a conquistare tutta l'Italia che quindi rimane divisa tra bizantini e longobardi. Con l'elezione di Liutprando rinasce il progetto dei longobardi di unire tutta l'italia sotto il suo dominio, il potere bizantino è lieve, e questo rende le cose più facili, ma nasce un sentimento nazionale appoggiato anche dai pontefici. Papa Gregorio III chiede aiuto ai Franchi, rivolgendosi a Carlo Martello. Carlo Martello, maggiordomo di Childerico, non accettò l'invito di Gregorio III, poichè riteneva i Longobardi un valido alleato nella lotta contro i Saraceni. Successivamente però la situazione cambio, Pipino il Breve con l'appoggio del papa venne eletto re, per questo motivo non potè negare l'appoggio contro i longobardi al successore Stefano II, fu così che i Franchi subentrarono agli imperatori romani d'Oriente. Pipino scese in Italia e restitui i territori alla Chiesa. Venne tirato fuori in questo periodo il falso Constitutum, un falso, un decreto imperiale a favore di papa Silvestro I (314-337) e dei suoi successori, "sino alla fine di questo tempo ter­reno", documento di certo maturato nel tempo in cui lo Stato pontificio  si veniva formando. La Sede di Pietro veniva così innalzata al di sopra del trono imperiale, da qui la decisione di Costantino di trasferire la sua residenza a Bisanzio, non essendo giusto che un imperatore secolare regnasse là dove l'imperatore celeste aveva posto il dominio dei sacerdoti e il capo supremo della religione  cristiana. Per i Longobardi alla morte di Astolfo, sul trono salì Desiderio appoggiato dal papato grazie alle promesse di restituzione di terre che aveva fatto. Promosse non rispettate.

Alla morte di Carlomanno, sovrano assoluto divenne Carlo Magno. Desiderio diede ospitalità alla vedova di Carlomanno e ai figli, si avvicinò a Roma occupando Faenza, Ferrara e Cornacchio, inimicandosi in questo modo sia i Franchi sia la Chiesa. Il Papa chiese aiuto a Carlo, il quale dopo aver chiesto la restituzione delle terre decise di intervenire militarmente. Scese tranquillamente sino a Pavia che fu cinta d'assedio, confermò la donazione di Kiersy e donò altre terre alla Chiesa, al punto che ormai non si parlava più di dominio bizantino ma di Stato Pontificio. Tornato a Pavia imprigionò Desiderio. Nel 781 fece incoronare i figli. Nell'804 sconfisse l'ultima popolazione germanica pagana: i Sassoni. Nell'800 c'è l'incoronazione di Carlo Magno, che aveva riportato a Roma il papa dopo tumulti che lo avevano costretto alla fuga. Fu incoronato come imperatore, imperatore del Sacro Romano Impero, Romano perchè continuava quell'impero d'Occidente finito nel 476 Sacro perché nato non come laico ma come Impero della Chiesa. Carlo morì nell'814 Lodovico venne incoronato nell'816 da Stefano IV. Fu rinnovato il patto tra la Chiesa e l'Impero. Niccolò I destuì Fozio, patriarca di Costantinopoli iniziando lo scisma.

Il principe moravo Ratislaw, volendosi rendere indipendente dall'Impero dei Franchi sia politicamente, sia religiosamente, nell'862 fece richiesta di missionari che fossero in grado di spiegare il Vangelo nella lingua del popolo a papa Nicolò I (che però declinò l'invito) e all'imperatore bizantino Michele III il quale, nell'863, inviò i fratelli Cirillo e Metodio. Ai tempi dei due fratelli Cirillo e Metodio la grandi Chiese di Oriente e di Occidente conservavano l'unità dell'unica Chiesa cattolica. Amici del patriarca Fozio e mandati nella Grande Moravia da Bisanzio, i due fra­telli ricorsero però a Roma per sottoporre al giudizio del papa la dottrina, i riti liturgici e i metodi missionari. Il Patriarca Ignazio di Costantinopoli fu costretto ad abdicare per aver rifiutato la comunione allo zio dell'imperatore, fu messo al suo posto Fozio, un laico che ricevette in 5 giorni tutti gli ordini sacri. Gli avversari di Fozio lo dichiararono usurpatore del patriarcato e lo deposero. Fozio, da parte sua, aveva  partecipato allo stesso papa la no­tizia della sua nomina. A papa Niccolò I non era sfuggita però la situazione ano­mala che si era venuta a creare sulla cattedra di Costantinopoli e per un esame della situazione mandò due legati. I due legati vennero poi deposti in quanto al di fuori del loro mandato confermarono la deposizione di Fozio. In un Sinodo Niccolò I depose i due legati e intimo a Fozio l'ubbidienza, in caso contrario rischiava la scomunica lui e i suoi seguaci. Qualche mese dopo i bulgari vennero annessi alla Chiesa di Roma, il fatto sollevò malumori a Bisanzio, che Fozio sfruttò per aprire una lotta con Roma. Così in un sinodo scomunicò e depose il Papa. L’imperatore Basilio, dopo aver destituito il patriarca Fozio, reinvestì dell'incarico  Ignazio  e riprese le relazioni con Roma. Il Concilio Costantinopolitano IV scomunicò Fozio, che però dopo la morte di Ignazio torno a essere Patriarca, essendosi riconciliato con gli avversari e ottenuto la stima  dell'Imperatore. Era allora papa Giovanni VIII (872-882) il quale aveva bisogno dell'aiuto  bizantino  contro i Saraceni e così si dichiarò disposto ad accettare la nuova situazione,  a condizione che Fozio avesse sconfessato, in un sinodo proposto dall'imperatore, il suo atteggiamento precedente, rinunciando alla giurisdizione  sui Bulgari e riconciliandosi con gli ignaziani. Nel sinodo, che si tenne a Costantinopoli  (879-880), Fozio abilmente si fece riconoscere come legittimo patriarca, mentre venne ripudiato il concilio  dell'869-70;  quanto poi alla Bulgaria, tutto rimase come prima. Non si giunse  però a una nuova rottura tra Roma e Costantinopoli.

Deposto Carlo il Grosso, Guido duca di Spoleto dopo aver sconfitto Berengario del Friuli costrinse papa Formoso (891-96) a incoronare suo figlio Lamberto. Per liberarsi dal potere del duca di Spoleto, si rivolse ad Arnolfo re di Germania che scese a Roma e fu incoronato imperatore da Papa Formoso. Il successore di Papa Formoso fece riesumare il corpo di Papa Formoso e fece un processo nell'usanza dei popoli germanici che ammetteva si potesse tradurre in giudizio i cadaveri, stante il principio che al processo era necessario la presenza del corpus delicti, ne fece dichiarare  illegittimo  il pontifi­cato, perché aveva cambiato la sua sede vescovile con un'altra, per ambizione  e dichiarò nulle le ordinazioni da lui conferite. Il popolo romano si rivoltò contro Stefano VI lo chiuse a Castel Sant'Angelo e venne ucciso per strangolamento. Con il dissolvimento del potere centrale si sviluppò il feudalesimo, pochi grandi proprietari davano la propria terra a lavoratori. Il vassallo chiedeva la protezione del feudatario in cambio aveva l'obbligo di fedeltà. L'economia feudale è chiusa, i feudi sono autosufficienti. Il dominus, che fondava una chiesa, era tenuto a dotarla del patrimonio necessario al funzionamento e al sostentamento. Centro o "titolare" del patrimonio divenne l'altare, o il corpo santo che vi riposava. Scopo del patrimonio era il funzionamento e il mantenimento della Chiesa; l'eccedenza spettava al patrono, che aveva anche diritto a una parte delle primizie, delle oblazioni e di quanto corrisposto dai fedeli in occasione  dell'amministrazione  dei sacramenti, appunto i diritti di stola, anticamente proibiti, ma poi entrati nel diritto ecclesiastico attraverso l'organizzazione della chiesa privata. Se il patrono era, egli stesso, sacerdote esercitava direttamente la direzione, spirituale ,della chiesa; altrimenti ne incaricava un sacerdote che all'inizio spesso era il suo servo o un mercenario pagato. Con l'andare del tempo anche re e grandi di Francia fecero proprio il concetto giuridico di chiesa privata e, per qualche tempo, questa prassi ebbe persino il riconoscimento di papa Eugenio II, nel sinodo romano dell'826 e di Leone IV in un sinodo dell'853. Lo stesso accadde nelle  chiese vescovili, nei vescovadi, anche le chiese cattedrali e nelle abbazie, rimaste fino allora libere, che divennero proprietarie di chiese; unico vantaggio, che queste dipendevano da un'autorità ecclesiastica. Le condizioni del clero delle "chiese proprie" erano, in genere, basse, asservito com'era ai signori da cui dipendeva. Ogni chiesa era officiata da un presbyter o rector e dipendeva dal senior, proprietario della chiesa, nella forma di un legame feudale. A portare all'infeudamento la gerarchia ecclesiastica fu la politica feudale dei Sassoni. Nei feudi franchi la proprietà passava integralmente al primogenito: così per i cadetti divenne via abituale quella di trovare il modo di compensarsi del mancato feudo laico con un feudo ecclesiastico. E' giocoforza che questi cadetti portassero facilmente nella Chiesa le consuetudini e i vizi dei feudatari laici: fra tutti il deprecato concubinaggio. Come lamenta il sinodo di Trosly, nella diocesi di Soissons, dell'anno 909: fin troppi gli abati che abitavano nei monasteri con le loro mogli e figli, con i vassalli e con i cani da caccia; mentre i monaci, abbandonando a loro piacimento il chiostro, conducevano una vita completamente mondana. Attraverso l'investitura, che faceva del vescovo il conte e dell'abate il vassallo, il sovrano poteva, di fatto, dominare l'elezione e la sistemazione dell'alto clero, riuscendo a fare di sedi vescovili e abbaziali, oggetto di trattative, baratti e autentiche comprevendite: la simonia invase così tutto il tessuto gerarchico della Chiesa.

