martedì 30 giugno 2015

IL TIFO

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Il tifo si caratterizza per una sintomatologia sistemica severa. I sintomi generalmente compaiono dai 5 ai 21 giorni dopo l’ingestione di cibo o acqua contaminata. Durante la prima settimana di malattia compare la febbre e il batterio si riproduce all'interno dell’organismo. Durante la seconda settimana insorgono i dolori addominali e possono comparire delle piccole macchioline su tronco e addome di colore rosa salmone. Durante la terza settimana possono iniziare complicanze più serie come la comparsa di epatomegalia, sanguinamento intestinale, perforazioni intestinali insieme a batteriemie e peritoniti. A causa di queste si può arrivare ad avere uno shock settico con perdita di coscienza. Queste complicanze acute si sviluppano in circa il 15% dei casi. In caso di mancata comparsa delle complicanze maggiori i sintomi gradualmente si risolvono nell'arco di circa un mese.

La trasmissione del batterio avviene da persona a persona per via feco-orale oppure attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminata. La contaminazione avviene quando esistono bassi livelli igienico-sanitari. Il 2-5% dei pazienti non trattati può diventare portatore cronico, cioè elimina attraverso urine e feci il batterio per un periodo superiore ai 12 mesi seguenti l’infezione. Sono proprio i portatori cronici le fonti di maggiore infezione.

È una patologia ubiquitaria, diffusa in tutti i Paesi dove le condizioni igienico sanitarie sono scadenti. Ogni anno nel mondo si registrano circa 16 milioni di casi con circa 600.000 morti (incidenza dello 0,3%). In alcuni paesi dell’Asia e dell’Africa l’incidenza può raggiungere anche l’1%. Negli Stati Uniti vengono riportati circa 300 casi di febbre tifoide all’anno e la maggior parte dei quali sono viaggiatori che hanno soggiornato in paesi con scarse condizioni igienico sanitarie. In Italia l’incidenza è pari a 2 casi per 100.000 abitanti/anno, ed è più diffusa nelle regioni meridionali e nelle aree costiere, mentre nelle altre regioni i casi sono eccezionali, legati spesso a viaggi in paesi endemici con scarsi livelli igienico sanitari.
In caso di mancata terapia antibiotica la mortalità può arrivare anche fino al 10% dei casi ed è legata a sanguinamenti o perforazioni intestinali.

La febbre tifoide o tifo addominale (o ileotifo) è una malattia infettiva sistemica, febbrile, a trasmissione oro-fecale provocata da un batterio del genere Salmonella, detto anche bacillo di Eberth (Tufo) o di Gaffky. La salmonellosi, invece, è una forma di enterite provocata da microrganismi appartenenti al genere Salmonella spp. diversi da Salmonella enterica subsp. enterica, serovar Typhi, detti salmonelle "non tifoidee".

Il microrganismo penetra per via orale, riesce a superare la barriera mucosa gastrica anche se, perché si verifichi la malattia è necessario un elevato potere infettante; Hornick ha dimostrato che una carica batterica di 1.000 batteri non provoca malattia; una carica di 100.000 batteri induce sintomatologia morbosa nel 28% dei soggetti con 10.000.000 batteri ammala il 50% dei soggetti e con 1.000.000.000 il 95%. Il potere infettante è aumentato se il batterio viene introdotto insieme a cibi che tamponino il basso pH presente a livello dello stomaco. Giunge nell'intestino tenue e penetra nell'orletto a spazzola attraversando le cellule epiteliali senza danneggiarle né moltiplicarsi. Raggiunge la lamina propria dove ha luogo la prima moltiplicazione.

I microrganismi penetrano nei vasellini chiliferi e raggiungono i linfonodi mesenterici, dove prosegue la loro moltiplicazione. Raggiungono il dotto toracico e vengono immessi nel torrente circolatorio per poi localizzarsi in milza, midollo osseo, placche di Peyer (tessuto linfoide intestinale), cellule di Kupffer del fegato (macrofagi epatici), colecisti. I batteri possono ritrovarsi anche nella bile e quindi nelle feci, attraverso le quali avviene la diffusione dell'infezione. Quando la batteriemia (presenza di batteri nel sangue) è sufficientemente abbondante, termina il periodo di incubazione e ha inizio la sintomatologia con la positivizzazione dell'emocoltura. Importante per lo sviluppo sintomatologico soprattutto locale, la endotossina LPS che provoca vasocostrizione, ischemia e necrosi.
La lesione caratteristica a livello della mucosa enterica è l'escara che va incontro a successiva caduta con possibile formazione di ulcere tifose con comparsa di enterorragia (emorragia intestinale) o di perforazioni intestinali se si viene a formare una soluzione di continuo tra la parete intestinale e la cavità peritoneale. Fegato e milza sono ingrossati (epatosplenomegalia).

