martedì 24 marzo 2015

IL CALABRONE

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Il calabrone (Vespa crabro Linnaeus , 1761) è il più grosso Vespide europeo

L'adulto è glabro, di colore bruno rossiccio con macchie e strisce gialle, di estensione variabile a seconda della sottospecie.

La femmina può raggiungere i 5 cm di lunghezza, mentre il maschio e operaie misurano 2-2,5 cm. I calabroni vivono in nidi esternamente a forma di sfera, costruiti con legno impastato alla loro saliva. Le colonie sono costituite da circa 300-500 esemplari.

Pur essendo un insetto prevalentemente diurno, il calabrone svolge anche l' attività parzialmente notturna e lo si può trovare attivo anche in autunno inoltrato.

Nei confronti dell'uomo è tendenzialmente indifferente (a differenza della vespa comune, per esempio, che spinta da curiosità può ronzare intorno, aumentando di fatto le possibilità di puntura); tuttavia, se si può sostare vicino ad un albero da frutta in presenza di calabroni con una certa tranquillità, questi insetti possono diventare molto aggressivi se provocati o in vicinanza del nido. Gli individui di genere femminile sono dotati di pungiglione, le cui punture (conseguenti a una reazione difensiva dell'animale) possono essere molto dolorose per gli esseri umani. Come nel caso di vespe e api, il veleno inoculato ha effetti solo locali e transitori per la maggior parte delle persone, ma può provocare nei soggetti allergici reazioni anafilattiche anche mortali.

La puntura del calabrone è molto dolorosa e può provocare uno shock anafilattico molto grave e talvolta anche mortale. Il pungiglione, lungo 3-4 millimetri, è in grado di iniettare dosi molto elevate di veleno e, non essendo seghettato come quelle delle “cugine” api può di conseguenza infiggere più punture e quindi aumentare la dose di veleno iniettata.
Nel caso di puntura, sono molto dannose le manifestazioni di panico incontrollato e le corse al Pronto Soccorso se inutili: si deve mantenere la calma e valutare la situazione. I sintomi dello shock anafilattico sono evidenti: labbra gonfie, difficoltà di respirazione, sudorazione; in caso di insorgenza di questi sintomi si deve ricorrere subito alle cure del medico. Meglio poi evitare i “rimedi della nonna” (ad esempio l’ammoniaca) ed applicare invece ghiaccio localmente.

Si calcola che le pesone particolarmente sensibili alle punture di questo insetto possano trovare la morte nel 10 per cento dei casi. "Si tratta di soggetti allergici al veleno o che versano in condizioni di salute precaria", puntualizzano gli esperti. Ma i dati indicano "quindici decessi l'anno in Europa sottostimati", afferma un medico.
Oltre al dolore e alla spiacevolezza della puntura, quindi, esiste un effettivo problema per i cosiddetti soggetti 'a rischio'. "Difendersi da questo tipo di incidente è difficile. È necessario evitare la puntura utilizzando un abbigliamento adeguato. Le persone che hanno avuto reazioni non solo locali, ma sistemiche (ovvero con il coinvolgimento di parti del corpo lontane dalla parte pizzicata) alla puntura di un imenottero (api, bombi, vespe, calabroni) hanno più probabilità di essere allergiche al veleno dell'insetto". Per loro è consigliabile svolgere le indagini necessarie in laboratori altamente specializzati, per verificare l'eventuale allergia specifica al calabrone.

"In caso di positività è possibile fare un trattamento di desensibilizzazione -  Il paziente viene sottoposto ad una terapia periodica, una volta al mese per 5 anni. Ha lo stesso meccanismo d'azione dei vaccini per le allergie respiratorie, solo che in questo caso si inietta una dose media di veleno di calabrone. In questo modo l'organismo si abitua poco a poco e si ha una buona protezione". Il problema "è avere in tempo dei segnali che mettano in allarme e indichino la necessità di una protezione".
La desensibilizzazione è specifica per ciascun tipo di imenottero. "Il consiglio di sottoporsi alla diagnosi specifica - spiega il professore - è rivolto a chi ha già avuto esperienze negative con qualunque di questi insetti, perché spesso si hanno allergie crociate. Ma è rivolto anche alle persone che lavorano a contatto con questi insetti, per esempio gli apicoltori, e che possono più facilmente essere punti più volte e sviluppare una sesibilizzazione".

Al di là dello shoc anafilattico, per le persone in età avanzata allergiche alla puntura di insetti esistono anche elevati rischi a livello cardiaco. "La liberazione di istamina nell'organismo, indotta dal veleno degli animali, gli imenotteri ma anche le meduse, può alterare il ritmo cardiaco. E questo può rappresentare un grave pericolo per chi ha una situazione di base compromessa". Il calabrone, in particolare, "ha una quantità di veleno molto elevata che può mettere davvero a rischio la vita di una persona con problemi cardiaci".