Con la deposizione di Carlo il Grosso (887) si estinse la Casa Franca e contestualmente venne meno alla Chiesa quella protezione che, fino ad allora aveva introdotto nella  cristianità occidentale un ordine stabile. Con il dissolvimento del potere centrale, si contesero la protezione del papato i duchi franchi dei Spoleto e del Friuli. E costoro non si diedero troppo pensiero dei veri interessi della Chiesa di Roma. Ne derivarono grandi abusi: scismi e scandali nel papato, intromissioni dei secolari nelle chiese e nei monasteri, simonia e nicolaismo del clero. Alla morte di Benedetto IV scoppiò a Roma una grave crisi. I due successori Leone V (903) e Cristoforo (903-904)  morirono strangolati in carcere dal futuro papa Sergio III. Seguirono anni confusi, in cui il potere delle famiglie nobili era forte sull'elezione dei papi e sul loro pontificato. Inizia a prepararsi il sacro impero germanico, Ottone I venne incoronato a Roma dopo aver giurato protezione al pontefice, mentre il Papa Giovanni XII giurava fedeltà all'imperatore. Giovanni XII non mantenne la promessa e quindi fu deposto da un sinodo convocato da Ottone I, e inizio una lotta tra impero e città di Roma in cui c'erano sempre due papi eletti, quello di Ottone I e i successori di Giovanni XII. Dopo la morte di Ottone I le cose non cambiarono, e neanche dopo la morte di Ottone II cui successe Ottone III. Il giovane imperatore tentò allora di realizzare il suo piano grandioso di rinnovamento dell'impero d'Occidente, la renovatio im­perii Romanorum. Suo intento era non di tornare in Germania, bensì di fare Roma capitale effettiva dell'impero. Fissò la sua dimora sull'Aventino, a quel tempo ricco di monasteri. Il giovane imperatore vagheggiava una stretta unione tra i due poteri, ma con un predominio dell'impero sulla Chiesa.   Il piano di Ottone III fallì per l'opposizione dei Romani che non volevano un padrone così potente nella loro città. Al principio del 1001 egli dovette fuggire da Roma con Silvestro II, morendo nel castello di Paterno, presso il Soratte, il 23 gennaio 1002. Un anno dopo (12/1/1003) morì pure papa Silvestro II.

Sotto Papa Leone IX iniziò a farsi risentire il problema Orientale, le incomprensione erano di vario genere, ma sicuramente la questione politica era in primo piano. I dissenzi tra Bisanzio e i Tedeschi per l'Italia meridionale andavano ad acquietarsi e a mutarsi in alleanza, grazie al nuovo governatore Argyros. Questa alleanza era sfavorevole al Patriarca di Costantinopoli Michele Ceruliano che con il Basileus legato all'occidente non sarebbe più stato padrone in Oriente. Così inizio l'attacco, accusò di eretici i latini, quindi come rappresaglia verso la politica di Argyros con cui tra l'altro era già entrato in contrasto, il governatore stava latinizzando la parte meridionale dell'Italia, iniziò l’offensiva contro i latini stabiliti a Costantinopoli e contro le chiese in cui celebravano i loro riti. Fu dato ordine di farle chiudere, di confiscare i monasteri latini e furono persino profanate le ostie dei latini e calpestate poiché il pane azzimo, non può essere validamente consacrato. Segui una dichiarazione di guerra a Roma, mentre papa Leone IX stava preparando la disastrosa spedizione contro i Normanni. La risposta del Cardinale Umberto non fu delle migliori, troppe imprecisioni, la difesa andava bene ma l'attacco dimostrava molta ignoranza. Così vennero accusati gli orientali di aver tolto dal simbolo il Filioque, inserito in Occidente nel Concilio di Toledo, Papa Leone III aveva espressamente dichiarato a Carlo Magno che poteva inserirlo ma che non sarebbe stato inserito a Roma nel simbolo per non alterarlo. Umberto combatte anche come adulterio e eresia nicolaita il matrimonio degli ecclesiastici in oriente in uso sin dall'antichità. Nel frattempo la spedizione normanna falli, Leone IX fu supplicato di togliere la scomunica dal re normanno e fu imprigionato ma trattato con tutti gli onori. Il cambiamento della situazione portò a due lettere una da parte del Basileus e una da parte del Patriarca in cui i toni erano molto più tranquilli, il Patriarca si rattristava per la situazione tra le due Chiesa e si era vicino alla prigionia di Leone IX. Il Papa allora mando dei legati per risolvere la questione, questi dovevano sentire le difese di Michele Cerulario e se persisteva nell'errore condannarlo. Passarono prima dal governatore Argyros, i tre delegati, e poi dalla Puglia sbarcò a Costantinopoli. Il Patriarca non li riconobbe, pensò fossero mandati dal governatore Argyros, e non riconobbe neanche la lettera del Papa, dicendo che era un falso, riservò un trattamento non idilliaco ai delegati, non li ricevette e gli intimò di non celebrare messe. Visto il rifiuto del Patriarca i delegati gli lasciarono una lettera di scomunica, diretta solo a lui e ai suoi seguaci, esclusa fu la città cristianissima di Costantinopoli, di qui la scomunica del Patriarca ai delegati. Il Papa non venne scomunicato, quindi salvi sia il Papa che la città Costantinopoli queste rispettive scomuniche non causarono ulteriori problemi, vennero dimenticate, nessun posteriore documento pontificio ne parlerà, nè fu accettata la scomunica poi dal Papa.

Le cose intanto mutano. Abbondano le braccia di lavoro e perciò i servi chiedono al signore che si lascino loro lavorare le terre, sinora rimaste incolte. Il contratto tipico del tempo è l'enfiteusi con cui il servo si impegna a bonificare un terreno, lavorandolo per conto proprio, dietro il pagamento di un canone annuo. Il contratto è a lunga scadenza ed è grandemente significativo perché rivela un miglioramento nella condizione giuridica ed economica del servo che un giorno, riscattando il canone, potrà diventare proprietario e contadino. Nel monachesimo si assiste ad una serie di riforme del tutto spontanee: l'iniziativa  non parte dall'imperatore, né dal papa, ma da vescovi, o da principi laici. Si tratta di riforme indipendenti le une dalle altre: ma i loro ispiratori sembrano collegati da vincoli comuni. Tali iniziative prendono forma concreta in raccolte scritte di norme consue­tudinarie, caratterizzate da elementi comuni, malgrado le frontiere politiche che separano i paesi. La fuga dal mondo fu la strada intrapresa dal rinnovamento religioso di Cluny, fondato nel 910 dal duca Guglielmo Pio di Aquitania, presso Macôn nella Borgogna. Tre i pericoli che incombevano al clero in questo periodo: ignoranza, avarizia, incontinenza. Per premunirli contro di essi concili, vescovi e scrittori ecclesiastici raccomandano lo studio della parola di Dio, esaltano l'ideale del distacco e della castità e mostrano i vantaggi della vita comune, la vita canonica che, rimessa in auge dal vescovo Crodegango (+ 766) per la sua diocesi di Metz, si era diffusa, specie con la regola promulgata dal concilio di Aquisgrana dell'817, presso le cattedrali vescovili e presso le chiese maggiori, anche perché favorita dall'imperatore Carlo Magno. Il rinnovamento pervade anche il popolo: fu una 'rivoluzione religiosa' il cui spirito animatore è costituito dal risveglio evangelico. Evangelico, in quanto ci si intendeva confrontare col primo codice della Chiesa, la sua prima carta costituzionale, il Vangelo, il modo di vivere di Gesù Cristo, i suoi precetti e i suoi consigli. Il risveglio toccò così in profondità tutti gli aspetti della vita religiosa e dalla quale la Chiesa ne uscì rinnovata e riformata. Con il dissolvimento del regno carolingio e le invasioni barbariche degli Ungari, gli attacchi dei Saraceni e dei Vichinghi, si sentì il bisogno di armarsi per difendere la vita e i propri beni. Il che favorì l’organizzarsi dei milites a cavallo, grazie anche alla staffa, introdotta nell’VIII  secolo, che permetteva la stabilità: da allora il cavallo divenne il protagonista delle guerre medievali. Nacque così, tra i laici, l'Istituto della cavalleria, una versione cri­stiana di tradizioni eroiche, ereditate dai popoli germanici, che offriva ai giovani della nobiltà un programma che unisce elementi guerrieri e cristiani. Il desiderio dei miracoli porta i fedeli alla ricerca di un con­tatto più imme­diato e più intimo con Dio e con i suoi servi; lo fanno, per dirla con Vauchez, cercando soddisfazione in "manifestazioni con forte carica emotiva il cui contenuto teologico rimane spesso assai debole"; tali il pellegrinaggio e il culto per le reliquie

Da quando Ottone I era entrato nella storia della Chiesa l'elezione dei papi era avvenuta sempre sotto il suo volere, gli ultimi papi erano stati tutti tedeschi, Stefano IX eletto nel 1057 fu il primo papa rieletto di nuovo dal popolo e dal clero di Roma. Gli successe Niccolò II autore di un  Decreto, che affida l'elezione  del papa ai cardinali vescovi, ai quali unica­mente spetta la tracta­tio, cioè la vera elezione; i cardi­nali clerici dovevano essere consultati solo in un secondo tempo, mentre clero inferiore e popolo si limitano ad acclamare il neo-eletto. Vengono così aboliti i diritti dell’imperatore che, per circa un secolo, era stato il vero arbitro dell’elezione. In un sinodo del 1059 viene combinata la scomunica ai clerici concubini e viene biasimata la simonia. Nel pontificato di Niccolò II si darà dura battaglia a nicolaiti e simoniaci, i nicolaiti erano il clero sposato, o chi lottava per questo, i simoniaci prendevano  il nome da Simon Mago che voleva comprare da Pietro i poteri che gli conferiva lo Spirito Santo, così vennero chiamati coloro che compravano le cariche. Alcuni riformatori radicali, definivano però simonia ogni genere di investitura laicale, anche se non vi era alcun commercio indegno. E' il caso del canonista  Burcardo che non riconosceva neppure quello che il diritto successivo chiama 'ius stolae', cioè la richiesta di denaro ai fedeli per amministrare i sacra­menti o per atti di culto, come la sepoltura. Sotto Niccolò II ci si avvicina ai Normanni, e la Chiesa vi sancisce un'alleanza, i normanni le assicuravano protezione e soprattutto le garantivano elezioni valide. Papa Alessandro II eletto liberamente grazie ai Normanni scelse la protezione a Sud dei Normanni e a Nord dei Patari, favorì la liberazione della Sicilia dagli Arabi ad opera dei normanni e la riconquista della Spagna, promuovendo la crociata francese.

A Alessandro II succedette Gregorio VII che continuò la riforma della chiesa. Con lui iniziò veramente la battaglia della Chiesa contro le investiture laiche. Enrico IV inizialmente appoggiò le riforme ma successivamente, nel concilio di Worms, fece dichiarare Papa Gregorio VII papa illegittimo. Il Papa in reazione a questo lo scomunicò. Dopo la penitenza di Enrico e dopo che la scomunica viene tolta, quattro anni di nuovo, ancora una volta Enrico IV minaccia il Papa Gregorio VII lo scomunica e si mette dalla parte del suo rivale. Ucciso Rodolfo suo rivale Enrico IV arriva a Roma, ma i normanni arrivano in aiuto del Papa e liberano la città caduta ormai nelle mani di Enrico IV e il suo antipapa. Una volta morto Enrico IV e scomparso il suo antipapa, terminò lo scisma. L'accordo per le investiture con Enrico V arrivò a una svolta incredibile, Papa Pasquale II rinuncia a tutti i regalia, al patto che le elezioni siano libere, era un ritorno allo spirito evangelico. Ma Enrico V sapeva di poter contare sul rifiuto dei vescovi tedeschi e così andando a Roma per farsi incoronare mise come scusa per non firmare il decreto il rifiuto da parte dei principi. Papa Pasquale II non lo incoronò e incurante delle minacce continuò la messa, poi venne arrestato da Enrico V e costretto a firmare il privilegium, fu costretto a incoronare Enrico V. Partito Enrico V il privilegium fu considerata un'estorsione e quindi venne rinnegato. Si arrivò a un accordo solo molti anni dopo nel 1122 a Worms il concordato faceva si che Enrico V, ora assolto dalla scomunica, rinuncia alle investiture dei prelati, con l'anello e il pastorale e riconosce le elezioni canoniche e la conferma dell'eletto per opera del metropolita. Da parte sua, papa Callisto II riconosceva all'imperatore e ai suoi successori il diritto di praesentia, cioè di assistere alle elezioni dei prelati di Germania, purché fosse esclusa la simonia e l'impiego della forza; inoltre, nelle elezioni dubbie, il diritto di appoggiare il partito migliore. Per dichiarare la pace convocò il Concilio Laterano I.