In epoca pre antibiotica si manifestava con un quadro clinico che viene diviso in settenari: il primo settenario si contraddistingue con sintomi simil-influenzali gravi, febbre alta a scalino, meningismo, dolori addominali, ulcerazioni, alla fine della prima settimana caratteristica la comparsa delle roseole: piccole chiazze rotondeggianti, poco rilevate,di color rosa salmone,scompaiono alla pressione; il secondo settenario è caratterizzato da diarrea, febbre elevata e continua, lingua a dardo, papule cutanee e splenomegalia; il terzo settenario si caratterizza per il lento regredire dei sintomi, ma è anche la fase ove eventualmente possono manifestarsi complicanze infiammatorie a carico di molti organi; il quarto settenario è caratterizzato invece dalla guarigione o dalla cronicizzazione. Caratteristico è l'andamento della febbre: nella prima settimana si ha un innalzamento a temperature elevate con profilo a sega, nella seconda settimana si stabilizza attorno ai 39/40 gradi per poi ridiscendere a sega la terza settimana.

Prima settimana dalla comparsa dei sintomi: emocoltura e reazione di Widal (rivela la comparsa di agglutinine anti-O e anti-H).
Seconda e terza settimana: coprocoltura e ricerca antigeni nel sangue.

In epoca pre-antibiotica circa un 10% moriva per le complicanze del tifo addominale. Al giorno d'oggi l'adeguata terapia antibiotica e di supporto hanno ridotto drasticamente mortalità e morbilità; l'antibiotico di scelta rimane la ciprofloxacina, risultato in diversi trial superiore al cloramfenicolo, al cotrimoxazolo e all'ampicillina. Nei bambini l'impiego della ciprofloxacina è giustificato solo nelle forme multifarmacoresistenti. Qualora si presenti resistenza è possibile utilizzare ceftriaxone e cefixima ma anche cefepima. Nei bambini è consigliata una dose di 20 mg/kg di azitromicina il primo giorno di terapia, per poi continuare per 6 giorni con 10 mg/kg die. Inoltre deve essere sempre instaurata una terapia di supporto idrico (soluzione glucosata o salina) per trattare la disidratazione; l'acido acetilsalicilico (solo adulti) e il paracetamolo (adulti e bambini) possono essere usati con estrema cautela per diminuire la febbre. Nelle manifestazioni gravi di malattia con coinvolgimento del sistema nervoso centrale (obnubilamento del sensorio, delirio, coma) può essere opportuno l'impiego di corticosteroidi quali il desametasone.

Prima dell'Ottocento il tifo addominale era spesso confuso con il tifo petecchiale, che invece è causato da rickettsie.
Nel 1829 il medico francese Pierre Charles Alexandre Louis distinse a Parigi il tifo addominale sulla base dei reperti anatomo-patologici: la linfoadenite mesenterica e il coinvolgimento splenico. Descrisse anche il tipico esantema maculare (la roseola tifosa), le manifestazioni emorragiche e le perforazioni intestinali.

Nel 1850, William Jenner avanzò il dubbio che tifo addominale e tifo petecchiale fossero due patologie distinte. Nel 1869, Wilson propose il termine di febbre enterica. Nel 1873, Budd ne dimostrò la trasmissione per via alimentare.

Nel 1880, Karl Joseph Eberth, contemporaneamente a Robert Koch, vide e descrisse per primo il bacillo che ritenne l'agente eziologico del tifo addominale. Il bacillo fu chiamato Eberthella typhi.

Nel 1884, Georg Theodor August Gaffky per primo isolò una salmonella dal tessuto splenico di un paziente. Nel 1885, Theobald Smith e Daniel Salmon descrissero il bacillo Salmonella choleraesuis isolato dall'intestino di un suino affetto da colera suino (benché il colera suino sia in verità una malattia virale).