In primavera, una regina di calabrone si sveglia dall'ibernazione ed inizia a costruire alcune cellette in un luogo riparato e difficile da individuare. Inizia così a deporre le uova che, finché non si schiuderanno, sarà lei ad accudire.

Inizialmente il nido si presenta come una emisfera concava nell'interno della quale si affacciano alcune cellette con le larve all'interno. In questa fase è la regina che le nutre ed espande il nido.

Nate dalle uova le prime vespe operaie, la regina si occupa della sola deposizione delle uova. La regina, nutrita dalle operaie, andando di cella in cella, depone uova e controlla che le larve siano tutte sue figlie.
Le operaie svolgono tutti i lavori: nutrici, toelettatrici, cercatrici di cibo, guardiane, eccetera.
Il nido di vespa crabro, se costruito all'esterno, può assumere una forma ovale o sferica della circonferenza di un pallone da calcio, al cui interno ci sono più piani orizzontali di cellette contenenti la covata. Se costruito all'interno di cavità o sottotetti può assumere ragguardevoli dimensioni, anche prossime al metro di altezza.

Il materiale per costruire il nido viene ottenuto bagnando con la saliva alcune schegge di legno morto, fino ad ottenere una pasta modellabile, che, una volta indurita, sarà solida e dall'aspetto cartaceo.

In fine estate - inizio autunno, la regina cessa provvisoriamente di deporre le uova per lasciare alla sua prossima covata lo spazio necessario per crescere.
L'ultima covata del nido, è però composta da larve di vespe aploidi maschi, nate da uova non fecondate. Appena l'ultima covata è dischiusa comincia il declino del nido.
La regina, ormai vecchia, non secerne più l'ormone che rende sterili le sue operaie, e cominciano così a nascere le nuove regine.
Le vespe regine ed i maschi si mescoleranno con quelli di altri nidi ed avverrà l'accoppiamento di ogni nuova regina. Le nuove regine, dopo l'accoppiamento, andranno a svernare in ibernazione nei tronchi marci o sotto terra.
Nel frattempo, la vecchia regina, ormai troppo anziana per deporre altre uova nel nido, muore di vecchiaia, seguita nei giorni successivi da tutte le sue operaie dalla più vecchia alla più giovane. I maschi e l'ultima nidiata di operaie possono sopravvivere sino all'arrivo dell'inverno, periodo che in ogni caso non riescono a superare.
Le nuove regine svernanti, invece, inizieranno un nuovo ciclo la primavera successiva, continuando la specie come ha fatto la loro progenitrice.
Del nido, non resta che l'involucro cartaceo e le cellette abbandonate, spesso saccheggiate da formiche o utilizzato come rifugio invernale da altri insetti come rincoti, coccinelle o qualunque altro insetto che in fase di adulto svernante cerchi rifugio.

Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo, in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare.

Secondo l'ingegnere aeronautico John McMastes, la storia del calabrone iniziò a circolare in Germania negli anni Trenta del secolo scorso e precisamente all'università di Göttingen: proprio il luogo in cui Ludwig Prandtl (1875-1953) gettò le basi della moderna fluidodinamica.

Secondo McMastes, il primo a proporre questo enigma fu un professore svizzero, da tempo scomparso, che aveva svolto studi pionieristici sulla dinamica dei gas a velocità supersoniche nel corso degli anni Trenta e Quaranta. La storia vuole che durante una cena questo scienziato ebbe una conversazione con un collega biologo il quale gli pose la domanda fatidica: "che proprietà aerodinamiche avevano le ali dei calabroni per permettere loro di volare". Lo scienziato fece alcuni rapidi calcoli, immaginando che le ali di questi insetti fossero lisce e prive di increspature. Le conclusioni furono sorprendenti: in base ai calcoli, i calabroni non dovevano essere in grado di sostenersi nell'aria.

Evidentemente qualcosa non tornava. Ben presto lo studioso tedesco si accorse che l'errore risiedeva nella sua assunzione di partenza: come un esame al microscopio gli aveva confermato, le ali di questi insetti non erano affatto lisce.

Ormai era troppo tardi per arrestare il mito dell'impossibilità del volo del calabrone che aveva iniziato a propagarsi di bocca in bocca, anche grazie all'aiuto di giornalisti e divulgatori scientifici. Già nel 1957, J. Pringle, autore di un classico studio sulla meccanica del volo degli insetti, era stato in grado di ricostruire alcuni dei momenti più significativi del propagarsi della leggenda. Più che ricostruirne le fasi, è interessante esaminare le ragioni che portarono inizialmente a valutare l'impossibilità del volo del calabrone e successivamente analizzare attraverso quali accorgimenti fisici questi insetti riescono effettivamente a sostenersi nell'aria.