Alla crociata, predicata dal papa e dai suoi delegati, in particolare da Ademaro vescovo di Le Puy, aderì proprio perché fu non una guerra santa, ma una forma originale  di pellegrinaggio  tutta l'Europa. Al grido di "Deus lo volt", i crociati posero sulla propria veste una croce di panno, simbolo del voto che si doveva sciogliere  a Gerusalemme e a cui era connessa un'indulgenza di remissione dei peccati. Durante l’assenza dei crociati, i loro beni dovevano essere posti sotto protezione della Chiesa. Sull’esempio del pontefice ovunque si predica il viaggio di penitenza, la spedizione  per la remissione dei peccati. Il papa stesso, attraversando la Francia, si fa apostolo della crociata. I veri crociati si diedero convegno a Costantinopoli per la primavera del 1097. I rapporti tra imperatore e crociati si posero ambigui: l'imperatore Alessio Comneno mirava a trarre vantaggio personale dall'impresa, voleva sconfiggere i Turchi che lo minacciavano; i crociati intendevano combattere per il Santo Sepolcro e non per Bisanzio. Scopo della crociata era infatti la liberazione della cristianità occidentale dai Turchi: nessuna promessa di restituzione dei territori ai Greci, antichi possessori. La situazione di stati federati di Terra Santa era precaria: erano delle isole cristiane in un mare musulmano. Lungo le strade del Santo Sepolcro venne istituito un servizio di guardia per la sicurezza dell’accesso; finché alcuni francesi diedero vita a un corpo di polizia permanente per controllare strade, cisterne, intorno ai Luoghi Santi e difendere i pellegrini dai saraceni e dai banditi. Baldovino II, re di Gerusalemme,  apprezzò molto questo servizio e assegnò loro una sede, nei pressi del Tempio di Salomone: i Templari ebbero così il loro nome. Si può tuttavia parlare di un ordine di templari dopo il 1119, quando 8 cavalieri francesi, cui Balduino  II aveva messo a dispo­sizione  un'abi­tazione  nel palazzo reale, alla presenza del patriarca di Gerusalemme, si legarono, con voto solenne, nel combattere i nemici di Dio “nell’obbedienza, nella castità e nella povertà”. La caduta di Edessa fa nascere una seconda crociata che però fallì, la terza crociata nacque dopo la presa di Gerusalemme da parte dei Turchi. I risultati furono nulli: l'imperatore  affogò nel fiume Salef, in Anatolia (10 giugno 1190) e il re francese abbandonò l'impresa, mentre Riccardo riuscì ad occupare Cipro e S. Giovanni d'Acri, ma ciò non modificò la situazione.

Alla morte di Onorio II, di nuovo tornò la divisione  tra le due famiglie romane e anche all'interno del collegio cardinalizio:16 cardinali, fra cui la maggioranza dei cardinali vescovi, d'accordo con i Frangipani, elessero il card. Gregorio, cioè Innocenzo II (1130-43); mentre gli altri elettori una ventina elessero alcune ore dopo il card. Pietro Pierleoni, cioé Anacleto II (1130-38). La maggior parte dei cardinali vescovi, cui spettava la tractatio,  aveva eletto Innocenzo II. Anacleto II, da parte sua, ebbe però un numero maggiore di cardinali e il consenso del popolo. Fu lo scisma di Anacleto, in quanto questi, con la potenza del denaro proveniva da una famiglia di ricchi banchiere ebrei di Roma era riuscito ad avere il predominio sulla città. Lotario III, scendendo in Italia nell'autunno 1132, ricondusse  Innocenzo II a Roma dove si fece incoronare imperatore il 4 giugno 1133, ma a S. Giovanni, poiché S. Pietro insieme alla città leonina era ancora in mano ad Anacleto. Riconfermarono il concordato di Worms e si fece eleggere imperatore. Nel 1136-7, su sollecitazione di Innocenzo II e di s. Bernardo, l'Imperatore Lotario compì una spedizione contro i Normanni, sostenitori dell'antipapa,  ma solo dopo la morte dell'antipapa Vittore (25/I/1138), Innocenzo II poté divenire padrone della situazione, impedendo che il successore Vittore IV avesse un seguito. E così lo scisma ebbe termine. Per estirpare gli ultimi residui dello scisma Innocenzo II convocò, per l'aprile 1139, un concilio generale: fu il secondo lateranense, il decimo della serie dei concili ecumenici.  Più tardi Federico Barbarossa ristabilì Eugenio III a Roma, dopo che ci furono un po' di problemi con i Romani, in cambio il Papa aderiva alla politica di Federico, sostenendolo. Il nuovo Papa Adriano VI riuscì nell'impresa di allontanare Arnaldo da Brescia che sobbillava popolo e senatori contro la Chiesa, fu trovato e messo al rogo. i suoi resti furono sparsi nel Tevere. Adriano presto arrivò allo scontro con Federico, non l'aiutò nella lotta contro i Normanni. Sconfitto, fu costretto alla pace stipulando a Benevento un Concordato (1156)  con il quale riconobbe la sovranità normanna su tutti i territori dell'Italia meridionale, sotto l'alto dominio della Santa Sede. Federico I ne fu irritato perché interpretò quel concordato come un ritorno alla politica dei tempi di Gregorio VII, il quale si era servito dei Normanni contro l'imperatore. La riappacificazione fu falsa, infatti scendendo in Italia non lasciò molto spazio allo Stato Pontificio e si tornò ad esigere le tasse dallo Stato Pontificio. Il programma politico di Federico giunse a interferire anche nelle nomine dei vescovi, tanto che si poteva quasi parlare di vere e proprie nomine imperiali. Le proteste del papa contro l'usurpatore  di diritti che erano propri della Chiesa non ebbero effetto. E poco prima della sua morte, avvenuta ad Anagni nel settembre 1159, Adriano fu sul punto di scomunicare l'imperatore. Alla morte di Adriano si elessero due papi, Alessandro III eletto dalla maggioranza dei cardinali e Vittore IV eletto dai cardinali tedeschi. Federico I si mise dalla parte di Vittore IV e Alessandro III lo scomunicò.  Gli antipapi si succederanno e Alessandro III si coalizzerà con una lega di Comuni della Lombardia e del Veneto, comprendente 16 città. Questi sconfissero Federico che fu costretto alla pace di Venezia, a riconoscere Alessandro III e a promettere 6 anni di pace con la lega lombarda. Per rimettere ordine nella Chiesa nel 1179 Alessandro III convocò un Concilio ecumenico in Laterano.

A partire dal secolo XI, accanto ad esperienze ortodosse, ci furono anche manifestazioni religiose  di tipo nettamente ereticale. Le parti della cristianità occidentale maggiormente interessate al movimento ereticale furono: Francia, Italia, Inghilterra normanna e la Lotaringia, zona di confine dei Paesi Bassi e dell'Impero. Le cause vanno individuate nei mutamenti economici, sociali e politici del tempo. In particolare la ricchezza e la potenza della Chiesa apparivano spesso come una fonte di gravi mali; e gli eretici del tempo ne trassero argomento per le principali accuse contro di essa. Questi movimenti ereticali non sembrano essere espressione di una religiosità laica, appaiono invece come un movimento di religiosità fondato sul tema base della vita apostolica. In altre parole non risulta che dette eresie abbiano avuto come movente primitivo, né tanto meno come elemento centrale, l'impegno della povertà. Dette eresie riprendevano invece (o avrebbero ripreso) questioni riguardanti i sacramenti e specialmente l'eucarestia; erano eresie di chierici, prima che di laici.Nella seconda metà del sec. XI le esigenze di una rinnovata religiosità si manifestarono, in iniziative a carattere eremitico: nuove fondazioni monastiche e canonicali tutte ispirate agli ideali di povertà e di fuga dalla vita secolare. Nascono dallo spirito d'uno stretto ritorno all'ideale evangelico e sul modello della Chiesa primitiva. Il movimento patarino era stato un moto di popolo che aveva inizialmente fiancheggiato l'azione di riforma della Chiesa. Questi movimenti si divisero formando filoni ortodossi di riforma e chi invece divenne antagonista alla Chiesa, come i catari o i valdesi. La repressione di queste eresie appariva come un diritto e un dovere di legittima difesa per proteggere intatto il tesoro della Chiesa. Il processo medievale contro gli eretici ha le sue radici nella legislazione  degli imperatori cristiani dell'antichità: specialmente Teodosio il Grande e Giustiniano  colpirono gli eretici e gli scismatici con la confisca dei beni, l'esilio  e persino la pena di morte. Nell'alto medioevo la punizione degli eretici si limitò generalmente a pene spirituali, con la scomunica,  la penitenza della flagellazione e la reclusione claustrale. Ma quando nei secoli XI e XII il movimento settario andò aumentando rapidamente, come in Italia e nella Francia del Sud, si tornò di nuovo ad applicare la confisca dei beni, l'incarcerazione  e l'esilio. E dietro l'insistenza di laici fu applicata anche la pena di morte (impiccagione e rogo, poiché l'eresia era equiparata alla magia e al maleficio). Nel combattere le eresie si aumentò piano piano la dose, sino a che fu istituito un tribunale dell'inquisizione da parte della Chiesa stessa, e furono permesse successivamente anche le torture.

