giovedì 28 maggio 2015

LA MACCHINA PER SCRIVERE

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Fin dall'epoca preistorica l'uomo ha avvertito un bisogno insopprimibile di comunicare ai suoi simili le idee e i pensieri che riusciva ad immaginare nella sua mente. Dapprima con figure approssimate dipinte, poi con tratti piu' scuri scolpiti nella roccia e infine con i primi segni astratti, simboli incisi nelle tavolette d'argilla della civiltà sumerica (c.a. 3000 anni A.C.). Piu' tardi gli strumenti di comunicazione divennero i pannelli degli orientali, poi gli stiletti dei romani e, in secoli piu' vicini al nostro tempo, le penne d'oca e i pennini d'acciaio. L'invenzione della stampa a caratteri mobili attorno al 1450 fece intravedere il vantaggio di usare una scrittura basata su forme e simboli semplici, geometrici di comprensione immediata, ripetibili all'infinito in modo facile e veloce per esigenze individuali, personali.
Da questo momento molti ingegni  si sforzarono di costruire un dispositivo con tali caratteristiche con l'obiettivo di moltiplicare, i supporti materiali del pensiero e la sua diffusione a un numero sempre maggiore di persone con l'effetto risultante a catena di moltiplicazione anche delle idee e del pensieri stesso. Solo nel 1855 pero' l'avvocato novarese Giuseppe Ravizza potè brevettare quella che si puo' chiamare la prima macchina per scrivere nota come "cembalo scrivano" e costituita da quasi 600 pezzi di legno e un centinaio di ottone.

La storia delle macchine dattilografiche data da oltre due secoli, si confonde con quella delle macchine per ciechi e per stenografare, è intramezzata da invenzioni di pantografi e macchine scriventi (automi). L'idea di sostituire alla scrittura a mano quella con la macchina sorse dapprima a favore dei ciechi. Dal romano Rampazzetto che, primo al mondo, nel 1575 cercava di farli corrispondere coi veggenti per mezzo d'una speciale scrittura tattile, alla macchina dell'oculista genovese Cereseto, alla germanica Picht, molti ne ricercarono la soluzione. In quasi tutti i paesi si ebbero precursori, fra i quali troviamo molti e importanti gl'italiani. Di una primissima macchina ci dà notizia il brevetto inglese preso nel 1713 da Henry Mill, ma non fu mai fabbricata; una rudimentale, a caratteri tipografici, fu preparata nel 1808 da P. Turri; segue il tachigrafo di Pietro Conti da Cilavegna (1823), la prima a tasti e leve scriventi; poi il typograph dell'americano William Austin Burth (1829), quindi la plume ktypographique del francese Xavier Progin (1833) con le leve disposte in cerchio.
Il vero precursore della macchina moderna fu, però, il cembalo scrivano ideato verso il 1837 da Giuseppe Ravizza avvocato di Novara, brevettato nel 1855-56 ed esposto a varie mostre di quegli anni, come è stato messo in luce dal Budan. Il cembalo scrivano batte vie assolutamente nuove, accolte da tutti coloro che sino verso il 1900 costruirono macchine dattilografiche, ed ha per capisaldi: le leve sospese in cerchio, battenti dal basso in alto in un unico e centrale punto d'impressione, movimento del carrello portacarta ad ogni battuta di tasto. Il Ravizza ideò anche una specie di carta carbone e di nastro, il rullo portacarta, previde il sistema di scrittura a dieci dita e nel 1886 fabbricò persino una macchina a scrittura visibile. Dei 16 apparecchi da lui costruiti, due esistono tuttora presso la famiglia.

Sorvolando sui posteriori inventori americani e inglesi, troviamo nel 1861 la macchina del brasiliano P. João de Azevedo; nel 1864-66 quelle del tirolese Pietro Mitterhofer; nel 1865 l'emisfera scrivente del norvegese Malling Hansen; nell'anno stesso la macchina di G. House di Buffalo e finalmente nel 1867 quella inventata da C. L. Sholes, C. Glidden e S. W. Soulé da Milwaukee (Sholes costruì non meno di 30 diversi modelli sperimentali).