Le considerazioni iniziali dell'anonimo scienziato tedesco, presupponevano che se le ali dei calabroni avevano una superficie liscia, dovevano avere un numero di Reynolds molto basso. Con questo termine, che prende il nome di un noto ingegnere meccanico dell'Ottocento, siamo in grado di avere una valutazione del rapporto tra le forze di viscosità di un fluido e quelle inerziali, ossia il prodotto della massa di un oggetto che si muove attraverso di esso per l'accelerazione che subisce. Una particella di polvere che galleggia nell'aria ha numeri di Reynolds molto bassi (da 1 a 10) mentre i jet a reazione hanno valori che superano i dieci milioni. Le ali degli insetti si situano nella parte basse di un grafico che rappresenta la velocità rispetto ai numeri di Reynolds con valori tra 100 e 10.000. Un modo per rappresentarci questa situazione è quello di immaginare che essi debbano volare con le loro piccole ali in un fluido che per loro è molto viscoso, come una specie di melassa. Assumendo per le ali del calabrone un valore così basso e una superficie liscia, si doveva supporre che il flusso dell'aria su di esse fosse laminare, ossia privo di turbolenze. Questo comportava una mancanza di adesione tra l'aria e la superficie dell'ala con conseguente perdita di portanza, la grandezza che sostiene un aereo in volo e ne impedisce lo "stallo", ossia la caduta verticale. Intuitivamente l'aerodinamica del calabrone non è delle migliori: mentre gli uccelli hanno un'apertura alare che permette loro di planare per lunghi tratti, le ali di questi insetti sono ridicolmente piccole e se raccogliamo un calabrone morto e lo lasciamo cadere, questo precipita a terra come una pietra per effetto del proprio peso. Come risolvere allora il mistero del suo volo? La risposta è che l'insetto ha trovato un modo per sostenersi nell'aria, sfruttando la turbolenza creata dal furioso sbattere delle sue piccole ali.

Già nel 1975, Christopher Rees comunicava sulla rivista scientifica Nature alcune osservazioni sulla forma e la funzione della corrugazione nelle ali degli insetti, osservando che la successione di sezioni fortemente irregolari che le caratterizzavano avevano dei grossi vantaggi aerodinamici senza compromettere l'aerodinamica. In effetti, lo scienziato mostrava come, mettendo in un grafico la portanza e la resistenza aerodinamica di queste ali, esse mostravano caratteristiche simili a quelle del profilo alare convenzionale di un aeroplano. Ma le spiegazioni più recenti sul volo degli insetti hanno imboccato un percorso diverso da quello dell'aerodinamica classica, prendendo in considerazione gli accorgimenti per volare in condizioni di instabilità.

Ritornando al nostro calabrone, era necessario spiegare come riuscisse a sfruttare la turbolenza aerodinamica che creava attorno a sé per mantenersi in volo. Ormai era chiaro che l'aerodinamica degli insetti era diversa da quella fino ad allora studiata dai tecnici aeronautici, che consideravano delle ali fisse e un flusso d'aria uniforme.

Utilizzando riprese cinematografiche ad alta velocità dei battiti delle ali, e confrontandole con modelli di simulazione al computer, si scoprì attorno al 1990 che gli insetti creavano dei vortici d'aria attorno a un nucleo centrale. In questo modo la portanza, ossia la forza che li tiene in volo, non era generata in modo continuo, come avviene per le ali degli aerei, ma a scatti. In effetti, gli insetti usano le loro ali in modo più simile a quello degli elicotteri che a quello degli aeroplani per spostarsi orizzontalmente, ma anche verticalmente, in diagonale e per restare sospesi nell'aria. A differenza degli elicotteri, che hanno un asse centrale di rotazione, questi animaletti battono le ali verso il basso, quindi le ruotano verso l'alto, le ribattono verso l'altro, le ruotano di nuovo e così via; questi movimenti non avvengono necessariamente verticalmente rispetto al suolo ma anche obliquamente, permettendo di manovrare nello spazio. I vortici creati da queste manovre fanno scorrere più velocemente l'aria nella superficie superiore dell'ala che in quella inferiore, creando una differenza di pressione che genera la portanza necessaria per mantenersi in volo.
Il pericolo in agguato, a questo punto, diventa lo stallo, ossia la perdita improvvisa di portanza che dipende dall'angolo tra l'ala e il flusso d'aria che arriva su di essa. Quando un'ala con un grande angolo d'attacco è accelerata fortemente, si crea temporaneamente un nuovo vortice d'aria che aggiunge portanza ritardando lo stallo. Per gli insetti si riteneva che questo fenomeno fosse troppo effimero per contribuire significativamente alle loro capacità di volo, ma nel 1996 Charles Ellington e un gruppo di collaboratori del Dipartimento di Zoologia dell'Università di Cambridge in Inghilterra, dimostrarono il contrario. I ricercatori studiarono la Manduca Sexta, una falena che era già stata utile alla scienza negli studi di endocrinologia e di neurologia. Ellington e soci utilizzarono le osservazioni effettuate con una tecnica fotografica tridimensionale dei movimenti delle ali e un'analisi al computer delle stesse. Confrontarono quindi il tutto con il comportamento di the flapper: un robot che imitava meccanicamente i movimenti e le deformazioni delle ali dell'insetto con una frequenza di battito inferiore per tener conto delle dimensioni dieci volte superiori a quelle della Manduca. I ricercatori scoprirono che in questa situazione si formava sul bordo delle ali un vortice che restava attaccato alle stesse, muovendosi a spirale lungo la superficie e creando una zona di bassa pressione. Questo spiegava perché gli insetti sapevano creare una portanza tre volte superiore a quella che risulterebbe dai calcoli dell'aerodinamica convenzionale e perché non avveniva lo stallo che ci si sarebbe aspettato in quelle condizioni.