Il figlio di Federico I, Enrico IV si sposò con Costanza, figlia di Ruggero II, erede di Guglielmo II re di Napoli e di Sicilia. In questo modo Enrico IV dopo essersi fatto incoronare diventa anche re dei Normanni. Muore sia lui che Costanza però e il papa divenne tutore dell'infante  Federico II  e supremo signore del regno di Sicilia. Era allora papa Innocenzo III (1198-1216),  succeduto a Celestino  III. In Germania due partiti si litigano il potere, il Papa dopo un momento di neutralità si schiera nel 1200 con il partito di Ottone IV, e alla morte dell'avversario Filippo, convince i principi ad eleggere Ottone. Poco dopo l'incoronazione Ottone iniziò a conquistare terre sempre state della Chiesa, e Innocenzo III lo scomunicò e fece eleggere al suo posto Federico II, questi sconfisse Ottone IV e il suo partito. Sotto Innocenzo III il papato raggiunse l'apogeo  della sua po­tenza politica e i sovrani d'Europa, a gara, facevano omaggio dei loro regni al vicario di Cristo. Sulla Chiesa incombeva il pericolo dell’eresia  catara; i più minacciosi erano gli albigesi, i Catari della Francia meridionale, appoggiati com’erano dalla locale borghesia. Innocenzo III, nel suo primo anno di pontificato (1198), inviò dei ci­stercensi in qua­lità di legati; ottenne però scarsi risultati  e quando, nel 1208, Pietro di Castelnau, cistercense, legato papale, fu assassinato il pontefice indisse allora, contro i catari, una crociata. Preparò anche la quarta crociata, detta dei Baroni, ufficialmente intrapresa per liberare il Santo Sepolcro, trattò con i Veneziani e terminò nel saccheggio di Costantinopoli. Sorse così l'Impero latino d'Oriente, con un patriarcato latino (1204). Finì in questa maniera la IV Crociata che Innocenzo III aveva approvato, convinto che producesse l'unione della Chiesa e fosse valido aiuto per la conquista della Terra Santa. Continuò anche l'occupazione politica dell'Oriente da parte dei Latini dal 1204 al 1261 e lo stesso Bisanzio finì sotto la sovranità di un impero latino d'Oriente con la conseguenza che questa latinizzazione, imposta dagli Occidentali, finì per approfondire l'ostilità dei Greci verso gli Occidentali. Innocenzo III, che morì nel 1216, non poté vedere la V crociata, che tuttavia preparò, nel 1215, affidandone la predicazione a Roberto di Courçon, legato della Santa Sede: è la crociata di Giovanni di Brienne, iniziata nel 1219 e che non andò oltre la conquista di Damietta.

Gli Ordini mendicanti sorsero in Italia o in area mediterranea da poco prima il concilio Lateranense IV (1215)  al Lionese II (1274). Sono Ordini di frati che, per la loro regola, non possono possedere nulla né individualmente, né collettivamente  e vivono pertanto del lavoro delle proprie mani, con possibilità di ricorrere all’elemosina. I membri di tutti questi ordini si dicono frati. E frate sta per fratello. Vivono in conventi. E il convento è l'unità territoriale di base. Più conventi costituiscono una circoscrizione; e più circoscrizioni, una provincia. I frati hanno in comune, con i monaci, la separazione dal mondo, l'ascesi penitenziale  e i voti solenni; ma, a differenza dei monaci, i frati non posseggono beni produttivi, neppure in comune e poiché vivono di mendicità sono detti mendicanti. A differenza dei monaci, i frati entrano a far parte della vita cittadina e ben presto si infiltrano nelle pubbliche amministrazioni. Dei mendicanti si valsero i pontefici e si valsero le stesse città. I pontefici se ne servirono per combattere l'eresia, per svolgere opera missionaria tra i pagani, per l'Inquisizione. Ne usufruirono le autorità civili per conseguire pacificazioni, per ricoprire uffici pubblici particolarmente delicati, per la diffusione della cultura, favorendo l'apertura dei loro studia.

Morto Innocenzo III (16 luglio 1216) fu eletto a succedergli l'anziano card. Cencio Savelli che prese il nome di Onorio III (1216-1227).  Il papa continuò la preparazione della crociata promossa da Innocenzo III, ma la corrispondenza dei paesi cristiani fu scarsa. Federico II ritardò continuamente la partenza per la crociata, quando parti, torno indietro causa febbri, la scusa non fu creduta dal nuovo Papa Gregorio IX che procedette alla scomunica. Federico allora favorì una sommossa dei Romani capeggiata da Frangipane e il papa fu costretto a recarsi a Rieti, da dove passò in Umbria, fissando la dimora a Perugia, mentre le truppe imperiali fecero irruzione nello Stato Pontificio e quelle papali a fianco dei Lombardi, a loro volta, invasero le Puglie. Finalmente, il 28 giugno 1228, Federico partì per la Crociata, sbarcando ad Acri il 7 settembre successivo. La spedizione di questo imperatore scomunicato non aveva carattere religioso: egli pensava di realizzare il piano di suo padre Enrico VI, cioè di egemonia nel Mediterraneo. Intavolate trattative con il sultano di Egitto Malek el Khamil, padrone della Palestina, si giunse al trattato di Giaffa (4 febbraio 1229) con il quale Federico II ottenne il dominio della città di Gerusalemme, Betlemme e Nazaret, con le strade che le collegavano a S. Giovanni d'Acri, promettendo in cambio che per dieci anni non ci sarebbero stati attacchi degli Occidentali contro l'Egitto.Federico II poteva così entrare in Gerusalmeme e cingere il 7 marzo 1229 la corona regale nella basilica del Santo Sepolcro. Da parte sua Gregorio IX aveva predicato e organizzato una crociata contro Federico II, mentre una spedizione di soldati papali, denominati clavigeri (clave signati), guidata da Giovanni di Brienne, aveva invaso la Sicilia. Anche in Germania ci fu una rivolta capeggiata da Luigi di Baviera e i principi pensavano di eleggere un nuovo imperatore. Sbarcato a Brindisi il 10 giugno 1229, riconquistò in quattro mesi quasi tutto il regno. Finché, nell'estate  del 1230, grazie alla mediazione di Ermanno di Salza, maestro supremo dell'Ordine Teutonico, si giunse alla pace di S. Germano-Ceprano. In Germania  Federico II soffocò (1235)  la ribellione del figlio Enrico VII e si rivolse quindi contro le città lombarde, sconfiggendo la lega lombarda a Cortenuova, presso Bergamo (novembre 1237). Intimorito dai successi imperiali e dalla spregiudicatezza della po­litica di Federico, che aspirava a fare di Roma la capitale del suo impero, Gregorio IX gli lanciò di nuovo la scomunica (24 marzo 1239) che Federico II interpretò come dichiarazione di guerra. Federico II passò ai fatti e occupò regioni dello Stato pontificio,  Marca, Ravenna e Ducato di Spoleto, cercando anche di guadagnarsi i Romani. La lotta continuò sotto Innocenzo IV che con il concilio di Lione I continuò la scomunica verso Federico II. L'imperatore, dichiarato  colpevole  di tutte le imputazioni, fu deposto ed i principi tedeschi invitati ad eleggere un nuovo imperatore, mentre il papa rivendicava a sé la gestione del regno di Sicilia. Onde scalzare la potenza imperiale di Federico II,  Innocenzo IV bandì contro di lui una crociata, concedendo ai partecipanti gli stessi privilegi di cui godevano le crociate di Terra Santa.  Federico II era rimasto in Italia, dove il legato Gregorio di Montelongo animava la resistenza dei comuni lombardi contro l'imperatore. Nelle lotte furibonde tra Guelfi e Ghibellini  il paese divenne campo di devastazioni e gli oppositori dell'imperatore,  specie gli ecclesiastici e i frati mendicanti, dovettero sperimentare la ferocia della sua vendetta. Finché la battaglia presso Parma, con la vittoria della Lega, segnò il declino della potenza imperiale. Federico abbandonò allora l'alta Italia, lasciandovi il figlio Enzo, fatto prigioniero l'anno successivo dai Bolognesi  a Fossalta  e si ritirò in Puglia dove, vittima di un attacco di dissenteria, morì il 13 dicembre 1250 nel Castello di Fiorentino, presso Lucera, pentito e assolto dalla scomunica da parte dell'arcivescovo di Palermo. Corrado IV continua la lotta con il Papa che non si fermerà se non con l'aiuto di Carlo d'Angiò. Con Corradino, figlio di Corrado IV, si estingueva la casa degli Hohenstaufen, la cui ambizione e insieme utopia fu quella di piantare una propria potenza familiare nell'Italia meridionale, in contrasto con i diritti feudali del papa e la volontà di congiungere la corona siciliana con quella germanica, costringendo la Curia romana a cercare un appoggio nella Francia, la nuova grande potenza nascente in Europa.

Nel 1271 venne eletto Gregorio X, assunse a programma del suo pontificato l'aiuto  dell'Oriente cristiano dove, nel 1261, era caduto l'impero latino di Costantinopoli e dopo l'assedio di S. Giovanni d'Acri si stavano avviando alla fine gli ultimi possessi della Siria. Abbandonati i piani di riconquista, si preoccupò invece dell'unione religiosa con i Greci. Per questo convocò, nel 1272, un concilio generale al fine di sancire l'unione  e insieme provvedere alla riforma della Chiesa e alla Crociata. Gregorio X, per la riuscita del Concilio iniziò trattative con l'imperatore greco Michele VIII Paleologo, favorevole all'unione religiosa e al riconoscimento del primato papale, ma suoi veri intenti erano quello di avere un aiuto contro la minaccia musulmana e quello di scongiurare una riconquista da parte della Francia. Contrari all'idea dell'unione religiosa erano però la Chiesa greca con il patriarca di Costantinopoli Giuseppe e tutto il clero, fanatico contro i latini e contro il papa. Tre gli obiettivi del concilio: la riforma della Chiesa (disciplina del clero, abusi e così via), la preparazione della Crociata e l'unione con la Chiesa ortodossa. L'ambasciata bizantina fu accolta il 24 giugno con tutti gli onori. I Greci riconobbero il primato del papa e accettarono le appellazioni a Roma. Quanto alla questione del filioque, fu accettata la dottrina della Chiesa romana e la formula fu aggiunta anche dai greci nel canto del credo. Mentre, quanto ai riti, fu deciso che i Greci potevano mantenere il loro rito e la loro liturgia. L'unione fu celebrata in forma solenne cinque giorni dopo, festa dei ss. Pietro e Paolo. All'articolo che esprimeva la fede nella processione dello Spirito, I'inserto Filioque fu ripetuto due volte. Alla morte di Michele Paleologo, il figlio Andronico cambiò radicalmente rotta, rifìutando qualsiasi velleità di unione. Egli interruppe definitivamente il sogno dell'unione dei latini e dei greci, che Gregorio aveva annunciato come un fatto compiuto nell'ultima sessione del concilio di Lione II, un sogno al quale il papa aveva creduto con lealtà, ma che Michele Paleologo aveva tentato di assecondare con ambiguità, se crediamo al giudizio del massimo cronista bizantino coevo. Con il figlio di Michele la situazione cambia, e i sinodi che cercano di ristabilire l'unione non servono a nulla, visto la durezza delle due parti. Il Papa indisse una crociata contro Bisanzio, sempre più in legame con la Francia.