Divenuta quest'ultima nel 1874 la notissima Remington, entriamo nel periodo di fabbricazione industriale, che comprende oltre 250 tipi. Predominano dapprima le macchine a leve sospese in cerchio, battenti dal basso in alto (Remington, Caligraph, Smith-Premier, Yost, ecc.) a scrittura cieca; mentre introducendo il rullo portacaratteri (Crandall, 1879; Hammond; Blickensderfer, ecc.), mettendo le leve in posizioni diverse, che battano dal davanti all'indietro (Cash; Bar-Lock; Franklin, ecc.), o viceversa (North), facendole scivolare innanzi (Wellington-Empire-Adler, 1891), si ottennero delle scritture abbastanza visibili. Un primo tentativo di macchina a scrittura perfettamente visibile, con le leve battenti dal basso in alto, fu la Prouty (1886) seguita nel 1890 dalla Daugherty, ma fu soltanto il 1898 che segnò una rivoluzione nella costruzione, con la comparsa dell'Underwood, seguita da quasi tutte le fabbriche esistenti e naturalmente dalle nuove. Due macchine a scrittura visibile erano la Williams (1887) e l'Oliver (1894) con originalissime disposizioni di leve. Intorno all'anno 1885 fu un pullulare di macchine a un tasto solo, con cui si sarebbe voluto sostituire le grandi e costose e di cui esiste ancora un solo esemplare, la Mignon tedesca. La prima macchina fabbricata in Germania, paese che diede oltre cento modelli, fu la Frister & Rossmann, una perfetta imitazione della Caliwaph. La prima macchina italiana fu l'Olivetti (1909-11) cui seguirono l'Hesperia, la Victoria e l'Invicta. Prima di ricorrere al motorino elettrico, di cui varie macchine furono dotate, il pastore Faber di Berlino tentò con l'Elettrografo (1900) di darci una macchina perfettamente elettrica; i suoi tentativi, però, come quelli dell'italiano Vincenti di Londra e dell'americano Cahill, naufragarono. Anche la pneumatica avrebbe dovuto servire di propulsore ai tasti-segni: ne fanno fede i tentativi del Weir di Londra (1892), dell'ingegnere belga Soblik, ecc. Il tabulatore decimale fu introdotto prima del 1900 dal Gorin, una prima macchina per scrivere su registri fu l'americana Elliot & Hatsch (1888). Le prime macchine scrivevano soltanto l'alfabeto maiuscolo, poi fu introdotto il tasto di ricambio. Alcune macchine ebbero la tastiera doppia, cioè un tasto per ogni segno (Caligraph, Yost, ecc.), altre una tastiera disposta a ventaglio. Si sono anche ideate macchine per stenografare e macchine per la telescrittura.

Le macchine dattilografiche hanno ormai forma e dimensioni molto simili fra loro; constano di una serie di tasti che, abbassati dal dito del dattilografo, per mezzo d'un sistema di leve provocano lo spostamento di corrispondenti caratteri tipografici; questi vengono a battere su un foglio di carta e vi imprimono un segno, sia perché preventivamente inchiostrati, sia perché urtano la carta attraverso un nastro colorato. Ad ogni impressione corrisponde uno spostamento trasversale del foglio di carta e degli organi che lo trattengono.

Si dice sistema cinematico l'insieme di leve e di rimandi che va dalla tastiera alla leva portacaratteri o martelletto.

Il cinematico più diffuso è quello realizzato fin dal 1890 dal Wagner e adottato tra l'altre dalla casa Underwood. Nelle più recenti, si adottano cinematici più complicati, ma che realizzano condizioni di simmetria di funzionamento per tutti i tasti, riducono al minimo gli attriti trasversali sui perni, realizzano una curva dell'accelerazione del moto della leva porta-caratteri tale da consentire la massima velocità al lavoro dattilografico, determinano la possibilità di trasportare il segmento porta-martelletti, per imprimere le maiuscole, anziché l'intero carrello.