Le osservazioni fotografiche delle turbolenze che si formavano lungo le ali di the flapper, quando questo era messo in una "camera a fumo", mostrarono chiaramente il fenomeno nel suo verificarsi. In seguito a questo lavoro pionieristico, in vari laboratori sono stati messi a punto differenti modelli meccanici per comprendere sempre più accuratamente il volo degli insetti anche se gli studi dovranno protrarsi ancora per anni prima di poter sperare di vedere un robot-insetto in grado di volare autonomamente.

La formazione del "vortice spiraliforme" era una buona spiegazione nel caso di grossi insetti con un'apertura alare relativamente ampia. Nel caso degli insetti più piccoli, però, le forze di viscosità tendevano a dissipare molto presto il vortice ed era necessario trovare un ulteriore meccanismo che permettesse loro di volare. Ancora una volta la soluzione venne da un insetto-robot che simulava la Drosophila: un altro animale studiatissimo dalla ricerca genetica e biologica.

Nel 1999 comparve sulla rivista Science un articolo firmato da Michael Dickinson, un esperto di fisiologia e di meccanica del volo e un gruppo di collaboratori : gli scienziati avevano immerso in olio minerale un modello meccanico di Drosophila di 24 centimetri per simulare la viscosità che l'insetto reale prova mentre volava; una serie di motori collegati alle ali del robot permetteva la simulazione dei movimenti reali inclusa la rotazione al termine di ogni battito. Attraverso una serie di trasduttori di pressione collegati alle ali, gli studiosi misurarono delle forze superiori a quelle che ci si sarebbe aspetti in condizioni non dinamiche. Succedeva che con il movimento delle ali l'insetto "catturava" il vortice formato durante il precedente battito. Un altro fattore cruciale evidenziato dai ricercatori era l'elevata sensibilità a piccole alterazioni nella sincronizzazione della rotazione delle ali, in grado di cambiare in modo considerevole sia l'intensità sia la direzione delle forze che agivano su di esse: nella "aerodinamica instabile" del mondo degli insetti anche questo era da mettere in conto.
Gli esperti sono propensi a credere che ogni tipo di insetto abbia sviluppato il suo modo particolare di sfruttare l' aerodinamica instabile. L'osservazione diretta e il confronto con simulazioni al computer e modelli meccanici hanno svelato i segreti del volo di alcuni insetti come la Drosophila e la Manduca; non ci sono ragioni per credere che ciò possa avvenire anche per il nostro calabrone. Frattanto, in questi ultimi anni, i progressi nella comprensione dell'aerodinamica degli insetti sono stati costanti al punto che gli specialisti credono che la creazione dei primi insetti robotizzati sia ormai a portata di mano. Ribattezzati Microveicoli aerei (MAV) essi saranno dotati di minuscoli trasmettitori radio ed altri sensori, e potranno essere impiegati per volare in luoghi angusti e difficoltosi da raggiungere per gli uomini; ad esempio, controlleranno la tenuta e il livello di sicurezza della complessa rete di tubazioni che trasportano i gas e le sostanze chimiche nelle grosse industrie.

Attualmente, almeno tre nazioni stanno studiando i propri MAV e, ovviamente, non è mancato l'interesse per possibili impieghi militari e nel campo dello spionaggio; se questi saranno portati a termine, il povero calabrone e coloro che ne hanno studiato l' impossibile volo, sono innocenti.



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