Dopo una sede vacante per più di due anni venne letto un monaco eremita con il nome di Celestino V, faticò ad accettare l'incarico, già visto come un santo, alla fine accettò, ma dopo 5 mesi di pontificato, probabilmente fu convinto ad abdicare, inesperto com'era aveva fatto troppe concessioni, e dietro c'era probabilmente già il futuro Bonifacio VIII. Dieci giorni dopo la rinuncia di Celestino V venne eletto Bonifacio VIII, che tenne imprigionato Celestino V per paura di scismi. Entrò subito in contrasto con Filippo il Bello re di Francia. In conflitto con la famiglia Colonna, fu guerra quando Stefano Colonna, conte di Romagna rapinò il tesoro papale. Bonifacio VIII convocò i due cardinali Colonna davanti al suo giudizio e chiese ai colonnesi la consegna dei loro castelli. Costoro invece di obbedire, mossero guerra al pontefice. Di tutta risposta, nel maggio, Bonifacio VIII indisse una crociata contro i Colonna, fece radere al suolo il castello di Palestrina, loro principale fortezza; quindi, con bolla "In excelso throno", depose Iacopo e Pietro dalla dignità Cardinalizia, li scomunicò, ne confiscò i beni e distrusse Palestrina Castel S. Pietro e altri paesi colonnesi, disperdendo i membri della famiglia Colonna; alcuni si rifugiarono in Francia presso Filippo il Bello. Nel 1300 i fedeli spontaneamente andarono a Roma alla tomba di Pietro  fiduciosi in un'indulgenza. Bonifacio VIII allora il 22 Febbraio proclamò il giubileo e la remissione dei peccati. Bonifacio elargì l’indulgenza a tutti coloro che, durante l'anno (a cominciare dal Natale precedente, dando così alla bolla anche un valore retroattivo) avessero pregato alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo per trenta giorni, se erano romani, per quindici,  se erano forestieri, purchè confessi e pentiti delle loro colpe. Il conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII non era destinato a spegnersi e vedremo che non si spegnerà neanche con la morte di Bonifacio VIII. I due fermi nell'idea di avere nelle proprie mani sia il potere spirituale che quello temporale continuano a emanare documento contro documento, e così Bonifacio VIII risponde alla continua tassazione del clero di Filippo IV con la bolla Unam Sanctam, che affermava la superiorità del potere del papa, a cui doveva sottomettersi anche il potere temporale. Adirato Filippo IV fa arrestare Bonifacio VIII che viene poi liberato dagli abitanti del posto, ma il papa morirà qualche settimana più tardi. Questo non fermerà la battaglia, il processo a Bonifacio VIII continuerà anche dopo la sua morte e fu un bel macigno per i papi successivi, soprattutto per pontefici come Clemente V non deve essere stato un peso leggero.

Dopo la morte di Bonifacio VIII, ci fu Benedetto XI  e alla sua morte Clemente V che fu il primo Papa del periodo avignonese, infatti nel 1309 decise di trasferirvisi. Il trasferimento porta alla divisione con l'impero di Germania e un rafforzamento dei contatti con la Francia che va a favorire Filippo IV. Alla morte dell'imperatore di Lussemburgo due contendenti si contengono l'impero germanico: Ludovico di Baviera e Federico d'Austria. Nel 1322 Ludovico vinse ma rifiuto di fare approvare la sua elezione dal Papa Giovanni XXII. Il Papa rivendica il diritto di governare l'Italia, Ludovico ferma i suoi intenti e il Papa lo scomunica, Ludovico a suo volta accusa il papa di eresia e indice un concilio. Si fece consacrare imperatore dall'antipapa Nicolò V, e nel 1338 i principi elettori proclamano che la loro maggioranza legittima il re senza bisogno del consenso papale. A livello teologico ci furono i sostenitori del papato e dell'impero. Nel 1346 i principi detronizzarono Ludovico ed elessero Carlo IV che fu riconosciuto anche da Papa Clemente VI. Tranne la Francia tutta la cristianità auspicava il ritorno del Papa a Roma che avvenne con Gregorio XI.

Nasce in questo periodo la devotio moderna, in contrapposizione con la devotio monastica. Opera dominante di questo periodo è l'Imitazione di Cristo. Si tratta di un opera che propone un metodo per una vita interiore che propende all'imitazione di Cristo. Verso la fine del 1200 c'è lo sviluppo della teologia mistica, due esponenti sono Eckhart e Ruysbroek. Eckhart usa una teologia negativa, considera Dio inarrivabile, non si può dire ciò che è Dio, ma è più semplice dire ciò che non è. Ruysbroek invece insiste di più sull'aspetto affettivo. Nei movimenti francescani e domenicani c'è un ritorno la ricerca di un ritorno al vangelo, i movimenti si erano adattati alla pastorale tralasciando un po' la povertà, da parte degli spirituali c'è un'attenzione a questa. Sorgono delle comunità di eremiti nella realtà francescana. Grazie a questa riforma il movimento francescano e quello domenicano recupereranno nuova linfa.

Nel conclave del 1378, il primo che nuovamente si tenne a Roma, si sentì l'influenza del popolo che voleva un Papa italiano, e così fu e prese il nome di Urbano VI, successivamente i cardinali ritornarono sui loro passi considerando l'elezione invalida a causa della pressione che era stata messa al conclave ed elessero quindi un nuovo Papa. Questo creò due ubbidienze a due papi diversi, la cristianità si divise. Una soluzione non si trova e la si cerca con il concilio di Pisa, che destituisce i due papi e ne elegge un altro. L'unico risultato fu che si ebbero tre papi. Solo in concilio di Costanza risolse il problema, destituì come scismatici i tre papi e ne elesse uno nuovo accettato finalmente in maniera universale. Da questo problema nacque la teoria conciliarista, che nacque appunto per poter risolvere questo problema. Questa teoria mette il concilio al di sopra del Papa, in quanto la Chiesa è al di sopra del Papa stesso, che può essere quindi destituito quando va contro la Chiesa. Teoria che divenne estrema nel concilio di Basilea, ed entrò in conflitto con il pontefice. Questa linea vedeva sopra il concilio non solo nel caso straordinario di eresia o scisma ma sempre, in qualsiasi circostanza.

Nel 1400 c'è una trasformazione delle eresie, non è più un atto individuale, vengono visti non solo dalla Chiesa ma anche dagli stati come un atto di ribellione. L'eresia si sposta particolarmente in Inghilterra e in Boemia. Wicliff nel bel mezzo dell'esilio avignonese, in un Inghilterra travagliata dalle spinte nazionaliste, si trovò in un clima favorevole per andare contro la Chiesa. Ripensa l'essenza della Chiesa, vedendo la vera Chiesa invisibile e spirituale, non accetta la transustanziazione, affermando che il pane e il vino vengono solo resi sacri. Alla morte di Wycliff, Hus portò avanti le sue idee, e quando venne condannato al rogo, divenne un martire in Boemia, si dovette arrivare ad un accordo con i nazionalisti boemi.

L'apertura del concilio di Basilea avviene in attuazione del concilio di Costanza, che prevedeva dei concili periodici. I padri conciliari propendevano per il conciliarismo, considerando questo in contraddizione con la Chiesa Eugenio IV trasferì il concilio a Ferrara. I conciliaristi rimasti a Basilea provarono ad eleggere un nuovo Papa, ma questo piccolo scisma finì presto.

In questo concilio si tenta la riunificazione con gli ortodossi favorita più che altro da motivi politici, nonostante la Chiesa cattolica avesse appena ricomposto uno scisma  e non fosse al suo interno il massimo dell'unità. La minaccia dei turchi era sentita dall'imperatore di Costantinopoli che sperava in un aiuto dell'occidente, inoltre proprio l'unità appena raggiunta nella Chiesa occidentale grazie al concilio, faceva ben sperare in questo mezzo per una nuova unione.

Si arrivò a un documento di unione veniva accettata l'ortodossia della forma latina del credo con il filioque e veniva concesso ai greci di usare la formula tradizionale, per quanto riguarda il pane liturgico si potevano usare entrambi i pani, anche il pane azzimo che secondo i greci non era ortodosso. Il purgatorio veniva affermato anche se non accettato dagli ortodossi e si affermava il primato papale anche se in modo molto sfumato. Tutto ciò alla fine si rivelò come un fallimento, fu solamente un'unione teorica, mai niente di tutto ciò fu portato in pratica.

Il concilio intervenne anche a proposito del rapporto con gli ebrei. Da sempre protetti dalla Chiesa come testimoni della rivelazione ma considerati allo stesso tempo in una posizione inferiore in quanto non avevano accettato il Messia. Così ora la Chiesa si trova tra la protezione degli ebrei e quella degli ordini mendicanti, che nella loro lotta all'eresia con l'inquisizione lottano anche contro gli ebrei. La soluzione del concilio è una protezione si per gli ebrei ma anche un isolamento, si iniziano a creare i primi ghetti.

Il rinascimento è un movimento culturale nato in Italia, questo movimento ha segnato la rottura con il medioevo e l'inizio della modernità, anche se molti storici hanno poi rivisto questa impostazione, tra rinascimento e medioevo non c'è questa netta rottura. Il rinascimento ha visto un cambiamento solo in un'elite di persone, il popolo non si è accorto di niente. Si afferma l'umanesimo, una cultura antropocentrica rispetto a quella teocentrica del medioevo, si afferma l'autonomia dell'arte come bellezza e non solo come veicolo per esprimere verità di fede. In campo politico si afferma l'autonomia dello Stato rispetto alla Chiesa. C'è l'evento positivo del mecenatismo, Roma doveva essere la città più bella, e l'evento negativo che era la vita privata dei pontefici. Si è nel periodo del nepotismo, a discapito della Chiesa stessa i pontefici favorivano i propri parenti, davano ai loro nipoti anche il patrimonio della Chiesa. Contro tutto ciò si batte Girolamo Savonarola, denunciò la situazione esistente tra il potere politico e quelle ecclesiastico, predicava una riforma della Chiesa, diviene una figura scomoda. Incominciò a predicare contro il Papa, gli fu impedito di predicare, ma si rifiutò di obbedire al Papa. Dichiara la sentenza del Papa invalido in quanto lui è ispirato, venne arrestato, processato e condannato a morte.
Uno dei problemi maggiori di questo periodo era il clero: le alte cariche concentravano spesso più uffici prendendone le rendite ecclesiastiche che gli spettavano, spesso poi non si occupavano di questi uffici e spesso non era per vocazione che sceglievano questa strada. Anche nel clero semplice dominava ignoranza e immoralità, non esistevano i seminari, i preti si accontentavano di sapere poche nozioni e il concubinato era molto presente. Il concilio Laterano V prova a riformare la Chiesa, ma non vi riesce, si pose attenzione alla predicazione e al pericolo della stampa e quindi a una censura preventiva da parte della Chiesa.

L'umanesimo è il versante culturale del rinascimento, c'è un'attenzione all'antico, un rifiuto della scolastica medioevale. Umanesimo non era solo di atei, c'era un umanesimo cristiano, l'umanesimo italiano iniziato da Petrarca è di questo stampo. L'umanesimo cristiano vuole riformare la Chiesa, vuole riportarla alle origini. Erasmo da Rotterdam è la grande figura dell'umanesimo in Europa, in lui molti avevano sperato nell'uomo che poteva permettere una riforma della Chiesa, ma Lutero in qualche modo lo oscurò, si affidò a lui però, anche, la Chiesa per una risposta a Lutero.