Il foglio di carta destinato a ricevere la scrittura è generalmente avvolto su un rullo di gomma, portato a sua volta da un carrello munito di guide di scorrimento, che si sposta in senso trasversale da destra verso sinistra sotto l'azione di una molla: un dente d'ingaggio impedisce normalmente tale movimento, ma con l'abbassamento di uno dei tasti o della sbarra spaziatrice si determina l'allontanamento del dente d'ingaggio e lo scatto del carrello, per uno spazio corrispondente all'intervallo fra lettera e lettera, dopodiché il dente d'ingaggio riportandosi nella posizione iniziale blocca di nuovo il carrello; l'insieme di questi organi si dice scappamento. Nell'incastellatura della macchina un meccanismo fa scorrere il nastro inchiostrato e ne permette il continuo e automatico svolgersi e riavvolgersi sulle bobine portanastro, un altro meccanismo solleva il nastro ad ogni impressione, portandolo nella posizione di lavoro, cosicché lo scritto non è occultato dal nastro; un dispositivo permette poi di scrivere usufruendo della parte più alta o di quella più bassa del nastro, che spesso sono inchiostrate con colori diversi. Ciascun tasto porta due segni, in genere il maiuscolo ed il minuscolo della stessa lettera; il trasportatore, spostando verticalmente il segmento portacaratteri o il carrello, permette l'impressione dell'uno o dell'altro segno.

Le tastiere, usate nei differenti paesi europei, variano di poco tra loro e sono state imposte dai costruttori americani fin dal secolo scorso. In generale non si adattano bene alle caratteristiche delle diverse lingue, ma i tentativi di razionalizzazione della disposizione delle lettere non hanno finora ottenuto buon esito. L'incolonnatore permette, a mezzo di un tasto, lo spostamento automatico del carrello e l'arresto a punti prefissati. Il tabulatore decimale, introdotto nel 1898, permette l'incolonnamento automatico delle cifre a seconda del loro ordine di grandezza.

Mentre la macchina da ufficio costituisce ancora oggi il più importante prodotto dell'industria, si sono, in questi ultimi anni, andati diffondendo altri tipi di macchine aventi caratteristiche differenti.

La macchina portatile o da viaggio, in origine macchina economica con tastiera ridotta, è venuta perfezionandosi, assumendo tutte le caratteristiche d'una macchina normale, mantenendo però il minor volume e il minor peso; essa tende a diffondersi soprattutto per l'uso personale e privato perché le sue caratteristiche non permettono di ottenere quel rendimento di velocità, durata, perfezione di scrittura che è richiesto dal lavoro continuo degli uffici.

La macchina silenziosa presentata fin dal 1912 dalla Compagnia Noiseless e perfezionato dalla Remington nel 1925, elimina in modo notevolissimo il rumore nel funzionamento. Ciò è ottenuto mediante differenti artifici, il principale dei quali consiste nell'impedire l'urto del martelletto contro il rullo porta-carta, utilizzando un movimento di pressione del carattere sul nastro, senza che il rullo porta-carta venga percosso. Il problema non si può ancora considerare risolto perfettamente perché le caratteristiche generali delle macchine silenziose, relativamente a velocità, nitidezza di scrittura, durata, numero di copie ottenibili, ecc., sono necessariamente inferiori a quelle dei tipi normali di macchina per scrivere.

Le macchine per fattura permettono, mediante differenti dispositivi, la scrittura continua sopra fogli multipli di stampati, realizzando un'economia di tempo. Altra applicazione, abbastanza recente, della macchina dattilografica è il suo adattamento alla contabilità.

Le macchine dattilografiche contabili possono essere un semplice adattamento delle macchine normali oppure vere combinazioni di macchine dattilografiche con macchine calcolatrici. Il tipo più semplice è realizzato nella macchina a doppia presa della carta che ha un dispositivo per l'introduzione di un secondo foglio mobile, mentre un foglio principale rimane fisso sulla macchina. Tale dispositivo permette di risolvere bene parecchi problemi di contabilità, soprattutto la contabilità a ricalco che consente un notevole risparmio di tempo e una maggiore sicurezza perché le diverse scritturazioni anziché essere riportate dal giornale ai diversi conti, vengono impresse contemporaneamente.

