martedì 12 maggio 2015

IL FREE CLIMBING

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Quasi un secolo fa Preuss teorizzò l’arrampicata libera nella sua forma più pura, addirittura sostenendo che si doveva salire solo dove si sarebbe stati capaci di scendere. Preuss era un integralista tutto d’un pezzo, anche sostenitore dell’arrampicata senza corda, e la sua morte fu commentata con una certa ironia dalla maggior parte dei contemporanei, convinti che il salire era più importante dello stile nel salire. Un atteggiamento su cui non era d’accordo anche A.F. Mummery, forse il primo a concepire l’idea di via piuttosto che quella di salita.

Le idee di Preuss non furono comunque vane per tutti, ma si dispersero nella corsa alla vetta che divenne motivo dominante dell’Alpinismo di metà secolo.

Negli USA la storia seguì un tracciato diverso, complice anche la geologia: il granito infondeva più fiducia del calcare nel salire usando solo gli appigli.

Maestro e precursore dell’arrampicata libera fu l’americano John Gill, che negli anni 50 introdusse l’uso della magnesite e la tecnica dei lanci nell’arrampicata. Fu anche precursore della scalata sui massi, come lo fu Pierre Allain in Francia.

Quasi contemporaneamente a Gill si comincio’ a intravedere in Yosemite qualcosa di più di un semplice paesaggio; aiutati dalle stupende e pulite fessure granitiche, molti americani cominciarono a superare quello che in Europa veniva confusamente indicato come sesto grado (5c/6a). Si narra che il più elegante fu Salathè, che ebbe per questo da Robbins e compagni l’onore del nome di una via ancor oggi fra le più famose del mondo.

Negli anni 60 quindi sicuramente il livello di Yosemite era superiore a quello Europeo ed Australiano, con Royal Robbins in testa e l’odierno 6b già domato sulle lunghe fessure del Capitan.

In Europa erano gli Inglesi i più avanti nella concezione del free climbing, anche perche’ le piccole pareti a loro disposizione costringevano, per divertirsi, a spingere la difficolta’. Ma anche in Germania e Italia isolati pionieri riconoscevano che salire le montagne in libera era ben diverso che affidarsi ai chiodi per la progressione: non si può dimenticare Rebitsch, Wiessner, Soldà, Vinatzer, scalatori che ambivano allo stile quanto al coronamento della salita.

Le prime grandi imprese di Free climbing avvennero comunque in America sul finire degli anni ‘60, per opera di fuoriclasse come Peter Cleveland, Steve Wunsch e successivamente John Long, John Bachar, Tony Yaniro, Henry Barber e Ron Kauk. Quest’ultimo, giovanissimo, pochi mesi dopo la sua prima salita, insieme a Bachar e a Long, percorse la meravigliosa Astroman (7a) in completa arrampicata libera, nel 1975. Una via destinata a diventare una classica per tutti i liberisti, e a creare poi scalpore molti anni dopo, quando Peter Croft la percorse più volte slegato.

I giovani americani si allenavano duramente e vivevano ai margini della società, praticamente da hippy, e colpirono i primi scalatori europei che viaggiarono oltreoceano. Pete Livesey tornò dagli USA in Inghilterra nel 1975, subito fondando una palestra d’arrampicata e inneggiando alla scalata libera.

Kauk fece un’altra grande impresa con Tales of power (1977, 7b/7b+), anche se la sua fama varcò l’oceano soprattutto per la spettacolare libera di Separate Reality, 1978, un tetto fessurato orizzontale disposto sopra un vuoto siderale.

Quando le foto di queste libere arrivarono in Europa, la reazione degli alpinisti classici fu addirittura di incredulità, mentre alcuni giovani cominciarono a lanciarsi su tutto il granito fessurato a disposizione; dal canto suo Messner, precursore come sempre e grande studioso dei pochi pionieri dei decenni precedenti, trascrisse nel rivoluzionario "settimo grado", un testo che fece epoca, quelli che secondo lui dovevano essere i dettami dell’alpinismo su roccia: fra questi, non usare le protezione per progredire, e quindi salire in libera, possibilmente con meno chiodi possibili.

Negli stessi anni, con pochissima eco in Europa e USA, Kim Carrigan domava Prokol Orum (Australia, M.ti Arrapiles 7b+, 1978), e poco dopo Yesterday (1979, 7b+/7c): erano livelli molto al di là dei limiti europei.