La riforma protestante causa in Europa la fine dell'unità religiosa. Le cause di questa riforma sono varie e non si limitano solo agli abusi o ai difetti della Chiesa del tempo.  C'era stato un lungo periodo di pre-riforma: misticismo, devotio moderna, umanesimo. Nel mondo cattolico l'immagine di Lutero è sempre stata presentata in modo negativo, come un personaggio immorale o con gravi debolezze psicologiche, nevrotico. Nel 1900 c'è una rivalutazione dell'uomo e della dottrina di Lutero che era un uomo profondamente religioso, ma facile alla collera, questo lo portò al soggettivismo. Nel 1483 nasce Lutero, diviene monaco agostiniano, un viaggio a Roma cambiò la sua vita, vide con i propri occhi il modo di vivere di sacerdoti e cardinali. Tra il 1515 e il 1517 maturò una crisi che lo portò a sviluppare la sua dottrina, era ossessionato dal peccato e dal fatto che nonostante tutti i suoi sforzi non riuscisse a liberarsene, Lutero cercava una via per la propria salvezza e non la trovava, la via d'uscita è quella di un pessimismo antropologico, la natura è completamente corrotta. Unica via di salvezza quindi gli viene data dalla lettura di San Paolo "il giusto vivrà per fede". L'unica cosa che quindi Dio ci chiede è credere, questa è l'unica cosa che può salvarci, credere. Abbandonarsi fiduciosamente alle promesse del Cristo, e per questo divine fondamentale la lettura della Sacra Scrittura. Fu però con la lotta alle indulgenze che Lutero si fece conoscere: non criticava le indulgenze in sè ma quello che erano diventate, la possibilità della Chiesa di rimettere la pena terrena c'è quel che non accetta è che si rimetta anche la colpa che invece viene rimessa con l'assoluzione, e che soprattutto si rimetta la pena dopo la morte, così da accorciare la permanenza in purgatorio. Lutero non si sottomise al Papa, voleva essere convinto con il ragionamento, o meglio sulla base dell'unica autorità che accettava, quella della Sacra Scrittura. Lutero inizia a difendere le teorie conciliariste, ad affermare l'unica autorità della Parola. Una bolla papale condannava 41 proposizioni di Lutero, che bruciò quella bolla papale e altri testi, fu salvato dal rogo, dal rapimento di un principe a lui amico. Le idee di Lutero iniziano a girare, vengono anche abbracciate dai contadini in rivolta, Lutero all'inizio li appoggia sino a che la loro richiesta non sfocia nell'anarchia e riconoscendo la necessità dell'autorità dello stato. Dal 1525 al 1532 è il periodo delle diete, ovvero dei colloqui dove si cerca di raggiungere un accordo tra protestanti e cattolici. Si susseguirono una serie di concessioni e di ritrattazioni. Le battaglie si susseguono sino alla pace di Augusta del 1555. La Germania si divide sul piano religioso, ogni principe sceglie a cosa aderire e il popolo segue la religione del principe.
Con Calvino si entra nella seconda generazione di riformatori, le sue simpatie per la riforma lo portarono ben presto a esser cacciato da Parigi. Calvino mise ordine nella riforma, ne fece una sintesi. Il suo nome è legato a Ginevra, la città in cui capì la sua vocazione, quella di pastore della riforma. Ginevra diviene un punto di riferimento per tutta la Chiesa protestante, un anti-Roma.  Calvino riprende la dottrina di Lutero della giustificazione, afferma la predestinazione, è Dio che elegge e dona fede e grazia. Ritiene che la Chiesa sia invisibile e visibile, e che il pastore ha esclusivamente una funzione ministeriale e non sacerdotale. La Chiesa non deve avere alcun potere temporale, ma lo stato è al servizio della Chiesa, la sua missione è quella di difendere la pura dottrina e reprimere idolatrie e bestemmie. Ginevra diviene quindi centro della riforma protestante, perché è città rifugio, perché è il centro intellettuale della riforma e perché diviene modello di città riformata.

In un Inghilterra in cui diversi fattori preparavano a una riforma nel 1509 sale al trono Enrico VIII uno strenuo difensore della fede cattolica, in opposizione alla riforma protestante. Leone X gli conferisce il titolo di defensor fidei.  Sposato con Caterina d'Aragona pretendeva dal papa l'annullamento del proprio matrimonio, alla risposta negativa del pontefice, si fece nominare capo della Chiesa d'Inghilterra, Enrico VIII andava a prendere su di sé in Inghilterra i poteri che aveva il Papa.  Così alla morte di Enrico VIII  l'Inghilterra era divisa in tre: fedeli al Papa, i sostenitori di Enrico VIII e colo che avevano aderito alla riforma protestante. Il figlio Edoardo VI apporta delle modifiche, si introduce il Prayer Book, libro di preghiera, che è di ispirazione calvinista e nega il carattere sacrificale della messa. La nuova regina Maria Tudor proverà a ripristinare la fede cattolica, ma non ebbe successo e salita al trono Elisabetta venne ripristinato tutto ciò che era stato tolto dalla regina cattolica. La consacrazione fu fatto dall'unico vescovo cattolico che accettò la riforma, si discute sulla validità, infatti è un'ordinazione fatta seguendo il rituale di Edoardo VI che negava il valore sacrificale della messa, c'è inoltre un vizio di volontà in quanto non c'è l'intenzione di ordinarlo secondo la dottrina cattolica. Nel 1570 Elisabetta fu scomunicata da Pio V, da quel momento i cattolici vennero considerati ribelli e perseguitati.

Con la rottura dell'unità religiosa si fece strada un periodo di guerre civili, c'era l'idea dell'unità di fede di uno stato e non si potevano accettare due confessioni diverse. Però ben presto si iniziò a capire che non ci si poteva far guerra per sempre, e si cercarono dei compromessi. La Francia era equamente divisa tra cattolici e protestanti. Francesco I, re di Francia iniziò una politica di repressione verso i protestanti, il successore Enrico II continuò questa politica con editti repressivi, fu un po' ostacolato dal parlamento. Dal 1560 gli scontri aumentarono, salirono al trono di Francia dei re o troppo giovani o mal accettati dalla popolazione. Quando sale al trono Enrico IV non era ben visto, era il capo degli Ugonotti, partito protestante, fu rinnegato dai sudditi cattolici che volevano un re cattolico. Enrico IV seppe però farsi ben volere, si convertì al cattolicesimo. Nel 1598 si arriva alla promulgazione dell'editto di Nantes. Per questo documento sarà contestato da cattolici e protestanti, dai cattolici per i privilegi concessi ai protestanti, dai protestanti perchè il documento non stabiliva una parità tra cattolici e protestanti, ai protestanti venivano semplicemente concessi dei privilegi per una convivenza pacifica.

Il concilio di Trento risponde alla riforma protestante, sviluppa in realtà una riforma che era già viva nella Chiesa anche prima della riforma protestante. E' il concilio più lungo ben 18 anni, conobbe tre convocazioni papali prima di iniziare, e due soste. Fin dall'inizio del 1500 in realtà c'era un movimento di riforma che si poggia molto sulle idee di San Tommaso d'Aquino, idee riscoperte e valorizzate. Ci fu un rinnovamento della spiritualità, tanti nuovi centri spirituali, e tante iniziative per riformare il clero, in questo contesto importanti furono i gesuiti di Ignazio di Loyola. Nonostante ciò sino al 1534 il papato non è stato favorevole a questa riforma, in quest'anno fu eletto Papa Paolo III, che nonostante il costante pericolo conciliarista, era convinto del bisogno di un concilio. Per preparare questo concilio il papa rafforzò l'ala riformatrice, c'erano molte visioni diverse, ma la volontà di togliere ogni abuso. Altro problema che fece slittare l'apertura del concilio fu il problema del posto, il Papa avrebbe voluto vicino Roma, l'impero voleva invece che si tenesse in una città tedesca lontano dall'influenza del Papa: Mantova, Vicenza e Modena, alla fine si scelse Trento, città libera dell'impero. Altro problema era il disaccordo tra i principi cristiani, quello francese e quello tedesco. L'imperatore tedesco cercava l'apertura del concilio, ma vi riuscì solo dopo la sconfitta sul campo del re francese. Il concilio si aprì quindi a Trento finalmente nel 1545, nel 1547 causa peste fu trasferito a Bologna, in realtà era più che altro una scusa per avvicinarlo a Roma e quindi i vescovi tedeschi non parteciparono, non si approvò più nulla e nel 1548 il papa sospese i lavori. I lavori ripresero nel 1551 in questa seconda sessione è importante la partecipazione di delegazioni protestanti, non si ebbe alcun successo però. A seguito della ripresa della guerra tra l'imperatore tedesco e i principi protestanti il concilio fu sospeso di nuovo nella primavera del 1552.  Dopo 10 anni di pausa in cui si provò a riformare la Chiesa in altro modo, fu riaperto il concilio grazie a Pio IV. Il concilio così si occuperà delle fonti della rivelazione fissando il canone includendovi alcuni testi contestati dai protestanti e contro la teoria della sola Scriptura si afferma che le fonti della rivelazione sono Scrittura e Tradizione. Riguardo al peccato originale afferma che non è solo l'imitazione del peccato di Adamo,  che non è da identificarsi con la concupiscenza (che può essere combattuta con la grazia di Dio), che con il battesimo viene cancellato il peccato originale permettendo all'uomo di fare il bene, che l'uomo ha conservato il libero arbitrio ed è quindi capace di scegliere tra il bene e il male. Riguardo alla giustificazione, si afferma che si è la fede che giustifica ma questo non causa la separazione dalle opere, anzi l'uomo deve cooperare alla salvezza con la volontà e con le opere. Riguardo ai sacramenti afferma che sono sette di istituzione divina, che sono efficaci per se stessi, ex opere operato, si afferma la teoria della transustanziazione, afferma che la comunione sotto la specie del pane è completa, viene affermato il carattere sacrificale della messa, e per quanto riguarda l'ordine si afferma il suo carattere sacramentale e il suo legame con l'eucarestia. Riguardo al purgatorio si afferma che è il luogo dove le anime soffrono in attesa del giudizio finale: ci sono due giudizi uno individuale subito dopo la morte e uno pubblico alla fine dei tempi, fatto da Cristo. Legittima inoltre il concilio la devozione dei santi e la dottrina delle indulgenze. Riprese anche alcune prescrizioni come il dovere di residenza dei vescovi, l'apertura dei seminari, la riforma del diritto della famiglia. Il Papa uscì come il vincitore del concilio, il conciliarismo era ormai lontano. Il periodo immediatamente successivo al concilio servì poi per attuarlo.