Le macchine contabili propriamente dette sono costituite da una comune macchina dattilografica la quale porta un certo numero di blocchetti totalizzatori, in quantità corrispondente alle colonne dei conti, i quali totalizzano gli elementi verticali di detti conti. Un totalizzatore orizzontale (cross) invece totalizza gli elementi orizzontali delle colonne. Alcune di queste macchine hanno i movimenti parzialmente o totalmente azionati con motore elettrico. In generale tali macchine non scrivono direttamente i risultati; questi vengono letti sopra i totalizzatori e quindi trascritti. Inoltre per la tenuta della contabilità esiste da parecchi anni una macchina (Elliot Fischer) che scrive direttamente sul foglio mantenuto in piano ed è quindi particolarmente adatta per la tenuta dei libri o registri a fogli fissi. Macchine contabili apposite per la contabilità sono la Burroughs Moon-Hopkins e la National (Ellis), la prima delle quali è l'unica che comprende anche un meccanismo di moltiplicazione, ma non permette la completa visibilità della scrittura.

Per le macchine dattilografiche elettriche lo sforzo necessario al funzionamento dei vari meccanismi è compiuto da un motorino elettrico.

Le macchine dattilografiche automatiche (Hooven) permettono la riproduzione di un elevato numero di esemplari scritti a macchina, riproducenti fedelmente una determinata lettera. Tali macchine funzionano per mezzo di matrici di cartone perforato, alla stessa guisa degli autopiani.

Esistono non meno di 41 fabbriche di macchine dattilografiche, di cui 17 in Germania, 9 negli Stati Uniti, 4 in Inghilterra, 3 in Italia, 3 in Francia, 2 in Spagna, 1 in Svizzera, 1 in Danimarca, i in Giappone. Alcune fabbricano macchine normali e macchine portatili ed altre esclusivamente macchine portatili. Non esistono dati ufficiali sulla produzione dei diversi paesi perché - data la produzione sempre leggermente superiore al consumo - la concorrenza è molto forte e i dati di produzione sono molto riservati. Si calcola però che gli Stati Uniti producano annualmente 588.000 macchine dattilografiche standard (di cui la metà prodotte da una sola casa) e circa 380.000 macchine dattilografiche portatili. Circa il 50% della produzione americana è destinato all'esportazione, costituendo una delle industrie americane maggiormente esportatrici. La produzione tedesca è più difficile a precisare ma si ritiene di almeno 110.000 macchine dattilografiche standard annue, di cui 80.000 destinate all'esportazione. La produzione delle macchine dattilografiche portatili è, in proporzione, assai inferiore a quella americana. La produzione italiana è di circa 20.000 macchine dattilografiche di cui il 75% di una sola fabbrica. La produzione inglese si calcola di circa 18.000 macchine dattilografiche standard, delle quali i due terzi prodotti da una sola fabbrica. La produzione francese è di circa 6000 macchine dattilografiche standard annue. La produzione degli altri stati è sconosciuta e di scarsissima importanza.

Il nome usato popolarmente, "macchina da scrivere", apparentemente errato, è in realtà un uso corretto della preposizione "da" con il significato di fine o scopo. Altri esempi evidenti di quest'uso alquanto comune in italiano sono ferro da stiro, moto da corsa, abito da sera, servizio da tè, sala da ballo, mobili da ufficio, carta da regalo, gomma da cancellare, ecc.

Quest'uso è anche ben attestato in letteratura, ad esempio nel Alessandro Manzoni ne I promessi sposi:

« ad ogni contadino fece dare un giulio, e una falce da mietere. »
Qui chiaramente si intende che lo scopo della falce è quello di mietere, e non di essere mietuta. Infatti, il significato di questa preposizione usato in questa costruzione era in aperto contrasto con il significato secondo cui "da" davanti all'infinito di un verbo indica qualcosa che deve essere fatta (da vedere, da vivere, da non perdere, ...), e quindi la disambiguazione era lasciata al contesto:

falce da mietere - grano da mietere
in questo caso la preposizione aveva un significato opposto a seconda del contesto

occhiali da vedere
in quest'altro caso senza alcun contesto specificato, gli occhiali potevano servire per vedere (scopo), oppure erano occhiali che dovevano essere visti (azione da essere fatta).

Nell'italiano contemporaneo, il significato di scopo della costruzione "da + verbo all'infinito" è ancora vivo in espressioni come appunto macchina da scrivere o macchina da cucire, e ancora in forme come la congiunzione in modo da.





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