martedì 24 marzo 2015

L' OLEANDRO



L'oleandro è un arbusto tipico della vegetazione mediterranea, è diffuso in tutta Italia in coltivazione, nelle zone meridionali è presente anche allo stato naturale; pianta ben nota agli appassionati di giardino e non, l'oleandro è un arbusto vigoroso sempreverde, che produce per tutta la bella stagione bellissimi fiori profumati, riuniti in racemi all'apice dei rami flessibili. I fiori sono di colore tipicamente rosa, ma esistono numerose varietà ibride, con fiori rossi o bianchi, talvolta variegati, talvolta doppi o stradoppi.
Gli oleandri sono piante molto diffuse nelle zone a clima mediterraneo grazie alle poche esigenze colturali, spesso si utilizzano nell'arredo urbano, in quanto sopravvivono anche in condizioni di coltivazione non ideali, come caldo estremo o siccità. Tipicamente in Italia gli oleandri vengono posti a dimora persino lungo le autostrade, visto che sono adatti a vivere senza annaffiature anche per mesi, continuando comunque la fioritura estiva.
L'oleandro ha un portamento arbustivo, con fusti generalmente poco ramificati che partono dalla ceppaia, dapprima eretti, poi arcuati verso l'esterno. I rami giovani sono verdi e glabri. I fusti e i rami vecchi hanno una corteccia di colore grigiastro.

Le foglie, velenose come i fusti, sono glabre e coriacee, disposte a verticilli di 2-3, brevemente picciolate, con margine intero e nervatura centrale robusta e prominente. La lamina è lanceolata, acuta all'apice, larga 1-2 cm e lunga 10-14 cm.

I fiori sono grandi e vistosi, a simmetria raggiata, disposti in cime terminali. Il calice è diviso in cinque lobi lanceolati, di colore roseo o bianco nelle forme spontanee. La corolla è tubulosa e poi suddivisa in 5 lobi, di colore variabile dal bianco al rosa e al rosso carminio. Le varietà coltivate sono a fiore doppio e sono quasi tutte profumate. L'androceo è formato da 5 stami, con filamenti saldati al tubo corollino. L'ovario è supero, formato da due carpelli pluriovulari. La fioritura è abbondante e scalare, ha inizio nei mesi di aprile o maggio e si protrae per tutta l'estate fino all'autunno.

Il frutto è un follicolo fusiforme, stretto e allungato, lungo 10-15 cm. A maturità si apre longitudinalmente lasciando fuoriuscire i semi. Il seme ha dimensione variabile dai 3 ai 5 mm di lunghezza e circa 1 mm di diametro ed è sormontato da una peluria disposta ad ombrello (pappo) che permette al seme di essere trasportato dal vento anche per lunghe distanze.

L'oleandro è una specie termofila ed eliofila, abbastanza rustica. Trae vantaggio dall'umidità del terreno rispondendo con uno spiccato rigoglio vegetativo, tuttavia ha caratteri xerofitici dovuti alla modificazione degli stomi fogliari che gli permettono di resistere a lunghi periodi di siccità. Teme il freddo, pertanto in ambienti freddi fuori dalla sua zona fitoclimatica deve essere posto in luoghi riparati e soleggiati. Viene coltivato in tutta Italia a scopo ornamentale e spesso è usato lungo le strade perché non richiede particolari cure colturali.

Nonostante il portamento cespuglioso per natura, può essere allevato ad albero per realizzare viali alberati suggestivi per la fioritura abbondante, lunga e variegata nei colori. In questo caso richiede frequenti interventi di spollonatura per rimuovere i polloni basali emessi dalla ceppaia.

L'oleandro ha un areale piuttosto vasto che si estende nella fascia temperata calda dal Giappone al bacino del Mediterraneo. In Italia vegeta spontaneamente nella zona fitoclimatica del Lauretum presso i litorali, inoltrandosi all'interno fino ai 1000 metri d'altitudine lungo i corsi d'acqua. In effetti si tratta di un elemento comune e inconfondibile della vegetazione riparia degli ambienti mediterranei, quasi sempre associato ad altre specie riparie quali l'ontano, la tamerice, l'agno casto. S'insedia sia sui suoli sabbiosi alla foce dei fiumi o lungo la loro riva, sia sui greti sassosi, formando spesso una fitta vegetazione.

L'associazione vegetale riparia con una marcata presenza dell'oleandro è una particolare cenosi vegetale che prende il nome di macchia ad oleandro e agno casto, di estensione limitata. Si tratta di una naturale prosecuzione dell'oleo-ceratonion, dal momento che le due cenosi gradano l'una verso l'altra con associazioni intermedie che vedono contemporaneamente la presenza dell'oleandro e di elementi tipici della macchia termoxerofila (lentisco, carrubo, mirto, ecc.). Un caso singolare, forse unico in natura, si rinviene nella Gola di Gorropu fra il Supramonte di Orgosolo e quello di Urzulei in Sardegna: in questo caso la macchia ad oleandro e agno casto si inoltra fino ai 1000 metri, confinando con la lecceta primaria.

È uno dei fiori più affascinanti, ma attenzione al suo “lato oscuro”
In passato non sono mancati poeti, pittori o musicisti che gli abbiano consacrato versi, “pennellate” o note per celebrare il fascino  dell’oleandro. Con questa pianta si può preparare un infuso mortale.
Tutta la pianta è tossica, in ogni sua parte, infatti, sono contenuti glicosidi cardioattivi (cardenolidi) capaci di alterare il ritmo cardiaco, causando aritmie di varia natura.
L’intossicazione si manifesta dapprima con episodi di vomito che spesso contribuiscono a ridurre l’assorbimento delle tossine. Seguono, a distanza di qualche ora, disturbi del ritmo cardiaco come bradicardia sinusale (rallentamento del battito) e aritmie ventricolari. Sebbene i glicosidi cardioattivi agiscano a basse concentrazioni e l’intossicazione sia potenzialmente mortale, questa, purché riconosciuta e trattata tempestivamente, si risolve senza esiti.
Bisogna telefonare immediatamente al Centro Antiveleni che darà i consigli più opportuni relativamente al caso clinico. È disponibile un antidoto che somministrato in tempo utile, risolve l’intossicazione.
Dato che la pianta è tossica, non bisogna bruciarla o usare, per qualsiasi scopo, fiori, foglie, rametti, tronchi, o parte di essi e neppure l’acqua in cui è stato conservato il vegetale reciso. In passato non sono mancati casi in cui sono stati osservati lievi sintomi di intossicazione in seguito ad inalazione del fumo prodotto dalla legna di oleandro bruciata, o a causa di ingestione di spiedini preparati utilizzando come supporto i rametti di oleandro.

La scrittrice indiana Vandana Shiva ha raccontato che l’oleandro è il veleno usato dagli agricoltori del suo Paese per andarsene per sempre quando non riescono a pagare i debiti.

L’oleandro è il veleno dei poveri. Non dà i risultati certi delle pozioni servite nelle cliniche del suicidio assistito. Ma, a quanto pare – se lo si sa dosare – dà una morte relativamente dolce. Non una delle morti orribili alle quali ci hanno abituato questi tempi di disperazione con i disoccupati, gli indebitati, gli usurati, i licenziati che si danno fuoco o si gettano dalla finestra. L’oleandro, quando è ben dosato, dà quasi una “morte svizzera”.




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