Con la riforma protestante la Chiesa aveva perso 1/3 dell'Europa la colonizzazione dell'America permette alla Chiesa di recuperare altri territori alla sua azione missionaria. Riguardo alla colonizzazione due sono le posizioni della Chiesa una di appoggio alla colonizzazione di Spagna e Portogallo che sono favorevoli alla missione; una critica rispetto agli abusi contro gli indigeni. La Chiesa concesse molto a Spagna e Portogallo concedeva loro il Patronato Regio, che dava a loro un monopolio sui territori di missione. Questo Patronato fu interpretato dai re cattolici in senso totalitario, tanto che oltre che occuparsi dell'organizzazione, si ritenevano vicari del Papa anche nel campo spirituale. Nel 1600 la Santa Sede cerca di riguadagnare il controllo su quelle missioni e quelle terre con la costituzione della congregazione Propaganda Fide, naturalmente i sovrani cattolici non si fecero riprendere facilmente ciò che gli era stato concesso. Alla Chiesa faceva comodo questa forma di regalismo in realtà, il rapporto che si instaurò con gli indios era un paternalismo spirituale, avevano la nostra stessa vocazione alla salvezza ma si trovavano nella condizione del bambino. I missionari dovettero anche lottare con la schiavitù degli indios, che venivano resi schiavi dai conquistatori. I gesuiti costruirono delle riserve li portarono lontano dai colonizzatori e qui li formavano. Queste terre avevano uno statuto del tutto speciale, erano dominate dai gesuiti. Successivamente però questi territori passarono dalla Spagna al Portogallo e quindi vennero espulsi dall'America i gesuiti. Fu molto positiva questa esperienza però. Nel 1600 la Chiesa cercherà di riprendere in mano l'azione missionaria, con la scusa di sopperire alle assenze del governo portoghese nominò vescovi nelle sede vacanti e mandò vicari apostolici. Furono nominati vescovi residenziali che dipendevano dalla Santa Sede. Compito centrale era l'annuncio del vangelo, poi la creazione di un clero indigeno e la necessità di adattarsi alla cultura locale.
La pace di Westfalia del 1648, non segnò solo la fine della guerra dei trent'anni ma anche la fine dell'ideale di un'Europa ancora religiosamente unita. In questi trattati la posizione della Chiesa  è indebolita. Ci troviamo in un'Europa che vede  stati cattolici, stati protestanti e stati misti. La guerra dei trent'anni nacque dall'intento dell'imperatore d'Austria di riportare alla cattolicità la Boemia, iniziò come guerra di religione in realtà è finì come guerra politica tanto che la cattolicissima Francia si schierò contro l'Austria. La pace di Westfalia pose fine al tutto e ne uscì sconfitto e ridimensionato l'imperatore e la Chiesa. Luigi XIV dopo la vittoria della guerra dei trent'anni aveva reso la Francia una grande potenza politica e culturale. Volle ristabilire l'unità religiosa e quindi revocò l'Editto di Nantes, i protestanti furono costretti alla conversione. Si prese la possibilità di conferire cariche ecclesiastiche nelle sedi vacanti. Un decreto regio affermava che il papa aveva solo il potere spirituale, che i poteri della Santa Sede sono limitati dal Concilio di Costanza, che affermava la superiorità del concilio sul papa, che il potere del papa è preponderante ma le sue decisioni non sono intoccabili se in contrasto con la Chiesa universale. Papa Innocenzio XI temendo lo scisma si limitò a protestare contro questo documento. Papa Alessandro VI dichiarò nullo il documento che fu sospeso dal Re di Francia. Le idee gallicane e conciliariste però si diffusero intanto. In Austria sotto l'imperatrice Maria Teresa e il figlio Giuseppe II, la Chiesa fu posta sotto il controllo dello stato. Giuseppe II arrivò ad asservire la Chiesa allo stato, la Chiesa doveva essere al servizio dello stato. La maggior parte dell'episcopato austriaco si piegarono alla riforma.

Verso la metà del XVII secolo si riapre il difficile dibattito sul rapporto tra la libertà e la grazia. Il concilio di Trento l'aveva risolto con un equilibrio tra il pessimismo dei riformatori e l'ottimismo degli umanisti. Si sviluppò una corrente tra i gesuiti che esaltava l'uomo e tendeva a minimizzare gli effetti del peccato originale.  Si sviluppa così il molinismo che ritiene che il peccato originale non modifica sostanzialmente la natura dell'uomo, ma lo priva solamente dei doni soprannaturali che Dio dona con la grazia. In reazione al molinismo  sorge il giansenismo, i gesuiti cercarono e riuscirono a far attaccare lo scritto di Giansenio che dava il via al giansenismo. Ma nonostante tale condanna, il giansenismo si diffuse, soprattutto in Francia ad opera dell’abate di Sint-Cyran.  Nel 1656 Pascal diede grande sostegno alla causa giansenista, ridicolizzando la morale gesuita. nel 1713 si ebbe una nuova condanna con l'Unigenitus.  La condanna del movimento rafforzò i rapporti con i gallicani. Il richerismo afferma che la Chiesa è governata sia dalla gerarchia episcopale che dai sacerdoti vuole una democrazia clericale, i giansenisti rifiutarono inizialmente queste tesi considerandole scandalose ma poi ci aderirono. Nel 1773 papa Clemente XIV decise di sopprimere la Compagnia di Gesù, sembrerebbe a causa di una decisione politica strappata a Roma dai sovrani cattolici dell’Europa dell’epoca, i quali vedevano la presenza dei gesuiti come una minaccia permanente per il loro potere. La Russia fu l'unico Paese in cui il decreto non fu attuato permettendo ai Gesuiti di trasferirsi là e sopravvivere sino al riconoscimento ufficiale del 1814.

La rivoluzione francese del 1789 è un avvenimento importante anche per la Chiesa. A differenza di quel che normalmente si pensa la prima farse della rivoluzione non vede questa  in opposizione alla Chiesa, anzi è proprio parte del clero a permettere che questa rivoluzione avvenga nel modo in cui si è sviluppata. La società francese era divisa in tre ordini: nobiltà, clero e terzo stato. Gli stati generali convocati dal re solo grazie al basso clero saranno trasformati in un'assemblea nazionale. Infatti il terzo stato da solo non sarebbe riuscito ad ottenere ciò. Se il basso clero non si fosse unito al Terzo Stato non avrebbe avuto i numeri per costituire l'assemblea nazionale. L'assemblea Nazionale finisce per separarsi piano piano dalla Chiesa creando la rottura con la costituzione civile del clero in cui si riprende l'idea democratica gallicana. Nel 1790 ci fu inoltre l'obbligo di giuramento per i preti alle costituzioni del re. La maggioranza accettò, tra chi si rifiutò di accettare tutti i vescovi e molti giovani sacerdoti. Il Papa reagisce con due testi che condannano la costituzione e i preti che vi hanno aderito. Si formarono così due Chiese quella costituzionale sottomessa al potere rivoluzionario, e quella clandestina fedele al Papa. Poi si arrivò a una nuova fase, ci fu la caduta della monarchia e una nuova politica che voleva sostituire il cristianesimo con una nuova religione. Ci fu una persecuzione verso i preti rimasti fedeli al Papa. Il periodo del terrore finì con Robespierre ci fu un periodo di tolleranza ma una nuova politica tendente alla separazione tra stato e Chiesa. C'era una gran confusione, e della pace religiosa che si voleva imporre non c'era traccia. C'era la Chiesa costituzionale ormai non più appoggiata dal governo e anche la Chiesa francese era divisa in sè stessa tra chi accettava la sottomissione al governo e chi non l'accettava. Nel 1799 Napoleone prese il potere e cambiò le cose, si rese conto che non poteva esistere una nazione senza Chiesa, l'idea era quella dell'utilità sociale della religione, serviva per mantenere unito lo Stato. Vede la religione asservita allo stato, al servizio dello stato. Nel 1801 Napoleone stipulò un concordato con Pio VII.  L'anno successivo Napoleone farò votare gli articoli organici, un atto unilaterale e non più concordato con la Santa Sede, che modificava in alcuni punti il concordato precedente. la Chiesa non l'accettò. Nel 1804 il Papa consacra Napoleone imperatore. Nel 1809 si incrinarono i rapporti quando il Papa si rifiutò di aderire al blocco continentale contro l'Inghilterra. Lo Stato Pontificio fu annesso al regno francese e il Papa deportato. Nel 1814 dalla sconfitta di Napoleone il Papa ne uscì vittorioso e tornò a Roma in maniera trionfale.

Dal 1815 al 1830 c'è il periodo della restaurazione in cui si cerca di restaurare ciò che c'era prima della rivoluzione, ma si restaura in maniera diversa anche le monarchie cambiano e da assolute divengono costituzionali, c'è una costituzione che limita anche il sovrano. La Chiesa rappresentava l'istituzione stabile che aveva superato la rivoluzione francese, ottenne la restituzione dei propri territori. In Germania sorge il romanticismo, si auspica un ritorno al medioevo e al cattolicesimo, visto che il declino era stato portato dalla riforma protestante. In Francia ci fu una forte attenzione al Papa, visto come figura che dà stabilità. Il Belgio dove il congresso di Vienna creò l'unione di due stati di tradizione diversa, i paesi bassi e l' Olanda: il Belgio cattolico e l'Olanda protestante. Affidata al principe protestante Guglielmo I, che cercò di sottomettere la Chiesa cattolica allo stato, ma non vi riuscì e il Belgio ottenne l'indipendenza. In Irlanda ci fu l'atto di unione tra Irlanda e Inghilterra, anche qui si vollero unire due tradizioni diversi e l'Irlanda mise su un movimento di protesta che voleva l'autonomia dalla dominazione inglese. La situazione in Polonia è simile, occupata però da tre stati: Austria, Prussia e Russia. Sino al 1825 si rispettò la libertà religiosa poi lo zar Nicolò I cambiò la sua politica. Il movimento nazionale polacco fu soppresso e con essa la libertà di culto. Con Gregorio XVI la Chiesa condanna questi movimenti perchè destabilizzavano gli stati.

Quello di Pio IX fu un pontificato lunghissimo, anche se inizialmente sembrava più favorevole alla parte liberale piano piano il suo pontificato se ne staccò sempre di più. Importante nel suo pontificato furono la proclamazione del dogma dell'immacolata concezione, la condanna degli errori modernisti con il Syllabus, la proclamazione dell'infallibilità pontificia. Si tratta del periodo della formazione dell'Italia, c'era una corrente cattolica favorevole a questo, e Pio IX una volta eletto aveva la simpatia dei liberali che speravano proprio che li guidasse e li aiutasse nei loro obiettivi. Appena eletto compie dei gesti che lo fanno osannare dal popolo e dai liberali. Tutto questo sino a quando rifiuta di far scendere il campo la Chiesa contro l'Austria, non può scendere in un conflitto tra stati cattolici. Questo fu preso come un tradimento e da allora la liberazione fu presa in mano dalla corrente più estremista, repubblicana e anticlericale.  Per Pio IX la difesa dello stato temporale della Chiesa era una garanzia della libertà della Chiesa, nel movimento liberale nel mentre inizia a diffondersi un anticlericalismo ostile a ogni forma di intervento della Chiesa. Nel 1861 c'è la proclamazione del Regno d'Italia e nel 1870 con la breccia di Porta Pia Roma è occupata e dichiarata capitale del Regno d'Italia. La questione romana nasce di fronte ai territori pontifici che piano piano vengono tolti al Papa. Il Papa scelse una posizione intrasingente per lui era troppo importante il potere temporale, Roma non poteva divenire capitale del nuovo Regno perchè era la capitale della cristianità e quindi la sovranità su Roma apparteneva a tutti i cattolici e soprattutto il potere temporale era garanzia della libertà spirituale della Chiesa per Pio IX. Nel 1871 il Papa rifiutò la legge che riconosceva la sovranità spirituale del Papa e l'inviolabilità della sua persona. La questione romana rimarrà quindi aperta sino ai Patti Lateranensi del 1929. Durante la prima metà del '800 ci fu un movimento di ritorno al Papa che venne incoraggiato dalla Santa Sede con la centralizzazione romana del governo della Chiesa e con un'esaltazione del magistero della Chiesa, in questo ha grande importanza la ricostituzione dei gesuiti.