In Francia, intanto, suscitava clamore Le Triomphes d’Eros, di JC Droyer, (1975, 6c+) che diventerà il più polemico e acceso sostenitore del free climbing (liberando moltissimi settimi gradi in tutte le Alpi alla fine degli anni 70). Droyer scatenò un vero vespaio in Francia, simile a quello suscitato da Messner qualche anno prima nel suo libro "Assassinio dell’impossibile": entrambi affermarono chiaramente che l’artificiale stava uccidendo l’arrampicata, e che si poteva fare molto di più laddove si preferiva affidarsi a staffe e chiodi.

Ma la rincorsa europea sembrava infinita: Pete Cleveland centrò l’8a già nel 1977, ma molto più clamore fecero Phoenix e Grand Illusion, quest’ultima una stupenda fessura strapiombante che Tony Yaniro risolse nel 1979. Per dare un’idea di quanto fossero avanti gli americani nell’80, basta dire che al suo primo viaggio oltreoceano Gullich non riuscì (1979) sulle due vie in questione, tanto che gli ci vollero 10 mesi di allenamento mirato per vincerle entrambe nel 1982 (e fu il primo 8a europeo; ma non su suolo europeo).

E questa fu veramente un’impresa che segnò un’epoca, e il passaggio di testimone fra Yosemite e l’Europa.

Nel 1981 le vie europee più dure erano la corta ed esplosiva Le Haine, a Mentone (7c/7c+, Berhault), i terribili 40 metri del Mattino dei maghi (Manolo, 4 protezioni di cui 2 soli chiodi a espansione) e Schleimspur, 7b+, aperta da Gullich nello Jura.

L’arrivo di Gullich nel free-climbing ha rappresentato una svolta difficilmente ripetibile; meno talentuoso di Edlinger, Rabatou, Manolo Glowatz e Kammerlander, fortissimo fisicamente, si applicò all’arrampicata con la classica tenacia teutonica ma con una fantasia molto superiore. Contrarissimo (come quasi tutti i tedeschi e gli Inglesi, e a differenza della maggior parte dei top francesi e italiani) ai pur minimi ritocchi della roccia, grande amante dei viaggi, Wolfang Gullich portò, talvolta trascinò, il free climbing verso mete impensabili ad inizi anni 80: con l’avvento di Gullich il free climbing si elevò a sport, ma senza abbandonare l’avventura

Ma naturalmente altre nazioni si muovono, anche se con meno pubblicità: le Dolomiti furono per esempio sconvolte dal 17enne Sustr che, incitato da Igor Koller, tirerà un settimo espostissimo e assolutamente sprotetto nella via del Pesce, in Marmolada; via storica, "Attraverso il pesce " e’ una delle prime vie col 7+ obbligatorio in apertura (mentre, in ripetizione di vecchi itinerari artificiali, Manolo, Droyer, Albert, Zaik avevano già toccato l’ottavo e il nono).

L’82 vede la rincorsa in falesia all’8a, sfiorato ancora da Manolo, dal già famoso e mediatico Edlinger, da sempre più francesi. In Francia, infatti, l’arrampicata esplode: grazie ai video di Berhault, Edlinger e Destivelle, grazie al Verdon e a tutti gli altri km di roccia a disposizione, grazie al classico sano sciovinismo francese.

Nell’83, da più parti, in falesia si dichiara finalmente l’8a. Questione di mesi o settimane, ufficialmente è Ca glisse au pays des merveilles di Edlinger, ad entrare nella storia. Ma lo meritano anche Reve de Papillon e Le caeur est un chasseur (Mouries), dell’elegantissimo Antoine Le Menestrel; Crepinette (Eaux claires), di Guillot; Fritz de cat, (Saussois), fine 1982 , di Tribout; Draculella, di Manolo. E The Face, in Germania, che Jerry Moffat dichiara 8a+ (un altro da intervistare, probabilmente sopra le parti).

In montagna invece l’8a arriverà nel 1988, naturalmente con Manolo ma anche con i giovanissimi fratelli Huber, cognome destinato a diventare famoso. Mentre nel 1984 il fuoriclasse norvegese Hans Cristian Doseth aveva introdotto la filosofia free (insieme a quella dello stile alpino) in Karakorum, con una via di 1600 metri sulle Torri di Trango.

Tappe storiche e fondamentali per la decisiva esplosione del free climbing, a cui, ufficialmente con la prima gara del 1985 e poi con le prime falesie spittate vicine, si affiancherà l’arrampicata sportiva.