Nel 1896, Pfeiffer e Kalle svilupparono il primo vaccino anti-tifico composto da batteri inattivati dal calore. Nello stesso anno, Georges Fernand Isidore Widal scoprì la capacità agglutinante i bacilli del siero dei convalescenti. Su tale caratteristica si basano da allora il test sierologico di agglutinazione di Widal e gli studi sui sierotipi condotti da Kauffmann e White negli anni '20 e '40 del Novecento.

Nel 1900, il batteriologo francese Joseph Léon Marcel Ligniéres suggerì la creazione del genere Salmonella in onore di Daniel Salmon.

Nel 1948, Theodore Woodward impiegò con successo la cloromicetina per la cura di alcuni pazienti malesi. Nello stesso anno, Paul Burkholder scoprì il cloramfenicolo, antibiotico efficace per il trattamento del tifo addominale.

In Italia precedentemente alla promulgazione della legge sanitaria del 1888 la morbidità e mortalità per febbre tifoide (tifo e paratifi) era elevata. Nel triennio 1887-89 morivano in media annuale per tifoide 24.913 individui pari al quoziente di 835 per 1 milione di abitanti. Da allora con lo svilupparsi delle opere di risanamento urbano, particolarmente della buona provvista di acqua potabile e delle fognature, con l'istituzione di idonei servizi igienico-sanitari, e con il miglioramento dei servizi di assistenza sanitaria, congiuntamente a una sempre più intensa azione di profilassi diretta e anticontagionistica, la tifoide andò progressivamente regredendo. Nel triennio 1905-07 i morti per tifoide si ridussero annualmente a 9645 e cioè a un quoziente di 289; in quello 1911-13 a 8415 pari a 240 su 1 milione di abitanti. Durante la guerra mondiale si ebbe, come per altre malattie, un lieve aumento, e nella media annuale del 1920-22 si ebbero 9356 morti, pari a 252 per 1 milione di abitanti. Una nuova discesa nella mortalità per tifoide si manifestò a partire dal 1923 in dipendenza del riordinamento dei servizi sanitari e dell'intensa opera di risanamento igienico dei centri abitati e delle campagne, intrapresa dal regime fascista. Nel triennio 1929-31 (media annuale) i morti per tifoide furono 6490 pari a 159 per 1 milione di abitanti, e negli anni 1933-34, per tifo addominale e per infezioni paratifiche, i morti sono stati rispettivamente 4721 e 4868 pari a quozienti di 112 e 115. Cospicui risultati si sono quindi ottenuti in Italia nella repressione della tifoide. Dal quoziente di 835 si è discesi a 115, avendosi così una diminuzione ragguardevole. Questa remissione s'è avuta in tutte le regioni e provincie del regno e in modo più accentuato nei grandi centri.

La persistenza di focolai endemici si ha nei piccoli comuni, nelle campagne, verso le quali vengono ora rivolte particolari cure dal regime, che ha messo in primo piano il problema dell'igiene rurale, del risanamento delle campagne, e questo programma trova l'espressione più larga nelle leggi e nelle provvidenze per la bonifica integrale.

Il tifo esantematico è conosciuto anche con i nomi di tifo epidemico, tifo petecchiale, dermotifo, tifo dei pidocchi e tifo europeo; non è da confondere con la febbre tifoide (o tifo addominale), provocata dalla Salmonella enterica.

Si tratta di una malattia infettiva presente in luoghi con gravi deficienze sanitarie ed è responsabile di epidemie laddove alle scarse condizioni igieniche si assommano guerre, disastri naturali o carestie.

Il germe responsabile è la Rickettsia prowazekii, trasmesso dal pidocchio Pediculus humanus corporis. Non esiste trasmissibilità animale per cui la malattia è contagiosa solo da uomo a uomo. Una volta che il pidocchio ha succhiato il sangue di un individuo infetto, il microrganismo passa dallo stomaco alle feci dell'insetto, se questi le deposita su di un individuo sano la Rickettsia prowazekii è in grado di contagiare attraverso lesioni o micro-lesioni della cute che inoculano nella pelle le feci dell'insetto e il germe dell'infezione. I sintomi sono mal di testa, febbre alta, brividi ed eruzioni cutanee (le petecchie).

Questa forma di tifo è presente nei paesi a clima temperato (un tempo anche in Europa) e le epidemie sono chiamate con diversi nomi: febbre delle prigioni, febbre da carestia o febbre degli ospedali perché si diffonde principalmente ove esistono cattive condizioni sanitarie ed affollamento.