Alla fine del pontificato di Pio IX la situazione non era delle migliori, i rapporti con gli stati ci sono vari conflitti non risolti e un anticlericalismo emergente. Inoltre il rafforzamento dell'autorità romana ha portato a un rischio di scisma e a un irrigidimento antiliberale. Leone XIII usò una strategia diversa da Pio IX nonostante avesse anche lui a cuore l'idea di uno stato cristiano-cattolico. Cercò quindi prima di tutto una politica di riconciliazione con i vari paesi. Il nuovo modello che si impone è quello di uno stato cristiano in contrapposizione sia allo stato liberale che alla sottomissione dello stato alla Chiesa. In Germania la situazione si riappacificò ci furono le leggi di pacificazione del 1886. Anche in Svizzera si trovò l'accordo a causa della paura della sinistra rivoluzionaria. Anche in Francia si cercò un accordo con la nuova Repubblica che si era ormai stabilizzata. Accordo che era malvisto dai cattolici francesi, anche dai cattolici  liberali, i primi perchè vedevano la repubblica come nemica della Chiesa, i secondi perchè non vedevano di buon occhio l'intromissione del Papa in campo politico. Alla fine del secolo ci fu nuovamente una politica anticlericale in Francia che portò nel 1904 alla rottura dei rapporti con la Santa Sede. In Italia la politica intrasigente continuò, la questione romana rimaneva il punto nodale, viene ribadito il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica dello Stato. Altro problema che la Chiesa si trova ad affrontare è quello della povertà causata dall'industrializzazione. I cattolici erano divisi, una corrente conservatrice che vuole un intervento dello stato nell'economia e critica la proprietà privata. Una corrente liberale che invece propende perchè lo stato non intervenga nell'economia. Una corrente solidarista che invece dice giusta la proprietà privata e richiede un intervento dello stato come garante di alcuni diritti come un minimo salariale. Nel 1891 scrive l'enciclica sociale Rerum Novarum , enciclica che descrive l'intollerabile miseria degli operai, difende la proprietà privata e invita a ricreare un equilibrio tra le classi sociali. E' un testo molto importante perchè porta chiarezza nelle varie tesi cattoliche sull'argomento, perchè è un testo innovatore, c'è l'attenzione agli operai e la richiesta di intervento dello stato e perchè questa sarà la prima di una serie di altre encicliche sociali. L'attività missionaria ebbe uno slancio e anche qui la Chiesa prese posizioni importanti come quelle contro la schiavitù.

L'eresia del modernismo è stata la grande sfida dottrinale dell'inizio del secolo scorso, stiamo parlando di una serie di errori comuni a vari autori e varie dottrine: l'idea che la religione sia qualcosa di interiore, un contatto con Dio, l'idea che la ragione umana sia incapace di dare prove obiettive dell'esistenza di Dio, l'idea che i dogmi siano temporali e non verità atemporali, l'idea di un adeguamento alla conoscenza scientifica.  C'è un modernismo intellettuale che finisce che porta alla separazione tra fede e ragione, e c'è un modernismo pratico porta al rifiuto del trascendente. Ci fu uno sviluppo del metodo storico-critico, che tornava ai testi con un approccio storico, ebbe fortuna questo metodo con i protestanti, mentre da parte cattolica inizialmente ci fu molta diffidenza, indubbiamente questo dipendeva anche dall'uso che se ne faceva. Si arrivava anche a dividere ciò che ha annunciato Gesù e i dogmi della Chiesa. La posizione contro il modernismo fu netta da parte della Santa Sede.

La prima guerra mondiale sconvolge profondamente la vita degli uomini e della Chiesa. La Chiesa si pone fuori dal conflitto il suo intento è quello di mantenere l'unità della Chiesa, questa è una guerra tra stati cattolici e la preoccupazione di preservare la propria indipendenza. Una prima fase fu quella del tentativo di non fare entrare l'Italia in conflitto, questa guerra non conveniva alla Chiesa, nè per la sicurezza della Santa Sede che sarebbe stata in pericolo, nè nel caso della vittoria dell'Austria, la caduta dell'Italia avrebbe portato degli squilibri e neanche in caso di vittoria dell'Italia visto che sarebbe finito l'ultimo impero cattolico. Cercò quindi di favorire trattative che furono interrotte dall'entrata in guerra dell'Italia. In una seconda fase cercò di fermare il conflitto con una nota ai capi degli stati belligeranti in cui si sottolinea l'impegno della Chiesa per la pace, propone di tornare alla situazione territoriale precedente all'inizio della guerra e per i problemi territoriali auspica che si possano risolvere con trattati singoli, tra le parti in causa. Il documento fu un fallimento, risultò non ascoltato e alla conferenza di pace del 1918 a Parigi non fu chiamata a partecipare la Santa Sede.  La posizione della Chiesa non sempre venne accettata dalle Chiese locali, che proprio in virtù di questa opposizione e della partecipazione alla guerra della propria nazione favorì l'integrazione dei cattolici nella propria nazione, così avvenne in Italia, Francia e Germania.

Inizia a diffondersi un nuovo tipo di stato che è il totalitarismo, a differenza di liberismo e autoritario non vuole mettere da parte la religione, nè sottometterla allo stato, ma vuole porsi come nuova religione. La società deve essere unità da un'ideologia, per i nazisti la razza ariana, per il comunismo il proletariato, e per il fascismo la nazione. Questi stati non potevano ammettere la Chiesa cattolica, era un ostacolo alla propria ideologia. Mussolini appena salito al potere cerca di risolvere la questione Romana, ci riuscirà solo nel 1929 con i Patti Lateranensi, e come avverrà anche in Germania, la Chiesa rinuncia ad entrare nella politica, rinunciava al suo potere temporale, in cambio di questo il cattolicesimo diviene religione di stato. Dal Papa furono scritte tre encicliche una contro il fascismo, una contro il nazismo e una contro il comunismo. I rapporti con lo stato italiano si incrinarono per la sua scelta di schierarsi con la Germania, e per le leggi contro gli ebrei. Per quanto riguarda la Russia fallirono i tentativi di accordo, con l'ascesa al potere di Stalin, l'atteggiamento fu ancora più ostile nei confronti della Chiesa.

Nel 1939 fu eletto papa Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII, dovette affrontare il momento della seconda guerra mondiale. Cercò di evitare la seconda guerra mondiale proponendo delle conferenze in Europa, ma non vi riuscì.  Cercò allora di mantenere l'Italia fuori dal conflitto ma non riuscì neanche in questo, da quel momento provò a intervenire con i radiomessaggi. I principi per una pace duratura era il riconoscimento delle sovranità nazionali, il rispetto delle minoranze e il disarmo. L'ingresso della Russia al fianco degli alleati cristiani fece sollevare alcuni scrupoli agli americano cattolici, che si chiesero se un alleanza con la nemica della Chiesa fosse giusta, il Papa rispose che si condanna un'ideologia, non un popolo. Nell'aprile del 1945 a guerra finita furono costituite le nazioni unite, ancora una volta la Chiesa non venne invitata. Il Papa criticò poi la posizione dei vincitori che hanno umiliato gli sconfitti, sperava di non vedere la Russia arrivare sino al centro dell'Europa. Un'opera teatrale del 1963 pose alcuni dubbi sull'operato di Pio XII a difesa degli ebrei, e sorse l'idea che il silenzio del Papa fosse dettato dalla volontà di non entrare in contrasto con la Germania nazista. In realtà Pio XII non voleva far inasprire l'atteggiamento dei nazisti e non credeva all'efficacia di proteste pubbliche. L'azione della Chiesa avvenne invece in un aiuto più nascosto, ma che ha salvato molte persone.

Dopo la Seconda guerra mondiale si crearono due parti ostili, una liberale formata da Stati Uniti e Europa occidentale, l'altra comunista formata dalla Russia e dai paesi satellite. La Chiesa questa volta fu costretta schierarsi, perchè  si trovò a combattere il comunismo e perché la Chiesa era perseguitata nei paesi dell'Est. Questa adesione al governo democratico occidentale non vuol dire identificazione della Chiesa con l'occidente., che anzi fu criticato dalla Chiesa, che propose il disarmo di entrambi i blocchi e avvia un processo di unificazione dei paesi cattolici Europei che porterà alla formazione della CEE. Per quanto riguarda invece la decolonizzazione  la Chiesa era preparata, aveva già da tempo differenziato la missione e la colonizzazione. In un primo periodo fu prudente perché aveva paura di incoraggiare una colonizzazione comunista, ma dopo gli anni '50 la sua posizione sarà più netta.

A PioXII succede Giovanni XXIII a soli tre mesi dalla sua elezione convoca il Concilio Vaticano II. Gli interrogativi sono tanti, se sia un seguito del Concilio Vaticano I, se sia di tutta la cristianità o solo cattolico, se sia di condanna del modernismo o di riforma e aggiornamento della Chiesa. Fece partire una commissione preparatoria che aveva il compito di raccogliere le varie proposte e i consigli e di stillare il programma del concilio. Il 90% dei vescovi rispose alle lettere presentando consigli, le proposte insistevano sul ruolo del vescovo e su una sua definizione, sulla riforma liturgica e sul diaconato permanente visto come soluzione alla crisi di vocazioni. I vescovi si dividevano in intransigenti, riformatori e quelli più interessati alle problematiche dei singoli popoli. Vennero alla fine a crearsi due gruppi quello dei riformisti e quelli antiriformisti. Accanto ai Padri conciliari c'erano anche periti, teologi, osservatori e uditori laici. Alla vigilia del concilio la Chiesa non aveva rapporti con le altre chiese cristiane, perchè sino ad allora aveva praticato la politica del ritorno, esisteva una sola Chiesa e si aspettava il ritorno dei fratelli alla cattolicità.  Giovanni XXIII mostrò la sua indole ecumenica aprendo i lavori a osservatori non cattolici. Il concilio conta 4 sessioni e 3 intersessioni.




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