Da allora l’equivoco si è sempre più ingigantito, e pochi si curano di chiarirlo. Eppure basterebbe leggere la storia di un Alex Huber o di un Manolo per distinguere quando uno scalatore si impegna nell’arrampicata sportiva (Huber ha all’attivo due 9a irripetuti da anni) e quando supera i limiti nel free climbing (sempre Huber, sulle grandi pareti di tutto il mondo, e Hirayama sulle vie di El Capitan, due recentissimi esempi). Una distinzione importante per esaltare sia che apre il futuro nell’arrampicata sportiva (Steve Mc Clure e Chris Sharma, due nomi fondamentali dell’inizio secolo) sia chi esplora la visione indicata da Doseth, Knez, Gullich e Albert negli anni ’80: il free climbing sulle "Big Walls".

Per arrampicata libera (o free climbing) si intende lo stile di arrampicata nel quale l'arrampicatore affronta la progressione con il solo utilizzo del corpo: mani nude, piedi (normalmente con le scarpette da arrampicata), ma anche appoggiando e incastrando il corpo intero o sue parti.

Questo non esclude a priori l'utilizzo di attrezzatura, come la corda, l'imbrago, il discensore, i moschettoni, i nuts, i friends e i rinvii, ma tale equipaggiamento è usato esclusivamente per l'assicurazione, ossia per limitare i danni in caso di caduta.

La salita di una via di arrampicata viene distinta dagli scalatori a seconda di come viene effettuata in:

In moulinette, Da secondo o Con la corda dall'alto - quando si scala con la corda che assicura dall'alto, corda che è stata posizionata in precedenza.
A vista (in inglese On Sight) - scalata da capocordata eseguita la prima volta che si affronta una via, senza aver osservato un altro scalatore, senza alcun aiuto di attrezzature (per es. senza appendersi a riposare) o indicazioni di altri.
Flash - scalata da capocordata eseguita la prima volta che si affronta una via, senza ausili artificiali ma usufruendo di indicazioni di scalatori che hanno salito la medesima via in precedenza.
Lavorato - scalata da capocordata effettuata dopo alcuni tentativi che hanno consentito di individuare la migliore sequenza di movimenti. In inglese si dice redpoint, derivante dal tedesco rotpunkt. Il termine fu coniato dall'arrampicatore tedesco Kurt Albert negli anni '70. Quando lavorava una nuova via disegnava alla base un cerchio rosso. Quando infine la liberava da primo riempiva il cerchio, creando appunto un "punto rosso".

Forme di arrampicata senza assicurazione sono il bouldering e il free solo. Il bouldering viene denominato anche sassismo e viene effettuato su piccoli massi fino a 5-6 metri di altezza. Il free solo invece è uno sport estremo, compiuto da chi arrampica senza alcuna sicurezza (come corde, chiodi, moschettoni,...) ed è quindi sempre a rischio della propria vita. Questa disciplina viene spesso chiamata impropriamente "free climbing".

Per arrampicata artificiale si intende lo stile di un'ascensione, su roccia o ghiaccio, nella quale si fa ricorso ad attrezzi e strumenti che aiutano la progressione. Se gli attrezzi, anziché per la progressione, sono utilizzati al solo scopo di garantire la sicurezza dell'alpinista, la salita viene comunemente considerata come "libera". Un esempio di tale differenza può essere dato considerando l'utilizzo della corda. Se essa viene utilizzata esclusivamente come strumento di sicurezza, per garantire l'incolumità di chi sale in caso di caduta, lo stile di arrampicata sarà considerato "libero". Se viceversa, nel corso della salita, essa viene altrimenti utilizzata, ad esempio per appendersi e riposarsi, la corda diventa uno strumento ausiliario che in qualche modo facilita la naturale salita (che "naturale", a quel punto, non è più). Si parla allora di stile di arrampicata "artificiale". Tra i classici attrezzi tipici dell'arrampicata artificiale si annoverano, per esempio, chiodi, spit, cordini in nylon (che tuttavia possono anche essere usati come strumenti di sola sicurezza) e attrezzi esclusivi dell'artificiale come le staffe o gli skyhook.

L'arrampicata indoor è l'arrampicata praticata su strutture costituite da pannelli su cui si montano delle prese, appigli artificiali di resina o altro materiale. L'arrampicata indoor serve sia come luogo di allenamento (infrasettimanale o nelle giornate di brutto tempo) che come terreno su cui disputare le competizioni. Solo le primissime gare d'arrampicata si disputarono sulla roccia ma fu subito evidente la difficoltà di creare e cambiare i percorsi di gara.



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