Durante la Seconda guerra mondiale, a causa delle inimmaginabili condizioni igieniche dei campi di concentramento della Germania nazista e nei lager sovietici, i deportati furono funestati da ripetute ondate di tifo epidemico che causarono la morte di migliaia di persone. Celebre è il caso di Anna Frank e della sorella Margot, che morirono di questa malattia nel campo di Bergen Belsen. Alcuni sostengono che la Peste di San Cipriano fu una massiccia epidemia di tifo esantematico.

La reazione di Weil-Felix è impiegata per la sua sierodiagnosi e consiste nella ricerca di una reazione di agglutinazione in vitro tra gli antigeni polisaccaridici dei batteri Proteus vulgaris o P. mirabilis e gli antigeni della Rickettsia. Altri test di diagnosi più moderni sono il test ELISA e la PCR.

La febbre gialla, detta anche tifo itteroide, vomito nero o febbre delle Antille, è una malattia virale di gravità variabile, anche mortale, causata da un virus a singolo filamento positivo di RNA, appartenente alla famiglia Flaviviridae, trasmesso dai Culicidae (zanzare) infetti.
Il nome "febbre gialla" fu dato da Hughes nel 1750.

Una teoria afferma che la febbre gialla sia di origine africana e che il suo vettore, l'Aedes aegypti, sia stata portato nelle Americhe con il traffico degli schiavi; una seconda teoria afferma che fosse già presente come malattia delle scimmie. Una teoria non esclude necessariamente l’altra.

Nel 1635 il padre gesuita Raymond Bréton segnalava una malattia delle Antille, che provocava forte cefalea, prostrazione e faceva diventare "più gialli di una mela": era la prima segnalazione della febbre gialla nelle Americhe. Nel 1692 il padre gesuita António Vieira descrisse la prima epidemia di febbre gialla nello stato di Bahia, in Brasile, che lasciò "le case piene di moribondi, le chiese di cadaveri e le strade di tombe".

Nel 1854, in Venezuela, Louis Beauperthuy ipotizzò che la febbre gialla potesse essere trasmessa da una zanzara.

Nel 1881, a Cuba, Carlos Finlay identificò la Stegomyia fasciata (Aedes aegypti) come vettore della malattia, ma non riuscì a dimostrarlo con certezza.

Nel 1900 Walter Reed, capo della Commissione USA per la febbre gialla, riuscì a dimostrare con certezza l'ipotesi di Finlay, ossia che la malattia veniva veicolata da una zanzara.

Nel 1901, sotto il comando di William Crawford Gorgas, l'esercito statunitense organizzò un programma di bonifica del territorio dall'Aedes aegypti che, in sei mesi, portò all'eradicazione della febbre gialla dall'Avana. La commissione medica militare americana giunse alla conclusione che l'agente eziologico della febbre gialla si poteva trovare nel sangue almeno nei primi tre giorni di malattia e che si poteva trasmettere alle altre persone, anche se il germe in questione non era coltivabile né isolabile con le metodiche conosciute al tempo. Il microorganismo era inattivabile con il calore ed era ultrafiltrabile, pertanto si concluse che fosse un virus. I progressi nella comprensione della malattia consentirono il completamento dei lavori di scavo del Canale di Panama.

Nel 1903 Oswaldo Cruz organizzò con successo una campagna di eradicazione della febbre gialla dagli stati di San Paolo, Minas Gerais e Rio de Janeiro. In sei anni la mortalità per febbre gialla si azzerò. Rocha Lima, dell'istituto Manguinhos di Rio de Janeiro, descrisse il quadro anatomo-patologico tipico, di necrosi epatica, che si verifica nella febbre gialla. Negli anni '50 il vettore della febbre gialla fu eradicato da gran parte del Brasile.

Nel 1937 Theiler e Smith dell'Università Rockefeller di New York svilupparono un vaccino anti-amarillico da un ceppo virale attenuato. Max Theiler fu premiato nel 1951 con il Premio Nobel per la medicina.

Negli anni '30 in Bolivia e nello stato di Espírito Santo in Brasile si verificarono epidemie di febbre gialla, in assenza del vettore Aedes aegypti. Le persone colpite lavoravano nella foresta, pertanto Soper ipotizzò l'esistenza di un ciclo silvestre della malattia, che coinvolgeva le scimmie come serbatoio e zanzare del genere Haemagogus come vettore. Ancora oggi si registrano casi di febbre gialla silvestre in Amazzonia.

Recentemente, come dimostrato dalle epidemie sudamericane di febbre dengue, che condivide lo stesso vettore della febbre gialla, l'Aedes aegypti, è riapparsa in Sud America.

Nel 1793, si verificò un'epidemia a Filadelfia in Pennsylvania, che sterminò un decimo della popolazione. All'inizio del XIX secolo un'armata francese inviata ad Haiti per sedare la rivoluzione fu decimata da un'epidemia di febbre gialla. Nell'agosto 1804 una grave epidemia di febbre gialla colpì Livorno.

Nel 1849 ci fu un'epidemia che, partendo da Bahia, raggiunse per mare Rio de Janeiro, portatavi dai marinai ammalati della nave danese "Navarre". La malattia sembrava risparmiare gli africani e uccidere gli europei, con una maggiore mortalità tra i maschi. Pertanto si notò che non sempre la patologia era mortale e che in molti casi la malattia decorreva in modo poco o per nulla sintomatico, simulando una banale influenza. Ogni anno, tra il 1850 e il 1902, a Rio de Janeiro ci fu un'epidemia di febbre gialla.

Nel 1878 si verificò un'importante epidemia in tutta la valle del Mississippi.

Tra il 1862 e il 1863 le truppe coloniali anglo-americane morirono a migliaia all'Avana.

La febbre gialla colpisce tra il 15º parallelo Nord e il 10º parallelo Sud in America e in Africa. Non è presente in Asia, benché siano presenti specie di zanzare che sono vettori potenziali. L’incidenza è imprecisata perché la maggior parte dei casi è subclinica o non è segnalata, verificandosi in aree geografiche remote. L’OMS stima che si verifichino 200.000 casi ogni anno solo in Africa (100-200 casi all'anno in Amazzonia).

L’area geografica interessata dalla febbre gialla è in espansione, soprattutto in Africa, in zone dove si pensava che fosse debellata (ad es. in Africa orientale e meridionale). In Africa la trasmissione avviene principalmente nelle zone di savana dell’Africa centrale e occidentale durante la stagione delle piogge, con saltuarie epidemie in zone urbane e in villaggi. Più raramente interessa le zone di foresta equatoriale.

In Sud America gli episodi sono sporadici e colpiscono quasi sempre agricoltori o lavoratori delle foreste. Dopo una campagna di eradicazione dell’Aedes aegypti negli anni '30 la febbre gialla urbana era diventata rara in Sud America, ma a causa del degrado socio-economico ed ecologico degli ultimi anni, queste zanzare hanno recentemente rioccupato buona parte delle aree dalle quali erano state eliminate e il rischio potenziale di epidemie urbane è aumentato. Molto raramente si hanno casi di febbre gialla tra i turisti e i viaggiatori.

Il virus della febbre gialla (virus amarilico) è un arbovirus (gruppo B), virus a RNA del genere dei Flavivirus, membro della famiglia Flaviviridae.

La zanzara infetta, durante il pasto ematico, inietta il virus con la saliva nei piccoli vasi sanguigni sottocutanei. Si ha la replicazione e la disseminazione ematogena, e il virus colpisce soprattutto le cellule del fegato. Si ha un danno epatico diretto con degenerazione eosinofila degli epatociti (corpi di Councilman), necrosi medio-zonale, con risparmio degli epatociti periportali e pericentrali, e degenerazione grassa. Può verificarsi insufficienza renale sia per ipoperfusione che per necrosi tubulare acuta. Si verifica una grave insufficienza epatica con iperbilirubinemia responsabile dell'ittero, la colorazione giallastra della cute che ha dato il nome alla malattia. La diatesi emorragica è su base multifattoriale, correlata alla diminuita produzione di fattori della coagulazione e alla trombocitopenia. Lo stato di shock è spesso l’evento terminale.

I vettori del virus sono zanzare del genere Aedes e Haemagogus e trasmettono il virus con la puntura. Le zanzare restano infette per tutta la loro vita. Esistono due cicli con i quali il virus si mantiene in natura: un ciclo silvestre e un ciclo urbano.
Nella febbre gialla silvestre i vettori sono Haemagogus spp. e Sabethes spp. in Sud America ed Aedes africanus in Africa. Le zanzare acquisiscono l’infezione dalle scimmie, che fungono da serbatoio del virus. Le zanzare poi pungono e infettano gli uomini, di solito giovani maschi lavoratori delle foreste o in attività agricole.
Nella febbre gialla urbana gli uomini sono serbatoi del virus, quando questi sono viremici, e il contagio avviene attraverso l'Aedes aegypti. Il sangue dei pazienti infetti è contagioso da 24 a 48 ore prima della comparsa dei sintomi fino a 3-5 giorni dopo la guarigione clinica.
Il periodo di incubazione è di 3-6 giorni.
Il 40-60% dei casi di infezione non mostrano segni clinici, il 20-30% si manifestano in forma lieve o moderata, il 10-20% in forma grave, il 5-10% con esito infausto. La malattia ha un tipico andamento bifasico, con un periodo di invasione (fase viremica) e uno di localizzazione d’organo (fase tossica). I segni iniziali corrispondono alla fase viremica, con alta carica virale nel plasma; pertanto il paziente costituisce fonte di infezione per le zanzare.

La malattia si manifesta con febbre con brivido e bradicardia relativa, cefalea importante, iperemia congiuntivale, dolore lombare, mialgie, nausea e prostrazione. Questa fase è seguita da una temporanea remissione (fino a 24 ore). La fase tossica si manifesta con la ricomparsa della febbre e dei segni clinici di insufficienza d’organo: ittero ingravescente, proteinuria, oliguria, acidosi, diatesi emorragica (ematemesi e altre emorragie). Si può avere una coagulopatia da insufficienza epatica, con segni di deficit neurologico (delirio, convulsioni, coma) e shock. L’ipoglicemia e il coma epatico sono eventi terminali.

Il trattamento è principalmente sintomatico e di prevenzione delle complicanze. Non esiste terapia specifica antivirale. A tale scopo si stanno studiando l’interferone e la ribavirina. Il trapianto di fegato è una possibilità di trattamento, se la coagulopatia da consumo lo consente.

Il 50% dei pazienti in fase tossica muore, di solito entro 2 settimane dalla comparsa dei sintomi. La mortalità è maggiore nei più giovani. Il tasso di mortalità è più basso nelle epidemie (5%). Segno prognostico sfavorevole è la precoce comparsa e la severità dell’ittero (3º giorno). L’aumento delle transaminasi è direttamente proporzionale al danno epatico ed è un segno prognostico sfavorevole. Negli individui che sopravvivono alla fase tossica si può avere insufficienza renale. La convalescenza con malessere e debolezza può durare fino a 3 mesi.

Le persone che prevedono di viaggiare in aree endemiche dovrebbero vaccinarsi. Si impiega un vaccino vivo, attenuato, preparato da colture virali su embrioni di pollo. La vaccinazione è efficace da 7-10 giorni dopo la prima e unica dose e dovrebbe essere ripetuta ogni 10 anni. La dose nell’adulto è di 0.5 mL sottocute, almeno 10 giorni prima del viaggio. La dose pediatrica è la stessa dell’adulto. Una dose fornisce un’immunità vita natural durante nel 95% dei casi. Il vaccino è sensibile alle alte temperature e va tenuto tra 0 °C e 5 °C e impiegato entro un’ora dopo che si è ricostituito.

Controindicazioni: documentata ipersensibilità al vaccino o alle uova di pollo, gravidanza e bimbi sotto i 9 mesi (a meno che il rischio di infezione non sia veramente alto). Non si sa se sia sicuro in gravidanza.
La somministrazione vicina nel tempo con il vaccino anti-colera riduce la risposta di entrambi: andrebbero somministrati a distanza di tre settimane l’uno dall’altro, se possibile, oppure nello stesso giorno.
La somministrazione contemporanea del vaccino per l’epatite B può ridurre la risposta a quello della febbre gialla, ma è comunque considerata sicura. I farmaci immunosuppressivi, inclusi gli steroidi e la radioterapia, possono predisporre a infezioni disseminate o a risposte insufficienti. Si ritardi la vaccinazione fino a dopo 8 settimane da una trasfusione di emoderivati (sangue, plasma).

Per evitare la puntura delle zanzare si consiglia di vestirsi evitando i colori scuri, coprendosi il più possibile, e di usare spray e sostanze repellenti per gli insetti sulla pelle esposta.

La lotta alla zanzara Aedes si basa sul controllo della nettezza urbana e dell'acqua stagnante, allo scopo di ucciderne le larve.


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